Linea gialla di sicurezza

di

Irene Baldini


Irene Baldini - Linea gialla di sicurezza
Collana "I Salici" - I libri di Narrativa
14x20,5 - pp. 88 - Euro 8,50
ISBN 978-88-6587-1003

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In copertina e all’interno illustrazioni di Vincenzo Baldini


Una nuova razza forgiata da prove fisiche e mentali vissute giorno dopo giorno, generazione dopo generazione, biglietto dopo biglietto.

La figura del pendolare: una durissima esperienza quotidiana, un fenomeno da terzo millennio. L’autrice, pendolare trenista, riporta rappresentazioni fantastiche della realtà vissuta ogni giorno durante i viaggi traghettatori dal paese alla metropoli.

La questione viene affrontata con uno sguardo critico e una vena ironica. Un inedito, psichedelico inferno post moderno, con la figura dominante dell’Homo pendulantes.


RINGRAZIAMENTI

Sul binario 3 in arrivo in perfetto orario un interregionale carico di grazie per i miei splendidi genitori che hanno partecipato e collaborato alla stesura del libro.
A mamma Antonia che con la sua immancabile grinta mi sprona ogni giorno a non mollare mai e a papà Vincenzo per le vignette in china prodotte dal suo estro creativo.
Dal finestrino del diretto in partenza sul binario 9 un valigione stracolmo di amore per il mio specialissimo compagno nel viaggio della vita, mio marito Samuele.
Non scordiamo chilometri e chilometri di baci per i miei nonni tutti, che dalla volta celeste guidano i miei passi in questo strambo pellegrinaggio su questa terra.
Ma… chi vedo in lontananza? Un giovanissimo ed affascinante capostazione che sbraccia con un palettone rosso! Certo! È Mattia, il mio adorato e brillante bimbo, il locomotore di tutta la mia vita.


Linea gialla di sicurezza


A nonna Rina e nonno Renato,
perché la lontananza è pura illusione.


