Tu, Figlio di Dio

di

Padre Joan Maria Vernet


Padre Joan Maria Vernet - Tu, Figlio di Dio
Collana "I Salici" - I libri di Narrativa
14x20,5 - pp. 178 - Euro 11,50
ISBN 978-88-6037-9337

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In copertina: Christ © Nit – Fotolia


Premessa

Col presente volume Tu, Figlio di Dio, stiamo arrivando alla parte finale della vita pubblica di Gesù. Il libro parla dell’ultimo apostolato di Gesù in Galilea, del suo viaggio in Giudea e della celebrazione delle due feste ebraiche conosciute dal vangelo di Giovanni: la festa delle Tende e quella della Dedicazione (rispettivamente in ebraico Sukkot e Hanukkah).
L’ambiente che predomina nel libro, specialmente nell’ultima parte, è la preparazione al grande mistero della morte e risurrezione di Gesù che si descriverà nel prossimo volume.
La visione di Gesù in questa collana sulla sua vita cerca di essere del tutto fedele a quella dei Vangeli, ma con un apporto pedagogico di spiegazione e di complementarietà a causa dello stile evangelico, estremamente conciso e parco in dettagli.
I Vangeli raramente ci parlano delle emozioni di Gesù, delle sue preghiere, delle sue riflessioni intime. Questa serie di libri su di Lui intenta scoprire l’intimità di Gesù, il suo cuore e i suoi sentimenti, le sue reazioni interne, le sue lotte spirituali, il suo rapporto interiore col Padre celeste, la sua vita interiore e divina.
In essi si può trovare una vita di Gesù con l’apporto della scienza biblica (filologia, storia, geografia, archeologia, sociologia, e specialmente esegesi e teologia) ben documentata e fondata. Poi subentra il ruolo dell’immaginazione che crea scene, episodi e personaggi non riscontrati nei vangeli, ma in perfetta sintonia con essi e con tutti i personaggi che vi intervengono.

Il Cristo che presentano è il Gesù di Nazaret, il Gesù della storia concreta e, allo stesso tempo, il Cristo della fede, che gli evangelisti mostrano nato da Maria, “con un nome ebraico, con tratti della razza semitica, cittadino di un popolo, abitante di un paese nascosto in Galilea, inserito in una cultura, sottomesso alle pressioni e alle forze politiche dei suoi giorni e soggetto di diritti e di doveri” (González de Lamadrid, La fuerza de la tierra, 19).
“Gesù non è un mito, è un uomo fatto di carne e sangue, una persona tutta reale nella storia. Possiamo visitare i luoghi e seguire le vie che Egli ha percorso. Possiamo, per il tramite dei testimoni, udire le sue parole” (Benedetto XVI, Gesù di Nazaret (2007), 316).

Abbiamo lasciato indietro lo scettecismo storico e abbiamo cercato di ritrovare il vero Gesù della fede cristiana, scoprendo in lui un Cristo umano e divino, perfetto, immerso nel Padre celeste e del tutto vicino a noi, quel Gesù che “lavorò con mani d’uomo, pensò con mente d’uomo, agì con volontà d’uomo, amò con cuore d’uomo. Nascendo da Maria Vergine egli si fece veramente uno di noi, in tutto simile a noi fuorché nel peccato” (Gaudium et spes, 22).
Così, la fede cristiana, alimentata dai vangeli e dagli altri libri del Nuovo Testamento e di tutta la Bibbia, dopo i dibattiti dei primi Concili e l’apporto dei grandi teologi e mistici della Chiesa, ci offre una chiara visione di Cristo.
“Gesù emerge sempre come l’uomo più sconvolgente di tutti i tempi (com’è noto, il tempo stesso, in buona parte del mondo, da secoli, si computa a partire della sua nascita). Non c’è nessun individuo che gli si possa paragonare per l’importanza, la vastità e la durata della sua influenza. Nessuno scatena amore e odio come lui. È anche il più rappresentato e cantato dall’arte di tutti i tempi. Anche la letteratura moderna ne è testimone” (Antonio Socci, Indagine su Gesù, 27-28).

