Con questo racconto è risultata 6^ classificata – Sezione narrativa alla X edizione del “Premio di Poesia e Narrativa La Montagna Valle Spluga 2009
«Una vacanza in montagna (1995)»
Era cominciata male quella vacanza. Già alla partenza c’erano state delle difficoltà. Dopo un paio di giorni frenetici al mattino di buon’ora Chiara ed i suoi genitori si preparano, chiudono luce, acqua, gas, porte e finestre e partono.
Dopo circa un’ora e mezza di strada, in prossimità del casello autostradale al padre, il guidatore, viene in mente che forse una finestra non è stata chiusa, ci pensano un po’ continuando a viaggiare poi si fermano, ci ripensano, si consultano e decidono di tornare indietro, non si può rischiare di lasciare aperta una finestra per una settimana.
Tornati a casa si accorgono che in effetti una finestra era rimasta aperta, quindi ricontrollano tutto e ripartono.
Durante il viaggio compiono diverse soste, per rifocillarsi e far divertire Chiara in un parco giochi posto lungo la strada. Nel tardo pomeriggio giungono a destinazione.
A dar loro il benvenuto all’ingresso del piccolo borgo montano dove avevano prenotato appare una diga in pietra grigia a limitare un bacino vuoto. I pendii sono rosseggianti di erbe già toccate dalle prime nottate fredde, preludio d’autunno benché siamo ancora alla fine di agosto, ma il luogo è a circa duemila metri d’altitudine. Il cielo è grigio, tonalità tipica di tutto il paesaggio.
Lungo la strada scarsamente illuminata, siamo ormai all’imbrunire, c’è un gruppetto di case allineate sul lato destro, a sinistra una chiesa grande emana dalla porta spalancata una luce vivida, l’unica del paese, come un faro per il naufrago in cerca di un porto sicuro e vigila il passo, punto obbligato per il transito verso una terra straniera.
Lì vicino, sotto una tettoia le mucche all’abbeverata sono pronte a dare il loro buon latte lavorato subito nella vicina casera.
Li accoglie l’albergo al passo, con un fascino d’altri tempi: luci soffuse come candele, la loro stanza foderata di caldo legno scuro che talvolta scricchiola come a risuscitare i fantasmi degli ospiti passati: frontalieri, spalloni, finanzieri, emigranti, fuggiaschi, disperati e avventurieri.
Consumano una cena a base di buonissimi prodotti locali con il proposito di fare delle belle escursioni in quella breve vacanza per ritemprarsi in un ambiente dall’aria pulita e frizzante senza rumori molesti.
Chiara si sente inquieta, le gite in montagna non l’appassionano ma stavolta è preoccupata soprattutto perché non sta bene anche se apparentemente non ha nulla, si sente stanca, talvolta le sembra che le manchi il respiro ma tace per non allarmare la mamma che si preoccupa sempre per un nonnulla.
L’indomani s’incamminano per un sentiero diretti a un rifugio, Chiara è affaticata, rimane indietro, si ferma dopo pochi passi richiamata dai genitori sbuffanti che conoscono la sua pigrizia e la sua avversione alle camminate in montagna. Al rifugio non arrivano mai e presto prendono la via del ritorno perché nel primo pomeriggio grossi nuvolosi si addensano nel cielo, poi comincia a piovere e la notte piove tanto, per cui il giorno successivo decidono di fare un giretto in macchina oltre il confine.
Superato il passo, dopo una serie di tornanti in discesa giungono nel primo paesino straniero, modesto ma molto ordinato, è un agglomerato di vecchie case, alcune addirittura in legno: povero paese di frontiera di una terra ricca. Non c’è gente in giro e per i turisti c’è poco da vedere. Rimangono stupiti quando vedono, indicata da un minuscolo avviso la chiesa cattolica situata al primo piano di un piccolo edificio, sopra un negozio. Quale differenza con la chiesa monumentale al passo! Lassù è la costruzione più imponente, qui la più modesta, nascosta come se si vergognasse di esserci.