PROLOGO

Aria brodosa, untuosa che si spalma sulla fronte pulsante.
Atmosfera stagnante, impastata da grassa umanità; è tutto bloccato, non ci sono vie di uscita, nessuna fuga è possibile è necessario resistere.
Controllati e gestisci la situazione. È così che affronti i lati oscuri del tuo lavoro ogni giorno, ogni maledettissimo giorno.
“La famiglia non è felice della tua scelta”. Ti rimbalza nella testa la voce metallica di tua madre, che ruota ruota, picchia picchia contro ogni parete occipitale, senti dolore per ciascuna sillaba pronunciata. “Una strada pronta, te l’ha messa lì il tuo babbo. Ha fatto tanti sacrifici. Lo sai, ti ricordi… oh sì che ricordi quando i compagni di circolo lo chiamavano al dopolavoro per una bevuta e una briscola. E lui no, no e giù a lavorare perché i suoi figli non avessero mai un padrone.
E voi, uno peggio dell’altro! Meno male che quel pover’uomo l’è sciopà prima di veder che diamine di mestieri fate! Che spreco…” Ti manca tuo padre, lo amavi e lo ami, gli sei grato per ogni minuto speso nel suo mestiere ma tu sei diverso, tu vuoi altro. Un lavoro pesante, sporco, fisico con i soliti clienti paganti, una birretta da far scivolare in gola, fresca…uh come ne vorresti una in questo istante. Senza orari fissi e al bisogno a casa in dieci minuti per una notte di fuoco con la consorte; poi una doccia, cena e tutto il tempo di godersi la famiglia, lo sport, gli amici. E allora, perché non seguire le orme famigliari? Per realizzare i tuoi sogni, essere libero da un destino già scritto sfruttando al massimo gli anni spesi sui libri; che retorica banale. Sii sincero. Niente balle.
Ti piace guadagnare bene, niente tuta e jeans ma abito di cachemire con cravatta di seta, aperitivo in centro col direttore e shopping nelle strade più glamour d’Italia. Ecco cosa hai scelto. Ecco cosa vuoi essere. Osservi la campagna circostante valutando i tempi di arrivo a destinazione; l’abitudine ai dettagli fa parte del tuo lavoro. Tu osservi, scruti ed osservi, analizzi e scruti.
Ti riscopri nel riflesso di un finestrino e l’occhio ti cade sulla giacchetta sudata e la cravatta spiaccicata dalla schiena di quest’uomo così vicino, tanto vicino che ne senti l’odore, l’ansimare tiepido, quasi il sibilo del flusso sanguigno.
Respirare e concentrarsi, ventilare: uno due, uno due, uno due. Restringi l’attenzione solo sulle tue mansioni, sulla tua missione, si tratta ancora di mezz’ora o poco più e sarai espulso da questa massa soffocante. Di solito funziona, ma oggi sei stanco, stressato; il ventre ti duole, i soliti maledetti calcoli e necessiti di un bagno o solo di un sedile. Adagiarsi un attimo, magari due minuti. Come martella ’sto dolore! Ma non puoi e non devi pensarci. Stringi con un fremito la borsa nera, custode silente degli strumenti del mestiere, quel lavoro per cui hai sacrificato una giovinezza di bagordi, motivo di litigio continuo con le donne della tua vita, e meno male che sono solo due. Serri il pugno con un gesto di rabbia contenuto, mordendoti il labbro, nervoso.
Ammettilo: anche qui, in questo ammasso di popolino, avresti voluto proseguire col progetto, magari terminarlo del tutto, proprio in quest’ora che stai trascorrendo abbracciato a sconosciuti, sessanta minuti di vita che stai perdendo, consumando lacerato dall’ansia. Ti guardi attorno speranzoso, scrutando con l’occhio allenato da mille ore di esercizio forzato un posto, un sito, un angolo per fare ciò che devi, ciò che va fatto. Carpisci un movimento, uno scatto per prendere una giacca appesa! Il corno da caccia risveglia la sete di saccheggio. Mille occhi si muovono all’unisono, sguardi turpi, bocche serrate di predatori che si preparano all’attacco, un attimo di ritardo, un’esitazione e ti giochi l’occasione. La valigetta ti ostacola, il bracciolo di un sedile si conficca nel muscolo della gamba destra, la gonna frastagliata della bionda a fianco ti avvinghia come morbida tela di ragno proprio per quella manciata di secondi sufficiente a perdere il passo giusto. Poi ti svincoli e forse puoi ancora farcela… ma… no! È tardi, tutto è finito. Un altro cacciatore ha vinto, tu no, stavolta no. Ti asciughi il sudore sulle tempie, sarà per domani o il mattino seguente. Ogni giorno, ogni dannatissimo giorno profumato di ferraglia e plebe. Spesso lo sguardo si incrocia con gli occhi stanchi di altre bestie schiaffate lì con te, sudanti e ansimanti, stracarichi di borse, libri, cappotti, ombrelli e la rabbia lascia il posto alla pietà e alla commiserazione reciproca; lotte, strategie per la conquista di uno spazio ma in fondo siete tutte vittime di un tragitto di vita che comicamente accomuna biografie differenti e distanti. Non resisti, non puoi resistere i crampi ti colpiscono i polpacci, il braccio pizzica per l’eccessivo peso che trasporta. Accidenti, nessuno se ne va! Sei quasi idrofobo, il groppo in gola sta a metà tra un rantolo e un ruggito. Ricorda che sei un abile professionista: nervi saldi, si tratta solo di un minuto ancora, niente di più che l’ultimo chilometro. Certo che un istante ti farebbe comodo, un appoggio per asciugare il sudore per tirare il sospiro prima di ricominciare a correre inseguendo carriera e successo; ti aggiusti il ciuffo sfruttando il riflesso lurido del vetro di una pompa di sicurezza. Sfatto, elegante ma impresentabile; giacca stropicciata, camicia pezzata, pantaloni arricciati. Devi trovare una soluzione, qualcosa deve cambiare, l’autocontrollo non funziona più, la vena sul collo pulsa e l’aria carica di anidride carbonica è irrespirabile, potresti urlare. Una frenata allungata riaccende la tua fiducia.
Caronte pietoso, snervato dai suoi sudici passeggeri getta loro una falsa chimera di libertà; lo sbuffo delle porte regala al bestiame ossigeno e freschezza. Tutti fuori di corsa! Stringi la borsa, ti senti rinato, l’inferno quotidiano è rimandato a più tardi, per qualche ora respirerai e cercherai di tornare efficiente al massimo, perché il tuo compito, il tuo lavoro lo richiedono e il capo non accetta sbagli. Non nel tuo mestiere. Tra qualche ora, la sfida ricomincerà e forse il trionfo di uno spazio toccherà proprio a te; sarà sera, sarai stanco e provato dalla giornata ma puoi farcela. Sono anni che ti addestri. Non dimenticare la tua essenza di predatore, a caccia in una giungla di ferro e plastica. Hai intere lune di esperienza sul campo, sei un duro da film, un eroe post moderno, un fenomeno da terzo millennio.
TU SEI… “IL PENDOLARE”.


