Matteo Papini - La consultazione dell’anima - Consulenza filosofica e direzione spirituale
Collana "Koiné" - I libri di Religione, Filosofia, Sociologia, Psicologia, Esoterismo 14x20,5 - pp. 94 - Euro 10,00 ISBN 978-88-6587-4080 Clicca qui per acquistare questo libro La consultazione dell’anima propone un confronto fra la consulenza filosofica e la direzione spirituale nella convinzione che la recente pratica filosofica debba disimpegnarsi dal confronto con le psicoterapie e che possa farlo soprattutto riconoscendo la sua parentela con l’antico istituto della direzione spirituale. La consultazione dell’anima - Consulenza filosofica e direzione spiritualeA Fabrizio, Introduzione L’ambizione di questo testo è duplice: da un lato esso si propone di aprire un ulteriore fronte problematico nel cammino di definizione dell’identità della consulenza filosofica, quello del confronto con la secolare tradizione della direzione di spirito e del discepolato nelle religioni (qui ci si muove nell’ambito della tradizione cristiana e più in particolare cattolica, ma sarebbero auspicabili lavori che portassero il confronto anche sul terreno delle altre religioni); d’altro lato il testo si propone, in virtù del suo stesso argomento, di fornire una sponda alla consulenza filosofica che le permetta di distanziarsi più efficacemente, di affrancarsi in qualche modo dalla comparazione e dalla eccessiva contaminazione con le psicoterapie che è al contempo la sua fortuna e la sua disgrazia. La consulenza filosofica infatti, per quanto si ponga in aperta e netta contrapposizione con il modello psicoterapico ne resta tuttavia involontariamente dipendente. Probabilmente ciò è dovuto anche al fatto che l’immaginario collettivo non sa bene dove collocare questa pratica ancora piuttosto nuova e che si mostra così simile nel suo setting alla seduta dallo psicologo. Analogamente forse a quanto accadeva alla psicoanalisi nascente nel confronto con la confessione, con la differenza però che nella società mitteleuropea del novecento la pratica della confessione era già discretamente in declino e nella società americana poi in cui prevalente è l’appartenenza protestante il problema si pose ancor meno. La consulenza filosofica invece si trova a dividere il campo con una pratica che si mostra simile ed è ancora in ottima salute per quanto non nel pieno del suo sviluppo. È oggettivamente più difficile affrancarsi dal confronto. L’idea di questo libro nasce da una battuta che ero solito fare quando si trattava di spiegare a parenti e amici su cosa mi stessi formando dopo la mia uscita dall’ordine francescano e la cessazione dell’esercizio del ministero sacerdotale richiestami dall’autorità ecclesiastica nel momento in cui non me la sono più sentita di impegnarmi al celibato. A chi mi interrogava ero solito dire, se non c’era il tempo di approfondire con i dovuti distinguo: «la consulenza filosofica è una sorta di direzione spirituale laica». Questa formula la usavo ovviamente con coloro che conoscevano e praticavano la direzione spirituale o che l’avevano praticata con me; con i conoscenti e amici di area non credente o non praticante gli ambienti ecclesiastici in genere paragonavo la consulenza al counseling psicologico e cercavo di spiegare le differenze. Col tempo mi sono convinto che il paragone con la direzione spirituale fosse quello che più rendeva ragione delle istanze della consulenza filosofica, tanto più che mi pareva di incontrare nella letteratura dichiarazioni di distanza da entrambe le discipline, la psicologia e il consiglio spirituale che però poi si dilungavano molto sulle differenze fra consulenza e terapie psicologiche e tacevano delle differenze con l’accompagnamento spirituale; è il caso di Achenbach nella sua Breve risposta alla domanda: che cos’è la consulenza filosofica? al termine della quale, dopo aver spiegato cosa intende per consulenza e come questa sia un’alternativa alle