Tu, il Messia

di

Padre Joan Maria Vernet


Padre Joan Maria Vernet - Tu, il Messia
Collana "I Salici" - I libri di Narrativa
14x20,5 - pp. 184 - Euro 11,50
ISBN 978-88-6037-7449

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In copertina Cristo. Mosaico bizantino (sec. XIV) nella chiesa di Chora (Istambul)


Tu, il Messia, scritto con uno stile personale, intuitivo e narrativo, non è una ricostruzione più o meno fantasiosa di fatti della vita di Gesù e nemmeno è sul tipo del romanzo storico. Si potrebbe invece descrivere come una ricostruzione dei fatti e detti del Salvatore, precisamente sul filo dei quattro racconti evangelici, reinseriti (per noi lettori distanti duemila anni) nel loro ambiente, fatto di luoghi concreti, di eventi passati e recenti, di personaggi realistici, di piccole storie zonali e della storia dei grandi della terra.
Si cerca infatti di tener conto dell’ambiente religioso, delle lotte politiche, della vita sociale dei grandi e dei piccoli, dei problemi quotidiani. Sono evocate le scene, descritti i luoghi, contemplata la natura, uditi gli animali, ascoltati i suoni. Emergono le attese religiose, i conflitti regionali, le controversie teologiche, lo smacco dei poveri, gli arrivismi dei potenti… Forse che Gesù non è vissuto in un contesto simile? Forse che Gesù non ha posto la sua tenda tra la gente? Non è forse stato immerso negli eventi del suo tempo?
Gesù è sempre al centro del racconto. Tutto il libro ce lo avvicina, ce lo fa sentire umano, ma anche ci fa percepire il divino. Lui, attraverso la sua comunità di vita con i suoi discepoli, risponde alle nostre domande circa il senso della vita, i fatti, gli altri, il mondo. Il libro diventa così catechesi e pedagogia: porta a conoscere e ad amare Gesù sempre di più.


Presentazione

Non sono molto lontani i tempi in cui chi intendeva comporre una «vita di Gesù» era considerato un superato, uno che non teneva conto dei risultati imprescindibili degli studi storico-critici dei vangeli. Questi infatti dimostrerebbero che la figura del «Gesù storico» svanisce ed evapora, riducendosi a pochi dati, perché priva di fatti certi e documentati, per cui sarà possibile, per chi crede, accettare solo un «Gesù della fede», un Gesù privo di tanti episodi, miracoli, racconti, incontri, conversazioni, descritti nei vangeli…
Nel dibattito che ne seguì, lungo circa due secoli, il Gesù vivo, quello di Betlemme, di Nazaret, di Gerusalemme, quello dei discepoli e delle folle, quello delle parole e dei miracoli, invece di oscurarsi, ne è emerso più vivo e vero che mai. Si è riscoperto non solo il Gesù «cristiano», ma anche il Gesù «ebreo», il Gesù della geografia e della storia del I secolo, il Gesù radicato nell’Antico Testamento e il Gesù profeta di una nuova ed eterna alleanza con Dio.

Il nostro autore, Joan Maria Vernet, si può vedere nella scia di questi proclamatori di un Gesù “in carne e ossa come vedete che io ho” (Lc 24,39), per rifarci all’espressione che lui stesso ha usato apparendo nel Cenacolo ai suoi discepoli dopo la sua risurrezione.

Naturalmente lo fa in stile suo, uno stile personale, intuitivo, narrativo. Non è una ricostruzione più o meno fantasiosa di fatti della vita di Gesù e nemmeno è sul tipo del romanzo storico. Si potrebbe invece descrivere come una ricostruzione dei fatti e detti del Salvatore, precisamente sul filo dei quattro racconti evangelici, reinseriti (per noi lettori distanti duemila anni) nel loro ambiente, fatto di luoghi concreti, di eventi passati e recenti, di personaggi realistici, di piccole storie zonali e della storia dei grandi della terra. Si cerca infatti di tener conto dell’ambiente religioso, delle lotte politiche, della vita sociale dei grandi e dei piccoli, dei problemi quotidiani. Sono evocate le scene, descritti i luoghi, contemplata la natura, uditi gli animali, ascoltati i suoni. Emergono le attese religiose, i conflitti regionali, le controversie teologiche, lo smacco dei poveri, gli arrivismi dei potenti… Forse che Gesù non è vissuto in un contesto simile? Forse che Gesù non ha posto la sua tenda tra la gente? Non è forse stato immerso negli eventi del suo tempo?

