Con questo racconto è risultata 7^ classificata – Sezione narrativa alla IX Edizione del Premio di Scrittura Creativa dedicato a Lella Razza 2013
Nebbia
(anni ’80)
Densa, impalpabile, lattiginosa, una fitta nebbia ovatta le case, le strade, gli alberi, anche i rumori sembrano smorzati, la città assume contorni più limitati e meno definiti.
Dalla finestra del salotto, con la fronte e il naso schiacciato contro il vetro, Paola osserva le persone che passano svelte sul marciapiede di fronte, tutte comprese nel loro andare come se quello che stanno facendo in quel momento fosse la cosa più importante della loro vita. Già, ma qual è la cosa più importante della vita?
Paola immagina che da grande farà tante cose importanti, affascinanti, che riempiranno la sua vita, le daranno molte soddisfazioni mentre ora si annoia, tanto. Ha giocato finora con le costruzioni, la bambola, guardato i cartoni animati alla televisione, letto i giornalini, il libro della biblioteca dopo aver svolto i compiti che le ha assegnato la maestra ma in quel pomeriggio lungo, uggioso, pensa che tutto quel che fa serve a riempire un lungo e inutile periodo d’attesa prima di diventare grande come il babbo e la mamma.
In quel momento i genitori sono fuori, in casa con lei la nonna lavora all’uncinetto mentre osserva pensierosa quella sua ultima nipotina che talvolta la cerca per giocare a carte o per farsi raccontare delle storie ma poi se ne sta per tanto tempo sola e silenziosa con i suoi giocattoli o alla televisione o sdraiata sul letto a leggere. Ad un tratto Paola si stacca dalla finestra, corre improvvisa dalla nonna e:
– Nonna, ma tu da piccola cosa facevi? – le chiede.
– Perché me lo chiedi cara? – risponde la nonna.
– Voglio sapere come facevi a passare il tempo – continua la piccola.
– Ma il tempo passa da solo e anche alla svelta direi, il tempo non bisogna lasciarlo passare senza far niente, non bisogna sprecarlo il tempo, è un bene prezioso! – e la nonna inizia uno dei suoi soliti sermoni.
– Ma cosa facevi? – insiste Paola.
– Aiutavo la mamma a fare le faccende, badavo i fratellini…–
– Ma no, da piccola cosa facevi nonna? – la interrompe la bimba.
– Si, da piccola, quando avevo la tua età, c’era Fosco che aveva quattro anni e Vasco di un anno e altri tre un po’ più grandi, la mia mamma aveva tanto da fare: doveva andare a prendere l’acqua a secchi alla fontana perché non c’era l’acqua in casa allora e per lavare i panni andava nella forra dove in inverno a volte c’era una lastra di ghiaccio sull’acqua, non c’erano le lavatrici allora. –
– Ma non aveva freddo? –
– No, si, si aveva freddo ma, c’era abituata e si riscaldava sbattendo con forza i panni sulla pietra del bozzo, aveva i geloni alle mani ma era forte la mia mamma, pensa che durante la prima guerra mondiale, mentre mio padre marciva nelle trincee del Carso, mandava avanti da sola il podere con tre figlioli da badare e non aveva ancora trent’anni, e dopo ogni parto andava a Firenze all’Ospedale degl’Innocenti a prendere ad allattare un nocentino per avere dallo stato quei soldi che le servivano per pagare l’opre che nei campi vangavano a grano, molto importante a quei tempi per la sopravvivenza. E anche mia suocera col marito in guerra, rimasta a casa sola con sei figlioli lasciava i più piccoli con tuo nonno Giulio al caldo nel metato dove seccavano le castagne e con i due più grandi andava a vangare a grano. Il lavoro minorile era molto diffuso allora, appena si poteva aiutare c’era qualcosa da fare anche per i bambini: far l’erba ai coniglioli, governare le galline, pascolare il maiale o andare a prendere l’acqua alla fontana. Io stessa all’età di dodici anni fui mandata a Roma a badare una bambina che mia madre aveva preso ad allevare. Ci stetti circa tre mesi poi scrissi a mio padre che mi venisse a prendere perché in quella casa c’era un uomo che mi molestava. Tutte le donne o quasi prima o poi nella loro vita in modo più o meno pesante hanno subito molestie – concluse seguendo i suoi pensieri.
A questo punto la nonna si zittì di colpo pensando di essere andata troppo avanti mentre Paola la guardava con occhi interrogativi ma non troppo sorpresa per ciò che aveva udito, ormai aveva già orecchiato qualcosa qua e là sull’argomento che non la interessava più di tanto. Riprese invece dall’inizio del lungo discorso della nonna:
– E io non fratellini più piccoli da badare! –
– Appunto per questo tu hai tanto tempo per giocare, tu hai tanti giochi, io invece avevo solo un bambolottino che mi divertivo a vestire e a spogliare, gli facevo i vestitini con gli avanzi di stoffa dei miei vestiti che la mamma mi faceva cucire dalla Pia, la sarta che serviva tutto il paese, era molto brava la Pia. –
– La mia Barbie ha già tantissimi vestitini già pronti! –
– Si, è vero è già tutto pronto oggi, l’unico divertimento è quello i romperli i giocattoli, bel divertimento! –
– E allora cosa ci faccio? –
– Ma bisogna invece imparare a costruire – continuò la nonna seguendo il suo pensiero – a costruire qualcosa che duri nel tempo, che serva e mostri la fatica e l’impegno messo. –
– Nonna! Tu mi fai sempre la predica, ma quando io col Lego ho fatto una casetta è finito tutto, se poi non la distruggo non posso fare altro. –
La nonna scuote la testa e si sente in quel momento molto vecchia pensando alla sua infanzia, al duro lavoro dei suoi genitori ma concorda con la nipotina tornata intanto a guardare fuori dalla finestra.
Un leggero venticello ha spazzato la nebbia e ora si vede distintamente la selva di cemento inframezzata da radi alberelli fino all’orizzonte, tanta gente vive oggi concentrata in poco spazio, eppure non si conoscono neppure le persone che vivono nello stesso casamento, con infinita tristezza e un po’ di nostalgia la nonna pensa ora ai giochi fatti con le compagne sull’aia, quando la mamma le lasciava un po’ di tempo libero, allora lo sguardo poteva spaziare fra i campi; le persone dello stesso caseggiato si conoscevano tutte, erano pronte ad accorrere in caso di bisogno, poi magari spettegolavano sulle disgrazie altrui; in inverno ci si scaldava al fuoco, si bruciava da una parte e si gelava dall’altra perché da sotto la porta consumata entrava sempre il vento gelido dato che la soglia era stata avvallata dai passi di chissà quanta gente.
Paola si volge verso la nonna sospirando:
– Come mi piacerebbe andare giù nella strada da sola! –
– Ma non puoi. –
– Perché? –
– Ci sono le macchine. –
– E allora? –
La nonna scuote la testa e pensa alla difficoltà di comunicare con quella bambina che ha tenuto tanto sulle ginocchia ma che sembra vivere in un mondo tanto diverso dal suo, ha tanto di più ma forse anche qualcosa in meno e Paola sembra esserne cosciente mentre interroga la nonna con uno sguardo fisso, silenzioso che la mette profondamente a disagio.
Maria Calistri