L’augurio che faccio ai lettori è quello già espresso nei libri precedenti: il ritorno ai Vangeli. I Vangeli sono i veri libri di Gesù e della fede. Essi sono la mèta di ogni lettura di fede. Questi miei libri, spero, potranno facilitarne un po’ la lettura e aiutare un po’ alla loro comprensione.

Joan Maria Vernet
2 febbraio 2010
Festa della Presentazione del Signore al Tempio
POB 7336 Jerusalem (Israele)


Presentazione

La vena mistico-letteraria di Joan Maria Vernet non cessa di scorrere e regala a lettrici e lettori affezionati ancora un frutto del suo colloquio intimo e inesauribile con Gesù, l’eroe vero del mondo e della storia di cui non si stanca di contemplare e narrare la vicenda umano-divina unica.
Dopo i colloqui familiari di Giuseppe e di Maria – i primi tre volumi – Joan va scrivendo con inconfondibile stile personale una piccola cristologia narrativa. Credo si possano leggere anche così in armonica continuità con Tu, il Figlio di Dio i volumi precedentemente pubblicati: Tu, Gesù (2003); Tu, Figlio di Giuseppe (2004); Tu, Figlio di Maria (2004); Tu, l’Atteso di Israele (2006); Tu, l’Inviato di Dio (2007); Tu, Maestro di vita (2008); Tu, il Messia (2009).
Chi legge avverte la familiarità  dell’Autore con i Vangeli, la sua vasta cultura biblica, storica, geografica e climatica, come anche la conoscenza di usi e costumi sociali e riti religiosi del giudaismo antico. Questa erudizione, frutto dei lunghi anni di presenza, studio e docenza in Terra Santa, senza essere ingombrante è disseminata nei racconti, e “costruisce” il lettore istruendolo, informandolo e perfino coinvolgendolo nella trama narrativa.

Lo stile è personale, ma il contenuto è profondamente radicato nella letteratura evangelica da cui attinge fatti e parole, al punto che anche gli episodi o i dialoghi “creati” dall’Autore risultano coerenti e omogenei con i racconti e il messaggio dei Vangeli. L’Antico Testamento è frequentemente evocato con appropriati riferimenti a testi, fatti, personaggi e luoghi.
Il ritratto di Gesù è genuinamente evangelico e viene delineato dalle sue parole e da quelle che gli rivolgono i personaggi che lo accostano. Il Tu, Figlio di Dio è profondamente umano e insieme consapevole della sua identità e della missione ricevuta dal Padre. Nessuna forzatura ma pure nessuna frattura tra il “corpo” di Gesù di Nazaret e la sua vicenda storica e la sua “anima” pasquale e divina. Ciò appare sia nei dialoghi che nelle preghiere che l’Autore pone sulle sue labbra in vari punti del racconto e in forma estesa alla fine della prima e terza parte del libro. Maria sua Madre è accanto al Figlio con la chiara percezione della sua vera identità e già cooperatrice nel cammino di fede dei discepoli e discepole e degli amici di Gesù.
La scoperta della sua identità da parte degli Apostoli, dei miracolati, dei discepoli e discepole è progressiva. Spicca su tutti Nicodemo con il suo itinerario di fede, di crescente stima e di intima amicizia con Gesù. Fa da contrasto Giuda Iscariota, il cui tragico profilo risulta dalle sue stesse parole di protesta e critica e dai richiami del Maestro. Su questo personaggio come pure sugli oppositori ostinati di Gesù l’Autore non calca mai le tinte, senza però sminuirne la portata e la responsabilità.
Con gli spostamenti di Gesù, sapientemente collocati nella geografia evangelica nota o riscostruita, si muovono i personaggi più diversi: dalla Madre di Gesù ad alcune discepole, dagli Apostoli ai contestatori, dai malati di vario genere ai bambini, da alcuni ufficiali romani a rare persone anonime. L’Autore non si restringe ai personaggi principali noti dai Vangeli, ma riesce a dare un nome anche ad altri personaggi creati da lui. Tanto il suo mondo interiore e letterario li sente vivi e dotati di personalità unica e inconfondibile.

