Racconti per tutti

di

Maurizio Paganelli


Maurizio Paganelli - Racconti per tutti
Collana "I Salici" - I libri di Narrativa
14x20,5 - pp. 116 - Euro 12,00
ISBN 978-88-6587-6244

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In copertina: fotografia di Maurizio Paganelli


Quattordici brevi racconti che sono spaccati di vita quotidiana, con pensieri, considerazioni, e sensi di vuoto che ogni cittadino almeno una volta al giorno incontra. Chi una volta non ha imprecato per una fila, per l’apporto che le istituzioni ormai da tempo ci negano.
Positivi alcuni accenni sulla donna e il loro “Vero” essere utili nella presenza giornaliera dell’uomo in quanto tale, che difficilmente ammette – il loro ruolo e presenza – come aiuto del maschio, il quale è abituato a pensare solo in grande e non sempre.
Oggi si vuole arrivare ad ogni costo.
Non ci si accetta per quello che veramente possiamo godere dei nostri cari, e adoperarsi per migliorare la società, non facciamo nulla per non sporcare, e a volte non puliamo nemmeno di fronte alla nostra porta.
Nel libro si coglie quel poco che 30 anni prima noi – amici – ogni sera nel piccolo paese sapevamo trasmettere, oggi non ci ritroviamo più nemmeno nei giorni di festa o in quelle lunghe serate d’estate.
Ecco, se anche uno solo perderà almeno un minuto di questa stanca e brutta Europa che i media ci hanno regalato, Maurizio avrà raggiunto una minima parte del suo sentire poetico.


Racconti per tutti


dedico questo libro ai miei nipoti


Il Soldatino

Più di un secolo fa, in un paese assai ricco della Fran­cia, c’era una grossa fabbrica di giocattoli. In questa azienda lavoravano nel momento più alto della produzione, circa 60 persone. Vi erano giochi di ogni tipo: dalle bambole alle case, dagli orsacchiotti di legno alle carriole, fortini del West, babbi natale e tanti ma tanti soldatini di latta e di legno. I soldatini, come i forti, erano molto di moda in quei tempi. Quasi tutti di latta, avevano un’uniforme bianca e blu fiammante con risvolti e polsini rossi. Portavano bottoni dorati, d’argento ed elmetti neri e bianchi. Alcuni di questi erano lavorati col legno e di solito erano i più rifiniti, impreziositi da colori e belle vernici specie per quel tempo. Altri erano armati con sciabola (a destra), fucile in spalla e baionetta spesso innescata. Centurione e cinghiami bianchi con la bandoliera tutta nera, venivano chiamati fucilieri della Guardia Imperiale. La famosa Guardia Imperiale creata con un decreto del 19.10.1806, per rammentare la grande vittoria di Napoleone ad Austerlitz, l’anno prima. Qui il generale corso sconfisse duramente la 3a coalizione, comandata dallo zar russo Alessandro I e dall’imperatore austriaco Francesco II, questa battaglia fu detta dei tre imperatori.
Questi soldati erano la fotocopia della grande armata napoleonica. L’altezza minima, era allora, (168 centimetri) che corrispondevano a cinque piedi e due pollici. Napoleone era alto quattro piedi e dieci pollici. Poi, dopo la grande sconfitta che l’esercito francese impose a quello austriaco a Wagram nel luglio del 1809, alcuni di questi soldati, proprio per ricordare quell’impresa, ebbero anche un elmo o copricapo, dal colore rosso carminio e una giberna bianca.
Il Generale J. Baptiste Kleber lo chiamava: “piccolo sfigato, alto come il mio stivale”, anche se gli riconosceva una grande audacia e capacità di combattente.

