I canti di Silian

di

Luigi Bernardi


Luigi Bernardi - I canti di Silian
Collana "Le Schegge d'Oro" - I libri dei Premi - Poesia
14x20,5 - pp. 34 - Euro 7,00
ISBN 978-88-6587-3878

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In copertina: fotografia dell’autore


Pubblicazione realizzata con il contributo de IL CLUB degli autori in quanto l’opera è finalista nel concorso letterario Jacques Prévert 2013


Prefazione

Con la silloge di poesie, dal titolo “I canti di Silian”, Luigi Bernardi mette in evidenza la sua propensione ad una visione lirica classicheggiante, che recupera una soffusa visione aulica, segnali estremi di una capacità intima di ricercare, anche nelle più labili percezioni, il senso profondo delle “semplici cose” che rendono la vita nella sua pienezza.
Il percorso della vita è disseminato di interrogativi e continue ricerche interiori: sparsi qua e là come semi pronti a nuova vita, i “respiri lievi” dell’esistere e gli “attimi incantati”, i ricordi ed il quotidiano dipanarsi nel vivere, vengono indagati con la precisa volontà di continuo disvelamento.
Nel peregrinare, tra i gesti e le emozioni, i giorni possono scivolare tra le mani come sabbia finissima che si disperde nel vento: la constatazione è che rimangono i ricordi, siano essi relativi alle persone amate, alle vicende che hanno contrassegnato il proprio cammino, ai luoghi che hanno generato emozioni e suggestioni, alle navigazioni nelle dimensioni sconosciute dell’anima, e tutto viene costantemente illuminato da raggi poetici che esaltano la necessità profonda di rappacificazione dell’animo.
L’essenza stessa della vita induce a questo processo in divenire, avvolge il nostro essere alla ricerca di un approdo come “incerti viandanti” alle prese con il destino, che giocherà sempre il suo ruolo dominante: ecco allora il susseguirsi di rivisitazioni e sogni infanti, di attese ed illusioni, di realtà “mutanti” ed inquietudini, sempre accompagnate da un senso di disincanto, tra struggenti recuperi emozionali e trasparente solitudine, che si alimentano nel ricercato e desiderato “silenzio”.
Il tempo offre insegnamenti, anima il nostro essere a reputare importanti i “nobili sentimenti/traboccanti d’amore” e rende capaci di recuperare nel ricordo le “stagioni perdute” e i “vaghi risvegli”, le “ardite emozioni” e l’alternarsi di tutto ciò che è “sfuggente”.
Le Parole liriche, che si fanno suoni di rimembranze, rincorrono sempre il loro senso profondo, come a offrire materia viva e pulsante ai pensieri e alle emozioni, al recupero delle proprie radici e della propria vita.
Ecco allora che, nella visione poetica di Luigi Bernardi, profondamente sentita, percepita e vissuta, il punto di riferimento fondamentale diventa l’intima unione con la terra ed il suo naturale ciclo: le immagini si tingono di positivo senso nostalgico, a partire dal ricordo delle “rose sulla riva dell’antica strada” e “dell’edera che si arrampica su un muro”, del primo sole primaverile tra cieli azzurri e fiori, colori e luci nel “tempo della vendemmia” e, infine, la neve invernale che imbianca ogni cosa.
V’è poi il tempo della memoria che deflagra dal profondo del cuore del poeta e lo attraversa con tutta la sua forza come il ricordo del giorno del suo matrimonio, in quel mese di luglio, che lasciava presagire il “desìo d’amor”, eco d’amore che sfugge al travaglio esistenziale e alle dolorose “spine” del vivere e, sicuramente, unica via salvifica che possa condurre alla “melodia d’una ritrovata felicità”.
Luigi Bernardi sa bene che quando il tempo prende il sopravvento, il cuore si dibatte e vi sono momenti in cui si rimane da soli, pensando alla vita che è passata velocemente, quasi a perdersi nel flusso memoriale della passione e del “sentimento vero”, come a ricercare, naufraghi nelle pieghe della vita, la “fonte” che possa dissetare e acquietare il cuore, la meta agognata di una desiderata quiete interiore.
La poesia di Luigi Bernardi è offerta di testimonianza che viene profusa con chiarezza e lirica soavità, ancor più, dimostrando la concezione profonda dell’umano esistere, del consapevole vivere la propria condizione: la vita viene intimamente illuminata dalla sete di verità che ha nel cuore.

Massimo Barile


I canti di Silian


C’era una volta

Ogni mio respiro lieve
sembrava distogliere
quell’attimo incantato
agli sguardi inconsapevoli
su di un perché mai disvelato.

Ovunque vado ramingo
e mi domando solo se ho capito
del nulla o del perché della vita.

E mi rimane l’andirivieni di ricordi
forse di vite già vissute
e di persone già incontrate
in luoghi già visti
in mondi già conosciuti
e di converso mali e bisogni
litanie di gioie, pianti
e rassegnazioni.

Dopo l’oscurità della notte
la violenza d’un temporale
ecco rappacificarsi l’animo
già disposto alla speranza
con l’alba che racconta
d’una favola dolce, giuliva
che ricomincia col dirci
di un c’era una volta…
per poi dispiegarsi
lungo l’eternità.


Metamorfosi

Fiumi di luce
di stelle comete
ardono il ghiaccio
che attraversa il mio cuore
aride gemme ormai pietrificate
appassiscono anzitempo
al loro declino.

Pallidi richiami a stagioni perdute
segni ineguali di orizzonti lontani
vaghi risvegli di un tempo che illude
che insegue la vita
che ancora finisce.


