Opere di

Mario Vierucci


A Vijaya (Sri Lanka – Agosto 2016)

Ricordo ancora quella sera
che mi rivolgesti un fugace tuo sorriso.
Invano, però, attesi per giorni l’offerta mia d’amore.
M’affidai quindi alla magia della memoria
e mi tornò a mente quel meriggio che frinivano grilli compagnoni
e cinguettavano striduli e iridescenti colibrì,
mentre io accarezzavo i tuoi piccoli seni
belli come petali di loto.
Poi corremmo felici su un prato in pendio,
finché, ubriachi d’amore, in un sol corpo ci unimmo.

*

Passò il tempo. Un meriggio di Giugno, più volte
ripeté una cicala il suo verso antico.
affinché io dimenticassi che m’avevi lasciato senza dirmi addio.

*

Trascorsero poi anni, mesi.
Ma non cadde mai nell’oblio quella notte di plenilunio
che sulla spiaggia di Unawatura
vidi te danzare fra le braccia del mio unico amico.
Infine, col cuor mio in pena,
scorsi voi due uniti in un lungo e tenero bacio.

*

Arrivò Luglio. Tristissimo m’inoltrai un giorno
nella foresta di Sinhara, fra il tenero sciabordio di acque dei ruscelli,
il cinguettio degli uccelli e lo squittio degli scoiattoli
che nulla poterono per lenire le mie pene d’amore.
Eppure, uno ad uno, tutti li ascoltai
ma solo ricordi mi strinsero al petto e dolente nostalgia di te.

*

Un giorno c’incontrammo nel Tempio di Polonnarraya. Ricordi?
Sai, eri bella di bianco vestita! Con amore
guardavi il tuo bambino che già disegnava un batik.
Poi, all’improvviso verso di me sollevò il suo viso
e mi guardò tutto serio,
forse perché i suoi occhi vide specchiarsi nei miei.
Fu allora che nel riguardarlo, notai che uguali ai miei
erano i tratti del suo viso.
“E’ lui – dissi quasi ad alta voce – mio figlio Lukho Yohan!”
E rimasi lì, come un ebete, impotente.
Il mio bambino, intanto, il viso nascondeva fra i tuoi lunghi capelli.
Infine si voltò verso di me,
e mi guardò, e mi guardò ancora.
Poi mi salutò con un misterioso sorriso,
piano agitando la sua bella manina.

*

Passarono ore, minuti, ed io guardavo ancora il mio Luho Yohan,
immaginando che forse un giorno avrebbe generato Podhi Yohan,
un caro, mio diletto nipotino.
Di dolcezza si riempì allora il cuor mio.
Ma fu un attimo appena, perché il rimpianto provai
per l’attimo fuggente che non colsi quel giorno
per dirti: “Io t’amo, e t’amerò sempre, Vijaya!”

oOo

Nota: In singalese, Luchu Yohan significa Giovanni Senior, e Podhi Yohan, Giovanni Junior p=. oOo


D u n e

1
7 Luglio 1942 – Nei pressi di Emgayet – Libia (l’ultimo vero deserto)


Prima Parte

Alle prime luci dell’alba, s’eran già diffusi nella tenda malumori e brutti presentimenti.
Alle sette in punto, infatti, arrivò da Roma l’ordine
di dare l’assalto alle ultime linee di difesa nemiche.
E senza indugi, il Colonnello, un vizioso ed un fascista della prima ora,
mandò i giovani soldati a quell’avamposto maledetto.
Ma invano loro attesero le fresche truppe tedesche1.
Così, da soli e male armati, dovettero affrontare il nemico,
ma ben presto, con un massacro, finì il combattimento, senza vinti, né vincitori


Fu allora che, intorno a sé, Mattia vide centinaia di soldati italiani ed inglesi uccisi
con i loro corpi straziati riversi sulla sabbia.
E di lì a poco, con ampi cerchi, ruotavan già su di loro i corvi, gli avvoltoi e gli uccelli sanguivori.
Poi, lentamente scesero giù tutti a far festa nelle pozze di sangue,
mentre egli scorgeva sui corpi dei compagni2
il tormento dell’anima morente ancora impresso sui loro volti.

Passò un’ora e da quello scempio più non si staccavano i suoi occhi,
né riusciva ancora a credere che soltanto lui era rimasto vivo.

Ma ad un tratto, corse il pensiero al soldato inglese da lui ucciso:
era molto giovane ed esile, quasi un bambino.
Morente, il nome della madre aveva mormorato
e poi col terrore negli occhi, era spirato fra le sue braccia.