Certo, per poter penetrare in questi particolari bisogna non solo conoscere bene le fonti evangeliche, ma anche tutti i suoi contorni di tempo, di luogo, di società, di religione, di politica… Il nostro autore, anche per i tanti anni dedicati allo studio e all’insegnamento dei Vangeli e di varie scienze parallele ed ausiliari alle scienze bibliche propriamente dette, mette a frutto in questo nuovo libro (ormai il decimo di questo tipo o di questa serie) il frutto delle sue ampie conoscenze nel campo storico, geografico, socio-politico dell’ambiente del tempo di Gesù. Allora tanti episodi e discorsi della vita di Gesù, che a un lettore sprovvisto potrebbero sembrare slegati o non ambientati, ritrovano qui una loro collocazione logica.
Per fare questo, è chiaro che non bastano le scienze parallele, pur utilissime. Joan Vernet mostra (senza naturalmente dirlo) che, alla base di tutto questo, sta un profondissimo amore a Cristo, una lettura meditata continua della sua parola e dei suoi atti, una vera lectio divina. Ecco perché i «silenzi» dei vangeli sono colmati dall’Autore con dialoghi, gli «spazi vuoti» sono riempiti da viaggi, le speranze e le aspirazioni sono espresse con salmi, il contatto di Gesù col Padre celeste si manifesta nelle preghiere notturne.

Anche i vari caratteri degli apostoli appaiono nella loro diversità e vivacità. Su tutti la figura di Giuda, la più difficile perché enigmatica, ha la prevalenza nelle descrizioni, dato che, umanamente parlando, non si comprende come uno scelto da Gesù stesso, da lui educato, istruito e dotato, l’abbia progressivamente rifiutato fino a tradirlo! Per motivi del tutto opposti, Maria di Nazareth, la madre di Gesù, occupa un posto importantissimo nell’intero libro.

È evidente che Gesù è sempre al centro del racconto. Tutto il libro ce lo avvicina, ce lo fa sentire umano, ma anche ci fa percepire il divino. Lui, attraverso la sua comunità di vita con i suoi discepoli, risponde alle nostre domande circa il senso della vita, i fatti, gli altri, il mondo. Il libro diventa così catechesi e pedagogia: porta a conoscere e ad amare Gesù sempre di più. Per questo auguriamo che molti lettori ne traggano profitto e lo facciano conoscere anche ad altri.

Piergiorgio Giannazza
festa di san Giovanni Bosco, 31 gennaio 2009
Istituto Teologico Salesiano,
Ratisbonne (Gerusalemme)


Premessa

Mi sia concesso di iniziare questa premessa con le parole del Deuteronomio: “Gioirai davanti al Signore tuo Dio di ogni cosa a cui avrai messo mano” (Dt 12, 18). Ho scelto questo versetto perché esprime molto bene il mio stato d’animo e la mia esperienza in questi momenti. Vedo in effetti con soddisfazione il fatto di aver già raggiunto il decimo numero di questa piccola serie di libri sulla vita di Gesù.
Per me averli scritti è stato, sin dall’inizio, una fonte di gioia e di ispirazione. Molti lettori lo hanno intuito e me lo hanno manifestato.
Quindi mi sento in dovere di ringraziare innanzitutto Dio, datore di ogni bene, per il lavoro realizzato e, insieme a Dio, anche tanti lettori e amici che mi hanno espresso la loro gioia per questi libri, incoraggiandomi sempre ad andare avanti.

Per i lettori che non conoscono i volumi precedenti e magari ne fossero interessati, li enumero in ordine di pubblicazione:

  • 1 – Tu, Giuseppe (vita di Giuseppe)
  • 2 – Tu, Maria (prima della vita pubblica di Gesù)
  • 3 – Tu, Madre del Messia (vita pubblica di Gesù vista da Maria).
  • 4 – Tu, Gesù (sull’infanzia di Gesù in Egitto)
  • 5 – Tu, Figlio di Giuseppe (adolescenza e prima giovinezza di Gesù a Nazaret)
  • 6 – Tu, Figlio di Maria (maturità giovanile di Gesù a Nazaret)
  • 7 – Tu, l’Atteso di Israele (Gesù adulto a Nazaret)
  • 8 – Tu, l’Inviato di Dio (inizio della vita pubblica: primi mesi)
  • 9 – Tu, Maestro di vita (Gesù predicatore del Regno di Dio)
  • 10 – Tu, il Messia (Gesù rivelato come Messia).

Tutti questi libri sono stati pubblicati dall’Editrice Montedit di Melegnano (MI).
Una domanda che parecchi cominciano a farsi è questa: come e quando finirà questa serie di libri?
Sul futuro sempre c’è un punto interrogativo e nessuno può rispondere con certezza. Comunque, sognare è legittimo e, nel mio sogno, se Dio vorrà, per concludere questa serie di libri sulla vita di Gesù, ci vorranno ancora due volumi: l’11° sulla fine della vita pubblica di Gesù, e il 12° sulla sua passione, morte e risurrezione.

