Diario di una bugiarda

di

Manuela Vincenti


Manuela Vincenti - Diario di una bugiarda
Collana "Le Schegge d'Oro" - I libri dei Premi - Poesia
14x20,5 - pp. 122 - Euro 11,00
ISBN 978-88-6037-7821

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In copertina: «My self», computergrafica di Manuela Vincenti


Pubblicazione realizzata con il contributo de IL CLUB degli autori in quanto l’autrice è 8^ classificata nel concorso letterario Il Club dei Poeti, 2006

… Come ciechi bugiardi pieni di canzoni mortali, a mano a mano che disimpariamo il silenzio e che il silenzio non ci copre più, noi sentiamo il grande vociare di Satana …
Alda Merini


Presentazione

Arte come distrazione dalla morte o arte come “bluff”, se non come pudica menzogna? “Diario Di Una Bugiarda”: è bugiardo ciò che scrive l’autrice o lo è il personaggio reale, quello che incontriamo tutti i giorni per strada?
La sapiente fantasia è capace di creare situazioni che sfiorano l’erotismo puro, quello di un certo Foscolo, poniamo, o di un D’annunzio, se non di un Rimbaud.
Una poesia quella della Vincenti, elegante, saffica, impetuosa (Prevert), con effetti segmentati (A. Merini, De Juredicibus), o è semplicemente, si fa per dire, la chiave dianoica di lettura di quel mondo mistico, intimo, alla maniera del “Cantico dei cantici”, dove solo al Padreterno è consentito entrare? Oppure è evasione da una realtà inutile, materialista che nulla concede al sogno, al bello, all’ineffabile? O ancora, è la carne che si ribella, che reclama schiacciata dagli “ismi”?
Il suo è certamente un grido esistenziale dell’“esserci” e lei lo fa altalenando tra il sacro ed il profano, una confessione che ha tutto il valore del testamento spirituale attraverso un eufemistico “mentire”.
Comunque interpretiamo la poesia della Vincenti il dubbio rimane, anche se non ci sembra difficile “tatuarla” col marchio di “bugiarda”, almeno nel rispetto di quel mondo, per aprire il quale solo l’autore ne possiede le chiavi. Una cosa è certa e la suggerisce lo stesso Rimbaud: – Dovrei avere un mio inferno per la collera, un mio inferno per l’orgoglio e l’inferno della carezza: un concerto di inferni. – Un sillogismo che fa tremare e riflettere per l’incoerenza di una vita non vissuta appieno. Ne consegue un atteggiamento “angelicamente” schizofrenico con conseguente e dolorosa crisi di insofferenza, un rifiuto insurrezionale, ovattato all’esterno, avverso alla realtà del quotidiano, del “perbenismo” colpevole”, se non del bigottismo da teatro.
In un’eterna commedia del consueto la poesia rappresenta, per la Vincenti, la cosiddetta “Isola che non c’è”, ma che invece esiste in quella terra fertile e misteriosa della psiche che, avviandosi sul terreno della dissociazione, è alla costante ricerca dell’Io, quello che vive, pulsa, grida, gioisce, sussulta, si dispera, gode nel silenzio dell’immagine vivificata dai sensi, proprio come l’aforisma, riportato nel retro di copertina, di Alda Merini.
Ma forse tutto ciò fa parte di quel tomo infinito che racchiude “i sacri difetti del poeta”. Non sempre purtroppo è proprio così perché l’esistenza in vita di tanti, troppi “poeti cani” potrebbe dimostrare il contrario anche se, contemporaneamente, si rafforza la convinzione che solo il vero poeta resta oltre il tempo esistenziale conquistandone lo spazio.
La parola da sola è arida, ha invece bisogno di luce, di colore, come il segno nell’arte figurativa, ma c’è di più: essa si evolve e palpita di nuova bellezza se “abita” il verso; in tale veste non inquina ma purifica, si esalta attraverso un procedimento che non è blasfemo affermare che ha del miracolo. E’ consequenziale, pertanto, dire che il verso si nutre di talenti, o viceversa e non di talentuosi, è il caso della Vincenti che ci pare possegga virtù non comuni; il suo stesso dipingere non è azzardato definirlo “poesia per immagini”.
Noi qui non ci poniamo il problema di analizzare verso per verso la sua poesia, questo compito lo lasciamo al lettore intelligente o al letterato. Qui ci corre l’obbligo di illustrare, per quanto possibile, pur ripetendoci di tanto in tanto, le qualità intrinseche, le chiavi di lettura della sua poesia.
Attraverso uno stile originalissimo ed autentico, che traduce una personalità invero molto complessa, la nostra autrice si avvale di una linguistica ricca ed ardita per certe figure di pensiero come l’ossimoro, il climax, certi sviluppi connotativi e denotativi ed ancora antinomie.
Un’ironia sferzante e pur sempre elegante fa capolino con discrezione ma tale da creare anamorfosi, specchio deformante posto in una scena circoscritta. Lo stesso termine “bugiarda” nasce da un evidente “back-ground” e cioè il proliferare da esperienze passate, ambigue o reali, quale retroterra culturale di un “vissuto” immaginario, tanto da “scivolare” in un borderline, se non proprio bugiardo, sicuramente altrettanto ambiguo. Qui l’amore e i sensi che ne prorompe e sprigiona è visto e sofferto come catarsi e come ricerca di un limite “altro”. Non enfasi ma anelito, parola che transustanzia attraverso un giro vizioso che perviene alla supplica, al bisogno di ricevere quale presupposto per dare.
Per arrivare a tali confini l’autrice non disdegna certe soluzioni entropiche preferendo, di conseguenza e per innato pudore, un ermetismo allucinato e illuminante. Ma c’è di più: un senso mistico dell’amore pare invadere non solo il cervello e l’ipersensibile ma anche tutto l’essere proiettandosi, spesso, su un tessuto o modulo narrativo post-romantico volto ad assorbire l’universo reattivo dei sensi, una gestione gestaltica del rapporto sensibile che si agita tra percezione e mondo riflesso. La poesia della Vincenti non può essere vista, di conseguenza, dal buco della serratura, bensì attraverso un grandangolare affinché vengano colte, afferrate a volo tutti quei particolari esplodenti che contiene.
In conclusione possiamo affermare che la sua è poetica di tipo icastico e cioè rappresentazione per immagini che crea teatro, scena, vita rappresentata. Ogni poesia è scheggia dell’esistenziale, scheggia di un rituale esoterico, trasformazione dal reale a mito, quasi fosse un personaggio unico, ossessivamente riflesso eppure sempre nuovo ed originale nel manifestarsi nell’eterna commedia di una vita fortemente interiorizzata e che va ben oltre il pensiero del poeta francese Guy de Maupassant quando afferma che: – La vie c’est une scene immense où chaquin représente une scenette. –
Con la Vincenti ci troviamo in un deserto inaccessibile e infuocato popolato di anime che vivono in un corpo solo. Ella cerca il “vaticinio in un aggettivo, il vaticinio, non la deduzione”.
Se finora abbiamo parlato dei contenuti, degli indirizzi nella poesia della nostra Manuela, altrettanto doveroso ci sembra, se pur brevemente, parlare della forma. Il suo verso gode appieno di quell’insostituibile binomio musicalità ed armonia che non può e non deve prescindere dai contenuti e infatti rispondono perfettamente all’interrogativo di Cicerone: “Cos’è la poesia se non la musica delle idee?”.

