Opere di

Ornella Sala


Con questo racconto è risultata 9^ classificata – Sezione narrativa alla X edizione del “Premio di Poesia e Narrativa La Montagna Valle Spluga 2009


«Fili di comunicazione»

Anche se erano anni che il mio nonnetto non usciva di casa, veniva a conoscenza di ogni cosa.
Era una strana virtù che iniziavo ad apprezzare.
Come sempre era riservato, amante del suo orto, quando andavo a trovarlo
lo trovavo che puliva il cortile con una scopa di saggina e tra un sorso di the e l’altro mi raccontava quello che stava per succedere nel mondo. Pareva avere fili di comunicazione segreta con altre persone, e a volte mi sorprendeva con notizie anticipate, tutto perché di mattino presto leggeva il giornale o ascoltava le notizie alla radio, quindi nessuna arte divinatoria.
Era come se sentisse il palpito della notizia, con rammarico ammette che viviamo in un tempo di confusione,i ragazzi crescono e vogliono andare per la propria strada.
Lui, vuole perorare la causa dei genitori che si trovano sempre di fronte a dei dilemma: lasciarci andare o tenerci vicini, farci proposte o attendere che gli si chieda consiglio, aspettare una loro difesa, una giustificazione agli sbagli; certo che il compito non è facile.
La testardaggine è usata per difendere un punto di vista invece che usare le parole per comunicare e farsi capire.
Allora posso considerarmi fortunata che quando torno a casa non trovo il silenzio ad attendermi la solitudine che creano malintesi e aspre parole che impongono una giornata difficile.
Guardando la serenità che traspare dal volto del nonno comprendo di avere un alleato, una persona che ha una delicatezza ed un’intuizione usando la forza di una parola invece di una predica, bussa alla porta della nostra giovinezza con discrezione e sorride con condiscendenza: per me è come una candela che si lascia contagiare dal fuoco e può far luce per tutta la casa.
Avevo osservato quell’uomo, mio nonno, che lavorava con metodo ma senza fretta, felice di essere indipendente e di poter portare a termine ciascuno dei suoi compiti con piena soddisfazione per passare poi al successivo.
Rastrellava la terra, poi con una leggera pressione tracciava un solco lungo il quale praticava una serie di fori distanti profondi.
Sceglieva le più robuste pianticelle di vari ortaggi e ne collocava una in ogni buco.
Dopo che tutto era sistemato, annaffiava abbondantemente il terreno.
Un altro fatto che doveva ponderare era la moderazione, quando si trattava di coltivare un orto, era sicuramente la cosa migliore perché si poteva concludere un lavoro prima che cominciasse a diventare troppo impegnativo.
Saggiamente consigliava di non essere ambizioso, quando si coltiva la terra, perché non si deve sentire la necessità di mettersi in mostra rischiando di diventare cattivi coltivatori.
Aveva una logica: fare una giusta valutazione su quanto ci viene dato a disposizione, cioè, lembi di terra dai quali dipendiamo per nutrirci, per sopravvivere; comporta anche una fatica di produrre, arricchendo il suolo concimandolo per renderlo fertile.
Il nonnetto amava scherzare sulla sua giovane età di vecchia datatosi la definiva, ma che era divenuto artritico, cadente, e doveva fare attenzione perché i suoi piedi rischiavano a volte di inciampare in ogni asperità del terreno, mentre io, con una nota di nostalgia, diceva, ero ancora nel pieno dell’esistenza.
Un giorno, con mia sorpresa ci confidò che aveva due sogni nel cassetto: divenire ingegnere o un bravo scalatore; sogni che chiaramente ormai resteranno chiusi in quel piccolo antro di mobile.
Tutto perché, ne conosce uno che ha un sorriso deciso dell’emergente ormai emerso e cioè colui che ha la sicurezza del cavallo di razza che non solo per rango, arriva alla poltrona importante.
Nella sua chiacchierata fa trasparire le difficoltà a sopravvivere se non si fa parte di una struttura grossa e articolata.
Ne parla come se fosse una vocazione.
Certo che è un impegno gravoso, perché esistono servizi che vanno dalla progettazione all’assistenza del cliente, ad acquistare e comperare in nome del cliente.
Insomma sembra un gioco basato più sulla difesa che sull’attacco, tutto concentrato su bilanci, interessi forti.
Ma allora per essere ingegnere vuoi dire essere un carro armato culturale che non si può fermare di fronte a certe paure; il sorriso di chi la sa lunga non deve mai abbandonare il viso di colui che intraprende questa professione anche perché il più delle volte deve usare un tono di chi non è disposto a discutere.
L’avo, nonostante la sua genuina conoscenza nel campo letterario, comprende che una bravura sta nel fare, essere capaci; non basta l’iscrizione all’albo, ma serve la competenza.