Ispirandosi chiaramente al celebre “grande viaggio” di Gesù verso Gerusalemme come lo racconta l’evangelista Luca, don Vernet presenta il Rabbì Gesù che “confida” i suoi pensieri, il suo rapporto orante con il Padre e le sue esperienze con le tante persone che incontra nel suo cammino. Lungo la via, nelle sinagoghe, nelle case, il Maestro forma i discepoli conducendoli per un itinerario umano e spirituale che li dispone ad accogliere la rivelazione della sua persona e della sua missione, le esigenze etiche e la radicalità delle scelte di fronte al regno di Dio e alla sua verità. In questo modo il lettore ritrova sulla bocca di Gesù parabole, detti, insegnamenti, incontri e dialoghi e in contesti sempre aderenti alla tradizione evangelica o ad essa delicatamente ispirati.

Guardando alla piccola biblioteca scritta da don Vernet e specialmente alla sua “cristologia” narrativa tutta intrisa dei racconti evangelici, mi son tornate alla mente queste parole del grande letterato convertito Giovanni Papini: “Il Vangelo non è un’opera solamente terrestre; non appartiene alla «letteratura» umana; e la sua perdita non è pensabile neppure quando tutto sarà perduto. È la storia di un Dio che s’è fatto Uomo tra gli uomini, ma parla e opera divinamente, in nome d’Iddio, dalla miseria della Croce… nessun altro fascio di parole è comparabile a questi quattro covoni di celestiale frumento che da settecento milioni di giorni sfama ed impingua milioni di anime”.
La prosa semplice e discreta di don Joan costituisce un invito a leggere e contemplare con gli occhi del cuore i quattro meravigliosi e intramontabili libretti che lo Spirito Santo ha ispirato a Marco, Matteo, Luca e Giovanni. Non solo un invito ma anche un esempio di come dissetare l’anima a queste sorgenti pure e cristalline di celeste sapienza e di vita immortale!