Nic Giaramita


Diario di una bugiarda


Tristezze luciferine

L’anima smise di librare in volo
e ciò che rimase
fu solo arida desolazione.
Ma il cuore batterà mai per l’amore
tanto agognato?
Solo una volta
sentii l’anima gioire e ghindarsi a festa:
il cuore vivace pulsava
le emozioni
vestite dei sentimenti più nobili
danzavano
da stella a stella… da Luna a Sole… da mondo a mondo…
Le sue carezze: canti parnassiani!
Angelo Caduto d’obliò cercai
ancora
provai ad afferrarlo
come coltre di fumo nero si dissolse…
Come poter credere che tutto ciò era amore profondo?
Comprendeva inferno, paradiso e mille altre dimensioni!
Fruscio d’ali d’angelo, artigli insanguinati di demone
Cos’eri? Che importa,
Io ti amavo.


Sad song

…E mi ha lodato e mi ha disprezzato,
e mi ha amato e mi ha odiato…
La sua utopica principessa – la sua psichica schiava.


Aneurisma sentimentale

Se vuoi
ti verrò a trovare nei lunghi cimiteri
che percorrono
come il sangue nelle vene
l’anima mia.
Mi perderò al centro del labirinto
della mia agonia.
Nutrirò confusione
fino a ragionare…
Se vuoi, solo se vuoi.


Ed io sarò lì…

Ho passato la notte a sognare il mio radioso peccato
Ho passato il mattino a meditare i suoi inferni
Passerò il giorno a desiderare la sua anima vespertina
finché non tramonta il sole.
Domani, all’alba
raccoglierò tutto e ne farò un falò di pensieri
con le mie contraddizioni danzanti tutt’intorno.
Ed Io sarò lì
sul fuoco
come una giovane strega condannata al rogo.


…Come la Porpora”

Io
sua Luce
tetra ai mille abbandoni
strappavo nivee ali.
Dunque, le parti sono cambiate:
perdo così tanto sangue…
Guarda! ho tutti i vestiti inzuppati
e macchiata di questa colpa
girovago dentro me stessa
segnando tiepide coperte
che tanto hanno aiutato
ad occultarmi alla vita.


