Opere di

Paolo Signorini


I viaggi della panchina

Si svegliò a Parigi in stazione, di giorno, confuso tra molti altri personaggi che, come lui un tempo, cercavano se stessi nelle manifestazioni artistiche degli altri.
Guardava intorno a se e non capiva il suo stato. Molte volte altri passanti lo strattonarono per evitare che traversasse le strade con il semaforo rosso.
Dormiva sulle panchine della piazza, sotto la torre Eiffel, i Gendarmi lo svegliavano con cortesia pensando che fosse un turista, ma stava diventando sempre più un vagabondo.
Col passare del tempo divenne parte integrante del luogo, sviluppo amicizie con altri personaggi come lui ed in particolare con Eddy un Inglese di Dover,che aveva intrapreso il viaggio quattro anni prima e non era più tornato.
La storia di Eddy era sempre più intrisa di mistero, i personaggi si aggiungevano al suo racconto di spionaggio industriale come fosse uno sceneggiato a puntate, fu così che Marco, dopo giorni di paziente ascolto, vide gli altri ridere di soppiatto.
Preso da parte del gruppo scoprì che il racconto era inventato, Eddy era solo sfuggito all’arresto per furto in una casa del vicinato. Anche gli altri avevano una storia personale, alcuni odiavano il mondo per la sua violenza e professavano la pace. La trovavano nella bottiglia che riuscivano a comprare elemosinando, altri davano la colpa dei loro guai agli eventi negativi, alla famiglia, all’ex compagna ed altro ancora. Nessuno vedeva in se stesso il vero motivo di tanta decadenza.
Marco era ad un bivio, accrescere il gruppo di questi disperati con la sua presenza o vivere un’alternativa il cui primo passo era andarsene da li. Un pomeriggio, mentre la gendarmeria affollava la piazza alla ricerca del ladro che aveva alleggerito di un portafoglio un turista, capì che era il momento di fuggire.
Si dileguò tra la folla incuriosita con passo calmo e riuscì, dopo molto camminare, a raggiungere il quartiere di Montmartre. Qualcosa di entusiasmante si impose nella mente, una gioia ed una sensazione senza pari si impossesso di lui, iniziò ad aggirarsi tra i quadri dei pittori alla ricerca di un’emozione latente, urtava le persone inciampava su borse e oggetti di ogni genere ma niente lo fermava.
Mentre traversava la strada urtò una passate. – Mi scusi madame per la mia sbadataggine. Le disse Marco in un Francese stentato, scusandosi per la prima volta .
La donna sorrise e squadrò Marco da capo a piedi quasi fosse un manichino. – Vuol farmi compagnia per un caffè, avrei da proporle un lavoro, se non le reca fastidio, naturalmente. Chiaramente la donna aveva compreso da subito la vita bohème di Marco. – Si, un caffè adesso è un toccasana visto che non riesco a materializzare il mio stato d’animo.
Si sedettero ad un tavolo di una pasticcerie che si affacciava sulla Place du Teatre. Madama Ruth si presentò porgendo la mano candida ed ornata da anelli d’altri tempi, Marco si inchinò e quasi per gioco anziché stringerla con la sua la sostenne e la baciò con leggerezza. La scena aveva il sapore d’altri tempi e la mente dei due si immerse per un attimo in essa, al punto che le auto divennero carrozze e le persone dintorno anziché correre indaffarata passeggiava lentamente accompagnata dalla musica classica suonata da un’orchestra nel patio. Poi tutto tornò alla realtà con l’arrivo del cameriere. – Mi occorre un modello per la mia scuola di pittura, si tratta di un impegno per pochi giorni, pomeriggio e sera, penseremo a tutto noi, abiti, monili, parrucche e quant’altro. Per lei ci sono cinquanta euro al giorno. Che ne dice?
Marco fece velocemente il conto dei soldi che gli rimanevano e giunse alla conclusione che era un’ottima idea, inoltre era completamente affascinato dalla Madame e dall’ambiente artistico in cui avrebbe svolto la propria opera.
Con il sorriso che gli illuminava il viso accettò e baciò nuovamente la mano di madama Ruth trattenendola più del dovuto tra le sua. Nacque qualcosa di più profondo della semplice amicizia. Dopo pochi giorni Marco si trasferì nella splendida casa di Ruth, ma l’arte lo aveva catturato inesorabilmente e con la compagna condivideva esperienze uniche che solo Parigi poteva offrire.
