La donna che null'altro aveva da chiedere alla vita

di

Lysia Neri Dal Moro


Lysia Neri Dal Moro - La donna che null'altro aveva da chiedere alla vita
Collana "I Salici" - I libri di Narrativa
14x20,5 - pp. 246 - Euro 13,50
ISBN 88-6037-224-0

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Presentazione

“La donna che null’altro aveva da chiedere alla vita” è la storia immaginaria di una immaginaria, (ma non troppo) grande donna, zia Laura, e della sua famiglia di origine, raccontata a ritroso nel tempo. È cioè una specie di “flash back“di avvenimenti narrati in parte dalla stessa Laura ed in parte dalla nipote Lysia…
...Il racconto inizia un giorno di maggio del 1995 in una bella villa d’epoca della bassa Brianza.
Lysia, che quasi ogni pomeriggio va a tener compagnia a questa vecchia parente, zia LAURA, sta cercando di mettere un po’ d’ordine nello studio, messo sottosopra dall’anziana signora…

Iren Aisyl
(alias Lysia Neri)


Ringraziamenti

È vero, questo è solo un romanzo, ma l’ambientazione è reale e prende spunto da tanti, tanti ricordi.

A mio marito “Bepy” ed ai miei adorati, e veramente speciali figli ed i loro piccoli, e alle mie nipoti, che per prime lessero questo mio manoscritto e mi incoraggiarono a proseguire e a Marco con tutto il mio amore,
ed in memoria dei miei cari genitori, Elvira e Giuseppe, della mia amata, unica ed indimenticabile sorella Ivetta, di mia zia Irma Viciani Monteleone, che con coraggio mi preparò agli esami di ammissione alle S. Medie in soli tre mesi, e dei miei meravigliosi nonni paterni Anna e Vittorio, impareggiabili narratori, che mi tramandarono le loro esperienze, i loro ricordi ed il culto delle tradizioni,
con affetto e gratitudine.

Un caro pensiero ed un grazie anche ai miei nonni materni, Silvia e Lucesio Viciani, ai miei zii Viola e Primo, a cui devo la scelta del mio nome e tante memorie, che hanno inciso notevolmente sulla mia fantasia, a mio zio Arturo Monteleone ed a mia cugina Angelamaria, alla Dr. Lucia Pratelli Magni ed al sig Romeo Poletti, che giudicarono valido questo romanzo e mi dettero preziosi consigli.
Grazie!

Un grazie alla Società A.T.M., che mi ha fornito il libro “Tram e Tramvie a Milano”, aiuto prezioso per sapere quali mezzi c’erano dal 1933 al 1995.


La donna che null'altro aveva da chiedere alla vita

Premessa

C’era una volta…
un pendio scosceso e brullo sul fianco del monte, su cui sorge il Castello di Badia ed un luogo incantato ed incantevole e suggestivo, chiamato dal volgo «Fontana delle Fate».

È proprio così, come una dolce favola, che i ricordi più belli della mia «lontana» fanciullezza tornano a quei luoghi..

«Poggibonsi mi fe‘» direbbe Dante. ed io lo ripeto con umiltà ed orgoglio insieme.
La ridente cittadina dove sono nata è una delle tante sparse nel quieto paesaggio Toscano. Sorge nella Valle dell’Elsa e della Staggia ed è circondata dalle verdi colline del Chianti.

L’indomito Castello di Poggio Bonizzo sorgeva sul monte dove è ora l’antica Fortezza Medicea di Poggio Imperiale.
Narrava mio nonno Lucesio che, mettendo a dimora le viti sulle terre della parte più alta della Fortezza, che fino a pochi anni fa apparteneva alla sua famiglia, i Viciani, avevano trovato i resti delle antiche mura, cioè le fondamenta delle case.
Noi non abitavamo lassù, ma mia madre ci portava spesso dai suoi genitori e zii.
Di questo fortino conoscevo ogni angolo, ogni anfratto, comprese le cantine dalle volte maestose; il forno dove mia nonna Silvia e mia zia Angela facevano il pane e le piante di fico e di nespolo, vanto di mio zio Beppe; la piccola cappella, dove con mia zia Irma facevamo il presepe…
Ricordo le serate d’estate, quando tutti insieme si sedeva alla Punta, sulle mura, che allora erano ancora alte, circa 90 centimetri o forse più. Rivedo ancora quella stupenda opera di architettura, che il Sangallo disegnò e costruì..
Io, fanciulla, sognavo ad occhi aperti di acquistare tutta la proprietà e di ristrutturarla, perché non andasse perduto un tale capolavoro! Ma ahimè!, il destino ha voluto addirittura portarmi lontano da quei luoghi adorati!

