Opere di

Paolo Delpino


Con questo racconto è risultato 7° classificato – Sezione narrativa alla XVI Edizione del Concorso Città di Melegnano 2011


Questa la motivazione della Giuria: «In una moderna e poliedrica satira sul concetto inflessibile di «Flexibudget» aziendale, che aggiorna sistematicamente il rendimento di una ditta, l’autore non risparmia con la sua penna al cianuro nulla e nessuno. Ridicolizzando l’artificiosa ansia da prestazione, l’arma del ricatto tra superiori e dipendenti, l’inadeguata preparazione degli assunti, che diventano in un attimo ciò che non sono e non potranno mai essere, lo spirito di improvvisazione disperato di chi è costretto a assumere per non tradire le leggi del flexibudget, i colloqui di assunzione surreali ma ahimè assolutamente veridici nella realtà odierna,si assiste a una snaturata, illogica attivazione di quanto di più disumano e sradicato possa esplodere nell’essere umano. La comicità è assicurata, frizzante, pervasa da una elettricità dialettica che danza nel non- senso e nel gioco degli equivoci. La vivacità narrativa è altamente creativa e guidata da una intelligenza salace e scintillante. Ma ad ogni risata si riflette sulla penosa condizione dell’uomo moderno,che ha smarrito ogni traiettoria celeste. Un bravo all’autore!»

Alessandra Crabbia


Flexibudget

Alle 14 di un imprecisato lunedì di settembre il telefono di Flavia Forti, responsabile della filiale della Join the Job di Azzurropoli (recentissima conurbazione di Menegoville creata dal Piano di Governo Territoriale in occasione dell’Esposizione Universale della metropoli) prese a squillare insistentemente.
La Forti, dopo un attimo di esitazione, sollevò il ricevitore.
«Siamo la Join the Job, in che possiamo servirvi?» recitò stancamente.
La linea telefonica vibrò, percorsa da una risata da diavolo.
«La Join the Job sono io, semmai. E voi, o per meglio dire tu, non stai servendo a una beneamata sega, cara la mia!»
Flavia impallidì: aveva subito riconosciuto la voce di Monika Pinkerle, controller dell’area Padania Nord Ovest e sua diretta superiora.
La predetta controller, al secolo Monica Pincherle, in realtà era nata a Pizzighettone ma si spacciava per olandese, supportata in ciò da una voce sinusitica.
«Sei ancora sotto budget». Continuò la Pinkerle.
Flavia biascicò un quid Gesù, sforzandosi di mantenere la calma.
«Sono a quarantasei collocati medi, Monica».
«Appunto. Il tuo budget è cinquanta, non te lo ricordi più?» replicò Monika.
«Quando ho preso in mano la filiale, erano solo ventuno…» protestò debolmente la Forti.
La Pinkerle replikò kon un kakinno.
«Il budget è un numero e solo uno». Puntualizzò.
«Che cosa devo fare?»
«Il budget, cara la mia. È quello il tuo compito. Ed entro due giorni».
Flavia sbirciò il calendario.
«Non posso farcela in due giorni soli!»
«In tal caso, dovrò chiudere l’agenzia».
«E io dove vado?»
«A spasso, cara: via da Azzurropoli, o come si chiama quel posto di merda».
«Ah, lo riconosci che è un posto di merda!»
«Se non lo era, mica ci mandavo te».
Flavia pensò un istante.
«Due giorni non mi bastano. Ho bisogno di tutta la settimana».
Silenzio all’altro capo del filo.
«Va bene, concesso. Perché sei tu».
Clic.
Lo small talk non era il forte di Monika Pinkerle.