Avendo scritto questa premessa, la lasciai leggere a mio amico Lino Cignelli, Francescano, che corregge fin dall’inizio i miei manoscritti in italiano. E lui mi ha detto: “Devi aggiungere un 13° volume col titolo: «Tu, l’Emmanuele nella Chiesa»”.
Un’altra persona che corregge i manoscritti, appena ha saputo questo suggerimento, mi ha scritto: “E… che dire della proposta del 13° volume? È quello che ci voleva! E allora avanti, avanti sempre! Che lo Spirito continui a suggerire alla mente, al cuore, alla vita quanto affidare alla penna, a vantaggio di tanti e tanti lettori…”
Dovrò dunque considerare seriamente queste indicazioni. Mi sembrano corrette e interessanti. Sulla stesura del libro, Dio dirà.

Questa è la prospettiva e il programma. Un compito bello, non sempre facile, che richiede studio, riflessione, slancio, gioia e preghiera. Si tratta di scrivere su quel Gesù, figlio di Dio e figlio dell’uomo “che passò beneficando” (At 10, 38) e continua a chiamare amici e collaboratori come Magdi Cristiano Allam, come Mercedes Aroz (cofondatrice del partito socialista della Catalogna e senatrice) e come Ingrid Betancourt, ai quali dedico questo volume con affetto e gratitudine per l’esempio che ci danno di una fede viva, attuale, matura, destinata a fare tanto bene.
Cristo è il centro, il movente, la causa, il fine e la gioia di ogni credente.
Possano questi semplici volumi sulla Sua vita aiutare altri fratelli o sorelle a incontrarLo, a conoscerLo e ad amarLo di più.

Joan Maria Vernet
Natale 2008


POB 7336
Istituto Teologico Salesiano,
Ratisbonne, Gerusalemme
e-mail: vernet31@gmail.com



Tu, il Messia


A Magdi Cristiano Allam, Mercedes Aroz
e Ingrid Betancourt che hanno saputo accogliere,
con gioia e convinzione, la voce di Cristo
che passava accanto a loro


PRIMA PARTE

La predicazione del Vangelo

I – 1 – Ritornando da Gerusalemme

Il pellegrinaggio a Gerusalemme per la festa di Pentecoste mi riempì il cuore di gioia.
Nel tempio avevo offerto al Padre celeste le mie primizie, i dodici Apostoli. Essi erano le pietre di fondazione della mia nuova comunità che, nel tempo, sarebbe stata chiamata Chiesa. Erano stati costituiti come i miei più stretti collaboratori.
Sentivo la stessa gioia di un padre alla presenza dei suoi figli, e più ancora: i miei dodici Apostoli, oltre che figli, amici e cooperatori, erano scelti dal Padre per lavorare con me e continuare, poi, la mia stessa missione in tutto il mondo.
Quella gioia piena, profonda, faceva passare in secondo piano le amarezze subite a Gerusalemme dagli attacchi dei miei avversari. Leniva anche il dolore, sempre fisso nel cuore dalla spina di Giuda, con la sua mente impenetrabile e ostinata. La mia preghiera per lui si era intensificata.

Il nostro ritorno in Galilea si svolse senza particolari incidenti, conservando per tutto il tempo il nostro ritiro e anonimato. Ma, appena giunti nei pressi della collina di Moré, la gente cominciò a riconoscerci e a poco a poco si formò nuovamente un buon gruppo di gente che ci seguiva. Erano assetati di verità, di speranza, di attenzione; parecchi di loro venivano anche per curiosità, per vedere qualche miracolo, ma la maggior parte veniva per impetrare grazie di guarigione, o per se stessi o per i loro cari.
Mi diedi di nuovo alla mia missione di predicare e di guarire. Mi sentivo felice in quell’attività, che era un irradiare agli altri quanto io possedevo di dottrina nuova e di benedizione. La gente rimaneva meravigliata, si sentiva grata e contenta davanti alla mia presenza che ispirava in loro pensieri di fiducia e di speranza,
L’immagine della gioia e della speranza veniva insistentemente alla mia mente. Era l’immagine del seminatore o del mietitore che vedono nel loro lavoro la causa di una grande letizia per quello che fanno, per quello che ottengono e per quello che faranno con il raccolto. La gioia e la speranza sono state sempre presenti in me per tutta la mia vita, e mi hanno permesso di vincere ostacoli e momenti difficili, di superare situazioni tristi o angosciose. E ora non mi lasciavano neppure un istante, malgrado le nuvole premonitrici di burrasche e di tempeste. La gioia e la speranza non mi impediscono comunque di vedere il male, l’ingiustizia e il dolore, e sono una forza che mi spinge a lottare contro questi flagelli che tormentano l’umanità.
Volevo che nella mia predicazione suonasse spesso l’accento alla gioia e alla speranza e volevo specialmente che i miei discepoli avessero il cuore ricolmo di queste qualità, dono dello Spirito, che sanno dare ali all’anima stanca o ferita.