Ruth, oramai da tempo sdraiata nella vasca, con l’acqua che si stava raffreddando parlava tra se:
“Ma quanto ci mette ad entrare! L’acqua sta gelando ed anche i miei desideri si trasformano in cubetti di ghiaccio. Peccato che non c’e’ un po’ di Whisky con cui accompagnarli.”
Ruth si girò nella bacinella d’acqua e schiuma, si afferrò la caviglia sinistra e la massaggiò con la piccola spugna che fece poi risalire carezzando la pelle sulle cosce tornite.
“Sono diventata pazza per trovare questa tinozza dell’Ottocento al mercato dei robivecchi di Parigi. Ho ricreato la stanza in stile rinascimentale comprese le tende a balconcino.
Anche l’acqua ho riscaldato nel coccio sul caminetto. Forse era meglio bollirla vista che è già fredda e Marco non entra. Adesso urlo!”
La porta si aprì cigolando, Ruth si girò nella tinozza con sguardo speranzoso, Marco entrò sorridente ed iniziò a svestirsi, poi si immerse nella tinozza abbracciò e baciò Ruth. – Perché hai atteso così a lungo, mio caro? – Volevo che l’immagine personificata del quadro di Degas prendesse forma in maniera indelebile nelle nostre menti, così da perpetrare nel tempo la nostra unione al pari dell’opera stessa. – Oh! tu si che sei un amante dell’arte. – Bene, amore, resta qui nella tinozza che devo fare una cosa.
Marco uscì dalla tinozza, prese da sotto le vesti ammucchiate un coltello e colpì Ruth al petto lasciandola esangue.
“Cara Ruth ho sempre amato La donna nella vasca di Degas, non vedevo l’ora di realizzarne la personificazione. Addio figlia dell’Ottocento.” Pensò Marco, si vestì con calma, uscì di casa con un’alzata di spalle e si incamminò tra la moltitudine di passanti che animava Montparnasse.
Entrò nel portone al numero 656 di Boulevard Raspail, appese il soprabito sull’attaccapanni alla sua destra, si svestì del tutto, indossò una corona, un mantello e si sdraiò sulla poltrona al centro della stanza. D’intorno a lui una decina di donne in abiti antichi dietro il propio cavalletto da pittura lo salutarono e si apprestarono a ritrarlo. – Bon Jour messier Nerone. Benvenuto a l’Académia des Art.
Marco percepì dentro di se la sensazione di completo appagamento che gli incuteva essere il centro dell’attenzione della ricreata atmosfera artistica ottocentesca.
Marco sollevò elegantemente la testa e parlò alle dame a lui raccolte dintorno: – Oggi avrete finalmente l’occasione di ritrarre dal vivo un quadro unico, il suicidio di Nerone.
Sorridendo mostrò il suo corpo perfetto alle dame, poi d’un tratto trafisse il suo cuore con uno stiletto. – Dipingetemi bene… vi prego!
Le dame soffocarono il grido dentro di se, asciugarono le lacrime sulla guancia, intinsero i propri pennelli e tracciarono il primo indelebile segno sulle tele bianche. La pittrice alla destra di marco intinse un grosso pennello nel viola e tracciò un vortice sempre più ampio fino a riempire la tela che assorbì il corpo di Marco e scomparve.
E tutto girò come in una giostra lanciata a grande velocità, poi il suono del fine corsa.
La mano del medico dell’ambulanza si muoveva con delicatezza su quel corpo seminudo sdraiato sulle panchine di Piazza Navona, il buio aveva evitato capannelli di curiosi, i carabinieri avevano identificato l’uomo in overdose, Marco Esimi.
Il respiro gli tornò a riempire i polmoni e con meraviglia il medico scoprì il lenzuolo e constatò il battito cardiaco in ripresa. – Perché mi avete svegliato, non sono stato mai così bene. – Sembrerà a te di essere stato bene, ma eri in overdose. – No, io ero a Parigi e finalmente ho realizzato fino in fondo il mio desiderio di diventare famoso.
Il medico ed il carabiniere si scambiarono uno sguardo eloquente.
L’ambulanza chiuse le porte e ripartì a sirene spiegate, a cercar di trattenere in questa dimensione un’altra vita.



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