Graffi e carezze dell’anima

di

Luisa Foddai


Luisa Foddai - Graffi e carezze dell’anima
Collana "Le Schegge d'Oro" - I libri dei Premi - Poesia
14x20,5 - pp. 88 - Euro 10,00
ISBN 978-88-6587-3236

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In copertina: «Rosse parole» di Alessandro Vinci


Pubblicazione realizzata con il contributo de IL CLUB degli autori per il conseguimento del 5° posto nel concorso letterario Città di Monza” 2010


Prefazione

La silloge di poesie “Graffi e carezze dell’anima” rappresenta fedelmente l’universo emozionale ed il mondo lirico di Luisa Foddai che, grazie al suo sguardo capace di captare anche le minime percezioni, dimostra di essere costantemente alla ricerca dell’armoniosa sinfonia della vita in un magico volo poetico.
La volontà di riversare nei suoi componimenti la qualità lirica si avverte nella versificazione complessa e variegata, con alcuni slanci classicheggianti, che spaziano dall’immersione “negli oscuri meandri dell’anima”, al recupero memoriale con accenni alle dolenti emozioni, ai disincanti e alle “malinconie infinite”, che attanagliano in determinati momenti: il percorso riconduce ad un inno all’amore per la vita attraverso un soave canto lirico.
Non v’è dubbio che l’intenzione di avvicinarsi alla “quiete dell’anima” sia forte seppur ritroviamo numerosi passaggi che riportano a “struggenti nostalgie”, ad uno scandaglio interiore di “anima inquieta” e, ancor più, ad “antiche ferite”, che, inevitabilmente, sono disseminate lungo il cammino di questa “misera tragedia” che è l’esistenza della “mortale carne”.
Le visioni poetiche di Luisa Foddai sono ammantate da un’atmosfera rarefatta e si ergono, dai giorni della vita, “silenti come ombre della sera”: ed è proprio in quel silenzio lirico che esplode l’armoniosa sinfonia della vita, quando la Parola prende il sopravvento e si fa dolce incanto, sussulto d’amore, sospiro e fremito, fino ad una fusione totale con quel “calice colmo/di rime e parole,/mieli e veleni,/sentieri confusi e storditi/ da giochi incompresi di luci ed ombre”.
Ecco allora verificarsi l’atto salvifico che supera il travaglio, che offre “bagliori dell’anima” ad una poetessa che “si annida furtiva/tra le maglie consunte” dei suoi “orfici versi”: e, infine, si giunge alla rinascita inebriante, che fa spiegare le ali per lasciarsi trasportare dalla forza del cuore, verso il “Grande Divino Mistero” che tutto include.
La sua ispirazione lirica assoluta si concreta in una lenta immersione nelle zone segrete dell’anima, tra grandi silenzi contemplativi e abissi misteriosi, quando la vita “graffia” l’anima ed il dolce poetare si fa “canto solingo” alla ricerca del respiro vitale che possa scaldare il cuore.
La profonda umanità di Luisa Foddai ed il suo desiderio innato di condivisione umana sono lo specchio del suo continuo “intreccio d’anima” tra “graffi” esistenziali e “carezze” come bisogno d’amare e di essere amata: ecco perché la sua poesia veleggia con vibrante forza nell’oceano enigmatico della vita.
La poesia avvolge, come “dolce condanna”, l’essenza stessa di Luisa Foddai.
Nello “scrigno dorato” che custodisce i sogni, oltre il Tempo, dopo le alchimie liriche, lei può dirsi al sicuro.

Massimo Barile


Graffi e carezze dell’anima


Ai miei angeli celesti e terreni…
principali ispiratori della mia Poesia.


Poesia

Come Sposa adorante persa nei folli deliri
degli astrusi tuoi cieli, eccoti presta il mio
devoto levar! Oh Poesia, mia dolce condanna
avida amante ingorda di versi!
Irriverente mi prendi in muti consensi!
A te che spietata veli mi levi,
nuda mi offro al lirico amplesso.
Di me, inerme tua ancella ne celebri il canto,
il sordo ruggito che mesto
rimbalza su sconsacrati sepolcri di pietra.
Amante irruenta m’avvolgi fremente,
mi scortichi viva e scavi impudente.
Corazze fedeli che occultano
piaghe ti diverti a strappar.
Consapevole preda, fiera e silente
suadente mi chino all’invisibile altar.
Sazia con fauci grondanti, scarnificata
mi lasci dinanzi ai tuoi occhi nudi di pena,
lambiti da versi dannanti e salvanti!
Ma vinta, dietro ti vengo carnefice amata!
Ti cerco e ti voglio e armata di niente
con mani trafitte ti inizio la lotta.
La notte al varco ti attendo a
destarmi dal manto del limbo e in orfica
danza del tuo seme m’aspergi.
Travaglio sofferto in tiepida aurora,
e creatura di Luce al mattino in catartiche fasce!
Lazzari vagiti… diamanti crocefissi
sugli occhi ancor troppo ciechi
di questo piccolo mondo!