Quando, lasciata un po’ indietro la collina di Moré, ci avvicinavamo alla via Maris, due uomini che passavano di là mi dissero:
– Maestro, non sai come sei stato cercato in questi ultimi giorni! Una vedova della cittadina di Nain che aveva un figlio sul punto di morte ti ha mandato a chiamare a Cafarnao, ma non c’eri più. Ora è già troppo tardi. Questa notte il ragazzo è morto e a fine mattinata ci sarà il funerale.
– Eravamo a Gerusalemme. Ma non fa niente. Andremo a Nain.
– Maestro, hanno detto che a mezzogiorno seppelliranno quel giovane, cosa potrai fare?
– Abbi fiducia, Taddeo; è Dio che agisce in noi, e per Dio non c’è nulla d’impossibile.
– Lui è così, testardo fino all’estremo – disse l’Iscariota a Tommaso. La sua cecità lo porterà al fallimento…
– Giuda, non hai visto le cose sorprendenti che ha fatto nei mesi scorsi?
– Sì, ma tutto ha un limite. Cosa potrà fare con un ragazzo sul punto di essere seppellito? E il peggio è che in queste pazzie coinvolge anche tutti noi, suoi discepoli.
– Io, invece, ho fiducia in Lui. Ci ha sorpreso tante volte…
Prendendo la via Maris ci avviammo verso Nain che si trovava solo a un’ora e mezza di cammino.
La folla istintivamente ammutolì, sia per l’impressione prodotta dalla notizia di quella morte di un giovane, sia perché aspettava di vedere quale sarebbe stata la mia reazione in un caso umanamente disperato come quello a cui andavamo incontro. La tristezza, l’incertezza, il timore fanno sempre abbassare la normale attività dell’uomo e del suo spirito, sia che si trovi da solo sia in gruppo.


I – 2 – Nain

Nain è una cittadina sorridente adagiata sul pendio nord della collina di Morè. La sua vita è prospera e la gente vive a suo agio sfruttando i campi della fertile pianura di Esdrelon, il legno che copre tutto il colle e la stessa via Maris, che permette ogni sorta di contatti con commercianti e pellegrini.
Verso le undici giungemmo a Nain. Anch’io avevo fatto quasi tutto il tratto di strada senza commenti. C’era dappertutto un profondo silenzio. Sembrava che la stessa cittadina fosse avvolta nella morte. Ma, quando stavamo salendo la costa che conduce alle prime case, ecco che, di colpo, sentimmo dei lamenti e dei pianti. Cominciava il corteo funebre.
Vi era tutta la cittadina. Quattro uomini portavano la bara, una semplice portantina coperta da un velo azzurro. Si vedeva il capo del defunto avvolto, con tutto il corpo, in un lenzuolo bianco. Dietro alla bara c’erano gli uomini, due dei quali sostenevano le braccia della loro sorella, la madre del giovane deceduto. Dietro agli uomini seguivano le donne, dalle quali provenivano la maggior parte dei lamenti e delle preghiere.
Ci fermammo all’entrata di Nain. Il corteo veniva verso di noi. La fossa era già stata scavata a poca distanza, nel cimitero. Ero commosso per la tristezza del caso, ma la mia fiducia nel Padre celeste rimaneva intatta.
Quando si avvicinarono i quattro uomini che portavano la bara, andai loro incontro. Nessuno dei miei discepoli mi seguì. Il silenzio e l’attesa divennero più intensi. Tutti si accorsero che il Maestro Gesù di Nazaret era ritornato da Gerusalemme e ora si trovava proprio lì, a Nain, di fronte al giovane morto. Uomini e donne avanzarono e riempirono tutto lo spazio, circondandomi totalmente. La madre mi guardava con occhi di infinita tristezza e di profondo dolore. Nessuno mi disse niente.
Tutti si chiedevano: cosa potrà mai fare il Rabbì di Nazaret? Quel caso era ormai al di là di ogni potere, di ogni speranza. Dio stesso rispetta la morte. Di rado si legge nei libri della nostra storia che Dio abbia risuscitato un morto.
Pregai intensamente. Ero commosso fino alle lacrime per il dolore della madre e per la tristezza della gente; per questo, mi rivolsi per primo verso la mamma:
– Non piangere! – le dissi.
Mi guardò con tenerezza, avvertendo il mio affetto per lei e per suo figlio. Sembrò riacquistare la serenità e la pace, ma rimase in ansia, come sospesa a guardare ogni mio movimento.
Se un’ape fosse passata volando in quel momento, il suo ronzio sarebbe stato sentito da tutti. Il silenzio era assoluto, impressionante. Tutti stavano a guardare senza batter ciglio, attenti ai miei minimi movimenti o parole.
Allungai la mano destra, toccai la bara e dissi con voce decisa:
– Giovane, dico a te, alzati!
Si percepì un leggero movimento sulla bara. Poi, mentre si scopriva il volto, il giovane lentamente si sollevò e si sedette, guardando attorno a sé. Io lo presi per le braccia, lo aiutai a scendere e lo condussi da sua madre.
Un grido di meraviglia, di lode, di gioia! Madre e figlio si abbracciavano in una stretta fortissima, piangendo ambedue di gioia e di stupore.
– Non mi sembra vero, figlio mio! Ritornato alla vita!
– Mamma, hai visto la mano di Dio?
– Quasi non posso crederlo, Isacar! Ti stavano conducendo alla fossa, figlio mio…
– Eppure questo Rabbì mi ha salvato…
Poi, guardandomi con infinita riconoscenza, ambedue mi abbracciarono piangendo.
– Sei stato tu, Rabbì, solo tu puoi fare questi prodigi! – disse la madre.
– Lodate il Signore, nostro Dio, datore di ogni bene – aggiunsi.
– Un grande profeta è sorto in mezzo a noi! – gridò uno della folla.
– Dio ha visitato il suo popolo! – rispose un altro.
Commozione, meraviglia, gioia… Tutto era un clamore, un commentare, un guardare incuriosito, quasi incredulo, sia al giovane che a me. Molti lo volevano toccare, e volevano prendere anche le mie mani, portatrici di quell’inspiegabile potere, per baciarle.
– Ringraziamo il Signore! – dissi. – Dio è con noi. Vediamo e sentiamo il suo amore.


