Opere di

Monica Gorret

Con questo racconto è risultata 7^ classificata – Sezione narrativa alla XVIII Edizione del Premio Letterario Internazionale Marguerite Yourcenar 2010


«Oltre la nebbia»

Davanti alla grande villa settecentesca una lunga fila di autovetture di lusso attendeva di far scendere donne e uomini in abiti da sera.
Nel salone al piano terra, adibito a mostra permanente della collezione di quadri di Lorenzo Mattei, la luce era soffusa; ogni ombra appariva ingigantita dai giochi di fuoco delle grandi torce antiche, unica fonte d’illuminazione della stanza.
Sembrava di essere proiettati in un lontano passato, esattamente come in un sogno, studiato nei minimi particolari per rendere ancora più suggestivo l’inconsueto avvicendarsi delle tele incorniciate da preziosi drappi di seta.

Lorenzo osservava pensieroso lo stupore e l’ammirazione dei presenti, che quasi sussurravano per non rompere l’incantesimo. Sapeva che non sarebbe mai stato realmente parte di quel mondo, fatto di eleganza e ricchezze ostentate, anche se da dieci anni, ormai, grazie al successo delle sue creazioni era diventato uno degli uomini più ricchi e stimati del paese.
Dentro di sé era rimasto lo stesso bohémien di un tempo e si ritrovava spesso a rimpiangere la sua stanzetta con le pareti scrostate, le serate all’osteria con gli amici, studenti di filosofia vistosamente fuori corso, con i jeans strappati e la barba incolta.

E l’incontro con lei…

L’angoscia si era quasi impossessata di lui quando l’inebriante freschezza del “suo” profumo lo costrinse a sorridere, prima ancora di vederla. Fin dal loro primo incontro lui era stato sicuro che quella donna sarebbe stata la sua compagna. Per sempre.

Già allora era arrivata silenziosamente alle sue spalle, aveva posato una mano sul suo braccio e lui si era sentito sicuro, invaso da un calore che neppure il fuoco dell’inferno avrebbe eguagliato, e l’aveva desiderata…
Era stato un sogno a portarla fino a lui e non si sarebbe più svegliato senza averla accanto.

La sua mente tornò a dieci anni prima e, stringendola a sé, cominciò a ricordare…

…Era primavera, ormai! Nell’aria si sentivano i profumi intensi dell’erba nuova e del sole che scaldava timidamente. Le ore di luce erano aumentate, lasciando che il sonnolento inverno portasse con sé quella lunga coperta di buio che ogni anno, impietoso, stendeva sul mondo.
Ed ecco che ogni giorno, nel quartiere vecchio, le case aprivano i loro grandi occhi facendo entrare la dorata luce del mattino e l’aria frizzante di marzo. Mille coperte multicolori, allora, venivano stese a prendere aria, come farfalle svolazzanti appena uscite dal bozzolo ed un nugolo di profumi usciva dalle cucine e dai bar.

Lorenzo, sdraiato sul letto in disordine, non pensava.

Percepiva appena la vita che palpitava al di là di quelle mura che lo circondavano e che lo facevano sentire sicuro e in trappola al tempo stesso.
Solo un timido filo di luce penetrava da una fessura delle imposte, troppo vecchie per chiudersi completamente. Quel fievole raggio di vita, entrando nella stanza buia, sembrava voler mettere in evidenza il disordine e l’apatia che vi regnavano: una pila di libri, certamente troppo alta, aveva ceduto ed ora testi di Fromm, Hesse e Goethe si trovavano sparsi in terra accanto a “Le opere di Michelangelo”, “I capolavori di Picasso” mentre fumetti di ogni tipo giacevano sparpagliati tra le poesie di Prévert.
Proprio accanto ai libri, quasi ad offendere tutto quel sapere , una lattina rovesciata lasciava fuoriuscire quel poco di liquido bruno che ancora conteneva. Bottiglie vuote spuntavano da sotto il letto, tra le lenzuola che si ammassavano a terra.
Il cavalletto da pittura, quasi a coprire una vergognosa nudità, era avvolto da un lenzuolo bianco che lasciava intravedere solamente le tre esili gambe appena abbronzate.
Tubi di colore aperti formavano serpentelli variopinti e il loro denso profumo si mescolava a quelli più intensi della trementina e dell’acqua ragia.