G. Claudio Bottini OFM
Decano della Facoltà di Scienze Bibliche e Archeologia
(Studium Biblicum Franciscanum, Jerusalem)


Tu, Figlio di Dio


A Antonio Socci, vero testimone della fede
nella sua vita e nei suoi scritti


Prima parte

Ritorno in Galilea

I – 1 – Gerusalemme

Eravamo sul punto di lasciare Gerusalemme dove avevamo celebrato la Pasqua. Ospiti dei nostri amici di Betania, avevamo trascorso tre settimane nella Città santa. Lo scopo principale del nostro pellegrinaggio era stato raggiunto: andare con spirito di fede a celebrare la Pasqua, partecipando alla liturgia del tempio e al clima della festa, lodando Dio per la liberazione del suo popolo dalla schiavitù d’Egitto e sperando nella salvezza di Dio per tutti gli uomini.
Per me, come tutte le volte precedenti, la Pasqua era stata motivo di profonda meditazione e di una crescente emozione. L’anno prossimo – una voce interiore me lo ripeteva – sarebbe stata l’ultima Pasqua per me, e sarebbe stata la Pasqua definitiva, in connessione non solo con la storia di Israele, ma con tutta l’umanità secondo il disegno eterno di Dio… La Pasqua si sarebbe realizzata in me con una portata universale. Io, come Agnello di Dio, avrei dovuto essere sacrificato e, con il mio sangue, salvare tutta l’umanità dall’angelo sterminatore, in questo caso dal diavolo, riscattando tutti gli uomini e le donne della storia per farli partecipi della gloria e della vita divina.
La mia carne sarebbe diventata l’alimento dei miei seguaci e il mio sangue la loro bevanda spirituale. Sono cose troppo grandi per il cuore umano, ma io ero pronto per questo compito e per questo momento decisivo, e avevo ancora un anno per approfondirlo e farlo capire ai miei discepoli.
Essi erano già stati istruiti da me in Galilea sulla mia morte e risurrezione e avevo già parlato loro del Pane di vita nella sinagoga di Cafarnao. Ora occorreva un’istruzione più accurata su questo mistero centrale nel disegno del mio Padre celeste per la redenzione del mondo. Lungo quest’anno avrei fatto per loro un’intensa preparazione, anche se ero ben cosciente che molte cose non le avrebbero capite.
A parte il clima festivo e liturgico della Pasqua, a Gerusalemme avevo notato ciò che avevo già immaginato in anticipo: un’attesa crescente della mia persona da parte di molti che mi conoscevano e di altri che avevano sentito parlare di me, ma anche una reazione dura e ostile da parte dei miei avversari, scribi e farisei, ora ancora più manipolati da quegli scribi che erano scesi a Cafarnao, amici di Mesullam, e che avevano gettato legna sul fuoco contro di me.
La mia attività a Gerusalemme era stata quella di sempre. Avevo operato diversi miracoli, avevo predicato spesso nel tempio e nelle piazze, avevo avuto parecchie discussioni accese con i miei nemici. I miei discepoli erano rimasti fedeli a me in tutto. Solo Giuda Iscariota continuava per la sua strada; sono venuto a sapere che era perfino andato più volte dai miei avversari. Di fatto si era assentato spesso da noi. Vedevo nel suo atteggiamento un approfondirsi del male che lo avrebbe condotto, alla fine, alla sua totale rottura con me. Era inevitabile, come è inevitabile che una grossa pietra, precipitata da un’altura, cada fino in fondo. Gli scribi certamente lo avrebbero strumentalizzato nelle loro macchinazioni contro di me.
Questo discepolo è stato per me una spina per due anni e continua ancora ad esserlo, una spina che si fa sempre più pungente e acuta. Ogni giorno prego per lui e offro al Padre le mie sofferenze, le quali molto spesso sono superate dalle consolazioni che il Padre del cielo mi manda attraverso lo Spirito Santo.
Tra un paio di giorni ci saremmo incamminati verso la Galilea. Ignoravo quale sarebbe stato l’atteggiamento dei suoi abitanti nei miei riguardi. Pensavo, comunque, che sarebbe stato più o meno come a Gerusalemme. Non dimenticavo le parole che il vecchio Simeone disse di me quando, bambino di quaranta giorni, fui presentato al tempio: “Sarà un segno di contraddizione…”. Queste parole me le ricordava mia madre ogni tanto.
Sentivo la forza dello Spirito e la speranza della salvezza futura mi spingeva a continuare con rinnovato impegno la mia missione di annuncio del regno di Dio sia con la predicazione, sia con il compimento di miracoli e con una più intensa e fervida preghiera.
A Gerusalemme mi ero accorto di come il nemico non dorma e si dia da fare per mettere tutti i bastoni possibili tra le ruote del bene che avanza. Pur essendo già passati due anni, la memoria dei miei precedenti soggiorni nella città era molto viva, le mie parole erano ancora perfettamente ricordate e maliziosamente interpretate da sadducei e farisei.


I – 2 – Credi nella bontà di Dio?