Narran gli scritti antichi che, quando nel 1270 Poggio Bonizzo fu raso al suolo dai guelfi, alcuni abitanti si trasferirono nella parte più alta dell’antico Borgo Marturi, dando vita alla nuova Poggibonsi, che centinaia di anni più tardi sarà teatro della fantasiosa storia, che mi accingo a narrare.
Per i personaggi ho usato i nomi delle persone a me più care, ma senza precisi riferimenti alla vita di nessuno.

Milano, Anno 2002
N.d.A.


INTRODUZIONE

Il manoscritto di “La donna che null’altro aveva da chiedere alla vita” è stato ripetutamente da me iniziato, stracciato e cambiato. È stata la mia idea fissa per vent’ anni, ma solo nel 1995, quando andai in pensione, mi misi a scriverlo seriamente.

È la storia immaginaria di una immaginaria, (ma non troppo) grande donna, zia Laura, e della sua famiglia di origine, raccontata a ritroso nel tempo. È cioè una specie di “flash back“di avvenimenti narrati in parte dalla stessa Laura ed in parte dalla nipote Lysia.

Per quest’ultima forse, nel suo subconscio, rappresenta la descrizione del suo sogno, di quello cioè che avrebbe voluto essere lei stessa da giovane: «una donna di successo»; ma l’ammirazione, mista ad un confuso senso di invidia per la zia, si trasforma a poco a poco in un sentimento più tenero ed affettuoso, quasi però di compassione.

Le vicende narrate però potrebbero riferirsi a tante donne, che a Milano hanno trovato o creduto di trovare la realizzazione dei loro sogni. Forse alcune di loro potranno riconoscersi nell’una o nell’altra, perché chissà quante «Laura» o «Lysia» sono state le protagoniste di una storia simile nella realtà, ma nessuna di esse è sicuramente la mia «eroina».

Immaginatevela questa storia:
Il racconto inizia un giorno di maggio del 1995 in una bella villa d’epoca della bassa Brianza.
Lysia, che quasi ogni pomeriggio va a tener compagnia a questa vecchia parente, zia Laura, sta cercando di mettere un po’ d’ordine nello studio, messo sottosopra dall’anziana signora.
Da un libro casca una busta, ingiallita dal tempo e sul timbro postale quasi illeggibile si intravede un 193..9? Lysia riconosce la calligrafia di sua nonna Anna Silvia e chiede alla zia il permesso di leggergliela ad alta voce.

Da quel momento tornano i ricordi sepolti da anni nel cuore dell’una o dell’altra delle due donne, finché Laura ad un certo punto, incoraggiata anche dalla nipote, decide di dettare a Lysia le sue «memorie».

Ma la storia continua oltre i ricordi ed i racconti di un passato lontano si interrompono a volte, per tornare a quella realtà del 1995 nella casa di una vecchia signora sola e descrivere scenette familiari, che denotano i pregi ed i difetti del progresso.

Le vedete queste due signore, che discorrono del tempo passato, ritratte nella realtà presente? Se ci riuscirete io avrò raggiunto il mio scopo.

N.d.A.


