Con questo racconto è risultata 10^ classificata – Sezione narrativa alla V edizione Premio di Scrittura creativa Lella Razza 2009
Una vita di corsa
Puntuale, come sempre, la sveglia
inizia a suonare alle 6.00 del mattino. Vorrei scaraventarla fuori dalla finestra, cancellare la sua esistenza ed invece, con uno scatto degno del migliore atleta olimpico, allungo il braccio e metto fine a quel suono assordante che ha il potere di irritarmi notevolmente. Rivolgo uno sguardo assonnato a mio marito che continua a dormire: per lui c’è a disposizione ancora un’ora abbondante di sonno. La mia giornata invece inizia da questo momento. Con passo malfermo butto la testa dentro la cameretta delle mie bambine. I loro sorrisi addormentati mi riempiono di dolcezza ma non c’è tempo…
Avvolta nel pigiama mi avvio verso la lavatrice: questa grande sconosciuta! Il nostro è un rapporto di amore e odio poiché, puntualmente, finisco per fare qualche danno proprio con gli indumenti a cui tengo maggiormente. Ultima vittima illustre, il mio maglione di cotone preferito. Ora potrebbe indossarlo tranquillamente mia figlia minore. È inutile recriminare: questa volta non posso sbagliare, così comincio a dividere gli indumenti alla velocità della luce e faccio partire il programma per il lavaggio dei capi bianchi.
Corro veloce in cucina e preparo la colazione: fette biscottate, yogurt, biscotti, latte per le mie piccole e caffè per mio marito. Sembra non mancare niente. Mentre mi trovo lì cerco di anticipare, il più possibile, i preparativi per il pranzo.
Sono quasi le 7:00. Ritorno nella cameretta e mi siedo sul letto di Vittoria, la mia primogenita di sei anni.
L’accarezzo e la bacio sussurrandole che è ora di alzarsi e lei mi stringe le piccole braccia attorno al collo: «Restiamo qui un po’ mamma?» mi supplica nell’orecchio. Non ho cuore di dirle che siamo in ritardo. Non ho cuore ma soprattutto non voglio dirglielo perché le coccole che mi chiede sono le stesse di cui ho bisogno io per affrontare questa nuova giornata. La stringo forte al petto, la bacio senza stancarmi e lei si accuccia ancora di più contro di me.
Non mi importa se il tempo corre veloce, se la casa è un poco in disordine, se uscirò con il trucco non perfetto, se non avrò il tempo per pettinarmiÉ per ora resto con la mia bambina ma, in un baleno, vola quel piccolo fazzoletto di tempo. Aiuto Vittoria a lavarsi e, mentre la mia piccola principessa, si vesta da sola riempiendomi d’orgoglio, sveglio la peste di casa: Sara. Vitalità e sfrontatezza in una bimba di quattro anni che mi guarda sorridendo e che, dopo essersi sciolta dai miei baci, si proietta verso i giocattoli.
Per fortuna arriva in aiuto mio marito. Sbarbato e profumato abbraccia Vittoria aiutandola ad abbottonarsi la gonnellina e poi si carica sulle spalle Sara per portarla in bagno e lavarla. Mentre Vittoria sta già facendo colazione compaiono i due desaparecidos.
Sara è ancora immusonita con il padre ma di fronte ai biscotti abbandona qualsiasi idea di rappresaglia.
«Sono maledettamente in ritardo» mi dico mentre sparecchio.
«Sono maledettamente in ritardo» continuo a ripetere salutando Vittoria che se ne va a scuola accompagnata dal padre. «Sono sempre più in ritardo» canto istericamente a Sara mentre riassetto i letti alla velocità della luce.
Finalmente esco di casa trascinandomi dietro Sara. Sono costretta a rientrare frettolosamente per prendere le chiavi dell’auto dimenticate sul mobile dell’ingresso. Salgo e scendo le scale rischiando di rompermi l’osso del collo e ho il fiatone come se avessi corso a piedi la mille miglia.
Lascio Sara all’asilo e mi fiondo in ufficio. Trovo sia quasi una liberazione sedermi alla scrivania e buttarmi a capofitto sui documenti che compaiono davanti a me.
Alle 12.30 mi scapicollo fuori dall’ufficio per andare a prendere Vittoria all’uscita della scuola. Il traffico congestionato, dell’ora di punta, mi fa arrivare in ritardo.
La piccola è già in attesa davanti al cancello e tiene tra le mani il suo quaderno per mostrarmi il primo “brava” della sua vita. Non ho il tempo per assaporare insieme a lei questo piccolo successo ma ascolto il suo resoconto della mattina guidando come un’ossessa.
Ci rilassiamo solo per il tempo del pranzo poi, tutto, riprende a ritmo indiavolato. Mi balena improvviso il pensiero dei capi dimenticati nella lavatrice. Corro ad aprire l’oblò ed invece del bianco più bianco mi ritrovo con una montagna di capi color rosa pallido. Vorrei urlare ed invece, avvilita, mi limito a guardare con odio la lavatrice.