Arrivò il giorno della partenza. Lasciammo la Giudea.
Il tratto da Gerusalemme fino alla Valle dei Patriarchi fu normale, senza particolari eventi. Sempre attorniato dai discepoli, facevo la strada commentando, ricordando, con ampi spazi di silenzio adatti alla preghiera personale e alla riflessione.
Al tramonto, appena usciti dall’ampia Valle dei Patriarchi, mi si avvicinò un giovane uomo che, ansiosamente, mi chiese:
– Maestro, tu sei il rabbì di Nazaret?
– Sì, lo sono.
– Grazie a Dio, Rabbì! Ti aspettavo da giorni. Sapevo che eri andato a Gerusalemme con i tuoi discepoli e sapevo che saresti ritornato alcuni giorni dopo la Pasqua. Non mi sono sbagliato. Su questa strada ci alternavamo questi giorni io e mio fratello per vederti al tuo ritorno.
– Posso fare qualcosa per te?
– Proprio per questo sono venuto, Maestro. Ho due bambine di sette e di cinque anni. La più piccola non può camminare. Un difetto dalla nascita le impedisce di farlo. Quando io ritorno a casa dopo il lavoro, sempre mi viene incontro, felice e contenta, la bambina grande. Invece la piccola rimane a casa, impedita. La gioia che sento abbracciando la mia figlia più grande viene sempre rattristata dal pensiero della piccola, che non può uscire di casa. E forse mai sarà in grado di farlo… Maestro, se tu volessi…
– Tu credi nella bontà di Dio?
– Ci credo, Maestro, e anche nella tua, in questa bontà che tu possiedi e che fa sempre tanto bene ovunque… Pensa, ti prego, alla mia piccola, mezzo paralizzata.
– Allora, se credi, vedrai l’opera di Dio.
Avanzammo insieme per un buon tratto di cammino.
– Maestro, il mio villaggio è quello di fronte. Vieni da noi. Saremo tutti felicissimi!
– Sì, sarò felice anch’io di conoscervi.
– Andiamo dunque…
Mentre camminavamo verso la casa, a poca distanza vedemmo due bambine che correvano gioiose verso di noi seguite dalla mamma.
– Oh, mio Dio! Sono le mie figlie! Tutte e due! Le vedi, Maestro? Tutte e due! Anche la piccola!
– Sì, vengono correndo ambedue.
– Non posso crederci, Maestro! Lascia che vada ad abbracciarle…!
Il loro abbraccio, bagnato dalle lacrime del padre, è per me indimenticabile. Quale gioia e quale effusione di affetto! Ringraziai di cuore il Padre celeste. Tutto il villaggio accorse a vedermi e si chiedeva come era accaduto quel prodigio.
– Baciate le mani di questo Maestro! È lui che ti ha guarita, Rachele! Grazie a Lui ora puoi camminare.
Dietro a loro era corsa la loro madre:
– Io sono la mamma delle bambine, Maestro. Grazie, grazie infinite! Solo pochi minuti fa ho visto l’incredibile. La mia figlia più piccola è saltata d’un tratto dal suo letto ed è venuta da me. Io non ci credevo, pensavo fosse un’allucinazione. E, prima che la potessi prendere tra le mie braccia, ho visto che usciva di casa e, correndo, con la sorella, è venuta da te…
– Ringraziate Dio, cari amici. Confidate sempre nella sua bontà!
– E ora, Maestro, vieni da noi con i tuoi discepoli. Cenerete con noi e con i nostri amici.


