Il sentiero sull’acqua

di

Marco Crescenzi


Marco Crescenzi - Il sentiero sull’acqua
Collana "I Gigli" - I libri di Poesia
14x20,5 - pp. 52 - Euro 8,00
ISBN 978-8831336505

eBook: pp. 48 - Euro 3,99 -  ISBN 9788831336673

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In copertina: «Three Sisters Beach» © Philipp – stock.adobe.com


Prefazione

La silloge di poesie di Marco Crescenzi, dal titolo “Il sentiero sull’acqua”, rappresenta un “diario poetico” d’un simbolico viaggio interiore, come scrive il poeta, che proietta in una dimensione di rivelazione metafisica, lambisce luoghi misteriosi e percezioni fluide catturate in una rete immateriale, costantemente alimentate dalla visione lirica del poeta.
Se la Poesia deve essere incantamento ed evocazione d’una dimensione superiore, si può ben dire che la Parola poetica di Marco Crescenzi catapulta inesorabilmente in nuove dimensioni e alimenta i significati dell’umano vivere, attraverso una costante esplorazione dell’universo emozionale e delle più labili percezioni dell’animo, fino a ricercare la substantia stessa del significato del nostro esistere.
La sua visione lirica risulta precisa e limpida, capace di creare una poesia intensa e penetrante, costantemente protesa ad una riduzione, ad una scarnificazione montaliana, evidenziata dal poeta che scrive: “Io tolgo alle mie parole il superfluo”, come a cercare la “coreografia perfetta” del proprio cuore lirico.
Marco Crescenzi ama la poesia e si nutre alla sua sorgente perché la poesia aiuta a vivere, come scrive lo stesso poeta, riprendendo una famosa riflessione di Todorov in relazione al ruolo della letteratura.
Tali evidenze diventano essenza stessa della concezione lirica del poeta: grazie a tale visione l’universo interiore si espande e lambisce luoghi sconosciuti, penetra nuove dimensioni, invade il mondo dell’invisibile: il processo di conoscenza fluttua sulle onde del mare che diventano, simbolicamente, il tappeto blu dell’Essere, come a lasciarsi andare ad un lento abbandono in libertà.
Nella concezione del poeta la vita è un “viaggio / di parole silenziose” che il poeta “insegue” alla sorgente del cuore, cercando di preservarle dall’ingiuria del tempo, tentando coraggiosamente di custodirle nell’animo, e il desiderio intenso di vita, tra tempeste sofferte e vortice di sogni, immagini e segni simbolici su sentieri ormai dimenticati, conduce a ricercare la sua posizione esistenziale, in definitiva, l’autentica essenza del vivere.
Il processo d’indagine vuole aprire un sentiero nelle emozioni, creare un varco nel mistero del reale, ma tutto ciò include aver affrontato perigliose tempeste esistenziali e sentimentali: tale travaglio non potrà che condurre ad una rinascita.
Ecco allora che l’armamentario lirico si miscela di frammenti immaginari, di ricordi che si insinuano nella memoria, si inebria di profumi lontani, di parole che hanno funzione simbolica, e tale amalgama di carne e di spirito, di visioni liriche e coscienza, crea un’effervescenza feconda, un’esaltazione irreale protesa ad un rinnovamento interiore fatto di incanti e onde tempestose, di vibrazioni ed evoluzioni, trasfigurazione e purificazione, che conducono al sigillo lirico del poeta: “Sono il mendicante/di una nuova resurrezione”.

Massimo Barile


Il sentiero sull’acqua


Al marinaio dall’occhio scintillante
che, una sera di tanti anni fa,
fermò la mia corsa solitaria al porto
e, mentre puliva le reti, mi disse:
abbi coraggio e prendi il largo.


Premessa

Queste pagine, queste poesie sono state trovate in un barcone abbandonato sulla riva tra salvagenti e vestiti strappati. La raccolta è un diario poetico di un viaggio: poesia sopravvissuta ad una tragedia.
A mio parere è evidente che alcune pagine sono andate perdute ed alcune composizioni sono incompiute. Ho voluto pubblicarle comunque perché sono convinto di quello che Novalis scriveva nel XVIII secolo: “il vero lettore deve essere l’autore ampliato”.
I lettori completeranno ciò che manca o semplicemente lasceranno la porta aperta a mille possibilità.