I – 3 – Nazaret

Lasciai che la gente commentasse il fatto. Non aveva bisogno di alcuna spiegazione. Considerai finita la mia missione a Nain e, come avevo previsto, quella sera stessa dovevo trovarmi a Nazaret per iniziare la nuova tappa di predicazione e di annunzio del regno di Dio. Quel giorno era venerdì, quindi alla sera, inizio del sabato, avrei dovuto trovarmi nella sinagoga del mio pease.
Ricordavo la volta scorsa, quando, dopo la Pasqua, andai nel mio villaggio. La gente mi accolse con simpatia, eccetto alcune persone che da tempo mi guardavano con sospetto. La mia preghiera nella sinagoga fu normale e suscitò l’ammirazione della gente. Mai mi avevano sentito predicare. In quell’occasione non c’era il rabbino di Nazaret. Oggi non sapevo se si sarebbe stato. Quello che sapevo era che, se il rabbino fosse stato presente, le cose sicuramente non sarebbero andate tanto bene. Me lo diceva il cuore. Dalla sua venuta a Nazaret non mi aveva mai guardato con simpatia, ignorandomi totalmente e tentando di umiliarmi quanto poteva. Era una persona tormentata interiormente, divisa; la sua famiglia era per lui un peso insopportabile.
Affidai al Padre celeste quella visita.
All’inizio del nostro ritorno da Nain nessuno dei discepoli o del gruppo che mi seguiva erano in grado di commentare il fatto accaduto. Un profondo stupore aveva impressionato la loro mente. Ma a poco a poco cominciarono a parlare, a raccontare, a commentare. Notai anche che perfino i miei discepoli mi lasciarono, per un buon tratto di strada, quasi solo, come temendo di interferire tra Dio e me; ci consideravano intimamente uniti.
Io ero contento di avere questi spazi di silenzio e di solitudine che mi permettevano di pregare, di riflettere e di pensare agli insegnamenti per la gente.
Verso le cinque di sera entravamo a Nazaret.
Di nuovo sorpresa, gioia, commenti di parecchi abitanti del paese. E di nuovo facce ombrose, sguardi ambigui di altri abitanti, più ancora della volta scorsa. Notai un cambio in questo senso, un cambio negativo, di gente più tesa, meno favorevole alla mia presenza. Il motivo era facile, come lo seppi quella stessa sera: nei giorni precedenti erano venuti due rabbini di Cafarnao discepoli di Mesullam a sparlare di me, dicendo che io ero un blasfemo, che agivo per opera di Beelzebul, che non rispettavo il sabato e che insegnavo dottrine contrarie alla legge e alla tradizione.
Notavo un’atmosfera contraria, comunque i miei amici di sempre mi accolsero molto cordialmente. Inutile dire che mia madre fu la più felice. Si diede da fare per offrirci frutta fresca, fichi e uva, pane e acqua dalla cisterna di casa. Maria di Cleofa, per mia indicazione, andò dal rabbino Netania, che questa volta era a Nazaret, per chiedergli se potevo predicare nella sinagoga. Il rabbino ci pensò a lungo e finalmente disse:
– Dato che parla in tutte le sinagoghe, parli pure nella mia. Ma che misuri le sue parole. Dappertutto suscitano scandalo e divisione. Io seguirò sillaba per sillaba il suo discorso, e guai se oserà dire qualcosa di sconveniente! Io e gli altri reagiremo come non si immagina!
Queste parole me le riferì Maria di Cleofa, quasi non potendo contenere la sua emozione, prodotta dallo sdegno e dalla tristezza.
– Non preoccuparti, Maria, – le dissi – non sono solo. E non lo dico per i miei discepoli e per l’altra gente che mi segue. Lo dico perché Dio è con me. Sempre. In Lui confido totalmente. Non preoccuparti e non dire a nessuno le parole del rabbino.
Giunta la sera, eravamo nella sinagoga, gremita di gente. Non è molto grande, avrà una capienza per una quarantina di persone. Mia madre e Maria di Cleofa erano riuscite ad entrare con tre o quattro dei discepoli. Gli altri dovettero rimanere fuori.
Netania, il rabbino, era dentro e aveva preparato non soltanto la preghiera abituale, ma anche una breve presentazione del Rabbì Gesù:
– Fratelli: oggi abbiamo tra noi un figlio del vostro paese, Gesù, figlio di Maria. Speriamo che le sue parole siano un vero commento della Scrittura secondo le norme della tradizione, come faccio sempre io… Qualsiasi novità o stravaganza sarà immediatamente contestata. Lo dico per prevenirvi: avete sentito che dappertutto le sue parole trovano opposizione e suscitano mille problemi. Speriamo che tra noi non sia così, altrimenti, come ho detto, ci sentirà…


