PARTE PRIMA
I segreti del silenzio
Il mio mondo spaccato a metà ha sgargianti colori a punta sopra ciliegie di mora spina.
E loro hanno il sapore del succo del ribes, gocce dense di pioggia su labbra di fiele.
La pioggia è sottile,
ma scende a grani e ogni chicco aprendosi è una scintilla d’oro che si perde nel terreno profondo e caldo della pece più pura.
Sopra si apre l’acqua, bagnata d’olio e nettare;
si allarga in una macchia d’onice in cui si riflette l’occhio del mio cielo,verde, giallo, marrone, scarlatto.
I quattro sapori scivolano tra le mie mani, molli come tutto il resto, un immenso lago di dipinti mischiati senza sentieri.
E non c’è luce, se non nella pioggia dorata;
ma è riflessa da una candela che a poco a poco si spegne confondendosi in un piccolo vortice di filamenti viola e azzurri.
Linee chiare e leggere come l’aria,
come l’ebano,
come l’osso
che sprigionano una musica senza ritegno,
troppo dolce per i fiori che non crescono.
La mia anima è il dolore dell’odio.
Nemmeno il riflesso dei miei occhi senza vita ha più importanza
e le loro lacrime, sono tanto infime da poter essere
mascherate senza sforzo,
in fondo sono lacrime nere
e il nero dell’anima copre la luce dei volti.
Nessuno le sentirà mai scorrere e non mi importa.
Se non si avvicinano,
se non riescono a toccarmi,
non verranno infettati dal mio marcio e forse oltre la morte che io porto,
loro si salveranno.
1
“È la solitudine il più prezioso tra i fiori della notte.
Io la sento, ma tutto sembra sempre così immobile… la luna rischiara questa terra illuminandola con la sua luce pallida, mentre la osserva addormentata
con sguardo dolce.
Le stelle ammiccanti sorridono brillando con tutta la loro forza; qualcuno racconta che siano i sogni della gente imprigionati nel blu del cielo in attesa
di essere liberati…
Spesso sdraiandomi sull’erba le osservo muoversi e agitarsi, formando
disegni immensi.
Mio padre sapeva indicarmi alcuni di quei disegni; diceva che il cielo è come un libro aperto: milioni di storie vi sono raccontate, milioni di imprese ed eroi sono immortalati in esso… ho cercato di trovare mio padre in quei disegni… un eroe immortale che mi osservi per sempre… ma lui non ci sarà mai più.”
L’angolo della pergamena su cui stava scrivendo si tinse di inchiostro e una lacrima affiorò sul suo viso, mentre sollevava la piuma d’oca indecisa. Il silenzio fu interrotto dal frusciare delle foglie di un arbusto poco lontano, mosso da una volpe di ritorno dalla caccia notturna; non poté fare a meno di sorridere dandosi della sciocca per aver pensato che qualcuno potesse essere lì di nascosto a sorvegliarla.
“Questa è l’ultima notte che trascorrerò qui a Linder; domani mia madre ed io ci trasferiremo nella tenuta della nonna, a Castleville; smetterò di venire in questo giardino per sempre.”
Appoggiata alla corteccia ricurva di un albero attese che il giorno nascesse: la fontana prese a zampillare spruzzando le gocce chiare sull’erba verde.
«Ho ancora tempo per osservare la casa risvegliarsi alla luce dell’alba.»
Nelle scuderie i cavalli nitrirono destati dalla presenza di alcune cameriere, dirette al pozzo per attingere l’acqua; qualcuno stava aprendo tutte le finestre per lasciare entrare in casa la luce fredda del mattino, e nell’aria si diffuse il profumo del pane appena sfornato che la cuoca si preoccupava di cucinare ogni giorno, sapendo quanto la marchesa amasse consumare la colazione con quelle piccole pagnotte farinose. Ne assaporò l’aroma tanto familiare dirigendo lo sguardo a Oriente dove il sole stava facendo capolino tra le colline, prima di rendersi conto che a breve sarebbe stato troppo tardi per ritornare a casa: i domestici avrebbero presto riempito le sale con il loro andirivieni e lei sicuramente sarebbe stata scoperta.