Parlando con lui apprende che una volta è stato uno scalatore, ma allora, il nonno, si disse: costui ha potuto esaudire le sue aspirazioni e i suoi desideri, che fortuna!
Ma rimane sconcertato, quando gli racconta un episodio che ha avuto un ruolo fondamentale su una decisione e cioè di fare esclusivamente l’ingegnere, e dare un addio allo sport che gli faceva provare il brivido della potenza e dell’avventura: lo scalatore.
Era per lui una disciplina che faceva sentire scariche di adrenalina pura, che aveva frequentato centri riconosciuti dalle federazioni e aveva seguito le indicazioni degli istruttori.
Insomma, dopo aver ascoltatolo l’ho definito un parco ed un evento da cardiopatia, ma che fa assaporare la gioia di una sfida.
Tutto era iniziato quel giorno, ansioso come sempre di giocare la sua partita con la montagna, una avversaria nobile che conosce tutti i trucchi per sconfiggerlo, però quando si riesce a dominarla, la si ama fino alla fine dei giorni, pronto a conquistarne l’anima.
Per specificare i gradi di difficoltà, ne fece un elenco: facile, mediocremente facile, molto difficile, oltremodo difficile, estremamente difficile; solo i grandi talenti fanno le scalate di sesto superiore, o impossibili come li chiamano i profani.
Decise pertanto di affrontarne una il cui nome faceva il suo onore, ma che tanti scalatori vi avevano perso la vita; era un lastrone liscio, che si innalzava in verticale come una guancia che ha appena ricevuto un pugno, cioè gonfia; c’era uno stretto camino lungo la prete, a prima vista non si vedeva né una crepa, né una ruga che servisse da appiglio e da appoggio.
Ma gli era stato insegnato che per raggiungere la cima, c’era una via nella parte inferiore, dove appigli e sporgenze aiutavano nell’impresa di conquista; usava una speciale tecnica di arrampicata, in cui si adoperano appigli per le mani, i piedi e ci si bilancia con una pressione della schiena sulla parete opposta.
Come accadde spesso in montagna, all’improvviso il livello delle nubi si abbassò, così la visibilità, mentre il vento aumentava di intensità; peccato si disse, non aver dato retta a un montanaro che aveva previsto, per via di un doloretto al callo che segnalava una variazione del tempo.
Era in corso una gara tra lui e la natura, ma quest’ultima era in vantaggio, infatti, tutto a un tratto, una terribile folata di vento gli fece perdere l’equilibrio perché di colpo aveva alzato il braccio per schiaffeggiare l’aria, e precipitò di sotto.
Pensava: è finita, mentre terrorizzato cadeva nello strapiombo.
Dopo un atterraggio su un masso, si stupì di vedersi ancora in vita, ma il suo corpo aveva subito delle mutazioni anatomiche e appariva orribilmente deformato.
Per un po’ l’aria fu piena dei suoi gemiti e urla di dolorerà sua vita non era molto più che il vapore del suo respiro, non poteva fare altro che aspettare la morte o i soccorsi.
Caso vuole che un turista, con un potente cannocchiale stava osservando la montagna e vide lo sfortunato scalatore precipitare e allora diede l’allarme.
Nel frattempo, lo sfortunato si sentiva sprofondare in uno di quei momenti neri che non vanno d’accordo con un proprio credo, momenti di malumore con la sfiducia di farcela, di sopravvivere, non doveva lasciarsi sprofondare nel limbo della disperazione.
Senza saperlo iniziò a pregare, una preghiera chiamata speranza che Lui l’avrebbe sorretto sulla roccia della sofferenza con la sua corda di divina pietà.
Poi perse i sensi, si ritrovò bocconi sopra una barella, dove voci concitate, davano ordini a destra e a sinistra, in seguito si ritrovò in un letto di ospedale.