Il sole era bianco ed accecante. Tutto era silenzio, un silenzio di morte che avvelenava la sua anima


Mattia era lì, in mezzo al deserto, paralizzato dal riverbero della sabbia,
con i sensi intorpiditi e lo spirito avvolto dalla carne che sembrava viva a metà.
E volarono dietro la sua fronte i pensieri più nascosti ed in confessabili
e vi scavarono un dolore profondo.
Poi chiuse gli occhi e come musica immortale, sentì vibrare sotto la sabbia
gli spiriti dei suoi compagni,
di questi soldati con i quali tutto aveva condiviso per anni:
l’idealismo della giovinezza accanto ai loro sogni,
le angosce e gli incubi che prendevan forma di notte,
la paura fino all’ora dell’assalto al nemico,
la nostalgia delle persone care assai lontane,
l’afrore insopportabile delle trincee,
la fede falciata via dei soldati moribondi
che nel delirio annaspavano per afferrare il mondo di nuovo.
E poi, nei momenti di solitudine,
le pratiche di autoerotismo dietro una tenda
che lasciava loro un senso di vuoto, un che d’imbarazzo e di tristezza infinita.


Ed invano su quei corpi egli cercò di cogliere un sospiro,
Scoprì invece liquidi pensieri sospesi sui loro occhi
e la fiamma della loro vita ormai spenta nell’oscurità.

Più acuto sentiva ora il dolore per la ferita al petto
dove, con un pugnale, lo aveva colpito un soldato inglese
che sembrava avere la furia di una belva selvaggia.
Sgorgò il sangue dalla ferita e scese giù a far rossa la terra.
Ma un sonno benigno gli chiuse le palpebre.

E nel sogno si rivide ragazzino, vestito di tutto punto da balilla moschettiere,
quel giorno che il primo moschetto gli fu dato:
era lì, fiero e contento,
ed ora, per ogni arma ed ordigno di guerra provava paura ed orrore.

“Maledetta Guerra!” – gridò allora al cielo – Con quante e quali brame di conquiste3, Mussolini ed Hitler4,
mandano i soldati a combattere ed a morire qui, nel Deserto Libico!
Intanto, dalle bocche dei compagni uccisi, sembrano uscire ancora grida di dolore e sopra di loro c‘è soltanto il cielo d’un bagliore assurdo
ed il sospiro del vento che solleva la sabbia !”

Gli ritornarono così alla memoria le roboanti parole del Duce,
quando, nel Giugno del ’40, da un balcone di Piazza Venezia
annunciò al popolo italiano la dichiarazione di guerra alla Francia ed all’Inghilterra,
davanti alla folla romana, immensa, osannante e in delirio.

Ed ora gli apparvero all’orizzonte le immagini sfuocate dei compagni
con i volti sbiancati dalla morte
fra sagome indistinte di oasi verdi ed evanescenti.

Di fuoco e rutilante era la sabbia intorno a lui.
E spietato, negli occhi suoi entrava il sole che scavava e bruciava,
e poi, delle persone care, con volti lividi come fantasmi, lo illudeva.

Poche gallette gli rimanevano e poca acqua, forse qualche sorso appena.
Lente passavan le ore scandite dal nulla.
Si sentì allora prigioniero di quello spazio di silenzio arido ed infinito,
dove si vedevan soltanto alberi antichi diventati pietre
e lunghi serpenti che strisciavano sotto la sabbia.
Tutto, del resto, gli era indifferente,
anche l’eterno mutare dei colori del deserto.

Ma come in sogno ora gli apparve l’immagine di Giuli, la sua ragazza
col volto ingemmato di occhi nerolucenti nascosti dal fumo dei capelli.
Forte sentì allora il desiderio che gli si mettesse al suo fianco, ciglio contro ciglio
e gli baciasse il petto, su, su, fino alla gola ed alle labbra
per poi accarezzarlo fino a farlo assopire.
Solo così avrebbe sentito l’amore suo fondersi nel fuoco che ardeva in lui.
Già lo turbava ora il pensiero che prima o poi sarebbe svanita la sua immagine
e sarebbe rimasto solo, come sempre, con fitte di desiderio a non finire.


All’improvviso, arrivò dal sud il Ghibli.
Si oscurò allora il cielo e lo investì una tempesta di sabbia
che da per tutto s’insinuò in lui.
A proteggersi, dunque, s’affannò con la giubba e l’elmetto.
Ma ad un tratto, confusa e stanca fu la sua mente.

