A piedi tra le nuvole

di

Luisa Foddai


Luisa Foddai - A piedi tra le nuvole
Collana "Le Schegge d'Oro" - I libri dei Premi - Poesia
14x20,5 - pp. 90 - Euro 10,00
ISBN 978-88-6587-8026

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In copertina: “Versi nudi tra cieli e mari” fotografia dell’autrice


Pubblicazione realizzata con il contributo de IL CLUB degli autori per il conseguimento del 3° premio nel concorso letterario I poeti dell’Adda 2016


Prefazione

Nella silloge poetica di Luisa Foddai emerge chiaramente la sua profonda passione per la poesia, unica ispiratrice che offre il vero incanto e, grazie alla sua forza vitale, permette di cantare lo stupore, l’impulso primigenio, ciò che strugge l’anima.
Nell’incedere del tempo, quasi a volar sopra ogni affanno e tormento terreno, la poetessa si lascia trasportare come un vascello “in mezzo all’oceano della vita”, tra forti venti e tempeste emozionali, cesellando i versi della sua poesia, illuminando “arabeschi di parole” che cantano la vita stessa e, infine, raccogliendo pensieri nel “cantico del mattino”, con la volontà di distillare le impressioni che segnano il cuore d’una donna mentre percorre il travagliato cammino d’ogni essere umano.
La celebrazione lirica genera il “fiore divino”, un “fiore innamorato in un giardino senza tempo”, dove l’evocazione non è mai fine a se stessa, né si esaurisce in una rapida ricerca d’un paradiso simbolico, ma decisione stilistica che accentua la costante messa a nudo delle verità liriche fortemente vissute.
La sua Parola ricerca questi varchi lirici, ricama tessiture esistenziali dopo aver indagato le ferite della vita, i “muti sospiri” ed i silenzi, perché il suo cuore è “aperto al mondo” e desidera offrire il prezioso tripudio d’emozioni che serba nell’animo.
La sua voce recitante vorrebbe levarsi in alto per scrivere in ogni respiro dolente, per addolcire “l’amaro della vita” con memorie spolverate di tenerezza eppur internamente vibranti d’una tensione al flusso delle emozioni e alla ricchezza dei simboli liberati nel suo linguaggio poetico.
La vita lascia segni profondi sulla carne e nel cuore, così sulle “trame della carta” lei, con sincerità, scrive: “navigo / su sospese / geometrie” per non dimenticare che “ho sofferto / quanto ho amato”.
Nel divenire poetico, a volte, la sua visione si plasma “sull’orlo nero” della notte che inesorabile cala su di lei, “trafigge come martire”, inebria ed avvampa il suo essere donna: ecco allora che le parole vibrano del “brivido infinito” d’un bacio d’amore, tra palpiti, stupori e tumulti del cuore.
Non è un caso che siano presenti continui riferimenti al colore rosso, dal “rosso di foglie” a “solchi rossi”, da “rossa d’amore” al “sangue rosso”, simbolicamente sentito come forza naturale, sanguigno impeto, ardente passione, bruciante impulso.
Nonostante tale ardore vitale che accende e deflagra, la sua visione è pura, candida come neve, fino a confessare che solo quando l’amor “conserva il limpido e la purezza” del fanciullo, allora “germogliano / perenni / fiori di poesia” ed è proprio, nel pieno dell’afflato lirico, che la simbolica neve riflette “la purezza/del taciuto nel silenzio”.
È nelle atmosfere silenti che misteriosamente si generano, nel disincanto che preme su di lei, in una oscillazione tra reale e sublime, che Luisa Foddai diventa testimone della commedia della vita: il flusso lirico s’imbeve della vertigine immane che essa provoca, in un vortice generante parole nuove ed il canto tende al candore d’una visione lirica che riscopre la memoria, lavata dalle ombre negative per illuminare il senso autentico della vita.
Lei è un’“anima in viaggio” e la sua percezione della poesia “come dolce / e salvifica/condanna” diventa “sacro fuoco” che divampa, illumina e consuma, in un continuo “perdersi e ritrovarsi”.
La luce della poesia penetra nel profondo del suo essere ed è allora che, tra le mani, “si plasmano libellule”, quando l’assoluto lirismo del canto di “un’anima vagante” possiede la sublime alchimia e custodisce il “fiore bianco” della poesia.

