Opere di

Maria Francesca Mosca


Con questo racconto è risultata 8^ classificata – Sezione narrativa nella VIII Edizione del Premio di Scrittura Creativa Lella Razza «Frammenti di memoria: una donna straordinaria»


Il Profumo dei ricordi

Fisso lo sguardo sulle mie mani, mentre i contorni dei miei pensieri sfumano nei ricordi alla ricerca di una sterile emozione.
Sono sul treno e sto rientrando alla casa paterna, in un piccolo paese di montagna, perché è morta mia madre.
Non ho mai avuto un buon rapporto con mia madre, non ho mai capito né tantomeno condiviso le sue scelte di vita. Un’immagine sola potrebbe ritrarla per tutta la sua esistenza: sempre vestita di scuro, con abiti informi, i capelli precocemente incanutiti e raccolti in un’antiquata crocchia sulla nuca. Non un filo di rossetto, non tracce di trucco. Grigia.
Perennemente indaffarata nelle faccende di casa o a seguire l’orto o i suoi fiori in giardino, mai con un libro o un giornale in mano. Di cosa potevo parlare con lei? Di marmellate, di conserve oppure di come e quando potare le rose? Non mi interessava.
Appena finito il Liceo, mi sono iscritto all’Università ed ho sempre cercato di tornare a casa il meno possibile, evitando con mille scuse le varie ricorrenze e, dopo la Laurea, godendomi l’elegante atmosfera in cui ero riuscito ad immergermi.
E ora ero qui, a “ perdere ” questi due giorni per il funerale di mia madre . Strano, la vecchia casa di pietra mi è sempre sembrata lugubre, triste. Non ho mai notato quanto fosse invece elegante ed armoniosa nella sua solida struttura, con le scure persiane in legno massiccio, i balconi in ferro battuto e quelle tendine alle finestre a parlare di un rassicurante passato con i loro pizzi e ricami.
Sarà la luce del tramonto…eppure anche il giardino…
Mi sto facendo suggestionare. Ho sempre detestato quel giardino. E’ pieno di rose e le rose hanno le spine. Non ha senso rovinarsi le mani solo per curare dei fiori. Ma questa sera, nella cornice dorata dell’ultimo sole, quelle rose sembrano avere petali di velluto…
Entro in casa. Tutto è esattamente come ricordavo. Avverto però una
strana sensazione di freddo.
Mia zia, la sorella di mia madre, la sua esatta fotocopia a dire il vero, mi guarda con aria di rimprovero e le uniche parole che mi rivolge sono: “Fino all’ultimo ha sperato di rivederti”.
Alzo le spalle. Avevo impegni troppo importanti e, comunque, ora sono qui. Mi immagino le lunghe, noiose ore prima del funerale e vorrei essere già ripartito.
Lei è come sempre, unica immagine di tutta una vita, uguale anche nella morte. Vestita di nero, i bianchi capelli raccolti sulla nuca, le mani inerti che stringono un rosario.
Mi chiedo cosa sono venuto a fare. Mi siedo.
Come stonate note di una sconosciuta canzone i miei pensieri riempiono il silenzio della stanza.
A un certo punto arriva un ragazzo di circa quindici anni che regge impacciato, con aria smarrita, un mazzo di margherite. Le appoggia delicatamente sul letto accanto a mia madre e, mentre si china su di lei, le sue lacrime le accarezzano il viso in un ultimo, dolcissimo saluto.
E’ un’immagine strana. Quasi mi aspetto che mia madre sollevi le sue mani per consolarlo, asciugandogli le lacrime, come faceva con me quando ero bambino…
– “Era una donna straordinaria,” – mi dice il ragazzo – “ero piccolo quando la mia mamma ha abbandonato me e mio padre seguendo un altro uomo nell’illusione di una vita migliore. Papà aveva perso il lavoro. Non avevamo soldi per la legna per scaldarci e neanche per dei pasti decenti. Un giorno si è presentata un’assistente sociale a dirmi che mi avrebbe portato in un bel posto dove avrei potuto stare al caldo, mangiare bene, giocare con altri bambini.
Io sapevo solo che non volevo abbandonare il mio papà, quel papà che mi guardava impotente con occhi lucidi, sfiduciato, deluso dalla vita, ormai rassegnato…Mi sono rifugiato fra le sue braccia dove potevo
scaldarmi anche se non avevamo legna ed ho iniziato a piangere. Papà ha pregato quella signora di tornare il giorno dopo per dargli modo di prepararmi al distacco. Ma l’indomani è arrivata Margherita, la sua mamma. Ha offerto a papà un lavoro come giardiniere dicendo che anche alcune sue amiche ne avevano bisogno e gli ha chiesto il favore di lasciarmi andare da lei alcune ore al giorno, dopo la scuola, per tenerle compagnia.
Era così. Donava eppure riusciva a darti la sensazione di dare e non di ricevere. Come quando, nella vostra bella cucina, impastavamo insieme ridendo i biscotti o le torte e lei mi diceva “ Forse ne abbiamo fatti troppi, non riuscirei mai a mangiarli tutti, mi faresti veramente un piacere a portarne un po’ a casa ”. E io uscivo con il mio fragrante pacco in mano, contento, nella mia ingenuità di bambino, di poterle fare una cortesia. Lei mi seguiva con il suo sorriso….
Sento ancora il profumo dei dolci appena sfornati, ha accompagnato la mia infanzia, la mia adolescenza, accompagnerà sempre la mia vita perché per me è il profumo dell’amore ”-.