I – 4 – Tensione

Non risposi a quella presentazione. Il rabbino, poi, iniziò la preghiera dei salmi e mi diede il rotolo della legge per leggerlo. Lo lessi e lo commentai secondo il mio stile e secondo la mia totale libertà interiore, senza alcuna intimidazione. Accennai ai miracoli che Dio opera attraverso i suoi servi, e anche per mezzo mio, come testimonianza della sua potenza, e aggiunsi:
– Di certo voi mi citerete il proverbio: “Medico, cura te stesso”. Quanto abbiamo udito che accadde a Cafarnao e a Nain, fallo anche qui, nella tua patria! Ma sapete cosa si richiede per i miracoli? Si richiede molta fede: e voi, l’avete questa fede? Credete veramente in Dio e nel suo potere? Oppure si richiede una grande sofferenza e afflizione di cuore, come accadde ai nostri padri in Egitto sotto il faraone ed è accaduto oggi a Nain. Qualcuno di voi è afflitto fino in fondo? Qualcuno di voi vive nella sofferenza o nell’afflizione provocata dall’ingiustizia o dalla malizia? Vi dico anche: c’erano molte vedove in Israele al tempo di Elia, ma a nessuna di esse fu mandato il profeta, se non a una vedova di Sarepta di Sidone. C’erano molti lebbrosi in Israele al tempo del profeta Eliseo, ma nessuno di loro fu risanato se non Naaman il Siro…
All’udire queste parole, tutti furono pieni di sdegno, istigati dal rabbino Netania. Io ero meravigliato della loro incredulità e risolutezza. Si levarono in piedi come un solo uomo e, spingendomi con forza, mi cacciarono fuori della sinagoga.
– Chi si crede di essere? Come può dire cose tanto umilianti per il nostro popolo?
– Se si crede un profeta, sappia che non è benvenuto tra di noi!
– Fuori da Nazaret! Non vogliamo perturbatori della fede e della pace!
– Questo tale deve morire. Conduciamolo sul ciglio del burrone e precipitiamolo giù in fondo! Il nome del nostro paese cesserà di essere biasimato per colpa di questo falso profeta!
Mi attorniarono come lupi infuriati. Ma, uscendo, si trovarono con i miei discepoli. I miei si cinsero attorno a me. Invano valsero le spinte, le grida, la forza per tirarli via. Poi, ad un certo momento, si sentì una voce chiara, forte. Era la voce di un mio amico, Natan:
– Insensati Nazaretani, cosa state facendo? Che cosa vi prende per arrivare a questo estremo? Siete diventati pazzi? Dov’è il vostro buon senso?
– Tu stai zitto, altrimenti andrai anche tu in fondo al burrone! – disse il rabbino.
– Ingrati! – continuò Natan – Non vedete che commettete un’ingiustizia contro una persona che non vi ha fatto alcun male, anzi, che non fa se non il bene, dappertutto? Se abbiamo una gloria nel nostro paese, questa gloria è proprio lui, Gesù, figlio di Maria, del quale tutta la Galilea parla: è il nostro profeta!
Quelle parole, convinte e sagge, e il fatto di vedere me protetto dai miei discepoli, giovani e forti, fecero desistere da quella pazzia, nata da risentimento e da pregiudizi.
– Se non noi, Dio lo punirà! – gridò il rabbino.
– Taci una buona volta, tu sei la causa di tutto! – inveì Natan.
Non volli dare troppa importanza al fatto e, senza far nessuna recriminazione, aprendomi il passaggio in mezzo alla gente, mi allontanai… Intanto sentii che Giovanni diceva a mia madre:
– Maria, non stare in pensiero. Con noi non gli capiterà nulla di male. Prima uccideranno noi…
– Grazie, caro Giovanni! Come si vede che gli vuoi bene! Ti ringrazio tanto. Ho tutta la fiducia in mio Figlio e in voi, suoi amici…
Io la presi poi un po’ in disparte e le dissi:
– Mamma, non ti preoccupare, non temere!
– Tu, Figlio mio, avrai bisogno di tanto coraggio, di tanta forza!
– Il Padre me li darà. Disponi le tue cose a Nazaret. Tra pochi giorni verrai con me…
– Grazie, Figlio mio, grazie tante! Sì, sarò con te e per te fino alla morte. Grazie! Tutto il resto non conta più per me…
Ce ne andammo. Eravamo tutti contrariati, ma avevamo pace. Nel cuore non ci bollivano né sdegno né animosità. Non ci sentivamo nemmeno sconfitti. Questo era un altro miracolo di Dio. Accettammo il fatto così come venne. Ce ne andammo verso Sefforis. Il pensiero, però, che mi dominava, era quello di mia madre. Non poteva assolutamente rimanere più a Nazaret. Non potevo neppure immaginare che qualcuno potesse insultarla o schernirla per causa mia.