…E Lorenzo era lì, parte di quella discarica e non si sentiva molto diverso dal pezzo ammuffito di pizza che da giorni giaceva su un cartone abbandonato accanto al comodino.
Teneva gli occhi chiusi, se ne stava immobile e se non fosse stato per quell’appena percepibile movimento del suo petto, quando l’aria entrava ed usciva da lui, sarebbe sembrato senza vita.
Non sapeva da quanto tempo stava lì e neppure da quando si era dimenticato di mangiare.
Ogni tanto si alzava, trascinando apaticamente le gambe fino in bagno, urinava e, senza nemmeno azionare lo sciacquone, tornava a lasciarsi cadere sul letto.
Il braccio, casualmente finito a penzoloni oltre il materasso gli fece sfiorare le setole di decine di pennelli allineati in terra… e gli parve di accarezzare i morbidi capelli di Nicole, poi il suo corpo vellutato, addormentato accanto a lui, un giorno qualsiasi di tanto tempo prima.
La sua mente vagava in labirinti senza fine.
C’erano stati momenti in cui si sentiva animato da una forza superiore, esterna a lui ed allo stesso tempo un tutt’uno col suo essere: la sua anima pareva rapita e le sue mani si muovevano sulla tavolozza fino a fondersi nella tela, diventando un’unica sostanza, un insieme di immagini vive.
…E quella stanza che ora si era trasformata in una prigione, era stata il suo Paradiso e come in un regno immaginario… quante muse avevano attraversato quella soglia. Ogni volta Lorenzo aveva osservato quei corpi perfetti color miele, li aveva dipinti in una sorta di estasi artistica, inseriti in paesaggi magici e surreali, dando luci ed ombre ad essi con tocchi precisi e leggeri di pennello.
Aveva respirato fino in fondo all’anima l’odore intenso che emanavano, richiamo del desiderio, e li aveva amati.
Riuscire a dare l’eternità a quell’attimo di giovanile bellezza lo eccitava almeno quanto il sapere di provocare lo stesso fremito nelle sue muse.

…Poi era arrivata Nicole e da allora lei soltanto.

Nicole sapeva rappresentare ogni donna, perfettamente, ogni desiderio di lui, fisico ed artistico: era bella, sensuale, solare ed acuta, si muoveva con un’eleganza che pareva innata… e lui ne era completamente rapito.
Lorenzo non era molto alto, ma il suo sguardo era fiero, il suo corpo statuario era quello di un atleta partenopeo e un guizzo di intelligenza e virilità brillavano costantemente nei suoi occhi.
Lui l’aveva amata con un’intensità e un’irruenza tali da far dimenticare il tempo e il luogo, la sete e la fame… fino a quando, doloranti ed ansimanti, si addormentavano l’uno accanto all’altra, sospesi nel tempo, lucidi di sudore e profumati di sesso.

Lorenzo, però, amava anche la sua arte, quell’istante unico di creazione nella quale, come in un’eterna replica di un acclamato spettacolo, lui si concedeva ancora e ancora, unico protagonista, estraniato dal resto del mondo.
Nicole non l’aveva mai realmente capito. O forse lo aveva accettato, fingendo anche con sé stessa, perché si era illusa di recitare accanto a lui. Un giorno, però, si era stancata, si era sentita usata, aveva capito (o creduto di capire) che sarebbe stata solo e sempre una comparsa e che presto Lorenzo avrebbe avuto bisogno di nuove ispirazioni.
Quasi all’improvviso era diventata gelosa di tutto, possessiva al punto di imbruttirsi: ogni gesto, assenza, ogni silenzio erano diventati motivo di litigi e causa di parole troppo cattive, di pianti, di continui lasciarsi e riprendersi che li avrebbero allontanati per sempre.

Poi era arrivato quel giorno, così intensamente drammatico da togliergli il fiato al solo ricordo, quando, esasperato dalla gelosia di Nicole e dalla sua ultima immotivata scenata, le aveva gridato che aveva ragione lei, che era stata solo un capriccio, un attimo di pausa tra lui e l’arte e che solo quest’ultima sarebbe stata per sempre il suo unico e vero amore…
Lei era scoppiata in lacrime. I singhiozzi erano diventati tanto forti da non permetterle più di parlare, ma forse non c’era nemmeno nulla dire, non più.
Così si era voltata ed era scappata fuori dalla stanza, quasi volando; era corsa giù dalle scale e lui l’aveva vista attraversare la strada, senza guardare, senza più rendersi conto di dov’era o di quello che intorno a lei continuava comunque a muoversi nel solito caos.