Nella sala d’attesa della filiale della Join the Job di Azzurropoli sedevano da sinistra a destra Filippo Frati, Antonia Fracassa e Luca Tarella.
Ritrovatisi nello stesso posto alla stessa ora, i tre si erano dapprima scambiati sorrisi imbarazzati, poi avevano deciso di condividere le rispettive esperienze.
Aveva rotto il ghiaccio Frati, che puntava a divenire un professionista di sky diving.
La Fracassa aveva sgranato gli occhi per l’ammirazione.
«Tu saresti uno di quelli che si butta giù dai ponti?»
«Eh».
«E dopo esserti buttato giù?»
«Torni su. Per via della corda elastica, capisci».
«Ti attacchi a una corda con le mani?»
«No, te la leghi a una caviglia, perché se ti scappa di mano su non torni più».
«E dopo basta?»
«No: dopo essere tornato su, torni giù. Sempre per via della corda elastica».
«E quanto va avanti questo su e giù?»
«Finché la corda perde l’elasticità».
«E quando la perde?»
«Dopo un po’ che vai su e giù».
«E dopo che cosa succede?»
«Succede che ti devono tirare su».
Antonia si portò l’indice alla fronte.
«Perché quando la corda perde l’elasticità tu stai giù, vero?»
«Proprio così. Però, se sei bravo, ti attacchi alla corda con le mani e ti tiri su da solo».
Antonia ammiccò.
«Bravo! Ma non hai appena finito di dire che se la corda ti scappa di mano su non torni più?»
Frati ammiccò di ritorno.
«Ma ti ho anche detto che me la lego alla caviglia. Per cui, anche se mi scappa di mano, ci rimango attaccato».
Antonia si batté la fronte.
«Ingegnoso!»
Frati sorrise filosoficamente.
«Ci vuole ingegno un po’ in tutti i campi. E tu, invece? Di che ti occupi?»
La Fracassa volse lo sguardo in alto con espressione sognante.
«Del mio bambino, mi occupo. Si chiama Ottavio».
«E di tuo marito no?» s’intromise Luca Tarella, fino a quel momento occupato a consultare i messaggi e-mail sull’Iphone.
Antonia spalancò la bocca.
«Niente marito. Sono una madre inviolata».
Tarella aggrottò le sopracciglia.
«In volata? Che cos’è, l’hai fatto settimino?»
Antonia assunse un’aria compassionevole.
«Inviolata, Luca».
«Che significa?»
«Significa che il bambino l’ho fatto fare a mia zia. Appalto di utero».
«Oh bella! E perché?»
«Beh, perché in quel periodo avevo altro da fare».
«Capisco». Fece Luca, che in realtà non aveva capito troppo.
«Scusa, ma adesso chi si sta occupando di Osvaldo?»
«Ottavio».
«Va bene. Dunque?»
«Mia zia».
«Sempre quella?»
«No, un’altra. La prima ha detto che secondo lei aveva già fatto abbastanza».
«Sei fortunata ad averne tante, di zie»».
«Ci vogliono un po’ di zie in tutti i campi».
Rispose filosoficamente Antonia, che poi diede di gomito a Luca.
«Forza, sei rimasto solo tu».
«Lavoravo come designer di bottoni per un’azienda di prima grandezza, poi rovinata dalle cerniere lampo».
«È tutto?»
«Se non tutto, per me è stato abbastanza».
«E non hai pensato di riciclarti?»
«E come?»
«Che ne so, divenendo designer di cerniere lampo».
«Indovinato. Avevo creato chiusure zigzag al posto di quelle diritte e sulle prime sembrava che funzionasse».
«Ma poi?»
«Poi sono stato licenziato quando l’azienda ha ritirato dal mercato un’intera partita di jeans».
«Motivo?»
«I clienti si pisciavano addosso perché impiegavano troppo tempo nell’operazione. Intendo che non facevano in tempo ad aprire la patta».
Antonia era costernata.
«Ma non era colpa tua! Quelli erano dei pirla imbranati!»
«È quello che ho detto al giudice quando ho contestato il licenziamento in sede giudiziaria. Ho sostenuto che le mie erano cerniere lampo come le altre».
«E l’azienda?»
«Il loro legale ha sostenuto che non andavano bene».
«E il giudice?»
«Ha detto che si trattava di un caso complicato, per cui ha richiesto una perizia».
«Vale a dire?»
«Vale a dire che ha fatto indossare al perito un paio di quei jeans e gli ha chiesto di eseguire la prova di apertura».
«Mentre gli scappava?»
«No, perché se il test fosse andato male sarebbe stato imbarazzante, capite».
«E alla fine?»
«Alla fine il giudice a emesso un verdetto che lui stesso ha definito salomonico: secondo lui, avevo ragione a metà. Nel senso che quelle cerniere funzionavano, ma non erano più lampo. Così tutto quello che sono riuscito a spuntare è stata una buonuscita».
I quattro si fissarono assorti.
«Mi par di capire che, a prescindere dalle aspirazioni di ciascuno di noi, siamo tutti quanti in cerca di lavoro».
«Vero. Sapete qualche cosa di questa Join the Job?»
Frati scrollò le spalle.
«A quanto ho sentito dire, trova una collocazione a tutti: cristiani, cani e porci».
«Allora speriamo di essere trattati come appartenenti alla prima categoria».