I – 5 – Accetto tutto, o Padre!

Arrivammo a Sefforis a notte inoltrata. Nella città avevo parecchi parenti e amici e vi trovammo sufficiente alloggio. Inutile dire che durante tutto il tragitto, venendo da Nazareth, la conversazione era centrata sull’evento della sinagoga. L’unico che rimaneva silenzioso e distante era Giuda Iscariota. Quando tutti gli altri discepoli si erano schierati attorno a me per proteggermi, lui era rimasto in disparte, indifferente, osservando freddamente come si svolgevano i fatti.
Per me la reazione dei miei compaesani fu estremamente dolorosa e l’atteggiamento di Giuda venne ad aumentare ancora lo strazio del mio spirito.
Sentivo il bisogno di aprire il mio cuore al Padre nella preghiera. E così, come ero solito fare, una volta che tutti si erano accomodati e abbandonati al sonno uscii dalla casa di uno dei miei parenti e mi avviai verso la parte orientale della città, dove scorre l’acqua di un acquedotto romano.
Mi sedetti sotto un vecchio ulivo; alzati gli occhi verso l’alto, vedevo il cielo attraverso i suoi grossi rami. Allora rivolsi al Padre celeste questa preghiera:

Oh Abbà, sempre caro e vicino!
Grazie della tua compagnia e del tuo amore
che sento in ogni istante.
Ora vorrei sfogare il mio cuore
davanti a te, alla fine di questa giornata
segnata da tanta luce e da tanto buio.
Grazie per la gloria di Nain,
per il potere sovrumano che mi hai dato
sulla vita e sulla morte.
Ti prego per quel ragazzo, per sua madre,
per tutta la cittadina che è rimasta scossa dal mio intervento.
E poi… Nazaret. Quasi non credo a quanto sia avvenuto…
Ma sì, è vero…
una delusione, uno smacco, una nuova spina nel cuore…
Ti offro la tristezza e l’amarezza
che ho provate nel mio caro villaggio
dove mai avrei immaginato una simile ostilità contro di me.
Ma accetto tutto, o Padre.
Eccomi con Te, sempre, nella luce e nelle tenebre,
nella gioia e nella tristezza, nell’entusiasmo e nel dolore.
Rimetto nuovamente, come sempre, la mia vita nelle tue mani.
In te confido…
Da’ uno sguardo di bontà all’amico distante: Giuda.
Bussa alla porta del suo cuore, mandagli un raggio di luce;
che il suo cuore si apra all’amicizia, alla fede, all’azione dello Spirito.
E… prima di finire, Padre,
benedici mia mamma che ora verrà con noi:
che sia l’espressione della tua tenerezza
e del tuo amore in mezzo al gruppo.
Grazie, o Abbà, perché l’hai regalata
a me e a tutti noi…

Ritornai a casa alleggerito nel cuore, rinvigorito nello spirito. Sentivo il bisogno del riposo. La giornata era stata estenuante. Mezzanotte era già passata. Dormii profondamente. Alle cinque, però, ero di nuovo in piedi per pregare. Le giornate erano dense di avvenimenti e avevano bisogno di un solido fondamento, fatto di preghiera. Io dovevo essere non soltanto il predicatore, l’operatore di miracoli, ma l’intercessore per tutti e per ciascuno di quelli che ascoltavano o si avvicinavano a me.