S’affidò allora alla magia di una memoria a lui cara:
era un giorno d’Aprile, con tanto sole, il cielo limpido e l’aria salmastra.
C’era una parata militare sul lungomare,
con i Fasci del Littorio d’antica romana memoria, i gagliardetti ed i neri vessilli agitati dal vento.
E nel ricordo, rivide sua madre, elegante nel suo lungo abito color avorio
ed il fratello Carlo Alberto che marciava impettito, fiero della sua bella uniforme.

Eran quelli i tempi delle grandi parate e delle feste del grano col Duce a dorso nudo.
Già, quei tempi in cui molti credevano che un giorno la nostra bella Italia
sarebbe diventata un grande Impero …

Davanti agli occhi gli scorsero ore le immagini cruenti di tante battaglie:
Tobruch, Malta, Sidi-el-Barrani ed altre ancora.
E come un rombo soffocato di tuono, gli parve allora d’udire un colpo di cannone
ed un abbaiare di mitraglia.
Poi gli ordini confusi delle battaglie con i soldati tedeschi che urlavano: “aputt!”
E poi ancora, gli echi degli accampamenti con i diversi richiami del

Con una vaga disperazione, si dibatté ora un vento
che gli accarezzò il volto e lo liberò dalla sabbia.
Si guardò poi intorno e più non vide le dune a lui vicine,
ma altre nuove eran comparse laggiù, più lontane, bellissime e modellate dal Ghibli.


Arrivò la sera e Mattia aggrappò gli occhi all’orizzonte,
abbandonandosi al pallido sole al tramonto.
Un sole stanco, invero, che pareva l’incandescenza d’un fuoco morente.

Sfumò poi il cielo in un blu mistico, irreale
e s’allungarono così le ombre misteriose delle dune.
Poi, in un attimo s’ingoiò il crepuscolo la notte che di basalto tingeva la sabbia.
Ed egli, che era nato per studiare le stelle5, così diceva scherzando,
guardò rapito il cielo e la scintillante moltitudine degli astri e delle costellazioni.


Grande quiete gli donava ora il silenzio della notte,
illuminata da un flaccido quarto di luna.
Ma per l’improvviso oscuramento che piombò sui suoi occhi,
vide in sogno sua madre che l’aspettava su una banchina del Porto.
Poi la vide ancora che pregava e piangeva,
guardando una nave che attraccava al molo.
Ed il sogno diventò un incubo quando, dall’oscurità, emerse all’improvviso
un topo elefante che incominciò a fissarlo negli occhi,
mentre banchettava con le locuste morte o moribonde, vittime della piena del deserto.
Inorridito, distolse lo sguardo, ed alzando gli occhi al cielo,
si rivide quel giorno che mentre infuriava la battaglia a Giarabub,
guardava i neri avvoltoi egiziani che volavano alti sulle gazzelle in fuga.


Spuntava l’alba, quando, una ad una arretraron già tutte le stelle.
Mattia però fu rapito dal sonno. Chiuse gli occhi
e cercò invano di dormire un sonno segna sogni…


Si svegliò di soprassalto con la luce chiara del giorno
che saliva dai profili delle colline di sabbia spianati dal fuoco inglese6.
Lo inondò il sole e più tardi gli presero le forze le ore ardenti del meriggio.
Ed ora stava lì, immobile,
in quell’inferno di sole e di sabbia, dove anche i rettili cercavano l’ombra.

Ma all’improvviso, prostrato dal caldo, gli si annebbiarono gli occhi.
Di febbre gli bruciò tutto il corpo,
mentre gli si dilatava il petto con un tremendo respiro.
Tese allora le mani verso i fantasmi dei suoi compagni
che dai luoghi dell’oblio, eran saliti per lui sulla terra.
Avrebbe desiderato di parlar con loro del mistero dell’aldilà,
ma egli perse i sensi e cadde giù sulla sabbia.


Seconda Parte

Mattia non seppe mai quanto tempo era passato
quando aprì gli occhi e si vide sdraiato sotto una tenda.
Davanti a lui c’era un beduino (7) dagli occhi scuri ed ambigui che gli curava la ferita.
E di lì a poco, per sua fortuna, percorreva già il deserto sotto il sole infuocato,
barcollando paurosamente su un vecchio cammello.

Dopo miglia e miglia, vide all’orizzonte una striscia di mare illuminata dal sole.
Fu allora che Jenmiak, così si chiamava il beduino, portò le dita della mano
alla fronte, alle labbra ed al cuore e gli disse a voce alta: “Hadio Itallliano!”
E sorridendo, Mattia gli rispose: “Che Dio benedica i tuoi occhi!”