Flavia Forti afferrò il cellulare, scorse rapidamente la rubrica e selezionò un numero.
Rispose una voce gutturale.
«Famiglia Medaglia. Fatevi riconoscere».
Flavia sbuffò.
«E piantala, Camillo! Sono tua cugina, ti ho fatto assumere io…»
«Vero è».
«… da quegli stronzi fottuti dei tuoi attuali padroni!»
«Pure questo vero è. Ma aspetta che il viva voce tolgo, se non qui un casino succede».
Flavia attese qualche secondo.
«Il viva voce togliesti?»
«Che, il verso mi fai?»
«Il verso non ti faccio. Ho bisogno di parlare con uno di loro».
«Chi di loro vuoi?»
«Quello che è più di buon umore».
«Allora Bruna ti passo. Ieri sera come una furia scopò».
Flavia rise.
«Con te?»
Il cugino rise stretto.
«Sembra che Bruna non conosci: lesbica è. Una hostess delle Antille si fece».
«Mica male!»
«Veramente, con le fruste un po’ di male si fecero».
«Beh, cazzi loro».
Il cugino rise nuovamente, ancora più stretto.
«Loro i cazzi non amano, Flavia».
«Era un modo di dire. Avanti, passamela».
Dall’altro capo del filo risuonarono le note de Le campane di San Macigno.
Dopo un minuto scarso il carillon fu interrotto da una profonda voce di basso.
«Ciao, vecchia troia».
«Lurida baldracca».
«Ah! Ah! Ah! Ah!»
«Eh! Eh! Eh! Eh!»
«Vieni al sodo, vacca sfondata».
«Un mese fa mi avevi chiesto un tornitore, se non erro».
«Veramente ti avevo chiesto un attrezzista con i controcoglioni; tornio, fresa, saldatrice».
La Forti scoppiò a ridere.
«E tu pretendi che un attrezzista con i controcoglioni venga a lavorare nella tua azienda di merda?»
Bruna Medaglia sbuffò.
«Forza, dimmi chi hai sottomano».
«Un designer di bottoni e cerniere lampo».
Vi fu un attimo di pausa.
«Mi stai prendendo per il culo?»
«Mai stata più seria. Ascolta, è meglio che ti adatti. Questo qui ha una certa pratica manuale e soprattutto voglia di imparare».
«Dicono tutti così». Fece la Medaglia, scettica.
«Preferisci per caso una che canta in un coro agreste?»
«Vaffanculo, Flavia».
«Così mi piaci, puttanazza! Quando te lo mando?»

«Come hai detto che si chiama?»
«Antonia Fracassa, anni venticinque».
«Come hai detto, una donna? Venticinque anni? Che così poi mi rimane incinta? No, no, non ci siamo».
L’imprenditore delle stoffe Biagio Tegola prese a scarabocchiare nervosamente su un foglio di carta A4.
Flavia Forti, però, non aveva intenzione di demordere.
«Problema superato, è una ragazza madre».
«Peggio ancora: troverà tutti i momenti una scusa per stare a casa con il figlio».
«Quello glielo tiene una zia».
«E se le viene la fregola di farne un altro?»
«Lo farà fare a un’altra zia, esattamente come il primo».
«Ma allora di chi è figlio, questo bambino?» chiese sconcertato Tegola.
«Il figlio è suo, l’utero è della zia».
«Perché, la Fracassa non ce l’ha, l’utero?»
«Sì, ma non lo usa».
Seguirono alcuni secondi di silenzio.
«Che esperienze ha avuto?»
«Sessuali?»
«Ma no, lavorative».
«Vediamo… alle elementari ritagliava figurine di carta».
«Un po’ poco».
«Meglio che niente. E poi da voi è mica tutto automatizzato?»
«Però bisogna conoscere il macchinario».
«Andiamo, nel tessile la solfa è sempre la stessa: taglia e cuci. E poi ormai tu fai fare tutto in Cina, no?»
«A China Town, mica in Cina».
«Fa lo stesso. Quello è mica il quartiere dei Mandorlocchi?»
«Ascolta, Flavia, io ho bisogno di una persona che vada in giro da quei gialli là e controlli che non mi facciano casino con i modelli. Insomma, una in grado di capire chi lavora bene e chi male, capisci?»
«La Fracassa lo sa: ha detto che andare in giro le piace moltissimo, la divaga».
«Ma non è un lavoro divertente!»
«Vedrai che si diverte lo stesso».
«Possibile che tu non abbia niente di meglio da offrirmi?» tentò ancora Tegola.
«Biagio, ognuno di noi ha i suoi obbiettivi; tu i tuoi, io i miei. L’alternativa alla Fracassa è uno che nel tempo libero fa sky diving e colleziona pacchetti di fiammiferi. Qual è la tua risposta?»
«Vada per la ragazza madre. Non sarà troppo rumorosa?»
«Perché me lo chiedi?»
«Sarà per via del nome».