«Sono in ritardo» mi dico per distrarmi dall’ennesimo insuccesso. Ripresami dallo shock mi dedico alla pulizia della casa ad una velocità stratosferica. Bè, pulizia è una parola grossa… Diciamo che cerco di dare una parvenza di ordine nel caos più totale.
Passando con lo straccio nel corridoio mi fermo davanti allo specchio e lancio un urlo: sono in uno stato pietoso. Mi chiedo come facciano le casalinghe della Tv ad avere sempre trucco e parrucco perfetto. Allarmata dal grido accorre Vittoria e cerco di calmarla con la prima scusa che mi viene in mente: cantavo! Mi guarda scettica.
Accompagno Vittoria a lezione di pianoforte e passo a prendere Sara all’asilo.
Sulla via del ritorno mi fermo a fare la spesa e sono costretta a rincorrere ripetutamente Sara lungo le corsie del supermercato.
Purtroppo la sua vitalità non conosce pause. Ma da chi diavolo avrà preso? Alla velocità della luce sono di nuovo da Vittoria e finalmente tutte e tre possiamo ritornare a casa, non prima di aver nuovamente affrontato il traffico cittadino.
Dopo aver sgridato per l’ennesima volta Sara che continua, indefessa, a correre e a saltare come se fosse stata morsa da una tarantola, guardo l’ora: sono le 19:00.
Il ritardo sulla mia tabella di marcia è apocalittico: inutile pensare di mettersi a stirare per cui meglio dedicarsi alla cena anche perché non ho proprio idea di cosa cucinare.
Guardo dentro la borsa della spesa e mi rendo conto di aver acquistato la metà della roba di cui c’era bisogno: le corse sfrenate di Sara nel supermercato mi hanno distratto troppo. Ero così impegnata a rincorrerla e a sgridarla che ho dimenticato di acquistare le cose essenziali.
Infilo il grembiule e mi metto davanti ai fornelli senza troppa convinzione. Con un po’ di fortuna e fantasia riesco ad inventarmi una cena veloce come la mia vita e, quando mio marito rientra, è tutto pronto.
La testa però mi scoppia. Gli impegni, le corse affannose, le bimbe da seguire, qualche grana in ufficio: praticamente un apocalisse.
Tra l’altro c’è un tarlo che mi ronza nella testa ripetendomi che, oggi, dovevo fare qualcos’altro ma non ricordo cosa. Pazienza, prima o poi, mi verrà in mente. Il ritmo frenetico della giornata sta diminuendo lentamente e consumiamo la cena parlando con le nostre bambine. Con l’aiuto di Vittoria riordino la cucina e programmo la lavastoviglie: almeno qui so che non farò danni.
Il leggero rumore dell’elettrodomestico mi riempie di calma.
Sono le 21.30 e ora potrei mettermi a stirare ma sento che le forze mi mancano.
Mi siedo sul divano di fianco a mio marito in cerca di un abbraccio ma le bambine si infilano tra noi per reclamare la loro dose serale di coccole.
Stringo a me Sara mentre Vittoria vola tra le braccia del padre.
La guardo e penso al suo primo “brava” sul quaderno e mi sento in colpa per non avere avuto il tempo di darle la giusta importanza. Lo faccio ora, insieme a suo padre, e i suoi occhi si illuminano, ma solo per poco, perché dopo qualche minuto, il sonno ha la meglio sia su di lei che su Sara.
Le guardiamo dormire tra le nostre braccia e poi le portiamo nei loro lettini. Cercando di fare il meno rumore possibile preparo la borsa con tutto l’occorrente per il corso di nuoto che, domani, le vedrà entrambe impegnate e mi siedo, brevemente, a vegliare il loro sonno innocente.
Che rabbia mi fa questa vita vissuta di corsa, che mi impedisce di godere, istante dopo istante, della crescita delle mie bambine.
Chi me lo ridarà questo tempo perduto quando saranno diventate grandi?
Eppure quante donne sono nella mia stessa condizione: faticano ogni giorno poi, alla sera, si siedono sui lettini dei figli e li guardano crescere nel sonno della notte silenziosa perché il giorno è pieno di impegni.
Mi alzo, le bacio, le guardo ancora una volta ed esco in silenzio dalla stanza.
Organizzo le ultime cose per l’indomani e poi me ne vado a letto troppo stanca per darmi la solita crema antirughe che, dicono sia miracolosa.
L’ansia della sindrome da ritardo che, mi ha accompagnato per tutto il giorno, è scemata.
In fondo ora il ritardo è azzerato e, domani mattina ,si riparte dal suono della sveglia per cui, ci sono buone possibilità che possa riuscire ad essere perfettamente in orario.
Spengo la luce e, nella casa immersa nel silenzio, mi abbandono al sonno ma… compare fulmineo un pensiero: «La lavanderia! Ecco quel tarlo senza nome nella testa… Ho dimenticato di passare in lavanderia!».