I bambini ricevevano spesso in regalo, soldatini di latta, di legno e poi anche di piombo negli anni a venire.
Questi giocattoli, piccoli, medi, colorati, marciavano e combattevano quasi quotidianamente, ed erano fieri di farlo.
Venivano messi in postazione come nelle guerre autentiche ed ogni fanciullo si vantava per come li aveva schierati o come aveva vinto il nemico. Soltanto uno di essi faceva eccezione. Si chiamava Alvaro o almeno così lo aveva chiamato il suo primo proprietario, appena lo ricevette dal suo papà. Eravamo nel 1911. Non sappiamo il perché di quel nome. Esso fu regalato a due bambini, un maschio dal nome David ed una femminuccia di nome Mary; a quest’ultima un orsacchiotto e un bel pony. Oltre ad alcuni granatieri, alcuni fanti, due cavalli e un mulo. In quei giorni di Natale i bambini giocavano parecchio alla guerra, ed Alvaro era uno dei preferiti del piccolo. Così ogni giorno il nostro fuciliere si trovava suo malgrado, di fronte a violente sparatorie o a propri combattimenti che duravano ore ed ore. La sera, quando finalmente poteva riposare, sentiva gli altri soldati che raccontavano le loro imprese:
“Oggi da solo ho accerchiato tre nemici. Ho sconfitto il battaglione che cercava di aggirarci. Un altro ancora più prepotente; domani vi farò vedere come Napoleone vinse a Wagram.” Alvaro ascoltava in silenzio e pensava con angoscia al nuovo giorno che lo aspettava, e ancor più al fatto che si sarebbe trovato ancora chissà in quale altra battaglia. Lui preferiva leggere, o al limite fare altri giochi. Spesso ascoltava la nenia che la madre dei due fanciulli canticchiava alla piccola Carolina, la bimba di appena 13 mesi, di casa Cashon. Era una splendida bimba dai capelli riccioli, che assomigliava tanto al fratello David. Ecco, si chiedeva: magari fossi stata una bimba, una bambola o perfino una carriola. Macché, marciare, combattere? Io odio la guerra.
Il povero Alvaro non ne poteva più. Avrebbe dato chissà cosa, per potersi togliere quell’ingombrante fucile e per essere accarezzato o coccolato come altri giocattoli di quella casa. Quante volte aveva invidiato Rospo, il gatto della signora. Così un pomeriggio, dopo una prima battaglia, mentre David faceva merenda e la piccola Carolina era nella sua cesta sulla scala, il gatto giocando attorno alla culla, un po’ alla volta, fece uscire dalla ruota il fermo che evitava alla culla di rovesciarsi. Alvaro in un baleno si gettò col fucile, riuscì a fermare la pesante ruota, la quale dall’irruenza gli franò sulla gamba destra spezzandogliela. Mary vide la scena e subito soccorse il soldato, gli fasciò la gamba lo riempì di premure. Finalmente fu trattato come sempre avrebbe voluto. Alvaro fu contento sia di avere fatto una cosa utile, che delle premure della fanciulla. Non poteva capire che per David, le cose sarebbero state diverse. Infatti fu adoperato sempre meno nelle battaglie e se la cosa gli faceva piacere, non fu così per il resto. Venne dimenticato sempre più, nel profondo buio del contenitore. Siccome era da solo la cosa gli sembrò ancora più umiliante, non poteva nemmeno parlare con alcuno ed alla sera doveva sentire gli altri grandi eroi, mentre lui era un invalido che non serviva a nulla. Che gratitudine, gli sembrava di essere in mezzo a dei perfetti sconosciuti.
Gli anni passavano, si aggiungevano altri soldati quasi tutti più belli, colorati e di piombo. Uno in particolare, si chiamava Ringhio, e già dal suo nome era tutto un programma: “Io sono quello più bello, più nuovo e più valoroso, voi prima o poi sarete messi da parte, come lo zoppo, non capisco cosa lo tengono a fare, qui in mezzo a noi. È un codardo e io non voglio vedere i codardi. Poi non ha mai amato la battaglia.”
Passarono parecchi anni, i soldatini passavano da una mano all’altra e i bambini sempre ci giocavano. Ringhio era sempre il più facinoroso, mentre Alvaro continuava a stare quasi sempre a riposo, non che gli dispiacesse, ma poteva vedere poco l’ambiente che lo circondava, e non sempre si rendeva conto dei cambiamenti e delle nuove persone di quella casa.