Personaggi in ordine di apparizione

  • Laura, o Nina, (1917) la protagonista ed in parte la narratrice
  • Lysia, o Lizzy, la «nipote», a volte narratrice, a volte interlocutrice
  • Benjamino (1893), detto anche Bengi, padre di Laura e marito di Costanza
  • Vittorio e Carolina, genitori di Benjamino, nonni di Laura e bisnonni di Lysia
  • Anna Silvia detta Anna, sorella di Bejamino e nonna di Lysia e Ivetta
  • Santi (1830-1913) e Silvia ((1836-1910), nonni di Benjamino e di Anna Silvia
  • Albert & Beatrice de’ Ghini, genitori di nonno Santi
  • Zelindo e Viola Lazzeri, genitori di nonna Silvia
  • Giuseppe, detto «Beppino», fidanzato e futuro marito di Anna Silvia e nonno di Lysia
  • Costanza (1897), moglie di Benjamino e mamma di Laura


Personaggi minori:

  • Emanuele, (1914-1941) figlio maggiore di Benjamino e Costanza e fratello di Laura
  • Elvira, la maestrina di Benjamino piccolo e poi di Laura
  • Mario, (1919-1937) fratello minore di Laura
  • Irma, figlia minore di uno zio di Costanza e perciò sua cugina
  • Lady Jasmine, madrina di Laura, e sua nipote «Kiky»
  • Caterina, nonna paterna di Costanza
  • Tonina (Antonia), mamma di Costanza e nonna materna di Laura
  • Primo, Giulio, Sofia, Carlotta (e Vittorio), figli di Santi e Silvia
  • Angela, moglie di Primo e Clara, moglie di Giulio, nuore di Santi e Silvia
  • Primo, detto Mino (per riconoscerlo dallo zio) e CORINNA, fratelli di Benjamino
  • Giulia, figlia di Corinna
  • Francesca, un’amica di Laura


N.d.A:

Questo libro è frutto della fantasia o di esperienze personali. Nomi, personaggi, luoghi e situazioni sono stati inventati dall’autrice per dare veridicità alla storia. Qualsiasi somiglianza a fatti o persone reali, vive o defunte, ad aziende ed a luoghi realmente esistenti o esistite è puramente casuale.


Prologo

(Milano, o meglio provincia di Milano, in Brianza)

Giovedì, 4 maggio, 1995

Cara dolce Brianza, che ricordi un po’ con le tue verdi colline ed i monti boscosi l’amata Toscana, sempre viva nel cuore di chi scrive! Forse qualcuno ti scelse proprio per questo, per allevare i suoi figli e farli crescere a contatto con la natura e nello stesso tempo vicini a Milano, sua città di adozione!
Gli anni sono passati però inesorabili; i bambini sono cresciuti e, come uccellini, sono volati via dal nido per lidi lontani, sollecitati involontariamente dai genitori, attratti da altre esperienze ed altre mète; ma è rimasto quel nido, quasi intramontabile segno di quell’amore e di quelle gioie e dolori, di cui le sue vecchie e solide mura sono state testimoni.

«Villa Giulia» è una bella casa, anzi una bella ed antica villa, che sorge a Nord della città, verso la ridente Brianza.
È circondata da un grande giardino con tanti alberi ed una vecchia quercia, ma sembra disabitata: non si vede e si sente anima viva.

È maggio, ma fa ancora freddo e soprattutto quel grande silenzio di quella grande casa fa quasi venire i brividi; qualcuno ci abita però: qui vive da sola la signora Laura, detta anche Nina o «Donna Laura», quando è in Brasile, nella sua «açienda». Dopo l’estate scorsa si è fermata in Italia; fino a qualche mese fa c’era con lei la dama di compagnia Brasiliana, ora tornata purtroppo al suo Paese.

Deve subire una difficile operazione al cuore e vuole essere curata qui o morire a Milano, dove ha passato gli anni più belli con il suo Valentino, detto Tino, scomparso cinque anni prima in un tragico incidente sulla A4.
Ora non c‘è nessuna persona di servizio fissa e neppure il «calore umano degli amici», a cui tanto teneva in gioventù e che affollavano negli week-end la sua grande casa; questi se ne sono andati alle prime avvisaglie del suo cuore sofferente.
Una voce dolce rompe quel silenzio: “Zia, quando arrivano dal Brasile Guido e Vittoria?” Nessuna risposta.
“Zietta, perché ti sei messa a buttare all’aria tutto lo studio dei ragazzi, o meglio dire la tua stanza?!
Lo sai che non devi affaticarti col tuo cuore! Prenditi una donna fissa, così ti aiuterà in casa e ti preparerà i pasti e poi ti farà compagnia anche di notte! Sai bene che vorrei stare di più con te, ma quasi tutti i giorni di mattino ho la scuola e qualche volta devo andare anche di pomeriggio, se c‘è qualche riunione del corpo docente…”