Il cielo aveva cominciato a lacrimare, piangendo sul corpo di Nicole, ormai senza vita, travolto da una passione che l’aveva resa cieca ed imprudente.
Lorenzo era rimasto fermo, alla finestra: non riusciva a parlare, a pensare, a muoversi e respirare. E mentre gente sconosciuta correva urlando accanto a Nicole, lui aveva smesso di vivere.
Se anche avessero bussato alla sua porta non avrebbe sentito. Era diventato sordo ad ogni richiamo e viveva in un mondo in bianco e nero, avvolto da una coltre di nebbia così spessa da rimanerne schiacciato.

…Lui che sorrideva sempre anche nelle giornate più uggiose, che si sentiva un privilegiato, che a Parigi aveva corso per le strade ballando e cantando mentre gendarmi più esterrefatti che inferociti lo rincorrevano soffiando a pieni polmoni nei fischietti argentati… Lui che trascorreva notti intere a dialogare con la luna e i gatti randagi, seduto sul tetto tra un comignolo e l’altro… Lui!
Ora non si ricordava neppure il suo nome, il sapore del cibo, il brivido di una pelle di seta, il calore di un abbraccioè e stava lì, in attesa forse, di quella morte che probabilmente neppure lo voleva… così, già vinto!

Erano mesi che, guardando le tele bianche, non vedeva altro che il vuoto ed era proprio così che si sentiva anche lui: perso, inutile.

Allora aveva vagato nei luoghi che più lo avevano ispirato, negli angoli più intensi della sua città e della sua anima; aveva chiuso gli occhi, ascoltato, annusato l’aria, accarezzato reliquie, respirato eternità… Ma più si sforzava, più si obbligava a vincere quel vuoto che lo possedeva, più entrava a farne parte.
Passava giornate intere e notti a torturarsi con pensieri che provocavano in lui ferite sempre più dolorose e insanabili, poi, stremato dai suoi stessi “perché” si addormentava, dando un poco di sollievo alla sua mente e alla sua anima.

Fu proprio in una notte di queste, una notte fatta per spegnere pensieri neri, che “LEI” era entrata nella sua mente, dentro un sogno… forse per miracolo o per il bisogno dirompente di aiuto della sua anima.
Lei non era visibile, non era corpo, non aveva limiti, dimensioni, confini… .
Lorenzo percepiva appena la sua presenza, i suoi movimenti, la sua energia che irradiava calore, ma sentiva la sua voce che lo chiamava. Allora, sempre in sogno, aveva cominciato a vagare nella nebbia, a cercare con le mani tese per evitare ostacoli che non poteva vedere.
Era nudo! E sentiva i piedi posarsi prima sull’erba fresca, poi immergersi in un fango che lo faceva rabbrividire, affrettare il passo, avere paura…
Era un cieco che passeggia tra autostrade e ghiacciai crepacciati, ma sapeva di dover continuare, per non morire.
Aveva freddo, era stremato, ma ogni volta che si fermava senza fiato, quasi vinto… ”LEI” cominciava a chiamarlo per nome, insistente, così riprendeva a camminare. Poi, all’improvviso, sentì il vuoto sotto i piedi e cominciò a precipitare.

Quando si svegliò, sudato ed ansimante, si sentì per la prima volta dopo tanto tempo finalmente vivo e fu come se, con il sogno, anche il suo letargo fosse finito. Aveva in testa l’assurda, folle certezza di dover uscire, andare a cercare quella donna senza volto che lo aveva chiamato, risvegliato… e non si sarebbe arreso finché non l’avesse trovata e trasformata nella sua opera più bella.
Nulla lo avrebbe più fermato, era come se una nuova energia lo avesse invaso e, di colpo, capì che l’aria mancava da quella stanza ormai da troppo tempo… e spalancò le finestre.

…Un bacio sfiorò le sue labbra e lui, Lorenzo Mattei, tornò al presente, nella grande sala della sua villa, tra ospiti importanti che si aggiravano rapiti tra le sue tele.
E accanto c’era “LEI”!

Ludovica ora aveva un nome, un volto, un’anima… e un sorriso che lo aveva fatto innamorare, credere ancora in sé stesso e mentre l’abbracciava fondendosi nel suo profumo, giurò che non l’avrebbe persa mai.

Monica Gorret


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