Leggendo questi versi mi sono chiesto che cosa possano dire a persone sommerse da frasi, messaggi ed articoli quali siamo noi lettori dell’era dei social network, dell’era dell’ipertrofia delle parole.
Alla Poesia chiediamo sempre che ci evochi qualcosa, che ci apra nuove dimensioni e significati; vorremmo che i versi risolvano gli enigmi delle nostre esistenze. Dalle poesie pretendiamo “la parola che squadri da ogni lato l’animo nostro informe” e “la formula che mondi possa aprirti” come scriveva Eugenio Montale.
Cerchiamo, inoltre, in qualche modo, ciò che nel capitolo VIII del trattato Del Sublime l’autore anonimo definisce “la risonanza con una grande anima”.

Perché pubblicare un libro di poesie?

La risposta a queste domanda l’ho trovata in questo brano di Tzvetan Todorov:
“Quando mi chiedo perché́ amo la letteratura, mi viene spontaneo rispondere: perché́ mi aiuta a vivere. Non le chiedo più̀, come negli anni dell’adolescenza, di risparmiarmi le ferite che potevo subire durante gli incontri con persone reali; piuttosto che rimuovere le esperienze vissute, mi fa scoprire mondi che si pongono in continuità̀ con esse e mi permette di comprenderle meglio. Non credo di essere l’unico a pensarla così̀. Più̀ densa, più eloquente della vita quotidiana ma non radicalmente diversa, la letteratura amplia il nostro universo, ci stimola a immaginare altri modi di concepirlo e di organizzarlo. Siamo tutti fatti di ciò̀ che ci donano gli altri: in primo luogo i nostri genitori e poi quelli che ci stanno accanto; la letteratura apre all’infinito questa possibilità̀ d’interazione con gli altri e ci arricchisce, perciò̀, infinitamente1

Queste poesie a me hanno donato qualcosa. Non so se l’autore abbia ritrovato i personaggi di cui parla. Non so se suo padre sia ancora vivo. Non so se abbia mai avuto un figlio. Le sue parole però hanno aperto mondi che si sono posti in continuità con le mie ferite.

Dalla lettura, ho capito che l’autore aveva (ha?) una buona cultura letteraria. Ci sono evidenti riferimenti a opere della letteratura mondiale. Non ho voluto appesantire le pagine con note e riferimenti, il lettore saprà riconoscerli. Quelle frasi hanno una funzione simbolica ed evocativa di mondi ed atmosfere. Credo che il suo sia stato il lavoro dell’ape che descrive Giulio Camillo nel Discorso in materia del suo theatro quando parla dell’imitazione: “l’ape, la qual, benché faccia il suo mele dalla virtù de’ fiori, che non è cosa sua, nondimeno essa la trasforma, che non possiamo nella opera sua riconoscer quel fior in questa, o quella parte del mele sua virtù mettesse, anzi si come tutto il mele venisse dalla virtù dell’ape, essa ce lo apparecchia, e chiamasi mele e non più fiori2”.

È evidente inoltre la sua formazione scientifica. In alcune poesie è come se avesse tentato di esplorare la terra di confine tra i diversi saperi.

Non mi è chiaro come sia riuscito a sopravvivere alla tempesta di cui parla. Spero solo che, se leggerà questo libro, possa pensare che il suo viaggio interiore in fondo non è andato perduto.


1 TODOROV T., La letteratura in pericolo, Garzanti, Milano 2008, pp. 16-17.

2 CAMILLO G., L’opere di M. Giulio Camillo, Appresso Fabio, Venezia 1584, p. 201.


Chi capirebbe dove dirigersi e per dove ritornare, se talvolta qualche tempesta, ritenuta avversa dagli stolti, non spingesse, nonostante le accanite resistenze, noi smarriti e inconsapevoli, sulla desideratissima terra?

«La felicità» – Sant’Agostino


Queste esistenze
Eterne
sospese
immobili in un attimo
sono storie di mare
e di mondi sommersi.