CENNI STORICI E SOCIOLOGIA SPICCIOLA DELLA VITA FERROVIARIA

Pendolarismo: fenomeno di massa che si realizza tramite il quotidiano e reiterato spostamento di persone che si muovono dal proprio luogo di residenza per motivi di studio, lavoro, comunque regolarmente, verso altra località di destinazione. Pendolare: detto di ogni movimento che assomiglia a quello del pendolo. Chi abita in luogo diverso da quello in cui svolge la propria attività e deve quindi affrontare quotidianamente il viaggio di andata e di ritorno.
Il pendolare, animale appartenente alla famigerata specie umana, fa timidamente capolino nella complessa storia antropologica verso la fine dell’Ottocento, percorrendo prepotentemente chilometri e chilometri in tutto il ventesimo secolo, specializzandosi nel nuovo tecnologico terzo millennio. Sopravvive nelle praterie che circondano le medie e grandi metropoli, vive in piccoli e medi branchi che mantengono inalterati comportamenti sociali reiterati di giorno in giorno, di anno in anno, sebbene esistano rari e sporadici soggetti solitari. I branchi in questione confluiscono poi in grosse mandrie che ciondolano con moto perpetuo e monotono in un’eccentrica savana cementata.
Caratteristiche che contraddistinguono i raggruppamenti in esame sono le dinamiche e le tempistiche con cui si manifestano gli atti quotidiani della specie, ancorati a due momenti specifici della giornata: le prime ore del mattino e le molteplici fasce del tardo pomeriggio. Perdonate la rappresentazione fantasiosa ed animalesca del micro universo viaggiante; può apparire un po’ crudele ed ironica… ma senza dubbio è altamente realistica e mi è parsa quella più adatta per rendere l’idea di ciò che è il satellite pendolare, con i suoi colori ed odori. Molti odori! E se certi accostamenti sembrano eccessivamente impietosi… tranquilli!!! Sono uno di questi animaletti anch’io, relativamente giovane per età anagrafica ma navigata “pendo-trenista” con le mie sedici lune di viaggio. Ok, ma perché questa tizia si mette a narrar di pendolarismo, di treni e di viaggi lavorativi? Dove sta il divertimento, la magia e la suspense di un viaggio nella giungla o nel deserto o in mezzo all’oceano o sul cucuzzolo della montagna condito con morti tragiche, amori mozzafiato, amicizie ritrovate, famiglie arroventate???
Beh, nel tempo, nel troppo tempo, trascorso sui mezzi pubblici ho sviluppato una teoria sul fantastico mondo pendolaresco. Per non peccare di superbia e per non rubare il lavoro a più importanti storici e sociologi che analizzano i fenomeni e i comportamenti collettivi nel corso della storia, vorrei avvicinarvi ad una diversa chiave di lettura del fenomeno. In realtà anche il termine fenomeno non si sposa bene con la mia concezione di pendolarismo per due ragioni sostanziali: mi sento personalmente offesa ad essere definita, umanamente parlando, parte attiva di un fenomeno. Credo che tale termine abbia un qualcosa di freddo, matematico e distaccato mentre NOI (pronome che raggruppa tutta la categoria) nel compimento del nostro moto oscillante, nel bene e nel male, ci mettiamo cuore e passione, gioie e dolori, esperienze e trascorsi umani. Alla luce del primo motivo appare consequenziale il secondo: il pendolarismo non è un modus operandi sterile, infecondo, inconsapevolmente automatizzato, ma un micro mondo nel tormentato universo lavorativo, una fetta di umanità con specifiche caratteristiche che riflettono le peculiarità di intere generazioni e di comunità in perenne evoluzione. Il pendolare ha tutto il diritto di sentirsi uno dei protagonisti del contemporaneo immaginario collettivo, portando con sé un bagaglio di simboli e concetti presenti nella memoria e nell’immaginazione di una molteplicità di individui. Noi “gente che viaggia” siamo consapevoli di condividere simboli ed esperienze