I – 6 – Ipocriti!

La predicazione a Sefforis fu particolare. La città possiede un alto grado di formazione culturale e religiosa, una mescolanza di popolazione ebraica e greca; la vita urbana si intreccia con costumi di campagna. Il fatto di essere stata capitale della Galilea le ha dato un timbro che il tempo non riesce a cancellare. Nei tre giorni di permanenza feci parecchi miracoli alla gente che mi chiedeva guarigioni e parlai a lungo nella piazza e nelle sinagoghe della città. Il seme è stato gettato e il frutto apparirà un giorno o un altro.
Poi siamo andati a Cana e lì, dove si conserva sempre presente il ricordo del mio primo miracolo, quello delle nozze, ho potuto anche constatare l’influsso della propaganda dei rabbini che sembra abbiano organizzato una campagna contro di me, capeggiata dal fariseo Mesullam, di Cafarnao.
Uno mi intimò perfino di andarmene dal paese perché, secondo lui, non ero ben gradito agli abitanti.
Mi resi conto, però, che era solo una piccola parte quella che si schierava contro di me. Io non diedi importanza all’opposizione e continuai a predicare e a realizzare delle guarigioni in mezzo alla gente.
Il giorno seguente, venerdì, nel tardo pomeriggio lasciammo Cana e ci dirigemmo verso Turan, grosso paese che domina la ricca pianura dallo stesso nome, famosa per le sue messi abbondanti e per un’ottima qualità di frumento.
Alla sera pensavo di predicare nella sinagoga, ma prima che arrivassimo alla cittadina, parecchi discepoli avevano strappato alcune spighe per mangiane il grano. Né loro né io ci eravamo accorti che il sabato era già entrato; alcuni dei farisei che aspettavano il nostro arrivo, come primo saluto mi apostrofarono:
– Vedi, perché costoro fanno di sabato quel che non è permesso?
– Cosa hanno fatto?
– Si vede bene che tu sei lontano dalla nostra legge. Neppure ti sei accorto che questi tuoi compagni hanno strappato delle spighe e ne stanno mangiando il grano.
– E questo vi scandalizza?
– Sì, profondamente. Il sabato è sacro per tutti noi e, se tu non lo capisci, è meglio che te ne torni alla tua bottega di Nazaret.
– Non avete mai letto che cosa fece Davide quando si trovò nel bisogno ed ebbe fame, lui e i suoi compagni? Come entrò nella casa di Dio, sotto il sommo sacerdote Achimelech, e mangiò i pani dell’offerta che soltanto ai sacerdoti è lecito mangiare, e ne diede anche ai suoi compagni? E poi, ascoltate, voi che venerate tanto il sabato, ascoltate e imparate: Il sabato è stato fatto per l’uomo e non l’uomo per il sabato! Perciò il Figlio dell’uomo è signore anche del sabato.
Non seppero rispondermi, ma mi parve di capire dai loro sguardi che le mie parole non li avevano convinti, e, specialmente le ultime, le ritennero come arma di battaglia. Difatti tante volte me le avrebbero rinfacciate in seguito.

La sinagoga, come al solito, era gremita di gente quando noi giungemmo. Il rabbino aveva dato tutta l’opportinità perché io potessi tenere la mia predica; era curioso di vedermi e più ancora di poter constatare qualche prodigio. Questo avvenne alla fine della mia predicazione.
Mi ero accorto che, in fondo alla sinagoga, seduta su uno sgabello, accompagnata da una donna più giovane, vi era un’ammalata di una deformazione terribile. Era totalmente curva, non poteva raddrizzarsi in alcun modo, e questo da diciotto anni.
Alla fine la chiamai; aiutata dall’altra donna e da un giovane che apriva il passaggio, venne, con estrema fatica, davanti a me. Ero commosso vedendo quella sofferenza fisica e morale della povera donna:
– Donna, – le dissi – sii liberata dalla tua infermità! Le imposi le mani e subito si raddrizzò glorificando Dio, piena di meraviglia e gratitudine. L’abbracciai con effusione.
Ma allora un altro prese la parola. Il capo della sinagoga, sdegnato perché avevo operato quella guarigione in giorno di sabato, rivolgendosi alla folla, gridò:
– Ci sono sei giorni in cui si deve lavorare; in quelli, dunque, venite a farvi curare e non in giorno di sabato.
Ipocriti! – risposi subito, stupito da quell’insensibilità – Ciascuno di voi non scioglie forse di sabato il bue o l’asino dalla mangiatoia per condurlo ad abbeverarsi? E questa figlia di Abramo che Satana ha tenuto legata per diciott’anni non doveva essere sciolta da questo legame in giorno di sabato?

[continua]

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