Attraversò di corsa il giardino, mentre la lunga veste bianca svolazzava nell’aria sfiorando l’erba del prato, sotto gli occhi divertiti della cuoca che la guardava dalla cucina. Raggiunse dopo pochi istanti il primo piano dell’imponente villa, mentre il suo respiro si faceva meno affannoso, lasciandole la ben nota sensazione di poter controllare ogni cosa a suo piacimento e volere. Il papà le ripeteva sempre che la sua camera era la più sfarzosa dell’intero palazzo: un’imponente lumiera di cristallo la faceva risplendere con un appassionato gioco di colori, mentre nastri di lino trasparente avvolgevano lunghi cannelli di metallo, appesi in grappoli e tintinnanti ad ogni alito di vento; un grande letto a baldacchino si trovava al centro della stanza, il piumino giaceva immobile sul pavimento e le lenzuola rosse erano ammonticchiate sotto una sottile coperta di lana, dando la sensazione che qualcuno vi ci stesse dormendo.
«Complimenti.» mormorò Miss Pingle irritata avanzando da dietro la porta.
Glaner sobbalzò, e la nutrice senza aspettarsi alcun’altra risposta indicò la tinozza colma che si trovava di fronte al letto: «Sbrigati prima che tua madre decida di frustarmi perché non sei ancora pronta a quest’ora del giorno.»
«È l’alba.» rettificò la ragazza immergendo un piede nell’acqua e ritirandolo subito costernata, tra le fragorose risa di Miss Pingle.
«Sei stata punita per essere tornata così tardi dalla tua passeggiata notturna. Se fossi arrivata prima avresti trovato l’acqua calda.»
Detto questo si inginocchiò davanti alla tinozza e Glaner si levò rabbrividendo la veste per poi gettarla lontana nella stanza.
2
«Non voglio andare a Castleville.»
Miss Pingle la sciacquò abbondantemente senza badarle, continuando a parlottare tra sé e sé.
«Non voglio lasciare la casa del papà per andare a vivere con quella vecchiaccia odiosa.»
«Non dire così Glaner, non conosci nemmeno tua nonna.»
«Ma già la odio per aver convinto mia madre a trasferirsi da lei.» continuò schiaffeggiando con la mano la superficie bianca dell’acqua.
«Su Glaner, è una bravissima persona, gentile ed educata.»
La donna le insaponò mestamente il viso.
«Tu la conosci?» chiese incuriosita.
«Prima di venire qui a Linder per curare un’insopportabile bambina che è diventata una dispettosa fanciulla.» le tirò scherzosamente il naso, «Lavoravo per tua nonna e ti posso assicurare che non ho mai conosciuto una donna così simpatica e dolce.»
Glaner alzò il viso scettica osservando il soffitto riccamente decorato; suo padre lo aveva fatto intagliare in modo tale che rappresentasse il suo giardino.
«Così ti sembrerà di vivere tra gli oleandri e i fiori,» le aveva detto, «e quando arriverà la sera, l’ultima cosa che vedrai prima di addormentarti sarà il nostro giardino.»
«Tu verrai con me vero?»
Chiuse gli occhi e quando li riaprì notò l’espressione malinconica di Miss Pingle che non rispose ma prese a strofinarla più energicamente con la spugna, sotto il suo sguardo sorpreso. Non aveva mai nemmeno preso in considerazione la possibilità di essere separata da lei.
«Naneth, mamma, guardami.»
Seguendo il suo volere la osservò con un sorriso triste e una delle grosse mani corse ad accarezzarle i lunghi capelli biondo grano.
«No piccola, non sarò con te a Castleville.»
La zittì con un cenno prima che potesse replicare e la fece alzare in piedi, lasciandola uscire dalla vasca prima di coprirla con un lungo asciugamano che lei stessa aveva ricamato alla sua nascita.
«Come vuoi vestirti per la tua grande part…»
Ma Glaner le era già saltata al collo prima che potesse terminare la frase: «Ti prego resta con me, per favore…»
Naneth ricambiò la stretta, poi le prese il viso tra le mani e disse con un sorriso: «Sciocca ragazza, sei riuscita a farmi piangere. Su vestiti e corri da tua madre per la colazione, ci vediamo dopo.»
Glaner la sfiorò con un bacio, prese un vestito dall’armadio, lo indossò e corse via.
«Ti voglio bene Glaner.» mormorò quando se ne fu andata, «Ti voglio bene.»
3
“A volte penso che la vita si prenda gioco di me.”
Represse a fatica le lacrime.
“Non voglio abbandonare questa casa, non voglio abbandonare il giardino di papà.”
Sollevò il viso fissando la bella villetta che risplendeva dorata, avvolta nella luce mattutina. I camerieri, nel piazzale coperto di ciottoli, già si apprestavano a caricare i bagagli sulla carrozza osservati attentamente da Baster il maggiordomo, che dall’alto della scalinata di marmo borbottava le sue lamentele senza fine.
Tornò al suo diario e con un moto di rabbia fece sfrecciare il pennino sulla pagina.
