Con questo racconto è risultato 10° classificato ex aequo – Sezione narrativa alla VI Edizione del Premio di Scrittura Creativa dedicato a Lella Razza 2010
«I colori di Sara»
Come spesso accadeva durante il giorno, Sara era lì, seduta sulla sua poltrona preferita, un morbidissimo grande pouf giallo per il suo corpo esile e fragile, la sua carne candida, le sue mani magre ed eleganti. Un posto dove era solita spaparanzarsi non tanto per riposare, ma, come diceva lei, per pensare. Diceva che era quel colore ocra intenso che l’aiutava a pensare ed io ero geloso di quei pensieri e di quella poltrona che li abbracciava e li coccolava tutti. Succedeva che gli occhi oceanici di Sara si bloccavano per intere mezzore a fissare un punto come se volessero radiografarlo. E lei pensava attraverso quegli occhi limpidi e umidi proprio come un mare azzurro e trasparente, incontaminato, custode geloso di meraviglie così profonde da essere misteriose e sconosciute a tutti. Ma io amavo Sara e riuscivo a leggere tutta la sua vitalità ed il suo amore solo guardando quei libri aperti dei suoi fantastici, luminosi occhi celesti.
Un giorno, mentre mi parlava di come all’istituto era riuscita ad attirare l’attenzione dei bambini sui colori della natura, raccontandoglieli attraverso le sue favole, Sara si agitava, non stava bene, non era rilassata come sempre sulla sua poltrona gialla. Era come se la morbida, informe imbottitura si fosse trasformata in una fredda tavola d’acciaio, dove era impossibile trovare la posizione giusta. Se ne accorse e mi disse che era troppo tempo che non spolverava quella sua vecchia poltrona e che per questo il giallo non era più vivo come al solito e lei non riusciva a pensare e raccontare. Ancora la sua ossessiva mania dei colori: il suo più grande difetto o forse pregio per chi non ci convive quotidianamente. Sara identificava in ogni colore, in ogni sfumatura di ogni colore, un significato della vita, un potere sul nostro corpo e sulla nostra mente, insomma, un’importanza fondamentale per il vivere umano. Il rosso, solo a starci vicino ti dà la carica prima di un esame o di un appuntamento importante, il verde ti aiuta nel lavoro quando non riesci a concentrarti, il blu ti rilassa e ti trasporta nel mondo dei pensieri prima di quello dei sogni. Una pillola di vita per ogni colore, un rimedio a tutto attraverso ogni lunghezza d’onda, saggezza popolare e voglia di fantasticare. L’amavo per questo, credo. Per questa sua capacità di distacco dal mondo reale che lei chiamava invece attaccamento alla vita.
In una delle nostre serate passate a chiacchierare fino al mattino, mi raccontò come le era venuta questa passione per i colori e perché li amasse tutti indistintamente. Da piccola, avrà avuto cinque o sei anni, aveva già sviluppato quel suo caratteristico senso della comunicazione e non faceva altro che domande a chiunque le desse confidenza. Ora al padre, ora alla madre, al maestro, alla vicina di casa, ma quando quel giorno arrivò quel signore che si chiamava Psicologo, la sua vita cambiò. Cambiò solo perché lui le chiese di immaginare di stare in una grande stanza tutta arancione e di pensare a qualcosa di bellissimo, lei ci riuscì pensando alle bambole più belle del mondo e si divertì moltissimo. Poi, il signore le chiese di pensare di andare pian pianino di là, nella stanza vicina che era invece tutta verde e di dirgli cosa vedeva, lei gli raccontò di montagne, ruscelli e tanti alberi. Infine, nella stanza tutta blu lei, bambina, si addormentò, ed erano settimane che non dormiva così bene. Il mattino dopo il signore era andato via, ma tornò per diversi mesi a raccontarle ancora storie bellissime e coloratissime in cui lei si immergeva totalmente con la sua fervida fantasia. Fu quello il periodo della scoperta del mondo, degli altri, della vita, fu quello il periodo in cui Sara decise di dedicarsi agli altri senza ancora capire come, ma avendo fiducia nell’aiuto dei colori che tanto le hanno dato e le daranno. I colori che sono simboli e segnali ad un tempo, i colori che possono nascondere o rivelare, accogliere o trasmettere, i colori che con la fantasia possono trasformarsi in sogni per chiunque non abbia rinunciato a godersi appieno la vita.
Quante volte Sara mi ha costretto a ridipingere le pareti di casa affidando ad ogni camera un colore diverso, come fosse obbligatorio l’accostamento. Tre anni fa la cucina doveva essere bianca perché così esaltava i colori dei cibi, delle pentole e delle vettovaglie; l’ingresso lo facemmo arancione perché il primo impatto della casa doveva essere allegro e stimolante; la camera da letto la volle rossa perché esaltava l’atto d’amore che noi, insieme da poco, “dovevamo” fare tutti i giorni. L’anno scorso fu la volta del salotto lilla perché era più fine ricevere gli amici in un ambiente così, e poi la sua poltrona risaltava molto di più.
Insomma, ogni anno giravano i colori della casa e lei con loro si rinnovava, acquistava nuova vitalità, nuove energie che la ricaricavano, che ci ricaricavano. Sì, è vero, lo ammetto, il suo stato d’animo era la cartina tornasole del mio umore, sono sempre stato un po’ succube della sua personalità anche se, credo, le ho dato tanto anch’io. Certo, non è stato tutto rose e fiori. I suoi impegni spesso ci tenevano lontani per molto tempo ed io ne soffrivo rifacendomi su di lei. Man mano che la sua fama cresceva, cresceva anche la nostra crisi, immaginavo che lei vedesse il nostro rapporto sempre più nero, l’unico colore-non colore che odiava. Diceva che il nero può solo associarsi al buio e quindi al nulla. Neanche alla morte che per lei è bianca e luminosa, ma al nulla, al niente, all’assoluta negazione della vita. Quando è buio le cose non esistono poiché non possiamo apprezzarne i colori e le forme e poiché il buio è nero, questo non è un colore che appartiene alle cose, a noi, alla vita. A volte Sara è complicata oltre che esagerata, ma lei deve essere così, sennò non sarebbe arrivata dov‘è, così in alto, così lontano. Ammirata anche dal mondo scientifico che lei ha sempre snobbato perché riduceva i colori a fredde formule, semplici numeri, insignificanti definizioni provate da esperimenti senza senso. Per lei il vero senso dei colori è quello per cui essi ti danno delle emozioni. È il senso artistico e psicologico dei colori che ha valore, non quello matematico, fisico o chimico. Se il rosso vicino al viola stona, cambia accostamento! È il suo motto preferito anche perché l’ho sentito dire solo a lei che l’avrà inventato un giorno che non aveva voglia di litigare. Pazza, la mia Sara, pazza del mondo che con le sue pulsazioni, che lei percepisce tutte, le ha dato lo stimolo per le sue conquiste che oggi sono conquiste di tutti.
Adesso mi trovo qui, solo, da mesi a pensare a lei fissando come un imbecille il mio soffitto azzurro mentre è lontana dalla mia vita, dalla mia casa, la nostra casa dove forse non tornerà più. D’altronde doveva partire, lei doveva tentare anche quella carta, e poi, come rinunciare al viaggio più bello di tutti nel paese dei colori?
Ora è in Brasile per due motivi, la mia Sara, per raccontare al mondo come si può insegnare ai bambini a sognare ad occhi aperti e per vedere quel famoso medico che ha promesso di guarirla dalla sua cecità.
Un arcobaleno di auguri, Sara.
Paolo D’Ippolito