Il soliloquio continua: “Oh, zia Laura! Le foto di quando eri piccola con la tua mamma e mia nonna Anna Silvia…
E qui mia nonna con tuo padre… Ah, zia, di queste devi farmene fare una copia, perché io non ce l’ho!
E quest’altra… Che bella! Qui con i tuoi genitori ed i tuoi fratelli! E qui eri una ragazzina…, ma eri proprio bella, zia Laura, sembri un’attrice!”
“Ma guarda…, guarda qua, cosa hai trovato ancora… «Il padrone delle Ferriere» di Georges Ohnet che piaceva tanto a mia madre, ed i libri della Collana Rosa! Leggendoli, sembrava che nella vita potessero avverarsi tanti sogni, vero? A volte però i sogni s’infrangono contro la dura realtà della vita, della gente che ci circonda, del mondo intero.
“Dio, quante cose si pensava di poter realizzare! e… tu, zia Nina? Ah! Oggi mi fermo più a lungo, perché i miei ragazzi sono a Parigi con la scuola…”

Chi parla è una donna dell’apparente età di quaranta anni, ma forse ne ha anche di più; si rivolge ad una signora d’età indefinibile, nel suo aspetto le tracce di un’antica bellezza, magra come una sogliola, il viso affilato e pieno d’autorità, ma il corpo è come accartocciato, simile ad una bottiglia di plastica piena d’acqua, messa a rovescio, con dei forellini sul tappo, in un vaso di fiori da bagnare; pian piano, man mano che l’acqua è assorbita dalla terra, si accartoccia su se stessa, non avendo aria all’interno.
Questa è Nina, che appoggia la testa argentea allo schienale della poltrona, come inseguendo una visione e, senza fretta e con molta convinzione, con voce lenta e stanca finalmente dice:
“Bambina mia, nient’altro potrei chiedere alla vita, perché io ho avuto tutto: successo, ricchezza, benessere, un marito che mi amava, due figli meravigliosi…”

La nipote di mezza età tace; guardando quella zia vecchia e malata, ma ancora arbitro della sua vita; ricorda una specie di avventura, o forse una favola o… chissà cos’altro, che le aveva raccontato la sua adorata nonna Anna Silvia, zia di «zia» Laura (Nina).

La storia era venuta fuori quando, finite le superiori a Siena, lei, Lysia, ragazzina dall’istinto girovago, si era iscritta all’Università Bocconi a Milano, ma voleva andare a studiare in Inghilterra. La nonna faceva le veci della sua mamma, morta giovanissima, e non riusciva a capire perché quella nipotina volesse andare in un paese così lontano e, in un impeto di rabbia le aveva detto: “Assomigli proprio a tua zia Nina; i panni ti stanno stretti; lei ha avuto fortuna, ma non va sempre a finire così!”
E lei, proprio come la zia Nina, era andata via in Inghilterra, dove era rimasta a studiare per tre lunghi anni, con grande apprensione della nonna e del nonno, a cui però ogni settimana scriveva lunghissime lettere.
Bruscamente Lysia è riportata al presente, perché, mentre riordina il caos che ha fatto la zia Nina, scorge proprio una lettera, cioè una busta indirizzata a Laura de’ Ghini – Via dei Rucellai…, Precotto – Milano e riconosce la calligrafia di sua nonna Anna Silvia. La sua curiosità è grande e vorrebbe subito leggerla, ma si ricorda di come l’aveva sgridata proprio lei, la nonna, quando ne aveva aperta una indirizzata alla sua sorellina Ivetta e così si trattiene e chiede: “Zia, c‘è qui una lettera che ti inviò mia nonna; te la posso leggere?”
“Certo, cara, anzi mi farebbe piacere sentire che mi diceva!”
La nipote apre delicatamente la busta, quasi fosse una reliquia; la lettera è datata 5 marzo 1939, e lei inizia con la sua bella voce chiara, ma commossa, a leggere. “Cara Lauretta”
“Ecco vedi,” l’interrompe la zia, “la tu’ nonna mi chiamava sempre così quando era arrabbiata, vedrai che ti dico, mi farà la paternale…”