Mi sento strano. Come si può definire bella la nostra vecchia cucina, con l’antiquato tavolo di legno dalle gambe tornite ed il ripiano in marmo, il lavello in pietra e la stufa a legna in un angolo?
Bella è la mia modernissima, attrezzatissima cucina….
Eppure mi sembra di provare una punta di gelosia per quel bambino capace di ridere con mia madre mentre impastano insieme i biscotti, per quel ragazzo dall’aria smarrita che assapora il profumo dei ricordi.
Immerso nelle mie considerazioni, non mi sono accorto dell’arrivo di una giovane donna che tiene per mano una bimba di circa tre anni. Appena entra nella stanza la bambina corre verso mia madre e, ridendo, le porge due fiorellini “- Guarda, ho raccolto per te queste margheritine ”-.
Di nuovo quella strana sensazione… Mi sembrerebbe naturale vedere
mia madre prendere fra le mani quei fiori e accarezzare la piccola…. – “ Ero sola” – mi dice la mamma della bambina – “e molto giovane. Dall’Ucraina ero venuta in Italia per fare la badante e stavo seguendo un’amica di Margherita. Un giorno lei, mentre usciva dopo aver fatto visita alla sua amica, all’improvviso ha tolto dalla borsa e appoggiato sul tavolo un paio di scarpette di lana per neonato che lei stessa aveva confezionato, di colore verde chiaro, dicendo: – “Chissà come saranno i suoi piedini?” -. Io sono rimasta senza parole, non avevo confidato a nessuno, neppure alla signora che stavo assistendo, che ero incinta, anche perché, spaventata, non avevo alcuna intenzione di portare a termine la gravidanza. – “Una donna è mamma prima nel cuore e nei tuoi occhi ho letto il tormento al pensiero di separarti dalla tua creatura” – ha affermato – “Ce la faremo, ho tanta lana da utilizzare…” -.
E giorno dopo giorno, mi ha insegnato la gioia dell’attesa.
Al momento della nascita della mia bambina, lei era vicino a me e quando le ho comunicato che volevo chiamarla Margherita, i suoi bellissimi, luminosi occhi si sono riempiti di lacrime e dandomi un bacio mi ha detto: – “Grazie! I bambini sono come i fiori nel giardino della vita. Riempiono di colore e calore ogni attimo, non vanno mai recisi ma coltivati con amore e aiutati a crescere così nel mondo ci saranno splendide,profumate aiuole di uomini e donne capaci di amare e di donare” -. – “Come te” – le ho risposto stringendole le mani e lei mi ha regalato uno dei suoi straordinari sorrisi.
Mi sento a disagio. Non voglio più ascoltare le loro storie. Mi parlano di una persona che non conosco…mi confondono. Il profumo dei loro ricordi suscita in me una strana, sottile vena di nostalgia riportandomi in un mondo e in un tempo da cui prima ero contento di essere escluso.
Ormai è quasi sera. Ed ecco, mentre cerco di non perdermi nei miei
pensieri, entra, silenziosa, nella camera una ragazza. È molto giovane e anche carina. S’inginocchia vicino al letto e, dopo aver delicatamente soffiato un bacio sulle dita, le avvicina alle labbra inerti di Margherita. Invidio la loro intuibile complicità. Poi, all’improvviso, la giovane si alza e, guardandomi direttamente negli occhi, mi dice: «Io non ho mai avuto una famiglia, ero sbandata. Un giorno, in un supermercato, stavo rubando un rossetto, per sfida, per abitudine… Mi si è avvicinata Margherita e, mettendomi in mano una banconota mi ha detto: “Quel colore non ti si addice, è molto meglio questo” e mi ha indicato un delicato rosa antico anziché il rosso acceso che avevo sottratto.
Mi ha disorientata. Non ho visto nei suoi occhi l’ombra di un rimprovero… Come un automa ho acquistato il rossetto di quel colore, lo porto tuttora, lo porterò sempre…
Insieme al denaro c’era il suo biglietto da visita. Lei mi ha fatto credere di aver bisogno di me per confidarmi la tristezza dei suoi momenti di solitudine, l’amaro sapore delle sue nascoste lacrime. In realtà mi ha dato il calore della famiglia che non ho mai avuto, la dolcezza dell’amore di una madre che sa capire e perdonare, il profumo di ruvide carezze mai ricevute. Mi ha affidato con l’ultimo suo respiro un bacio da dare a quel figlio lontano da lei tanto amato, un bacio che ha il sapore dell’eternità perché sa andare oltre i confini del tempo».
Ti guardo mamma e vorrei poter tornare indietro… Vorrei ricevere quel tuo prezioso bacio e perdermi in quell’istante. Troppo tardi ho capito la tua bellezza…
Ora, mentre gli altri hanno la straordinaria ricchezza del profumo dei ricordi che tu hai saputo lasciare, a me non restano che amari rimpianti. Sei circondata dai fiori che hai coltivato nel giardino della tua vita, ne manca uno, forse, m’illudo, per te il più importante.
Scendo e, nella luce del tramonto, raccolgo una rosa. Mi pungo, non m’importa. La appoggio delicatamente tra le tue mani. Il mio sangue sulle tue mani. Mi sembra di cogliere sul tuo volto l’ombra di un sorriso. Nel tuo sorriso… il perdono.

Maria Francesca Mosca



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