Opera 5^ class. Premio Internazionale “Poeti dell’Adda 2011”, Il Club degli autori (Milano)


A voi poeti

Non sogni lieve il poeta
lo scandagliar profetico
del navigar suo mar,
né brami presto solcar
le chiare acque delle rive,
poiché ancor men dolce
vi sarà l’approdo!
Non vi è porto né riposo
per colui a cui fu dato
senza fama e senza pena
l’occhio vigile e inclemente
su cui siede nella sera
il riposo tormentato
del vivere inquieto!
Sol Colui che l’occhio
diede forse un dì
inchioderà su vostro
capo regal Corona,
col martirio dolce scritto
con bocciol di rose rosse,
che perduto alfin
avran solo per voi
le loro spine!

Menzione Speciale al Merito I Concorso Internazionale di Poesia Inedita, “Il Tiburtino 2012”, Casa Editrice Aletti (Roma)


Cos’è?

Cos’è quel tremolio
di stelle lassù che
accende il tormentato
nero di una notte?
Cos’è quell’insonne
languore che desta il riposo
e l’anima affama?
Quell’impertinente
perseverare su canti
già pianti e reclusi,
tra i miei vegliardi
e logori merletti?
Ah solingo palpito crudele!
Vertigine insolente
perché scegli ancora
le mie ossa rotte?
La vita le ha già scritte
scegliendo lettere sconosciute.
Il vento le ha poi scavate e il
mare ripulite deponendovi
conchiglie senza perle.
Lascia ora che sia
solo quel suo raggio
mattutino infranto
sul mio dolente viso,
allungato come
una carezza calda
nell’aria quotidiana
di pane profumato,
a crocifiggermi il respiro!

Opera 2^ Class. Premio Internazionale “Marguerite Yourcenar 2012”, Il Club degli autori (Milano)


L’anima della sera

E al vento vibrò l’ode silente che
lusingato tacque il suo spavento.
Ammaliato smorzò le frustate
elargendo carezze a piume d’avorio
che fermavano a terra ali
imbrigliate in torri d’alabastro.
Cullò sedotto dal canto la dolce
tortura di caldi tormenti.
Scarlatta follia siglata per gioco
in spazi antichi di cielo da
nuvole e astri bambini,
impertinenti ed ignari dei
coriandoli planati quaggiù,
scoccati come dardi di fuoco
su pedine viventi.
Re e Regine trafitte da un
languido gioco al massacro
vinto ma perso.
Ma tenera fu la sera al fiume caldo
che irrorava campi di fremiti e viole.
Riposarono infin respiri quieti
su un cuscino di stelle,
godendo il sospiro inventato
di un bacio di fragole e more.
Mentre lassù…
seduto precario sul pendio
di un cuore ancor caldo
anche un Cristo
schiodatosi dalla croce
sorrideva benevolo
al Divino errore!


A mio padre

Occhi smarriti e velati
da dolci e struggenti nostalgie
scrutano orizzonti infiniti.
Cercano là… dove un Tempo
avaro e crudele negò acque vitali
a ignari boccioli protesi alla vita.
Resi inermi dall’antico dolore,
strappati all’innocente incanto,
aggrappati a brandelli
di infanti giochi,
con muto lamento
sfidano il Sole.
Nutriti da stelle brillanti,
piogge dorate
e note armoniose,
danzano inni festosi
in giardini restituiti alla vita.
Ma malinconie infinite
avvolgono la sera
togliendo respiri.
Petali vinti, tristi e appassiti
ti cercano…
e tu stendendoli a terra
a formare soavi tappeti
compari leggiadro
Stella tra le stelle
rinnovando in eterno
magici palcoscenici per la vita,
che da lì, come per dolce incanto
o divino riscatto,
ogni giorno rinasce
con i suoi inebrianti profumi
e melodiosi canti!