Lysia continua: “Stasera sono stata a trovare il tuo babbo e m‘è sembrato molto depresso. Mi ha fatto una grande pena… L’ho abbracciato e lui si è messo a piangere: Gli mancate tanto…
Tesoro, nipotina mia cara, torna da lui, o meglio tornate da questo pover’uomo… Perché non pensate a tutti i sacrifici che ha fatto per voi…”
“Cosa ti avevo detto, me l’ha voluta fare la predica o no… la mia zia, lo vedi come la conoscevo bene.” dice Nina.

Ma pensa il caso… Lysia adesso riflette proprio su com‘è strano il destino e cerca di ricordare quando ha ripreso a frequentare la zia.
Ah, sì, ecco… Da tanti anni non l’aveva più incontrata quella strana zia Laura, che veniva a trovare nonna Anna con quella bella macchina Alfa, che guidava lei stessa. Era sempre tutta elegante, seguita dai figli e dalla bambinaia inglese.
I bambini erano piuttosto impertinenti e parlavano il dialetto milanese. A lei e alla sua sorellina Ivetta portava però sempre qualcosa di molto carino, che so, un vestitino o una borsetta o un maglioncino di buona fattura. E poi… gli anni avevano un po’ offuscato l’affetto che Laura nutriva per sua zia Anna Silvia, nonna di Lysia, ma ecco che il loro destino o il caso aveva fatto sì che le loro vite si incrociassero ancora… Infatti al ritorno dalla terra d’Albione, Lysia era stata in vacanza dai nonni a Poggibonsi ed a novembre aveva ripreso ad andare in facoltà, a Milano. Un giorno, durante una delle tante votazioni che si tenevano nell’ateneo, guarda caso, vi aveva incontrato sua cugina Vittoria; da allora saltuariamente aveva preso a far visita a quella zia Nina, a cui l’aveva paragonata un giorno la nonna.
Col passare degli anni la zia con tutta la famiglia si era trasferita in Canada e poi in Brasile, ma in estate tornava sempre in Italia, nella sua bella villa in Brianza.
Ed allora la prima persona che chiamava era proprio lei, oppure addirittura quando era all’aeroporto della Malpensa la avvisava del suo arrivo…

Ora i ricordi si affollano alle menti delle due signore, come in un film, con differenti immagini ed in una diversa successione, ma c‘è un’unica partenza: Poggibonsi e la storia della grande famiglia de’ Ghini, come nonna Silvia l’aveva raccontata ad Anna (Silvia) e questa, prima alla nipotina Laura, figlia di suo fratello Benjamino, e, dopo tanti anni, alla piccola e curiosa figlia di suo figlio, Lysia. A questa ormai giovinetta, aveva però parlato anche dell’avventurosa e intraprendente zia Laura, cioè Nina.


Prima Parte

Una famiglia felice

(Poggibonsi 1914-1938)

A Poggibonsi, una ridente piccola cittadina toscana fra le verdi colline del Chianti, abitava, al primo piano di una casetta, una famiglia composta da babbo, mamma e un figlio maschio, che non sarebbe rimasto l’unico. Al piano terreno vivevano i nonni, Carolina e Vittorio.
Il babbo si chiamava Benjamino, detto familiarmente «Bengi», e con i genitori, prima di sposarsi, aveva fatto parte della grande e numerosa famiglia de’ Ghini, benvoluta e rispettata da tutti non solo per il suo fondo, che era considerato uno dei più estesi e ben coltivati della zona, ma per la sua onestà e l’armonia fra i suoi membri. La mamma Costanza proveniva ugualmente da una famiglia con molti figli, ma anche parecchi soldi liquidi, perché commerciavano in bestiame, soprattutto maiali e bovini; il bimbo, si chiamava Emanuele, aveva quasi tre anni ed era nato a Poggibonsi nel 1914. Dopo di lui nasceranno nel 1917 Laura e nel 1919 Mario.
Quella che segue è la storia della loro vita, ma sono andata troppo avanti; conviene che essa parta dalle origini della famiglia de’ Ghini tanti e tanti anni prima; dai ricordi di costumi antichi tramandati di padre in figlio, dagli aneddoti raccontati da nonni e zii; solo così sarà veramente interessante.