di vario genere spartendo un patrimonio comune di tipo trasversale che trascende le credenze personali, politiche, culturali e religiose di ciascuno; in sostanza puoi esser bianco, nero, giallo, verde, islamico, cristiano, buddista, ricco, povero, studente, manager, operaio, trombettista, donna, uomo, bisex, giovane, anziano, buono, cattivo ma se viaggi sul mezzo pubblico…beh, amico… sei un fratello!!! Con il pensiero è facile per ogni pellegrino ferroviario visualizzare immagini grottesche di esperienze climatiche che trascinano dal freddo artico alla canicola tropicale, salti spazio-temporali causati da innumerevoli ritardi, avventure piratesche con abbordaggi violenti e pittoreschi, sfide telecinetiche, strategie militaresche per la conquista del territorio, seminari accademici di contorsionismo, training mentali di autocontrollo, prove di resistenza fisica rambesche.
Se non siamo in un romanzo epico, poco ci manca!! Queste rappresentazioni fantastiche della realtà sconfinano le circostanze e i luoghi che le hanno prodotte nel mondo reale e acquistano la forza e la suggestione del mito, diventando le icone di un’intera fase della storia di un popolo. Ben sappiamo che in qualsiasi epoca e stato, il popolo rievoca e tramanda di generazione in generazione le avventure di eroi ed eroine arricchite da passioni amorose travolgenti, prove di forza fisica e sfide mentali e morali ai massimi livelli. Sono leggende che ci accompagnano dall’infanzia e che ritroviamo nei libri di scuola in una cornice più realistica ma non meno affascinante.
Da tutto questo ragionamento è nato il mio desiderio di ammorbarvi un po’ con le mie congetture filocomichesociologiche!
Ero una volta, una mattina qualunque, su un treno locale qualunque e mi sono guardata attorno, ho osservato meno rabbiosa del solito, con una sorta di affetto fraterno nel cuore, i miei vicini di viaggio e ho provato tenera pietà. Per loro e chiaramente per me, ed un filo di orgoglio ha risvegliato il mio cervellino e mi son detta: “Ma di Noi, che ogni giorno affrontiamo un viaggio della speranza solo per andare a sgobbare sul posto di lavoro, di Noi che non cantiamo, non balliamo, non sediamo sui troni, non siamo segregati in finte case, non parliamo il politichese, non abbiamo ucciso nessuno, non ci droghiamo, non siamo opinionisti e non calciamo palloni, di Noi chi parlerà, chi ci ricorderà?”. Certo i quotidiani si occupano del trasporto pubblico con interviste e reportage su disagi, su ritardi e disservizi vari. Ma le vite private, le abitudini, i vizi, le manie, le amicizie, gli studi, gli amori, le avventure, le migliaia di millesimi di minuti di vitaccia percorsa, vegetata o mestamente sopportata tra le quattro pareti piccole e rotonde di un treno? Chi si soffermerà mai a sorridere, a riflettere su questi pezzetti di esistenza di milioni di anime? Essendo parte attiva di questo ammasso di “soffi vitali” viaggianti vorrei regalare un piccolo simpatico omaggio a tutti Noi pendolari; una specie di saggio dai toni scanzonati e surreali con spennellate di sano realismo. Con il tempo e la passione ad osservare le persone intorno a me, senza giudizi, ma con il vizio di tipizzarle, mi permetterò di presentarvi alcune ambientazioni tipiche ed avventure varie per rendere partecipe il mondo delle sventurate leggende ferroviarie, tramandate di padre in figlio, da nonna a madre. Un onirico e fantasioso documentario, insomma! E come ogni buon documentario esploreremo l’habitat, il clima, le interazioni tra specie, i rituali di socializzazione e d’accoppiamento, l’alimentazione, le evoluzioni generazionali. Gusteremo assieme, pendolari e non, piccolezze e grandezze dell’individuo, con uno sguardo circoscritto ad un particolare segmento, umanamente delizioso!

[continua]


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