Oltre

Brivido azzurro non mi morire
stasera sotto questa languida
luna tra le braccia!
Stanco è il tuo respiro, agonizzante
la tua attesa, stremato il tuo perché!
Ma tu non mi morire tra queste
braccia che rubato hanno al Tempo
la fine calda di una stretta.
Palpito vermiglio non esalare
il tuo ultimo respiro, assai più forte
della tempesta che spazzato ha via
i bugiardi occhi di una profetica
novella, è questo cuore che
imparato ha a battere solingo!
Stanco passo che di ocra terra hai
calzato il tuo andare solitario,
non arrestare il tuo piede pellegrino,
lunga ancora è la tua strada
costellata di fiori prepotenti
sbocciati in margini d’asfalto!
Imparato a danzare ha esso
tra pietre e spine agli angoli di teatri
con sipari sempre chiusi.
E voi… bianche labbra diafane d’attesa,
regali e mute come alteri cigni in chete
acque, non serrate il veleggiar del sogno
antico tra file vergini di perle diamantate.
Non moritemi stasera tra le mie
scarlatte e vive di speranze menzognere.
Anch’esse ormai vincendo il fato, imparato
hanno a godere il sospiro inventato
del bacio senza Tempo
per voi sol trasfigurato!


E se…

E se i pensieri non fossero
stelle recluse senza colpa,
buio non avrebbe la tua notte.
Se mani fossero remi,
approdo troverebbe
la tua barca solitaria e senza brama.
Se gemiti incarcerati fossero carezze,
inchiodata a fremito gaudente
sarebbe la tua carne inappagata.
Ma il silenzio delle sbarre
uccide il cuore
spargendone le stille,
sporcandone l’azzurro.
E i pensieri sono frecce
indifferenti
perdutisi nei cieli
disperse da ferocia
di vento giustiziere.
Le mani son macigni,
pietre bianche senza storia,
che scivolano basse
annegando tra dita diafane
il sogno perduto di un
mare mai navigato.
E i gemiti non sono
che sussurri trucidati,
acre polvere ingoiata
che ucciso ha il respiro
crocifiggendone la gioia,
esaltando la follia trasfigurata
nell’invisibile delirio
dei miei chiodi!


La notte dei poeti

E fu una notte senza stelle
a cullare il loro canto!
Forse Iddio risparmia la sua Luce
su quei corpi che vivon la sua
carne trasfusa tra le loro,
che bevono il suo sangue da
quei caldi calici d’amor!
Forse è ancora Iddio che
arma quelle mani dei poeti
che non conoscono quei canti,
il sapor di quelle carni,
l’inebrio di quei calici,
ma scrivon solitari tra quei bui,
sol parole con ali ancor più ampie,
che volando ancor più alte
tramortiscono la notte.
Pure quella luna che languida
e guardona come sempre,
perché forse troppo gonfia
di livido livor, spegne in quelle
sere l’argento del suo faro
e vestita con abiti di speme
per quell’amor trasfigurato,
corre via veloce a rifugiare
la sua falce tra le braccia
ancor dormienti di quel Sol,
che ignaro e placido di tale
amor, attende come sempre
ad ogni dì la sua
resurrezione!


26 Settembre 2006…

a Pier Paolo

Sale il pensiero
e il battito argentino
oltre l’alta
muraglia di pianto.
Orfano di vita,
disabitato di luci e colori
corre a cercare,
per non morire,
i verdi abeti che
svettano fieri
solleticando il cielo e
le bionde trecce di spighe
che offrono vita
a bottoni di papaveri
purpurei che casti
e devoti
si donano al sole!
E sale oltre quel mattino
vestito di nero a cercare te…
che tra mille punti
bianchi di tenere
margherite,
come miriadi di stelle
in abissi di oscurità,
arrivi per inondare di
soave profumo
di speranza
il nostro
sgomentato
errare di
ogni dì!


La Resa

Lascia la scena, incompiuta l’opera,
abbassa il sipario il folle teatro!
Colmo il calice di silenzi perlati,
da diamanti di ghiaccio scaldati.
Disgiunta ormai, come l’occhio del cielo
che assiste dimesso alla mortale
agonia di una foglia
schiaffeggiata dal vento.
Stizzita la notte dell’orfano sogno
riprende il suo fiato,
calando muta l’oblio.
In piaghe di miele
riannoda il filo sfibrato
in attesa di nuovo orizzonte.
Su labbra serrate depone
la meta inconsulta, su strade
tracciate di un corpo inviolato
pellegrino il piede ne arresta.
All’altare di sguardo trafitto
da luce cieca alla sua,
giunge le mani sporche di cenere d’oro,
levandone alta la grazia di fuoco.
All’azzurro offre vincente la resa,
lassù, ove neppure il sibillino
respiro del vento mai ne
potrà disperdere il canto.
Inerme in letto sfiorito attende
della notte il calar del suo velo.
Mentre su prece devota di rugose
Litai, vinta da Eros eletto,
si strappa la veste Ate redenta…
e in gioiosa mestizia
depone il suo scettro!


[continua]


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