Iniziava per lui la più ardita scalata della vita, l’inizio dell’esercizio di equilibrismo, ma senza rete, una battaglia quotidiana per la riabilitazione.
Nel suo letto, pensava intensamente alle sue montagne, gli sembrava di scorgerle da lontano, profilarsi a corona contro il cielo, con la loro maestosità, lo splendore delle nevi immacolate che si attardano ai picchi sino ad estate inoltrata.
La voglia di combattere era come una pietruzza che di improvviso gettava barbagli nel sole come un diamante, se si guardava da un punto ben definito.
Lasciare sfilare nella memoria i ricordi della giovinezza, il cuore afferrato da uno sbigottimento, da ora in poi doveva rassegnarsi a fare soltanto delle passeggiate; da una eccitazione che accompagnano la nascita di grandi pensieri, rivelazioni, nuove verità, la vittoria finale infine lo attendeva. La grande scalata stava per terminare, conquistare la cima, perché conosceva la strada da seguire con una fiducia radicata profondamente dentro di sé.
Una mattina, un raggio di sole irruppe dall’ampia finestra della sua camera, il cielo era una splendida cupola azzurraci sereno era tornato, era vivo.
Per l’ingegnere, sono ricordi che ritornano alla mente, con malinconia di un’apparizione e dei quali si serbano le immagini colorati di un fascino doloroso.
Ora per lui era stato come calare un sipario su una scena dell’infinita commedia della sua vita, e aveva sentito il bisogno di mettere partecipe il nonno con la speranza che quella sua necessità sia riconosciuta da lui.
Stranamente sentiva nel suo animo, come un filo di comunicazione, che quell’anziano in qualche modo era partecipe della sua esistenza; tutto perché aveva sentito il mio avo parlare di un suo trascorso in guerra.
Il nonnetto gli aveva confidato che appunto durante il conflitto mondiale, la sua divisione si era trovata dopo una estenuante marcia sulla neve con il ricordo del rumore della neve che crocchiava sotto le scarpe, in una zona montana.
Si erano allontanati dai colpi dei mortai, delle mitragliatrici che sputavano pallottole che si infilavano miagolando nella neve, tranne quando colpivano bersagli umani.
Ormai camminavano senza una meta, affamati, stanchi, sporchi, quando
raggiunsero alcune baite.
Fu ospitato da una famiglia, composta da due persone anziane e una bella giovane.
La guerra, la paura, la mancanza di affetti fecero il tutto il nonno con la ragazza sembravano due anime che goffamente si avvicinarono, in quel frangente, nessuno sapeva quanta forza aveva da dare, ma ognuno era disposto a condividerla.
Non potevano però fare progetti per il futuro, solo promesse che non furono mantenute, e lei si trovò con un fiore (figlio) come ricordo.
Infatti il laureato disse che la mamma, con sacrificio lo aveva fatto studiare, lasciando un compito importante al figlio, prima della sua dipartita terra, e cioè rintracciare il padre dandogli soltanto alcune indicazioni riguardo il nome, la sua statura non troppo alta e un parlare prettamente lombardo.
All’ingegnere, sembrava di essere il protagonista di un romanzo senza intrecciai vedere un fantasma intravisto in sogno che si faceva reale, che non avrebbe mai neppure sognatoci stava rivelando.
Ma allora quell’ometto, longevo, era suo padre, certo che le persone comuni aspettano che la vita palesi loro i segreti, i misteri vengono annunciati prima che il velo sia tolto.
La montagna, era stata il filo di comunicazione, con commozione si abbracciarono, come un DNA che lascia un messaggio indelebile.

Ornella Sala


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