...e udrò il canto del mare

di

Maria Organtini


Maria Organtini - ...e udrò il canto del mare
Collana "I Gigli" - I libri di Poesia
12x17 - pp. 40 - Euro 5,50
ISBN 978-88-6037-5704

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In copertina «Martinica» fotografia di Alberto Nobili


Prefazione

“...e udrò il canto del mare”, sembra già molto lontana da “Breve stagione”, silloge inconfondibile tra le altre, dove “la vita attraversa il sogno e il sogno l’ineffabile”. Questa è una raccolta di profezia e di veggenza, ma la Organtini è cosciente di ospitare un ciclo completo della propria vita, attraverso le differenti e generose stagioni della sua poesia.
I multiformi messaggi del passato vengono qui trasfigurati da una fantasia che, ascoltando il tempo, cercano nuovi orizzonti. È l’impegno di attingere dal presente, spesso turbinoso e oscuro, tutte le possibilità che possono rendere migliore l’uomo e la vita: Raccogli per me/un sasso solitaro/ma caldo di sole…
La poetessa è certa di creare, imparò presto ad avvertire “i limiti dell’umano” (Goethe) e il posto della creatura (umana) nel mondo. Lo si comprende da come sappia accostarsi alle forme viventi della natura e ne scopra le leggi profonde: Nei colori del silenzio/si veste la luna pallida/e sfiora le tue gote rosate. Le occasioni di musica e di canto sono infinite, graduali, ritmate, salgono dal raccoglimento alla pienezza interiore: Così le note vibrate dalla goccia d’acqua/giunsero a ferirmi la pelle, soffocavo/di sospiri chiusi tra le vene dei polsi/e il fior di loto si schiuse adagio.
Maria Organtini sa mettere in luce gli stretti rapporti reali del soggetto con l’oggetto, dell’anima con la natura. Rifiuta qualsiasi compromesso con l’imprecisione e l’ambignità. Così, dal mondo visibile, dinamico in cui viviamo, rintraccia la presenza del mistero, della profezia, di Dio e supera l’alterità: Abbandono le nebbie della solitudine/vengo con la mia anima/a sciogliere l’incantesimo.
Eppure l’immagine resta viva, colorita e suscita intorno a sè il suo luogo ora fiabesco, ora cosmico, ora familiare. È un’immagine che evoca e si compie naturalmente, senza fatica: I folletti della memoria/vivono nella notte insonne/ e assumono vesti colorate/ danzano su remote melodie.
L’autrice scandisce nei versi una intrinseca e personale “imago mundi”, l’uomo è una “via vivente a Dio e la vita è Avvento come Avventura” (Guido Sommavilla). Qui di fatto misura se stessa, il suo essere donna e incontra il luogo della oblatività poetica per accoglierne i segni profondi, il silenzio, la lacerazione, la preghiera, la Carità.

Tina Beretta


...e udrò il canto del mare


La farfalla delle ore

Questo cielo agostano
avaro di stelle
mi tiene compagnia
mentre dormono
i fiori sul balcone.
Amore mio,
portami una conchiglia
e udrò il canto del mare.
Raccogli per me
un sasso solitario
ma caldo di sole.
La farfalla delle ore
danza nel tempo
e crea ombre di suoni
che recano la tua voce.


Nei colori del silenzio

Il respiro della terra
sfuma in grigio l’aria silente.
Si rapprende, mistico, il nitore
di albe nate in grotte di ghiaccio.
Nera è la siepe invernale
racchiusi dormono i germogli
testimoni afoni della natura.
Sul terreno disseminano cicatrici
nere i rivoli gelati di brina.
Nei colori del silenzio
si veste la luna pallida
e sfiora le tue gote rosate
dal vento dell’inverno.
Come in un’alcova il manto
bianco della neve copre
i desideri della Primavera
e custodisce i segreti
del chicco di grano.


**Fruscii d’autunno

Ho visto un filo d’argento
trafiggere la selva dei tuoi capelli
dove s’intrecciano amorose le mie dita.
Gioco innocente che strappa a te
risa e rossori.
È bello il rosa delle tue guance
come un tramonto d’estate trasuda
nei pensieri nascosti e i desideri
vietati, ma egualmente vivi
fecondano guizzi d’arte, creano
segni d’aria frammisti a schegge d’ambra.
S’apre il vortice che attanaglia
l’anima ribelle e genera spasimi.
L’Allodola fugge silenziosa nella nebbia
e cerca riparo sotto la vecchia grondaia.
Non senti il fruscio, solo il sibilo
dell’aria fresca che accarezza
il tuo volto amato.


Le care abitudini

Ho lasciato che il tempo
fluisse tra noi
forando antiche pene.
I fili d’argento
che attraversano
i tuoi capelli sfiorati
da un alito d’azzurro
mi carpiscono l’anima.
Nel pane quotidiano
appoggiato sulla tavola
vicino al tovagliolo
con le ciliege rosse
ritrovo i gesti consueti:
le care abitudini.


Sinfonia in ombra

Noi ci fermammo un attimo
presso la fonte che gocciolava
sull’acciottolato perle d’ombra.

