Con questo racconto è risultata 5^ classificata – Sezione narrativa alla XIV edizione del Premio Letterario Città di Melegnano 2009 Questa la motivazione della Giuria: «Struggente e drammatica descrizione di un vissuto intrecciato con il male del secolo, il tumore. L’infanzia della protagonista è terribilmente permeata dal male della madre, dapprima non compreso per le sue implicazioni non accessibili a una mente non adulta, poi appreso materialmente e visivamente nelle sedute chemioterapiche a cui la bambina assiste, nei sintomi tragici della madre, nelle sorti delle persone che soffrono dello stesso male. Ecco che la vita familiare ruota intorno al male per anni, segnando ogni sprazzo di gioia o speranza, logorando la quotidianità, creando via via negli anni illusioni e ricadute. Ma il male sarà vinto e la protagonista diverrà oncologa, soffrendo anch’essa dello stesso male della madre e superandolo. Racconto che è una catarsi e al tempo stesso una epifania: persino la tristezza diviene tenera bellezza». Alessandra Crabbia «Lo spartiacque» Il cancro è una montagna. Ogni passo che riesci a fare rappresenta una vittoria, ogni anfratto che riesci a raggiungere un giorno in più della tua esistenza. La prima volta che ho sentito la parola cancro avevo 11 anni. Ho chiesto «cosa c’è?» mi faceva strano l’espressione di mio padre, di solito era molto allegro quel giorno sembrava che un treno lo avesse investito. Dovevo fare molta attenzione a non fare rumore durante quei pomeriggi: di solito però il mal di testa scompariva e alla sera era di nuovo contenta come suo solito. Ricordo bene la prima seduta di chemioterapia. Lì ho afferrato che la malattia non era niente su cui scherzare. La stanza era a forma di elle. Io e mia madre eravamo arrivate alle tre del pomeriggio. Tutti e tre con i capelli rasati a zero come nei filmati che avevo visto a scuola; ma lì si trattava di persone deportate, qui eravamo a Milano in pieno centro. Un’infermiera era entrata e aveva spiegato tutta la procedura. La voce calma, i gesti lenti. A me sembrava di soffocare. Volevo solo alzarmi e andare via. La voce di mia madre mi aveva riportato sulla Terra. Sentivo solo il bisogno di urlare ma ho deglutito, ho preso uno dei libri che era sulla mensola e ho iniziato. Per tutto il tempo in cui leggevo pensavo alle gocce che scendevano nelle vene di quelle persone. Ho imparato giorno per giorno ad accettare la chemio come un passo dovuto. Dopo c’erano le giornate in cui “la medicina fa effetto”. Gli ammalati di cancro tendono a sottovalutare il vomito che gli arriva all’improvviso, al mattino o al pomeriggio. Vogliono, devono sorridere anche se hanno voglia di piangere. Nei pomeriggi in cui dovevo raccogliere quello che la mamma si lasciava dietro per la casa – sia che fosse la cucina o il salotto – so che pensavo “preferisco che muoia”. Ho pianto tanto da sola che alla fine di quella giornata ho deciso che mai più mi sarei lasciato sopraffare così da niente e da nessuno. È il giorno del “coraggio” come lo chiamo io. È il giorno che tutti quelli che hanno a che fare con la malattia sperimentano sulla propria pelle: o lasciarsi andare o diventare forti. Aspettare che la montagna ti travolta o decidere che sei più forte. Io lo sono diventata. No, me lo ripetevo spesso. Voglio la discoteca e i ragazzi che mi corrono dietro e le prime sigarette, come tutte, e ancora il trucco e il piercing all’ombelico. Non ho avuto niente di tutto questo. Ad ogni seduta – però – incontravo un mondo di aneddoti, storie felici e altre meno. Ognuna delle persone che stava lì divideva – anche se per poco – una parte della sua vita con me. Diventammo una famiglia, allegra e vitale quando la terapia faceva effetto, triste e rabbiosa quando non funzionava. Mia madre aveva nei mesi a venire avuto altre crisi ma sempre più lievi. Un sabato mattina il dottore ci mostrò le lastre «è sconfitto, il cancro non c’è più… valori nella norma, il rischio che ritorni c’è ma noi vigileremo». Papà ha abbracciato forte me e la mamma. Si è messo a piangere, stringeva le mani ai dottori, non smetteva più di ringraziare le infermiere. Mi sono svegliata una mattina, avevo già diciannove anni, la scuola superiore era finita. In tanti anni di lavoro ho visto molto di più di quello che immaginavo. Ricordo giornate in cui ho dovuto dire a qualcuno che non c’erano speranze, altre in cui ho ringraziato per avere avuto la possibilità di salvare un’altra persona, di riportarla nella sua famiglia, di darle un futuro. L’incontro con il cancro è stato per me lo spartiacque tra la vita che avrei potuto avere e quella che mi è capitata. Forse davvero non abbiamo scelta. Forse tutti ci troviamo davanti qualcosa a cui non possiamo sfuggire. Sono anziana ormai ma ricordo le facce, i racconti. Ogni incontro che ho fatto mi ha arricchita e derubata nello stesso tempo. «Incontrarla è stato il momento più bello della mia vita» mi sono sentita dire qualche giorno fa da uno dei miei specializzandi. Tre anni fa mi hanno diagnosticato un cancro al seno, come mia madre. Ho fatto tutto il necessario, rivissuto i miei undici, dodici anni. Loredana Serra Contatore visite dal 25-03-2011: 7241. |
||||||