Nonno Santi e nonna Silvia, i capostipiti della famiglia de’ Ghini di Colle Ventoso e le loro famiglie di origine (1830/...)

Secondo quello che nonna Anna S. aveva raccontato a Lysia, poco più che decenne, nonno Santi era nato nel 1830 a Barberino, vicino a Firenze da Albert de’ Ghini, (che quasi tutti semplificavano solo in Ghini), e Beatrice Lanzi…
Suo padre Alberto (Albert) era nato in Alto Adige vicino a Bolzano, (che faceva parte allora del regno d’Austria, come tutto il Veneto), da una famiglia Toscana di origine, emigrata là per il lavoro di orologiaio del padre. Finite le scuole (tecniche?), (Albert) era stato mandato a studiare agraria a Firenze, dove governavano i Granduchi di Lorena con oculatezza, prosperità e tolleranza (diceva nonno Santi tanti anni dopo).
Lì aveva conosciuto Beatrice Lanzi, figlia di un commerciante fiorentino; se ne era innamorato e non aveva voluto più far ritorno al suo paese…

Si era messo dapprima a fare il sensale (una specie di intermediario fra chi vendeva e chi comprava le bestie), poi aveva trovato lavoro a Barberino, come fattore, «amministratore», «veterinario», o qualcosa di simile, presso una grande tenuta di proprietà di una famiglia austriaca, i Von Schwarzen.
Si era sposato con Beatrice e lì erano nati i suoi cinque figli: due maschi e tre femmine. La moglie era poco espansiva, anche con i bambini; ad essere dolce pensava di perdere la sua autorità e di dimostrarsi debole. Vittorio, suo nipote e padre di Benjamino, tanti anni dopo avrebbe confessato ai figli che era proprio cattiva e faceva di tutto per farli picchiare dai genitori.
Alta poco meno del marito, che era oltre 1 metro e 90, sembrava un generale e teneva i figli a distanza. Il padre invece, pur essendo burbero, era attaccatissimo ai figli, li aveva seguiti tutti negli studi primari e, con immensi sacrifici, aveva fatto frequentare ai due maschi un collegio religioso di Firenze.

Santi era il suo secondogenito e, fin da piccolo, al contrario del fratello maggiore, faceva di tutto per seguire il padre presso i contadini a controllare gli allevamenti di bestiame, gli uliveti ed i vigneti. Cresciuto, cominciò anche ad interessarsi a tutto ciò che poteva dare una resa migliore sia nelle coltivazioni che negli allevamenti.
Quello fu per Santi un periodo assai proficuo ed imparò moltissimo da suo padre. Non avrebbe mai immaginato allora quanto tutto gli sarebbe stato utile per quello che gli avrebbe riservato il futuro.
Gli anni passarono in fretta, come sempre del resto; Santi si era fatto un bel giovanotto, non molto alto però rispetto ai suoi genitori. Aveva un gran bel viso, biondi i capelli ed azzurri gli occhi, come un cherubino.

Dal suo aspetto si sarebbe detto che avesse un carattere dolcissimo e accomodante, ma in realtà era sicuro di sé e deciso nei suoi propositi. Onesto e preciso fino alla pignoleria, gran lavoratore; ormai seguiva sempre il padre e lo aiutava nei conteggi, meglio di una «macchinetta», si diceva.

Alberto, per arrotondare lo stipendio, oltre al suo compito di fattore, a tempo perso aiutava qualche piccolo proprietario nei conti, nelle vendite o negli acquisti di bestiame.

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