“Non mi importa nulla di Linder, né di questa dannata casa: non le voglio più rivedere. Quando me ne sarò andata non mi resterà impresso nella memoria che un loro vago ricordo, Castleville al confronto sembrerà un paradiso…”
“Io voglio solo stare con Naneth…”
«Glaner? Figlia mia?» chiamò la Marchesa da un luogo indefinito del piazzale.
«Sono qui madre, arrivo.»
Pronunciò quelle parole con amarezza, mentre considerava la possibilità di scappare senza voltarsi indietro. L’idea di fuggire la tormentò lungo tutto il vialetto fino all’imponente carrozza di mogano che la aspettava, trainata dai sette cavalli pezzati di sua madre; era incredibile la pigrizia di quei sette destrieri, che durante il giorno non facevano che poltrire nelle scuderie, a dispetto degli animali scattanti e selvaggi di Glaner e della servitù, liberi di girovagare nei campi con il vento che sollevava le folte criniere ad ogni movimento. Eppure la Signora provava un’incredibile adorazione per loro, ora lì con le briglie al collo, a brucare i pochi ciuffi d’erba che sporgevano dai ciottoli del piazzale, le lunghe criniere intrecciate da minuscole perline colorate e da fermagli con inciso lo stemma di famiglia.
«Glaner, coraggio, non vorrai fare aspettare la nonna.» cinguettò sua madre sporgendosi dall’abitacolo della carrozza, «Andiamo.»
La ragazza fece per salire, ma subito si fermò per fissare ancora una volta la villa di Linder.
“Qualche volta…”
Il sole svanì dietro l’oscurità del cielo e la sua luce rossa lo seguì affievolendosi in una nuvola color carbone; la lucida scalinata di marmo brillava, colpita dall’ultimo riverbero e le tende bianche delle finestre aperte volarono col vento come grandi fazzoletti agitati per l’addio.
“Qualche volta…”
La servitù era già rientrata in casa per svolgere le proprie faccende. La villa avrebbe continuato a vivere e ad agitarsi ogni mattina e ogni sera durante l’assenza della Marchesa.
Osservò triste la cuoca e Baster che rimpicciolivano a vista d’occhio, due punti immobili a difesa del portone.
«Non è dignitoso per una fanciulla del tuo rango sporgersi così dalla carrozza per rimirare quattro sciocchi servi in vena di sentimentalismi.»
«Sì madre.»
Riprese con un sospiro il proprio posto all’interno dell’abitacolo.
«Non capisco la tua decisione riguardo Miss Pingle.» aggiunse poi osservandola in un misto di rabbia e stizza.
«Cara, la sua compagnia non ti era più di nessun aiuto.» proruppe in un risolino isterico.
«E poi non l’hai mai potuta sopportare; è per questo che ora vuoi allontanarla.»
Fu troppo tardi per pentirsi di averla interrotta e la mano della Signora si abbatté su di lei. Sfiorò piano la pelle arrossata mentre sua madre, livida di rabbia, sibilava: «Non azzardarti più a contraddirmi o a interrompermi, mi hai capito bene signorina? Quando arriveremo a Castleville stai pur certa che riceverai la giusta punizione per il tuo comportamento, e ora non seccarmi più con questioni di così bassa importanza.»
Il suo tono di voce si fece improvvisamente più dolce: «So che separarsi da una persona cara è sempre difficile, ma rifletti, lei non è nemmeno venuta a salutarti; era pagata per stare con te, e quando sei dovuta partire, semplicemente non si è più presentata.»
Fu come se l’avessero colpita con una scudisciata; sgranò gli occhi confusa e guardò sua madre, così vicina e lontana allo stesso tempo, con i gioielli più preziosi allacciati intorno al collo sottile e i capelli raccolti sul capo con minuscoli nastri colorati.
«Menti.»
Come poteva portarla a dubitare della cosa a cui teneva di più? Il viso bianchissimo della donna si voltò verso di lei; un sorriso malvagio la illuminava e le sue parole risuonarono dure nella piccola cabina.
«Miss Pingle se ne è andata.»
4
Non si parlarono più per tutto il resto del viaggio, i paesi scorrevano davanti agli occhi gonfi della fanciulla, senza posa. La gente che incontrarono si affaccendava per le strade barattando con prodotti della terra il legname per la brutta stagione in arrivo, troppo presi dalle loro attività per notare la carrozza.
Lei continuò a fissare un punto nel vuoto, cercando di scacciare quei pensieri che la tormentavano, milioni di immagini di ricordi felici passati con l’unica persona da cui si sentiva amata come una figlia, ora mescolati alle parole pungenti della Marchesa. Pensò subito al suo diario; il desiderio di aprirlo e di sfogliare la storia dei suoi anni si fece più insistente ad ogni istante.