Anch’egli dunque, riprese a percorrere il deserto roccioso, incontrando dune incantevoli ed accampamenti di nomadi.
E finalmente vide un’oasi. Poco dopo, sdraiato sotto una palma, a lungo guardò la sabbia che sotto il sole brillava e mandava ovunque eterni bagliori.


Furono poi attratti i suoi occhi da un ampio strascico di deserto
che s’incuneava in un’antica città, dalle monocromatiche mura, ormai deserta.

Fu allora che con l’animo più leggero si diresse verso il mare,
verso un futuro che non sapeva immaginare.
Ma a sé vicine, sentiva ora sua madre e la sua ragazza
ed il resto poco o niente contava per lui.


Ed arrivò agli orli del deserto, dove un cactus solitario
dondolava i suoi fiori avanti e dietro, graziosamente.
Sorridendo Mattia lo guardò a lungo e sul vecchio cammello,
poi raggiunse il Porto di Tripoli.


Urlò a sera un piroscafo fra i docks del porto,
mentre s’ incrociavano i suoi occhi con un raggio di sole al tramonto.
Ed oltre le dune, poi vide all’orizzonte una striscia rossa di fuoco, mai vista prima,
che l’abbagliava da lontano.
“Chissà” – egli pensò – “forse è l’anima del deserto che ha invaso la mia anima..


Appendice

Dopo tre giorni, Mattia arrivò a casa con mezzi di fortuna e finalmente poté abbracciare la madre.
Ma alla fine della licenza, fu richiamato per raggiungere El-Alamein8, dove combatté dal 23 Ottobre al 4 Novembre 1942.
Con l’aiuto del Buon Dio (così egli ebbe a dire dopo), dalla sanguinosa battaglia ne uscì vivo, ma ferito per sempre nel corpo e nello spirito. Infatti, in quei giorni, furono in molti ad accorgersi che Mattia non era più quello di prima e spesso gli si leggeva ancora in faccia la paura della morte. Ma forse, la vera causa di ciò, era il ricordo di quel terribile 7 Luglio che non gli dava mai tregua.
Ora però, più di ogni altra cosa, lo angustiava la mancanza delle sue emozioni e della sua proverbiale oniricità (così la chiamava lui stesso), così visionaria e quasi ossessiva.
“ Tu sembri fatto con la stessa materia con cui sono fatti i sogni!” – gli diceva sorridendo la sua ragazza.
Con gli amici era sempre serio e con loro parlava delle stesse cose.
Questa, ad esempio, era una delle considerazioni che ripeteva a se stesso ed agli altri: “Dicono alcuni che una guerra non è altro che un distillato di una guerra che l’ha preceduta. Ma intanto – io mi domando – chi mai restituirà la vita a tutti gli uomini, alle donne ed ai bambini che sono morti e che moriranno ancora in questa lunga guerra? Io credo in Dio e nella sua misericordia – poi aggiungeva – Ma quando penso a quei soldati italiani ed inglesi che in sole due ore furono tutti uccisi in mezzo al deserto, vorrei potergli chiedere: “Dio mio, Dio mio, dove eri quel giorno?”


Dopo appena due mesi dal suo ritorno, Mattia andò via di casa senza dire niente a nessuno. Solo molto tempo dopo si seppe che era andato con altri partigiani in Alta Valtellina per combattere contro i repubblichini.
Poi, nell’Agosto del 2004, sua madre seppe che due mesi prima il suo Mattia era stato ucciso da un repubblichino con un colpo di pugnale al cuore in una zona isolata di montagna sopra Sondalo.
Ma da quanto risultò dall’ indagine, si poté supporre che fra i due soldati (trovati vicinissimi l’uno a all’altro e con gli occhi ancora sbarrati), ci fosse stato un corpo a corpo, e che prima di morire, Mattia avesse trovato la forza di sparare un colpo di revolver al petto del repubblichino
Incredibilmente, l’episodio avvenne il 7 Luglio 1944 ed anche sopra i corpi di questi due soldati, per giorni e giorni, c’era stato soltanto il cielo azzurro della Valtellina, di un bagliore assurdo e niente più …
Il tragico episodio aveva suscitato molta impressione presso la gente di Sondalo e qualcuno disse che da quel giorno, da laggiù, ai piedi della montagna, si sentì il tumultuoso Adda scorrere più rumorosamente che mai.
Passò ancora del tempo e dopo ulteriori indagini, si venne a conoscenza che il Repubblichino si chiamava Erminio, che era di Pescara e che da bambini, lui e Mattia, erano stati buoni compagni in un collegio vicino al confine svizzero.