Ombra dei lunghi passi
che a sera giungono silenziosi.

Mi donasti una cascata di note
vibrate nella solitudine della tua stanza:
tacevo per l’emozione di esserti accanto
e il silenzio cresceva tra noi.

La carta rossa dei doni che aspettavano
inerti sul tavolo la mano che doveva
schiuderli: saprà mai quanto desiderio
era celato nel gesto?

Così, le note vibrate dalla goccia d’acqua
giunsero a ferirmi la pelle, soffocavo
di sospiri chiusi tra le vene dei polsi
e il fior di loto si schiuse adagio.


Sotto la cenere

Nel silenzio afferro, nitida l’immagine tua
che rincorre la memoria su pendii erbosi
e svelo una ad una, l’impronte
del tuo passaggio impresso nella mia anima.
Scopro su di me, cicatrici rosse
e sfioro con un dito silente
il loro percorso ma, non bruciano.
È condiscendente il segno
e mi fa dono di sensazioni che vibrano
ancora sotto la cenere tiepida.


Il giardino abbandonato

Immobile, attonita,
come di sale
attraverso l’immagine
ritrovo il tuo corpo
e passeggio negli anfratti
a me cari.
Sento affluire le sensazioni
che mi consolano.
In questo oblio del sogno
incontro il leopardo agguerrito
che succhiava miele dalla bocca:
offerta soave del tempo che torna
nel profumo di maggio e nel giardino
abbandonato viaggia l’infinito mio.


Storia infinita

Ho visitato l’angolo remoto
e ho scelto due pietre levigate
per segnarne il ricordo.
Limite alla mia dimora:
la pozza d’acqua sorgiva
alla quale consegno
il mio desiderio.

Ho comprato il canto
di una vergine
in una notte di luna
per vivere questa follia.

Abbandono le nebbie della solitudine
e vengo con la mia anima
a sciogliere l’Incantesimo.

Pescatore di sassi e conchiglie
salirò sulla tua barca
e andremo per mare.


Settembre

Settembre, stendi un velo uggioso
sull’estate che va.
Cadono silenziose
le prime gocce di pioggia.
Un languore d’autunno
s’insinua nella pelle.
(non m’ha baciato il sole d’agosto)
È grigio il cielo
tacciono le rondini.

In questa pausa di malinconia
un cane randagio vaga sotto la pioggia:
lava le sue pene nelle pozzanghere
e si lecca piano le ferite.


Oltre la soglia

Oltre la soglia
vaga il silenzio
degli abbandoni.
Linfa umida percorre
le vene.
Non c‘è luogo nascosto
in queste luci che appaiono
all’improvviso.

Maggio, svela i misteri
chiusi negli astri
sul sentiero delle viole
che fioriscono al balcone
e il frinire delle cicale
sotto le stelle.

Anche il rombo degli aerei
forando il cielo, squarcia
il velo della memoria.


Postfazione

Questa edizione di “...e udrò il canto del mare” nasce dal desiderio di fare un percorso a ritroso nel tempo. Rivisitare alcuni testi che sono stati ispirati da un particolare momento della mia vita e ai quali forse, non avevo prestato abbastanza attenzione.
Vedere oltre la cortina delle emozioni dalle quali scaturirono. Così mi interrogo se in quel desiderio di udire il canto del mare c‘è il tentativo di penetrare a fondo nel mio inconscio e aprire un varco nella mia anima.
Oggi, che il ricordo delle emozioni è ancora vivo, sento che “Nei colori del silenzio” è il testo che delinea una traccia indelebile nella mia poesia fatta di ricerca e stimoli per un più profondo interesse verso coloro che attraversano il mio quotidiano.
A volte mi sorprendo a meditare su testi come quello della poesia “Quadro n° 3” dove l’input musicale è dato da un’immagine di donna che balla, “balla sull’aia, nel sole e alla sera…mettendo a nudo la sua anima”. E mi ritrovo in altri poeti che hanno adoperato la stessa metafora per definire il ciclo della vita. È come riconoscersi.
Rivaluto altri sentimenti scaturiti da fugaci sensazioni, dove il senso della solitudine si tramuta in dialogo interiore e allora “La danza delle visioni” apre un varco nell’Io che accetta l’incontro e, i toni sfumano per approfondire una ulteriore lettura dei testi. Un vissuto intenso mi appare, ricco di storie, aneddoti della mia vita che forse un giorno troverò modo di raccontare.
Questa piccola silloge, alla quale ero tentata di aggiungere altre poesie, la lascio così com‘è. Appartiene ad un momento magico dove i sogni cercavano ancora di vivere nuove emozioni e c’era in me il sapore della scoperta di nuovi traguardi da raggiungere e, strada facendo ho incontrato le opere di molti artisti pittori alle quali mi sono ispirata. In ultima analisi, condivido quanto la prof.ssa Tina Beretta ha scritto nella sua prefazione: “La poetessa è certa di creare, imparò presto ad avvertire i limiti dell’umano (Goethe) e il posto della creatura (umana) nel mondo.”

Maria Organtini

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