«Lì è scritto ogni momento passato con Naneth, ma se per tutti questi anni ha barattato con il mio bene il suo prezzo, come posso sapere se tutto quello che ho di più prezioso non è solo un inganno che dura da troppo tempo?»
La donna al suo fianco sembrava non fare caso alla sua inquietudine, se non per gli sguardi che ogni tanto le lanciava di sottecchi. Il silenzio tra loro si protrasse, interrotto solamente dal respiro irregolare di Glaner.
5
«Ben arrivate a Castleville, signore.» le accolse una voce dall’esterno. La porta al suo fianco si aprì e Glaner scese con un balzo agile, incurante della mano tesa del cocchiere inchinato alla base dei gradini.
La villa di Linder non reggeva il paragone con la tenuta della nonna; si trattava di un castello vecchio stile, interamente costituito di mattoni, con tre enormi torrioni che sovrastavano la città distante, e un intero contingente armato continuamente in movimento sul camminatoio che appena si scorgeva dal piazzale dove si trovavano. Ogni fessura nelle imponenti pareti era stata ricoperta dal muschio e dai rampicanti che cominciavano a prendere il sopravvento sulla roccia; tutt’intorno al piazzale, un rigoglio di fiori colorati si aggiungeva agli spruzzi dei cherubini che ornavano le fontanelle marmoree. Al di là del castello, come Glaner vide in seguito, si estendevano enormi campi verdi circondati da gruppi più o meno folti di castagni e ontani, dove i cavalli e i vari greggi pascolavano liberi, al sicuro da ogni pericolo.
Il primo incontro con la nonna durò solo un istante, e i falsi sorrisi dipinti sulla grinzosa anziana ferma ad aspettarle nel salone principale insieme al figlio ventenne, erano tutti rivolti a sua madre, non certo a lei. Così, dopo meno di venti minuti dal suo arrivo, Glaner si ritrovò a fissare il soffitto della sua camera nel torrione est del maniero, sorpresa e affascinata nel constatare che le vele che sorreggevano il tetto erano cedute alla base scoprendo delle fessure abbastanza ampie da permettere il passaggio dei colombi all’interno della stanza. Fu in un frullare d’ali candide che Glaner fece il suo ingresso nella vita di Castleville.
6
“Buffo…”
Questa fu l’unica parola che le riuscì di annotare sul diario, nonostante tutto; così, abbandonati presto i pennini e l’inchiostro, cominciò a camminare per la stanza.
Era piuttosto piccola, interamente costruita in pietra, e si elevava verso il cielo dove bianchi volatili tubavano lievemente fissandola con lucidi occhi tondi. Grandi vetrate ricoprivano le pareti, avvolte in lunghi nastri cerulei, eccezion fatta per un’ampia rientranza nella quale era stato incassato un armadio a specchio di epoca antica non ancora divorato dal tempo. Il letto occupava il centro della sala; su di esso erano state posate alcune coperte di lana che l’avrebbero protetta dal freddo notturno e un soffice cuscino di piume d’oca avvolto in un lenzuolo. La cosa che più la impressionò fu il balcone che si apriva nella parete più spoglia della casa, al fianco di un affresco raffigurante un albero di ciliegie in fiore. Per accedervi bisognava salire una scalinata a chiocciola che correva lungo la parete esterna della torre fino alla sommità del tetto, dove i colombi e gli altri volatili avevano occupato lo spazio circolare lasciato dalla guglia franata per costruirvi i nidi nei quali deporre le uova. Ricoperto da una serie di rampicanti che risalivano lungo la parete partendo dai giardini ombrosi del piazzale, il balconcino assomigliava a un prato verde sospeso sul vuoto e la fanciulla si accucciò lì, in un angolo, fissando i pennuti che le saltellavano intorno diffidenti. I più arditi tra di loro si fecero avanti arruffando le piume sul petto e Glaner sorridendo riuscì ad accarezzare la testolina nera di uno dei più vicini che con un cinguettio stridulo volò subito lontano.
Infine chiuse gli occhi stendendosi sull’erica, riuscendo a rilassarsi poco a poco mentre la luce dei sogni appariva in lontananza e quella serale scompariva dietro le pianure. Sembrava incredibile che il viaggio in carrozza fosse durato tanto a lungo. Una lacrima le scivolò su una guancia al pensiero dell’assenza della sua nutrice in quel posto sconosciuto e lontano da ogni affetto, ma riuscì ad addormentarsi oscurando alla fine tutte le domande che le nascevano nella mente, come fiori velenosi.
[continua]
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