Note dell’autore

1 Nella primavera del ’42, Mussolini aveva constatato la gravità in cui si trovavano i soldati italiani ed aveva accettato l’offerta d’aiuto di Hitler. Fu quindi inviata in Africa un’armata completamente meccanizzata e addestrata
a combattere nel deserto, sotto il nome di “Africa Korps”. Il comando dei reparti era stato affidato a Erwin Rommel (“La Volpe del deserto”), il quale utilizzò vari stratagemmi, come il truccare delle auto Volkswagen a carri armati, in modo da far credere al nemico di trovarsi di fronte a forze superiori. La storia dice inoltre che il 3 Ottobre 1942, Hitler fece pervenire a Rommel un ordine perentorio, col quale s’imponeva ai soldati dell’Afrika Korps” di farsi uccidere sul posto, piuttosto che indietreggiare di un metro.

2 I suoi compagni lo chiamavano “Poeta Mattia” perché scriveva spesso poesie e racconti. Ma più frequentemente, lo chiamavano “Don Mattia” perché serviva la messa al Cappellano, a volte anche in mezzo al deserto.

3 Ci furono dei giorni in cui, sia in campo tedesco che in quello italiano, si credeva di arrivare presto al Canale di Suez. Perfino Mussolini arrivò in Libia per fare l’entrata trionfale ad Alessandria, in groppa al suo cavallo. Ma ben diversamente andarono poi le cose. Alcuni storici sostengono che il quel periodo, gravissimo fu un errore di Mussolini. Infatti, se avesse mandato in Africa, anziché in Russia, solo un quinto delle truppe dell’ARMIR, in una sera del quel Novembre 1942, forse avrebbe cenato al Cairo.

4 A Adolf Hitler (l’ex imbianchino) piaceva molto la musica di R. Wagner. La sua opera preferita era il “Parsifal”. Ma quella che in lui suscitò sempre un grande interesse e coinvolgimento, fino alle più drammatiche conseguenze, fu “La Valchirie” (Die Walkure). Sembra che una sera del ’39, mentre a teatro ascoltava l’incalzante e terrifico “Walkurenritt”, avesse detto: “questa musica mi piace così tanto da farmi venire la voglia di occupare la Polonia !” E la Polonia fu poi occupata dai nazisti il 1^ Settembre dello stesso anno.

5 E’ quasi un’ode alle stelle questo canto di un Indiano d’America, Algonkin Blackfeet che dice: “La Prima Donna dispose le stelle per aiutare la luna a far luce. Una ad una le ordinò per bene in forma di animale luccicanti appesi alla notte. Ma il Vecchio Coyte irruppe festoso e sparse le stelle come oggi le vedi”

6 Alle ore 21,40 precise del 23 Ottobre 1942, i mille cannoni di Montgomery avevano aperto il fuoco simultaneamente sulle postazioni di artiglieria delle truppe dell’Asse. Singolare fu il fatto che nei mesi precedenti, per trarre in inganno Rommel, Montgomery si era avvalso di un certo Barkas (sceneggiatore cinematografico) e di Maskelyne (illusionista), per mascherare e mimetizzare un fortissimo concentramento al nord delle forze inglesi, costituito da 86 battaglioni di fanteria, 3.247 cannoni, 1.350 aerei, migliaia di automezzi ed alcune migliaia di tonnellate di rifornimenti.

7 Un giorno, parlando dei beduini, qualcuno disse: “I beduini sono cari sognatori assurdi che conoscono bene la mappa degli astri”; in ogni beduino si nasconde la nobiltà e l’inganno”; “l’istinto beduino non procede certo a colpi di ragione” ed altro ancora…

8 Ad El Alamein fu combattuta l’ultima e sanguinosa battaglia della Guerra d’Africa che costò la vita a 39.000 uomini. E fu il 4 Novembre che ebbe inizio l’odissea di 70.000 superstiti che attraversarono 3.400 chilometri del deserto fino alla Tunisia, invano inseguiti dal nemico.
La Battaglia di El Alamein è da ricordare come una delle battaglie più decisive della seconda guerra mondiale, perché mise fine alla minaccia italo-tedesca sul Canale di Suez. Quindi consentì il dominio del Mediterraneo agli inglesi ed in prospettiva, aprì la strada al secondo fronte, ossia allo sbarco in Sicilia.


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