Il tempo è incerto per tutta la giornata, di una variabilità spiccata tipicamente inglese, sprazzi di sereno si alternano a brevi acquazzoni e in serata riprende a piovere. Cade una pioggerella fitta, continua e fredda per tutta la notte.
“Montagna maledetta perché proprio adesso mostri il tuo aspetto peggiore, sembra proprio che tu ci voglia mandare via, ma noi resistiamo!” pensano i due adulti.
Il giorno successivo è ancora peggiore, un grigiore mattutino si trasforma ben presto in una pioggia battente e continua per tutta la giornata. I tre rimangono chiusi nella loro stanza scura che accentua l’atmosfera lugubre.
Chiara continua a preoccuparsi nonostante la mamma cerchi di tranquillizzarla, sembra un disturbo da niente, non ha febbre, solo qualche puntino rosso qua e là e dei lividi forse dovuti a una reazione allergica o a qualche urto. Si aggrappa allora alla sua Mamma celeste visto che quella terrena, nonostante sia particolarmente ansiosa, troppo ansiosa, stavolta non dà segni di preoccupazione.
E prega, prega con la forza dei suoi undici anni, con disperazione mentre vede passare in attimo davanti ai suoi occhi tutta la sua vita: il bruchino a rotelle giocattolo preferito della sua infanzia, l’asilo nido con le tate che la coccolavano tanto, la scuola materna dove aveva conosciuto le prime difficoltà quando le suore volevano insegnarle i numeri e le lettere mentre lei voleva ancora giocare, il suo primo campo scout dove aveva conseguito la specializzazione di giornalista; poi vede una luce in fondo a un lungo tunnel e la fiammella di una candela affievolirsi.
Piange a lungo silenziosamente mentre i genitori parlano fra loro concordando di andarsene anticipando di quattro giorni la partenza. Chiara ode le voci dei suoi genitori sempre più lontane e un poco tranquillizzata si addormenta.
L’indomani fa piuttosto freddo dopo tre giorni di pioggia, il cielo si rischiara un poco, ma ormai hanno deciso, preparano in fretta i bagagli e partono.
Scendono rapidamente attraversando diversi ridenti paesini posti lungo i tornanti, si fermano sul lungolago per una brevissima sosta, fare una fotografia, bere un bicchier d’acqua, si voltano e vedono con stupore il profilo della montagna netto e pulito stagliarsi contro un cielo color cobalto e specchiarsi superbo e narciso nelle acque lacustri.
Giunti a casa Chiara viene visitata dal pediatra. Il medico impassibile prescrive un’analisi del sangue effettuata la mattina successiva. Poco dopo il rientro a casa dal laboratorio d’analisi giunge una telefonata inquietante: si avverte di portare immediatamente la bambina nel più vicino ospedale senza farla piangere perché i valori ematici relativi sono “incompatibili con la vita”.
Condotta con uno stratagemma in ospedale inizia una serie di terapie e di controlli che si protrarranno per mesi fino alla guarigione resa possibile anche dalla tempestività dell’intervento.
Come un padre burbero per il bene dei suoi figli la montagna aveva fatto la voce grossa affinché Chiara potesse ritornare dieci anni dopo ad ammirare i suoi prati fioriti dove raccogliere miosotys, ranuncoli, genzianelle da disporre poi in un piatto con gli steli al centro fermati da una pietra e trovarli il giorno successivo con le corolle rialzate come in una gigantesca murrina, e a passeggiare nei suoi boschi incantati, a camminare, si, a camminare verso le vette dove i circhi glaciali divisi da creste aguzze sono percorsi da ruscelletti, cascatelle, zampilli che disegnano arabeschi bianchi sulle rocce grigie.
Montagna benedetta!
E grazie, tante grazie al dott. Mammini.
Maria Calistri