L’ultima famiglia si era trasferita da anni in Italia. Certamente David era diventato grande, così i suoi figli e i figli di Carolina e Mary suoi fratelli. E poi di seguito negli anni altri figli dei figli, dei figli del bisnonno David. Ma, soprattutto c’erano almeno quattro generazioni di bambini di quella casata che avevano giocato un secolo prima, con quei soldatini antichi e quindi ora anche più pregiati.
Così un giorno di fine marzo del 2006, uno di quegli scatoloni fu aperto da Lele, un bambino di 13 anni figlio del figlio di un altro figlio di David. Tirò fuori uno ad uno questi piccoli compagni di gioco, da tante generazioni di casa Cashon, lì portò nel giardino vicino ad alcuni stupendi fiori di sua madre. Poco distante vi era un piccolo boschetto di noccioli e di querce, dove nel mezzo scorreva piano e placido un piccolo rio d’acqua. Lele prese i suoi soldati e li dispose fra i fiori, alcuni in mezzo alle rose altri a mo’ di guardia alle violette, e il buon Alvaro perché ferito o per altro, vicino alla mimosa, il fiore delle donne.
La gioia di Alvaro era al settimo cielo, pensate: dopo più di 80 anni, rivedeva il sole. Frattanto, uno scoiattolo curioso si aggirava inseguendo le prime farfalle, ed una splendida ghiandaia, intenta a raccogliere ghiande si soffermava soddisfatta, il sole sembrava addentrarsi di più nel cielo.
Quando giunse Maurizio, suo padre, che disse: “Ma cosa stai facendo, loro non sono per questo tipo di svaghi! Un certo storico di nome Guizot, descriveva Napoleone, come colui che per primo individua i bisogni del suo tempo, i bisogni reali, attuali, ciò che necessita alla società contemporanea per vivere e svilupparsi regolarmente. Attento Lele, alcuni di questi soldati hanno un valore storico ed economico, oltre a quello effettivo più della metà, hanno circa 120 anni, capito? Io, il mio papà, il nonno e il mio bisnonno ci abbiamo fatto autentiche battaglie.” E cominciò a disporli come faceva lui un tempo… “Questo sulla collina, due sul greto del torrente e quello a cavallo…” “Ah sì, papà? Ed ora sono miei?” “Certo che sono tuoi” “Allora posso giocarci e fare quello che voglio?” “Sicuro caro Lele.” “Bene, credo che tu come il nonno e il bisnonno li avrete spesso messi di fronte e poi combattevano.” “Oh! Tante volte” “È uno strano gioco, gioco che ancora oggi accade” disse Lele, “come ad esempio in Iraq o da altre parti del mondo, vero?” “Sì ma questo che c’entra ora!” “C’entra, oh se c’entra” rispose Lele, “se tutti noi non c’entrassimo, forse le guerre maledette non ci sarebbero. Tanto la guerra porta solo morte e distruzione!” “Ma cosa dici” rispose il padre, “Qui si gioca e…” “Sì, è proprio con il gioco, che si dovrebbe capire e cercare col dialogo una mediazione, con la quale facciamo o dovremmo fare, l’uso giusto dell’intelligenza umana, non ti pare papà? Qua siamo in Italia, spiegami perché la Francia non è in Iraq? E perché questo condottiero, che ingannò seppur per poco anche un poeta di nome Foscolo, ha saccheggiato l’Italia di tante opere d’arte?”
“Ma figlio, questo è un discorso molto importante che non fanno sempre, nemmeno persone grandi. Poi la Francia non so…”
“Certo papà, se le persone leggessero un po’ di più e cercassero di comprendere. Sai, l’insegnante di religione l’altro ieri cosa ci ha sottolineato? Sulla, anzi sulle guerre!
«Nulla è perduto con la pace. Tutto è perduto con la guerra.» È una frase di papa Pio XII, ma sembra sia stata dettata dal suo segretario, Montini futuro papa Paolo VI, dopo la morte del papa buono e cioè Giovanni XXIII. E mi sembra proprio ancora attuale.”
“Ma che c’entra con i giochi e i tuoi soldatini?” Così il piccolo Lele prese per primo Alvaro, lo guardò attentamente, specie la gamba rotta, gli strappò il fucile e al suo posto gli mise un fiore. Allora il padre: “Ma che fai! È un soldato della guardia Imperiale di Napoleo…”
“Hai detto che sono miei, posso fare ciò che voglio no? Sì, proprio Napoleone, ha stipulato cinque volte la pace: pace di Lunélville 1801, pace di Tilsit 1807 pace di Schonbrunn 1809 e mai una volta che lui abbia ammesso di averla infranta! Senza contare quelle firmate in Italia. Partendo dalla pace di Tolentino 19.2.1797, la prima fatta col papa Pio VI, poi ottobre di quell’anno pace di Campoformio, che chiuse di fatto la prima campagna d’Italia di Napoleone e con quel trattato finiva la Repubblica di Venezia.
Poi ha agito contro la chiesa, giungendo a decidere per diritto imperiale, la nomina di un terzo dei cardinali, abolizione del celibato ecclesiastico ed altre cose fino a che il papa lo ha scomunicato 10.06.1809 così scattò il rapimento del vescovo di Roma Pio VII, uno dei papi di Cesena, per ben cinque lunghi anni prigioniero a Fontainebleau in Francia, roba da pazzi. E allora, se tutti faremo la cosa giusta e…” Il padre era allibito.
La voce della mamma li chiamò a pranzo.
Lele, prese il soldato invalido lo portò in casa e lo pose, – il soldato Alvaro, suo preferito, – sulla mensola del camino. Al posto dell’arma una rosa rossa, rossa fiammante. Mentre il padre ciondolava il capo. E rivolto alla moglie: “Mi è venuta acidità di stomaco nel sentire tutte queste considerazioni e…”

“Allora staresti bene con il tuo Napoleone, gran condottiero e gran mangiatore di arrosti, dolci e vino rosso, tanto che soffriva quotidianamente di forti bruciori allo stomaco. Terminato di mangiare, chiederò a Giulia di aiutarmi. Così tutti i soldatini avranno un fiore!”
Il padre rimase ammutolito, la madre ostentò un sorriso di soddisfazione verso il proprio figlio, il marito fece a fatica finta di nulla, ingozzandosi con la pasta.

Se qualcuno guardasse attentamente ora, quel soldatino sul camino, oltre a vedere che non ha un fucile, vedrebbe che al momento è l’unico soldato di legno al mondo che sorride.

[continua]


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