Il mondo

Il mondo intorno a me si muove
in tristi e dolci danze
come l’alternarsi ritmico di un gigante
che cambia volto in ogni istante
ma che si accorge a lungo andare
di ripercorrere i suoi passi.

La gente padrona dei suoi frutti
vive da opportunista sulle sue spalle
e crede invan di comandare
di costruire e di distrugger
ciò che mai nessuno può cambiar.

Io osservo l’avvicendar degli atti quotidiani
in spirito distaccato
quasi in romitaggio
cercando di capir l’altrui retaggio
che il tempo lascia per saggezza
a testamento dell’umana bellezza
e della natura sua genitrice.

Possano i giorni, gli anni, il tempo
dare ognuno insegnamento
di quei sentimenti nobili
traboccanti d’amore
di pace universale.


Nebbia

Nebbia fitta che m’avvolgi d’essenza
in questo mare mio della parvenza
dove mi porti?
Quali vani approdi
d’arcipelaghi deserti e manifesti
in altri spiriti significanti
lontani, vicini, prossimi
vaganti sulla scena
immobili sul filo del rasoio
o sulla trama d’un ragno.

Sperdute anime pellegrinanti
nel chiaroscuro d’inveterati microcosmi
d’umanità rapita alla gratuità
del nascere eventi.
Quali rivendicazioni della creta
in vortici irrefrenabili di luce
che rimandano al turbinio di sogni
in segni di realtà mutante
e digradante
dove nascono magie di perché
e desideri inconfessati
di ricreare la scusa di un sé.

O mio aereo, trascorso strumento
il vento si porta un lungo lamento
c’è un oggi e un domani
nel cielo che chiede
di togliere nuvole e nebbie soffuse
di far trasparire per sempre alla fine
quel tratto perduto d’un raggio di sole.


Illusioni

Ogni vuota parola
rincorre il suo senso
ripaga la vita
in fuggevoli attese.

D’incerti orizzonti
di vaghe illusioni
ignoto al suo sguardo
rimane il destino.

E intanto
affondano inquieti
i miei giorni eterni
e ogni luce colora
questo corpo in declino
che si cancella
nella sua ombra errante.


Solitudine amica

Mi basta saperti vicina
nei lunghi momenti d’affanno
che il passato in parte declina
all’oggi e al domani
che poi sarem nelle mani
del nostro destino
cos’incerti viandanti
del viver la vita soltanto
e pure in veste d’amanti
o mia solitudine amica.


Déjà vu (Già visto)

Forse perché anelando eterni lidi
già i sogni caddero infranti
piegando il tempo alle infide clessidre
che poi lasciarono disperdere
oscuri strascichi d’ombre crepuscolari
in tramonti colorati rosso sangue
quali stormi di gabbiani
solo intenti a posarsi in altra luce
non più riflessi in quello specchio
limpido di mare.
Fragili trasparenze apparvero
in nuvole adagiate come greggi
a perdersi nell’orizzonte piatto della mente
e divagando al volo alto d’un aquilone
guizzante contro il cielo
come fanciullo
tiravo il filo ai miei pensieri
sparsi nel vento delle emozioni
d’una vita che lascia ed è lasciata
perduta è ritrovata
nelle stagioni vive, rincorrenti quelle morte
fra mille voci di raccolta in unico verso.
Di mille colori che formano la luce
evanescente in calde atmosfere
puntini nello spazio sconfinato
dove miriadi di stelle restano ad offrirsi
quali oracoli al futuro incerto dell’inconscio collettivo
fuorvianti quesiti in macroscopiche lacune
perdute affinità elettive su geniali teoremi delle distanze
e rimembranze d’archetipi e rivisitazioni
eppur si muove anche se appar immobile
anche se ancora lì poi tutto passa
e poi ritorna
e l’uomo mai non cambia
facendo dire al mondo… è un déjà vu.


L’isola di Wight

Quei tre mesi poi passati al bar Cortina
dei miei primi quindici anni
che correvano coi sogni
sui caffè sempre ben caldi
e immancabili brioches
per clienti frettolosi
che s’andavano a faticar.

Poi prendevo quei vassoi
già ben colmi di vivande
come fossero miei pensieri
li portavo in ascensore
su e giù per gli uffici chiaccheroni.

C’era un’aria sbarazzina
in quell’anno ’71
o fors’era la mia età
e il juke-box del bar Cortina
ci cantava ogni mattina…
sai dov’è l’isola di Wight?


L’alba

Sordi rintocchi di campane
sirene spiegate d’emergenza
una radio che richiama una réclame
un uomo se ne va correndo
soprapensiero
per la sua strada a curve.

La città si sta svegliando
cerca il suo volto più ammiccante
ma incombe quella fretta
che fa ricominciare una partita
contro un altro giorno
che non ha ancora perso.


Sulla via

Come cristalli di sale
perduti nell’aerea spiaggia
dei tuoi desideri
che ancora bruciano al sole
cocenti, inguaribili ferite
in esaltanti sogni infranti
della caduca realtà.

Guarisci or ora viandante senza nome
ormai stanco del tuo essere incompiuto.

Universo in spazi larghi e sconosciuti
d’altri confini remoti in cui si perdon le mete
dove la noia riprende il sopravvento
nell’eterno andirivieni d’una stessa via.

Che l’uomo guarda ad una stella
se gli è vicina e amica
anche nei momenti più difficili
del dove chi sa solo andare.

[continua]


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