Flavia Forti aveva tenuto per ultima la cliente più prestigiosa e difficile.
Beatrice Mistri infatti apparteneva a una delle famiglie più ricche e influenti della metropoli, per cui con lei non era pensabile cazzeggiare come con i Medaglia o i Biagio Tegola.
La cliente aveva fatto espressa richiesta di un sales manager, per cui la Forti aveva organizzato una full immersion ad hoc per l’ultimo candidato rimasto, Frati Filippo; e ben sapendo che la Mistri presenziava ai colloqui di assunzione, l’aveva anche debitamente istruito sul comportamento che avrebbe dovuto tenere.
Frati Filippo giunse perciò alla sede della Mistri Incorporate con un po’ di tremarella, che aumentò quando si trovò di fronte Beatrice Mistri e la responsabile del personale Ludovica Barbero: entrambe magre, alte, elegantissime in completi grigio perla con cravatte a fiocco rosa su camicie blu acqua marina.
Frati deglutì a vuoto e maledisse Flavia Forti che non gli aveva insegnato come entrare in sintonia con le lesbiche perse.
Credendo di far bene, salutò, s’inchinò e rimase dritto in piedi come uno stoccafisso davanti alla grande scrivania curvilinea, nonostante sul suo lato fossero disponibili ben due poltrone.
Beatrice Mistri piegò la testa da un lato, lo scrutò senza una parola e l’invitò a sedersi con un gesto vagamente perentorio.
La Barbero, nel frattempo, compulsava la scheda del candidato.
«Signor?» domandò.
«Frippo Filati».
Un pallido sorriso stirò le labbra della responsabile del personale.
«Ne è sicuro?»
Frati rifletté rapidamente.
«Non tanto, dottoressa».
La Mistri esplose in una risata secca come un colpo di fucile.
«Ragioniera. Le manca ancora un esame alla laurea».
La Barbero accennò una smorfietta, perché non aveva gradito quella degradazione sul campo.
«Mi vuole ripetere il suo nome?» chiese.
«Frillo Pilati». Disse Filippo Frati.
La Mistri levò una mano.
«Ripeta con me: io mi chiamo Filippo Frati». Scandì.
«Io mi chiamo Filippo Frati». Ripeté Frati Filippo.
«Bravo – approvò la business woman – ora si sieda».
Frati scelse la poltrona che gli parve meno comoda, sedette in equilibrio precario e dovette puntellarsi con i gomiti sulla scrivania per non sbattervi il mento.
La Mistri non vi fece caso.
«Procediamo». Fece rivolta alla Barbero.
La ragioniera si sforzò di riesumare il precedente cipiglio.
«Signor Frati, nel ruolo che noi le proponiamo…»
«… come del resto in tutti in tutti gli altri…» interruppe la Mistri.
«Come del resto in tutti gli altri…» Ripeté la Barbero con una smorfia omicida.
Lo sguardo di Frati vagò smarrito dall’una all’altra virago.
«… occorre saper gestire gli imprevisti. Non ti ricordi più?» continuò la Mistri con tono pedante.
La Barbero per un attimo parve paralizzarsi, poi si drizzò tremando da capo a piedi, levò lentamente le braccia, le riabbassò fulmineamente e infine scoppiò in un pianto dirotto.
«Basta! – esplose – sono tre anni che mi tratti come una merda! E mai una carezza! Mai una parola gentile! Non lo sopporto più!»
Ciò detto, raccattò le carte e uscì dalla sala a passo di corsa.
Beatrice Mistri era rimasta impassibile.
«Ogni tanto perde il controllo. Ma non si faccia delle idee sbagliate, in fondo è una brava cristiana. Non crede?»
«Ci credo, ci credo». Si affrettò a confermare Frati.
«Ma torniamo la punto. Come le stavo dicendo, nel ruolo che noi intendiamo proporle la regola numero uno è saper gestire gli imprevisti. Per esempio, supponiamo…»
La business woman si interruppe e prese a ruotare un indice in aria, lasciando Frati appeso a quel supponiamo come un pesce all’amo.
«Dunque: supponiamo che lei si trovi sul ghiaccio. Anzi, meglio: su un fiume ghiacciato. Mi segue?»
Frati iniziò a provare un vago brivido.
«Un fiume ghiacciato, dicevo; e lei deve attraversarlo. Chiaro?»
«Chiarissimo».
«Che cosa fa?»
«Inizio l’attraversamento, dottoressa?»
La Mistri fece un gesto che non significava né sì né no.