I – 3 – Nella patria di Eliseo

Rimanemmo lì per la cena, ospitati in diverse case. Tutta la gente si diede da fare per portare qualcosa. Vivevamo l’emozione della presenza viva e amorosa di Dio della quale parlai in una breve allocuzione a tutti, radunati davanti alla casa della bambina guarita.
Poi mi ritirai sulla parte occidentale del villaggio dove il terreno si alzava formando una sorta di dirupo verticale roccioso. Avevo bisogno di pregare, di ringraziare il Padre per quel miracolo e di ricordare tante cose, specialmente gli incontri avuti a Gerusalemme e i tanti avversari che facevano di tutto per ostacolare la mia missione.
La gente del villaggio si era mostrata molto cordiale con noi e ci impose l’obbligo di sostare sempre da loro nei nostri pellegrinaggi a Gerusalemme. Noi lo promettemmo. Non ci permisero di partire il mattino seguente perché il tempo minacciava pioggia. Ci dissero di aspettare. Intanto la bambina risanata era al centro della curiosità e dell’attenzione di tutti, grandi e piccoli. Noi ci sentivamo a casa in mezzo a quella gente semplice e grata.
Verso la metà del mattino smise di piovere e allora potemmo partire salutati dalla benevolenza e dalla simpatia di tutto il villaggio.
Nel tardo pomeriggio eravamo nelle vicinanze di Abel Mecolà, patria del profeta Eliseo. Tutti ricordavamo il miracolo del profeta quando curò Naaman, il generale lebbroso del re di Damasco. Il Padre celeste mi aveva preparato l’opportunità di fare, anch’io, un prodigio in favore di un giovane in questa zona.
Al mattino, la pioggia che ci aveva trattenuti per un certo tempo, era stata molto intensa ad Abel Mecolà, accompagnata da fulmini e tuoni. Uno di quei fulmini era caduto su un albero sotto il quale si era rifugiato un pastore con il suo gregge. Il pastore morì all’istante. Anche alcune pecore rimasero uccise.
Quando noi giungemmo in quel luogo, vedemmo tanta gente che andava verso la casa del pastore. In mezzo alla stanza principale avevano deposto il corpo del giovane che aveva ventun anni. Era rimasto quasi intatto malgrado la forza della scarica che lo aveva colpito.
Saputa la cosa, volli avvicinarmi. Qualche abitante mi riconobbe e subito si sparse la voce che mi trovavo in mezzo a loro.
Arrivai alla casa. Attorno al defunto c’erano i parenti. Le donne piangevano, gli uomini erano in silenzio. Giunto alla soglia della porta, la madre del giovane venne da me e cadde ai miei piedi:
– Signore, abbi pietà di tutti noi! Siamo distrutti. Ecco mio figlio ucciso da un fulmine. Era il più grande dei fratelli e tra due mesi si sarebbe sposato con questa sua cugina che piange sconsolata. Siamo annientati, Signore. Aiutaci, ti prego, aiutaci, abbi pietà di questo mio figlio e di tutti noi…
Mi avvicinai un po’. Tutti erano in silenzio, quasi senza respiro, in attesa.
– Enoc, lo dico a te, alzati! – dissi ad alta voce.
Il defunto mosse un po’ le mani, scomparve il pallore della morte e i suoi occhi si aprirono. Gli diedi la mano e si alzò.
La madre lo abbracciò piangendo e così tutti gli altri. Io uscii dalla casa; la gente voleva baciarmi le mani. Passato un po’ di tempo di massima emozione, il giovane uscì dalla porta.
– Grazie, Maestro! – mi disse – Sei stato tu a ridarmi la vita. Grazie infinite! I suoi genitori mi presero le mani e me le baciarono con un calore particolare.
– Lodate il Signore! – dissi – Servitelo nella gioia e con tutta la fiducia.
Passammo la notte lì, attorniati dalle attenzioni della gente. Il giovane Enoc venne da noi con la sua fidanzata.
– Maestro, – mi disse – tra due mesi ci sposeremo. Vorremmo che fossi tu a benedire il nostro sposalizio. Ti sarà possibile?
– Non te lo posso assicurare, amico. Ma pensa che la benedizione di Dio ti accompagnerà sempre. Confidate in Dio e Lui vi conceda lunga vita e posterità!
– Così speriamo, Maestro! E grazie, tante grazie di tutto!