psicoterapie si chiede se «questa non è una questione che riguarda anche gli psicologi, gli psicoterapeuti e i consiglieri spirituali1», ma poi termina lo scritto continuando a parlare solo delle differenze con lo sguardo psico-logico; oppure della Schuster che scrive: «ci sono differenze fra questi incontri e le pratiche di consultazione psicologica o religiosa2» e poi si produce in un confronto fra l’approccio filosofico nella consulenza e quello diagnostico terapeutico tipico dell’ambito psicologico, dimenticando di operare un confronto anche con l’approccio religioso. Sempre Schlomit Schuster poi lamenta anche per le pratiche pastorali la loro eccessiva contaminazione con la psicoterapia, sia in ambito cristiano che ebraico3, e facendo questo sembra implicitamente affermare che la consulenza filosofica sia più vicina alla genuina pratica pastorale di accompagnamento spirituale e che, come questa deve riscoprire il suo specifico senza trasformarsi in psicoterapia, così quella lo deve difendere sul nascere. Giuseppe Balistreri è poi ancora più esplicito e stabilisce addirittura una dipendenza diretta fra le pratiche; parlando della persona che cura l’anima afferma: «nel passato si è trattato di vere e proprie guide spirituali, uomini di chiesa in veste di confessori, di precettori o di consiglieri di corte. Il compito di assistenza spirituale da essi prestato abbracciava un ampio spettro e andava dalla consolatio da prestare ai poveri, agli afflitti e ai bisognosi, da un lato, al consilium, da dare a tutti quelli destinati a prendere responsabilità d’azione, dall’altro. La consulenza filosofica è, nella sua forma laicizzata e in un contesto completamente diverso, in qualche modo l’erede di questa tradizione4». Mi è parso interessante poi che questa dipendenza fra le due pratiche fosse rilevata, anche se vista in maniera totalmente negativa e ritenuta una illecita pretesa, da un articolo molto critico nei riguardi della consulenza apparso sull’Osservatore Romano che accusa i consulenti filosofici di diffondere relativismo spacciandosi per gli eredi della direzione spirituale5. Spero poi che quanto scrivo possa servire in qualche modo come stimolo di approfondimento per i consulenti filosofici non cristiani, anch’essi infatti potranno trovare fra i loro ospiti dei cristiani che chiedono lumi sulla loro visione del mondo, e potrebbe loro servire qualche riflessione sulla direzione spirituale e sulla sua storia. Per fare ciò che mi propongo mi muoverò più o meno così: in un primo momento esporrò il mio particolare modo di fare consulenza filosofica, quindi brevemente richiamerò la problematicità del rapporto consulenza/psicologia-psicoterapie; brevemente perché i testi di Lahav e ancor più della Schuster, come di Pollastri (per non parlare di Achenbach) sono più che esaurienti a riguardo. In seguito metterò a confronto la direzione spirituale come esce dalla sua lunga tradizione, di cui percorreremo le tappe più significative, con la consulenza filosofica per rintracciare dipendenze, analogie ed eventuali incompatibilità. Infine mi porrò alcune domande che scaturiscono dal confronto fra le due pratiche. Concludono il testo le narrazioni di consulenza di alcuni miei ospiti. La consulenza filosofica Leggere vite, il lavoro del consulente filosofico James Hillman nel suo suggestivo libro Il codice dell’anima7, espone attualizzandola la teoria del daimon platonico come la “teoria della ghianda” secondo la quale il destino, la vocazione di ognuno verrebbe al mondo con lui/lei e sarebbe già contenuta tutta nei primi anni della sua vita per poi svolgersi nel tempo e realizzarsi nella vita; teoria a sostegno della quale nel testo riporta innumerevoli esempi di biografie di persone con segni evidenti e spiccati di vocazioni particolari che si erano manifestate fin dall’infanzia. Il testo come dicevo è suggestivo, ha un notevole valore io credo, come antidoto alla tendenza di