Erano carne
ora sono immagini,
erano respiro
ora sono parole,
erano sangue
ora sono emozioni.


I

La mia vita
è questo viaggio
di parole silenziose
inseguite
alla sorgente del cuore,
dove non si consuma l’amore
perché misteriosamente
vive in eterno.


II

Da sempre, il faro dipinge
con pennellate costanti
la linea di confine
tra Essere e Nulla.

Centro della costa,
disegno dell’infinito,
un punto fermo
nelle contraddizioni umane.

Un campanile sacro
alle donne dei naviganti
con in cima una Croce
fatta di luce.

“Una torre argentea,
nebulosa
con un occhio giallo.”

Tutta la nostra Storia
in quegli occhi solitari:
romani e bizantini,
olandesi e veneziani,
pirati e naufraghi,
conquistatori e commercianti,
navi cariche di sale, olio ed armi.

Le sue pulsazioni
fanno affluire
nelle arterie dell’anima
ricordi di emozioni,
immagini di giochi
e suoni di canti immaturi.

Alla sua luce, la voce
di mio padre Anchise si fa chiara
e affatica la mia mente
di istanti perduti:
l’isola di Delo,
la ricerca dell’Antica Madre.


III

Aeneas, Figlio mio,
guarda, il Padrone conosce
il logorarsi delle reti,
il banco ed il fondale,
chiama i pesci per nome
a seconda delle stagioni.
Ha scelto l’albero ed il timone,
la rotta
è geometria dell’esperienza.

È tutto nella Sapienza del Vento
ed il mestiere di governare le vele
è tutta la nostra parte.

Consider Phlebas, who was once handsome and tall as you
La Storia, la tua storia, le storie di tutti.
Onde del Tempo
gonfiarsi e sgonfiarsi
crescere e diminuire
salire e scendere.
Onde del Tempo
correnti di sogni
vortici di delusioni
tempeste di rabbia
maree di tristezza.

Non ti so svelare i segreti dei fondali,
non ti so mostrare isole nuove,
non ho una nave da lasciarti.

L’amore per questa ritrovata Eternitá,
il malinconico “pensare al ritorno
sul dorso vasto del mare”
è la mia eredità
ed una manciata
di cuori, canestrelli e murici
nelle mie inadeguati mani di padre.


IV

I tuoi occhi
dopo il parto
appena aperti
piccoli spiragli nocciola
nel cuore di Dio.


V

Noi migranti siamo re in esilio
alla ricerca di un’eredità da lasciare.
Figli sognatori che sperano
un’isola di Bensalem da fecondare.

Alla sera, quando
invertendo il suo corso
la brezza inonda la costa
di profumi lontani,
bruciamo incensi di desideri,
depositiamo le nostre suppliche
sulle onde viola ed arancioni.

Soli nei nostri vestiti usati
attraversiamo
terre aliene e lingue sconosciute.

Avanziamo con immagini e segni
su sentieri ormai dimenticati.


VI

Lasceremo domani i lidi siciliani
in fuga dalla guerra e da noi stessi
da anni.

Dentro di me cerco
la carta nautica,
con il sestante
la mia posizione esistenziale.

Occhi diffidenti
pugnalano il mio respiro,
si stringono i denti
in un ghigno di disprezzo.

Elemosino un po’ di calore
nello sguardo di una donna al banco
che sciolga la mia solitudine
fatta di notti all’addiaccio.

Una storia che non ho deciso la spaventa
e il mio cuore sanguina di amarezza.
Qualcuno leggerà il mio viso?
Qualcuno aprirà questo libro?


VII

In questa notte del mondo
i pescatori,
cuori gonfi di speranze
e mani sporche di pece,
sprofondano al largo
a ripetere cerimonie
vecchie di secoli.

La luna traccia
la sua strada
di spuma bianca
su una pianura
di piombo liquido.

Un gatto solitario
sorveglia le barche rimaste
che dormono
e il vento fischia
tra le catene.

Il mare dona sospiri
a cuori insicuri
ed io, in queste strade
sempre vuote
color panna
di lampioni,
senza il conforto
di tutti i passi
alle mie spalle,
sono il mendicante
di una nuova resurrezione.

[continua]


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