I – 4 – Nelle vicinanze di Nain

Com’era bello stare in mezzo a quella gente semplice ed umile! Ci volevano dare tutto. E anch’essi ci fecero promettere che saremmo passati sempre da loro nei nostri viaggi a Gerusalemme.
Partimmo il giorno seguente. Due giorni dopo eravamo nelle vicinanze di Nain, sulla Via Maris. Era pomeriggio. I miei discepoli ricordavano, ancora emozionati, la risurrezione di quell’altro giovane, figlio della vedova di Nain. Mentre commentavano il fatto, ecco avvicinarsi, correndo, qualcuno verso di noi.
– Maestro, – mi disse – ti aspettavo da giorni! Sapevo che eri andato a Gerusalemme e sapevo che saresti passato di qua al tuo ritorno. Io sono quel giovane che tu hai risuscitato mesi fa. Con mia madre dicevamo sempre che io dovrei incontrarti per ringraziarti ancora una volta per il tuo immenso favore.
– Sono contento, caro amico, – risposi –. Sii sempre grato a Dio e agli uomini.
– Come dimenticare quello che hai fatto per me e per mia madre? Noi viviamo grazie a te. E ora, non vieni da noi? Ci sarà una festa a Nain. Mia madre ti abbraccerà e tutti vorranno vederti, felici. Vieni, caro Maestro!
Acconsentii e ci recammo a Nain. In effetti, tanta gente, saputa la mia venuta, lasciò tutto e venne per vedermi e salutarmi. Soprattutto la madre del giovane era commossa, quasi come lo era nel giorno della risurrezione di suo figlio. Venne e si prostrò ai miei piedi:
– Maestro Gesù, grazie di essere venuto! Questo paese non ti può dimenticare e sempre ti ricorderà! Mio figlio e io ti portiamo nel cuore e parliamo sempre di te. Rimani con noi quanto vorrai. Nain è ormai il tuo paese, tutti ti ricordano e ti amano.
– Grazie di cuore. Dio è stato buono con voi. Amatelo e ringraziatelo sempre.
Cenammo da quella famiglia e poi parlai alla gente radunata davanti alla porta della casa. Mi ascoltavano con attenzione e fede. Verso le nove di sera ognuno tornò alla propria casa. I miei discepoli trovarono alloggio in diverse case del villaggio. Io ero stato pregato di rimanere in casa del giovane risorto. Ma prima di andare a riposare, mi incamminai verso la cima della collina di Morè, sulla quale è adagiata la cittadina di Nain. Come ogni sera, la mia ultima azione era la preghiera-dialogo con il Padre celeste. Avevo sempre tanti motivi per ringraziarlo, per benedirlo e lodarlo per la sua costante e infinita bontà verso di me e verso tutti i miei!
Mentre pregavo, mi venne in mente il fatto della risurrezione del giovane e quella del pastore di Abel Mecolà. Due casi di morte di due giovani, e due risurrezioni. Questo mi fece pensare alla mia stessa morte e risurrezione. Credo che il Padre celeste mi avesse ispirato questa mia riflessione partendo da quei fatti che, in certo modo, simboleggiavano la mia stessa sorte.
Mi sedetti su una grossa pietra per ripensare con calma alla risurrezione dei due giovani e per riflettere sulla mia non lontana morte. Sono rientrato forse alle due o alle tre del mattino. La vedova e suo figlio sapevano che sarei rientrato tardi e mi avevano dato la chiave della casa.
Cominciai a riflettere sul mio passaggio da questo mondo al Padre. Questo momento era cruciale nella mia vita e nella mia missione. Sentivo che il tempo si avvicinava. Tra un anno, nella prossima Pasqua, io sarei stato ucciso. E, come era avvenuto ai due giovani, sarei risorto anch’io.
Sapevo che la mia morte aveva un grande prezzo: il prezzo che il Padre pagava per la salvezza degli uomini, per la redenzione del mondo. Lo sapevo e questo mi faceva trasalire di gioia e di entusiasmo. Sentivo quasi l’impazienza di arrivare a quel momento di dare la mia vita, il mio sangue in favore degli uomini che da sempre avevo tanto amato.
Il disegno del Padre era estremamente prezioso per loro, era l’apertura delle porte del paradiso, chiuse dal peccato di Adamo. Era l’entrata nella gloria di tutta l’umanità salvata e redenta. La mia morte avrebbe segnato la realtà di una nuova Alleanza, di una nuova creazione, di un uomo nuovo nel suo cuore e nella sua fede, di un nuovo popolo di Dio. Sarebbe stata l’unione del cielo e della terra, per sempre uniti e riconciliati.

[continua]


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