Massimo Barile


A piedi tra le nuvole


Il mio corpo sulla terra,
il mio spirito sulle nuvole.
E tutti e due dentro un libro.

(Robert Sabatier)


Ai miei figli
Francesco e Mattia,
le mie due poesie
più belle.

E a te Vita,
che con i tuoi
inchiostri rossi
e il miele dei
tuoi aghi,
fai di me
Poesia negli
anni.


Pianto dolce di un poeta

È questo sacro fuoco
che arde le mie
labbra e insanguina
il mio ventre!
È questo sogno vivo
in un mondo di
dormienti che infiamma
le mie mani, mi brucia
il tempo senza appello
e lento mi condanna
a versi barbari dal
destino già sporcato
di cenere e di oblio.
È questo fuoco
che divampa,
m’illumina e consuma
e sordo a ogni clemenza,
si fa spazio tra l’ordito
di quel sogno
che non muore,
dinanzi al cieco
della vita.
È questo fuoco che
lambisce e festeggia
ad ogni sera con sorsi
lenti di pietà, la leggiadra
beffa di un poeta,
inchiodato alla sua
Croce ai piedi
di un Golgota
di parole.

Menzione di Merito Premio Internazionale “Salvatore Quasimodo 2016” Presidente di Giuria A. Quasimodo, Casa Edit. Aletti (RM)


Ti guarderò Mondo

Ti guarderò Mondo come
un cieco ai colori della mente,
nel buio della notte.
Ti accoglierò sfrontata con
la baldanza di un occhio che
non teme i tuoi destini.
Ti danzerò Mondo con la
rosa levità che solleva la
polvere agli affanni.
Ti giocherò Mondo
con il gaio di chi
lascia alle tempeste il
tempo di ridipingere
nuvole quiete.
Ti viaggerò Mondo,
scruterò i tuoi mille occhi,
i cento tuoi colori della pelle,
i blu diversi dei tuoi cieli
e calzerò i calli dolorosi
dei tuoi piedi.
Ti amerò Mondo perché
son figlia dei tuoi occhi,
dei cento tuoi colori,
degli assalti discordanti
a cuori innamorati che
tremano le vene agli Dei
e dei tuoi mille calli
che non mi fermano
l’amore, il viaggio
e lo stupore!


Se fossi…

Se fossi vento ti farei
brivido tra i capelli.
Onde rosse come
mappe nuove tra corpi
accesi da esplorare.
Se fossi ombra
non schermerei
l’abbaglio che insulta
la prigionia
dei pugni chiusi.
Se fossi pioggia laverei
questa polvere di stelle
addosso a questa pelle
che confonde la
via del paradiso.
Se fossi primavera
sgelerei l’inverno
a queste labbra
gemmando fiordalisi.
Se fossi dubbio,
il piede mio
avrebbe concluso
il viaggio,
deposto la corona
e ripulito
i rivoli vermigli
al dolce della fronte.
E se tu Vita
fossi stata
Amore sempre,
avrei estinto
versi… e venduto
fogli bianchi.


Dieci

A mio fratello Pier Paolo
(26 settembre 2006 – 26 settembre 2016)

Dieci petali donati
al trionfo del ricordo
con in bocca il
dolce del sapore
dell’amara nostalgia.
Dieci lune nuove
all’assenza che
si ostina nella
menzogna palese
della morte, a vestirsi
di presenza.
Dieci gli orologi come
sfingi silenziose
asservite al soffio
bianco della vita.
Dieci strade, dieci mondi
girovagati con ai piedi
le tue scarpe, i tuoi occhi
e le tue mani.
Dieci inverni da
sgelare a scaldare
la memoria,
a rimettere le scarpe
e sulle spalle la coperta
di dieci trame di poesia
a difendere quei brividi.
E dieci sono i sentieri
tracciati con l’azzurro
per percorrer quella
strada verso il punto
di universo che un
dì si riunirà.


Notte scura di un Profeta

A Pier Paolo Pasolini

Aquila che voli su rime
di cieli troppo bassi.
Occhi troppo acuti sulle rive
di amori di stracci e pianti.
Il volo troppo alto il tuo
peccato, l’amore troppo
grigio ed elevato ti fa
condanna inappellata.
Sentenza scritta su un corpo
che non tace, ad oltraggiar lo
scandalo di nude verità.
Ma sei vessillo rosso che
non muore, sei il sacro di
un fuoco che ci marchia e al
cospetto di carni insanguinate,
sei vittoria sul nero di vergogna
dello scudo della notte.
Sei il muto divenire dell’arte
senza rughe che piange i suoi
vagiti sulle rive meste di quel
mare di novembre che mai
ha lavato le tue ossa.
Implacabile tortura
la memoria!
Inchioda l’occhio a seguirne
il volo massacrandone l’oblio,
deponendo sulla lingua di
chi il capo ancora eleva,
il martirio vivo del
profetico tuo canto!