spiegazione psicologizzante delle singole esistenze e fornisce una sponda di interpretazione spirituale molto interessante e coerente alla quale forse si può rimproverare di essere a suo modo una mitologia ma che mostra chiaramente come anche lo psicologismo, lungi dalla scientificità che si propone, lo sia. Ma torniamo alla suggestione, alla quale non sono sfuggito e che mi ha spinto a divinare sul mio compito nel mondo a partire proprio dalle esperienze della prima infanzia quando, a dire di Hillman, il daimon è più manifesto, meno oppresso da convenzioni culturali e parla più chiaramente. Da questo scavo nella memoria è emerso un ricordo chiaro per quanto non preciso: mi sono ricordato di aver imparato a leggere senza che alcuno mi insegnasse; un bel giorno, mi pare cercando di comprendere quale gioco contenesse un pacchetto regalo, ho letto in trasparenza le parole e l’ho detto suscitando lo stupore dei presenti. Avevo quattro anni, il gioco poteva essere l’Allegro Chirurgo. Non ricordo come ho imparato a leggere, forse osservando mio fratello che aveva iniziato ad andare a scuola, non so. Tra l’altro negli anni dell’infanzia fino alla scuola media, ho manifestato uno scarso desiderio di lettura, cosa che è stata motivo di scontri in famiglia, ma questo potrebbe rafforzare la teoria, si resiste sempre al daimon… Al tempo della mia lettura del libro di Hillman frequentavo la scuola di formazione per consulenti filosofici di cui ho detto sopra ed avevo tra le mani il libro per questo motivo, era uno dei testi consigliati da un docente, ho fatto questa lunga premessa condita da ricordi biografici per dire che da allora mi è parso che leggere fosse ciò che solo sapevo fare e che “leggere vite” sia il mestiere del consulente filosofico che è divenuto il mio mestiere. Non mi si fraintenda, visto anche il condimento mitologico delle righe soprastanti, non che il consulente sia uno che legge la vita dei consultanti come una cartomante legge la mano ma, la metafora della vita narrata dall’ospite, come un testo da leggere insieme mi pare sia quella che rende meglio ragione di quanto un consulente filosofico fa. Oppure bisognerà dire che questo è il mio modo specifico di fare consulenza, va infatti considerato che ogni consulente è un modo a sé stante di fare consulenza, così come ogni consultante è un singolo che singolarmente e in modo sempre originale pone i problemi e le questioni che non si possono mai generalizzare. La consulenza filosofica intronizza “questo singolo” per dirla con Kierkegaard, sia esso l’ospite o il consulente. 1 Gerd B. Achenbach, La consulenza filosofica. La filosofia come opportunità per la vita, Apogeo, Milano 2004, p. 14, il corsivo è mio. 2 Schlomit C. Schuster, La pratica filosofica. Una alternativa al counseling psicologico e alla psicoterapia, Apogeo, Milano 2006 p. 41, corsivo mio. 3 Ivi, pp. 88 ss. 4 Giuseppe Balistreri, Prendersi cura di se stessi. Filosofia come terapeutica della condizione umana, Apogeo, Milano 2006, p. 25. 5 Cfr. P. Fornari, Senza guide e maestri il potere finisce in mano ai pifferai, «L’Osservatore romano», lunedì-martedì 23-24 giugno 2008, p. 4. 6 Antonio Cosentino, Filosofia come pratica sociale. Comunità di ricerca e cura di sé, Apogeo, Milano 2008, p. 14. 7 James Hillman, Il codice dell’anima. Carattere, vocazione, destino, trad. di Adriana Bottini, Adelphi Edizioni, Milano 1997. 8 Cfr. Peter B. Raabe, Teoria e pratica della consulenza filosofica. Idee fondamentali, metodi e casi di studio, Apogeo, Milano 2006, p. 25 ss. 9 Cfr. Ignazio di Loyola, Esercizi spirituali, «Praesupponendum» (la traduzione è di Andrea Di Maio). 10 Giudice autorevole di questa vicinanza alla verità però può essere solo l’ospite, il quale non possiede e non fabbrica la verità della sua vita ma ne è il più accreditato e legittimo interprete. [continua] Contatore visite dal 15-01-2014: 8111. |
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