«Allora attraverso».
Beatrice si permise una risata benevola.
«Un momento, un momento, Frati. Abbiamo parlato di gestione degli imprevisti, giusto?»
«Giusto».
«Allora ecco l’imprevisto: mentre lei si avvicina alla sponda, si accorge che le sta venendo incontro un orso affamato».
Frati iniziò a sudare.
«Come faccio a capire che è affamato, dottoressa?»
«Perché sbava di maledetto. Che cosa fa?»
«Me la filo e cerco di raggiungere la sponda di partenza, dottoressa. Gli orsi mi fanno paura».
La Mistri approvò con un cenno del capo.
«Saggia decisione. Ma c’è un imprevisto».
Frati strinse le mascelle.
«Un altro?»
«Gli imprevisti sono un po’ come le disgrazie: non vengono mai da soli».
«E quale sarebbe, il secondo imprevisto?»
«Un lupo, Frati. Un grosso lupo, affamato anche lui, che si trova sulla sponda dalla quale lei è partito. Tuttavia…»
La Mistri ruotò nuovamente l’indice in aria.
«Tuttavia?»
«Tuttavia, lei è fortunato, Frati».
Frati accennò un sorriso forzato.
«Davvero, dottoressa?»
«Certo. Perché, vede, il lupo non si avventura sul ghiaccio. Aspetta che lei gli vada dritto in bocca».
«Proprio fortunato». Mormorò Frati.
La Mistri corrugò le sopracciglia.
«Avanti, Frati, non stia lì impalato! L’orso sta avanzando verso di lei. Che cosa fa?»
«Scappo».
«Verso la sponda opposta?»
«Mi sembra l’unica alternativa».
«Già, ma là c’è il lupo che l’aspetta».
«Vero, dottoressa: ma l’orso è più grosso del lupo, giusto? Perciò con il lupo posso sfangarmela meglio».
«Ingegnoso. Ma non dimentichi che le sponde del fiume sono ripide e ghiacciate, per cui, mentre lei vi si arrampica, il lupo ha tutto il tempo di azzannarla alla gola. Come nella favola, Frati: superior stabat lupus. Lei conosce il latino, immagino».
«Certo». Rispose Frati, che, pur non sapendo una sverza di latino, aveva afferrato il senso riposto della frase, vale a dire che il lupus in fabula gliel’avrebbe messo in quel posto.
«Allora, Frati? Davanti a lei c’è l’orso che si avvicina minaccioso, dietro di lei il lupo che aspetta che lei si avventuri sulla sponda. Che cosa fa?»
«Faccio testamento, dottoressa?»
La Mistri rise benevolmente.
«Avanti, Frati! Lei è un uomo, l’orso e il lupo solo due bestie. Che cosa fa? In fretta, l’orso la sta raggiungendo!»
Frati scattò in piedi, levò minacciosamente un braccio.
«Allora io…»
«Forza, Frati! L’orso ormai le è addosso!» esclamò la Mistri.
«Allora io gli tiro un pugno sul muso! Poi mi lancio su per la ripida sponda del fiume ghiacciato e quando il lupo mi assale lo prendo per il collo e lo strangolo quanto è vero Dio!» gridò.
La Mistri corrugò le sopracciglia, lo squadrò da capo a piedi, poi si levò in piedi e gli strinse vigorosamente la mano.
«Bravo, Frati. Bravo. Ottima reazione».

Alle 9 del successivo lunedì di settembre il telefono di Flavia Forti, responsabile della filiale della Join the Job di Azzurropoli, prese a squillare insistentemente.
La Forti, senza un attimo di esitazione, sollevò il ricevitore.
«Siamo la Join the Job, in che possiamo esservi utili?» disse con tono sostenuto.
«Complimenti, Flavia» suonò la voce melensa di Monika Pinkerle.
La Forti si irrigidì sulla sedia.
«Ti ascolto».
«Volevo comunicarti che la direzione centrale ha appena approvato il nuovo obbiettivo di budget per la tua filiale».
Flavia Forti stava per replicare con una frase vietata ai minori, quando la memoria le rimandò un flash di una riunione risalente all’anno prima, nel preciso istante in cui la Responsabile della Formazione aveva introdotto il concetto di FLEXIBUDGET (che tradotto significava che il budget veniva aggiornato ogni trimestre).
Così Flavia Forti strinse i denti.
«Ti ascolto». Ripeté.
«Bene. Il tuo nuovo obbiettivo è cinquantacinque collocati medi».
«Il dieci per cento in più».
«Solo il dieci per cento in più, che, considerate le tue capacità, non sarà un problema, vero?»

Paolo Delpino



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