Opera 1^ Class. Sez Amen. Concorso Internazionale “World Poetry Day” 2016, Accademia Internazionale Francesco Petrarca (VT)


La notte di Proserpina

Mi farò canto in questa
notte che duole e
si fa acerba come
l’uva a primavera.
Sarò vibrato che
accarezza l’orecchio
che non ode,
ammaliato da sirene.
Spezzerò come Cerere
nel tempo del suo gelo,
il sigillo a questo
inverno che non muore.
Inonderò di baci e
di aperte mani le
zolle asciutte di
questa bruna terra.
Ruberò la veste
a Proserpina,
muterò il suo inferno
in paradiso
annegandone tra
sponde la corona.
E sull’orlo di questa
notte quasi vinta,
riemergerò sulla riva
di un lago di parole,
con mani colme di
carezze e spighe d’oro
a sfamare questa
notte di un assolo.

Targa e Attestato di Merito Premio di Poesia “Alda Merini” 2016, Accademia dei Bronzi, Ursini Edizioni (CZ)


E se tu…

E se tu Vita
anche oggi
non pungessi
le mie carni
col miele
dei tuoi aghi,
più grigia
sarebbe
la mia tela,
forse
ancor più
dell’alba
uggiosa
che ad ogni
dì rinasce
sull’asciutto
del mio labbro.

E se tu Vita
anche oggi
non
mi inchiodassi
l’occhio tra
solchi rossi
di vive croci,
giardini
neri
di ninfee
morte mi
sboccerebbero
tra mani.


Siamo come Angeli

Siamo come
aquile
senza volo,
cieche come tele
alla deriva
di barche e vele
orfane
di vento e
di orizzonti.
Siamo come
Angeli
senza nome e
senza cielo,
con anime
imputridite
dal troppo amore
marcito nello
stanco ambiguo
delle carni,
imprigionate
da leziose
e mute
solitudini.


Vita

Scolpiscimi Vita!
Nel vacuo di un
freddo senza respiro,
inchiodami il soffio
di un bacio
rubato alla notte
incatenato all’assenza.
Scavami Vita!
Senza pena
e né appello
esegui sentenza
e affonda
i tuoi artigli
sino a che il bianco
rosso diventi.
Scrivimi Vita!
Marchiami carni
di sogni sporchi
di infertile terra e
di rive gaudiose,
di amori infiniti.
Incompiuta
e ingloriosa,
scolpiscimi, scavami
e scrivimi o Vita!
Sino a che il marmo
innocente
sangue diventi,
e dai rivoli secchi
germoglino vivi,
fiori bianchi
di poesia!


Raccontami di te

Raccontami di te,
del fuoco dolce che
ti assale tra le rime
sacre delle carni,
bruciando solo me.
Raccontami di
nuove geografie,
di mari azzurri
sconosciuti e di fondali
di piaceri inesplorati.
Raccontami di te,
di mappe nuove di
mondi uguali con stesse
Lune sotto stessi Paradisi.
Raccontami di te,
dell’inciso rosso di poesia
con lettere sconosciute
tra pieghe bianche e calde.
Sarò un Colombo nuovo
su nuove caravelle
con l’anima acquietata.
Raccontami di te…
io ti racconterò di me.
Di lunghi viaggi,
su mille treni o di
mille scarpe insieme
consumate su strade
di fioriti asfalti,
ove gli orizzonti
parevan sempre chiari.
Strade e ferrovie di velluti e
pietre senza vicoli serrati,
ove il mio piede nudo
e franco mai doleva.

Ora ho il piede stanco,
stretto in scarpe che fan male,
arrestato su di un viaggio
che all’anima bugiarda
pare consumato.
Ma la borsa rossa che mi
segue come un’ombra,
è grande e pronta e si fa
spazio a un nuovo viaggio.
Io ti racconterò di me,
se vuoi…
raccontami di te!


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