Illusione psicolabile

Emozione indefinita
rinnegata
Occhi che smentite il nascente amore
dite il vero
dite che l’amate
che non potete far a meno di Lei
dei suoi crucci, dei suoi capricci
dei suoi amabili difetti…
Dite che l’amate
e incontrerete i suoi occhi innamorati
riflessi nei vostri.
Ragnatele di passioni forse
troppo sottili e flebili
per un futuro insieme…


Porcelaine

A volte
quando mi fanno sentire una bella bambola di porcellana
muta
senz’anima
fredda
medito di non saper amare…
Essi non sanno che la notte
quella bella bambola piange preziosi diamanti
graffiando un cuore che più non le appartiene
un Cuore
che segretamente
ha saputo amare più d’altri.


Diniego

Ho imparato ad amare l’orrore
A sentire in un suono incessante il silenzio
Ho trovato nella morte l’Amore.


Dubbiomania

È stato mai Amore?
È stato mai un sentimento nobile
il mio
nei tuoi confronti?
Che importa…
Il tuo era peggio
superava dubbi, incertezze,
manie…
Cos’eravamo?
Due corpi
lontani
senza un’anima
perché anch’esse s’erano perdute.


www.cercasi.Love

Cerco occhi di mare
(dove annegare)
e capelli di sole
(dove passare le ore)
in cambio
le mie palpebre innamorate
(che da tempo sono assetate).


Sabba Poetico delle mie invenzioni

Era mezzanotte meno cinque minuti quando mi ritrovai adamantina e selvaggia, con in mano un violino stridulo all’ingresso del mondo. Non era il primo viaggio che facevo. Chiuso a chiave il ripostiglio delle menzogne, percorsi strade dai sentimenti opposti, arrivando all’Onirico giocai con gli animali della notte (rinchiusi in bottiglie ambrate). Incontrai grigi gufi silenziosi che osservavano gatti neri rincorrere topi bianchi; il caldo afoso portava allo scoperto persino gechi dai mille e uno riflessi… gli insetti sparivano nelle loro agilità argentate dalla Luna che rendeva capolavori di preziosa filigrana gli immensi ricami di Mantidi innamorate (tavole apparecchiate al lume di candela dal retrogusto macabro ed eccitante)… e poi serpenti, pronti a svegliarsi ad ogni soffio di flauto per poi ricadere in ceste nere e ricciolute.
Nel cielo plumbeo, accanto a pipistrelli drogati di fama, stava il drago delle mie visioni, avanzava con liquide ali, impavido, folle. Come nivea siringa entrai in lui, svelta, indolore. Mi riconobbe. Lo cavalcai fra le stelle e le nubi. Arrivati all’orizzonte mi gettò nelle vertigini dei distorti colori mentali. Amabili ronzii amorosi, ricchi d’elettrici rumori imbevuti da musicale alcool ora ricordano stille d’assenzio gocciolare nei secoli che tintinnano alle nostre spalle tatuate d’incoscienza.
Tra tacchi a spillo e piercing mi svegliai ubriaca d’irriverente arte, in mezzo a vomiti di verdi parole che puzzavano di stupida acidità intellettuale, in mezzo a lussuosi pavimenti macchiati di livida vita, dove orme sconosciute troneggiavano fedeli. Mi alzai con caos babelico, temendo per la mia sinfonia, ma lo spartito era lì davanti a me, pulito, intatto. Il drago dagli occhi tetri e immacolati mi fissava sottocchio. Allora presi l’archetto e suonai fra le vene del suo cuore squamoso, suonai fra i suoi nervi che zampillavano da una nota all’altra… infine con lamenti di piombo confezionai l’ultima ancora dalle palpebre chiuse. Le conclusive reminiscenze le ebbi fra le braccia di Morfeo, le conclusive tracce fra le sue lenzuola, prima che il sonno mi rapisse in estasi profonde.
E fu mattino quando il rimmel insieme ai suoi apocrifi e fittizi brillanti mi abbandonò, insieme al suo saccente rossetto che colorava pallide notti, insieme ad aderenze fatte di lurex e jeans.
E fu mattino quando l’emicrania ci svegliò, immersi in quel che rimaneva del fumo variopinto dei nostri sbagli. I capelli odoravano ancora d’ore insonni…
Stavo per sbadigliare sogni bugiardi, quando con la barba appena spuntata mi desti un bacio punzecchiante, quando ti alzasti con un sorriso erotico, apristi le tende del mattino e mi tirasti un cuscino in testa: “È domenica mattina, svegliati dormigliona!”
Giunta alla stazione dei sensi vidi la fine del mio sabba poetico. E aprendo un occhio appena sussurrai: “Di già?”

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