I grandi Poeti del Novecento
Pedro Salinas
«La voce a te dovuta – L’amore come scia di tempo sottratta all’eterno nulla»
(Articolo di Massimo Barile Rivista Il Club degli autori 212-213-214 – Anno 20 – agosto 2011)
Poeta, Pedro Salinas y Serrano (Madrid, 27 novembre 1891 – Boston, 4 dicembre 1951) poeta e critico spagnolo appartenente alla “generazione del 1927”. Ottimo conoscitore della letteratura spagnola ed europea, impegnato non solo nella critica e nell’università ma anche più creativamente con la produzione di poesia, romanzo e teatro. Collaboratore delle principali riviste letterarie spagnole, è stato amico di tutti i grandi scrittori, poeti e intellettuali della sua epoca. Nasce a Madrid, il 27 novembre 1891 ove trascorre la prima giovinezza. Nel 1914 inizia a viaggiare, tenendo lezioni presso le principali istituzioni universitarie europee. Nel ‘36 parte per gli Stati Uniti per un temporaneo incarico e non tornerà più in patria. Morirà a Boston, il 4 novembre 1951. I suoi resti riposano nell’antico cimitero di Santa Maddalena, a San Juan de Puerto Rico.
Quando siamo pronti ad amare siamo nati per qualcosa. L’amore è oltre il tempo, estrema tensione verso l’infinito. Improvviso bagliore, anticamente conosciuto, che «sfugge al giorno e alla notte». Si posson versare delle lacrime per amore ma sono gocce di miele se si è amato veramente. È come se la fiamma riflettesse se stessa in uno specchio: la fiamma riflessa nessuno può spegnerla.
Le parole possono scorrere come un fiume in piena, gli sguardi penetrare il metallo, gli eventi della vita allontanare dall’amore e le insidie lacerare la carne, ma il bagno di fuoco rimane vivo.
Il desiderio di prendersi cura, di condurre per mano, di essere compresi anche senza chiedere niente, non sono altro che la miscela alchemica che rende piena la vita.
Il vivere quotidiano e la fiera delle vanità, alla fine, non contano niente: essere soli, sentirsi soli, è come vivere nel silenzio. Ed il silenzio è estraniazione dal mondo.
L’amore è carne e sangue, estasi e tormento: senza l’amore tutto è arido, algido, freddamente lontano.
Ecco allora che le parole di Pedro Salinas vengono ad illuminare la scena e, nella sua prima raccolta poetica dal titolo Presagi, pubblicata nel 1923, così scrive: «Queste frasi d’amore che tanto si ripetono/non sono mai le stesse./Hanno lo stesso suono tutte quante,/ma ha ciascuna una vita/vergine e sola, se riesci a coglierla./E non stancarti mai/di ripetere le parole uguali:/proverai l’emozione che sente l’anima/quando vede spuntar la prima stella/e poi, come la notte avanza, la vede/ripetersi in altre stelle,/con diversi riflessi e un’unica anima./Così al ripeter questa/frase d’amore stelle/infinite nel petto ti s’accendono:/presta a tutte la luce lo stesso sole,/lontano sole che verrà domani/quando saran cessate stelle e parole».
Il viaggio lirico nell’amore intrapreso dal poeta fin dall’inizio, diventerà un mare di parole simboliche che si ripeteranno con fedeltà assoluta al proprio sentire, tra visibile ed invisibile. Salinas si spingerà oltre le contraddizioni del reale e riuscirà a creare un canzoniere per la simbolica donna amata: vorrà ricercare la sua immagine, la sua “ombra” nelle zone infinite dell’anima ed il corpo sarà ombra, sarà inganno; i vaghi sorrisi e i lenti gesti saranno già “segnali d’assenza”; la figura femminea si ritroverà nella sua sembianza dentro lo specchio, nel profondo delle acque, con un dialogo che la vedrà vicino a sé; altre volte, nascosta o distaccata, timida ed altera, nel sonno o nella veglia; altre volte ancora, presenza non visibile, come celata dietro «una parete fragile/di venti, di cieli e d’anni», con tutte le inquietudini, i dubbi e le pene d’un amore vero e reale.
La parola di Salinas sarà costantemente incisiva e penetrante, forte e decisa nel rendere il serrato dialogo d’amore tra i due amanti, in un oceano di baci e sogni, desideri ardenti e voci che incalzano nella vicinanza dei corpi e, poi, stelle, cieli, suoni, luci e bagliori ad illuminare ogni istante dovuto all’amore. Eppure rimarrà il simbolo femmineo nella dimensione invisibile: «Per cristallo ti voglio,/sei nitida, sei chiara./Per contemplare il mondo,/attraverso di te, puro,/di bellezza o fuliggine,/come il giorno lo fa./Sì, qui la tua presenza,/dinanzi a me, per sempre,/ma per sempre invisibile,/senza vederti e vera./Cristallo, e non mai specchio!».
Il bisogno di garantire la libertà alla materia, di lucreziana memoria, e, allo stesso tempo, agli esseri umani: ecco la poesia dell’invisibile, la poesia delle infinite potenzialità imprevedibili e la poesia del nulla che «nascono da un poeta che non ha dubbi sulla fisicità del mondo» come ricordava Italo Calvino nelle sue Lezioni americane.
E tutto diventerà “grande”, aggettivo che sarà usato dal poeta con insistenza in Ragioni d’amore. Sarà grandezza simbolica in cui gli amanti si troveranno dopo la nascita dell’amore: gran rastro de luz, gran sueno, gran silencio, gran espacio blanco, gran transparencia, sombra, cielo, soledad, noche, e ancora, gran liberaciòn, ansia e dolor.
Il senso lirico e drammatico delle visioni che vedono sul palcoscenico della vita, quasi costantemente, il poeta e la figura della donna, creatura celestiale e, al contempo, enigmatica, testimoniano la formulazione poetica dell’immagine femminile come ispiratrice: il suo apporto è fatto di poche tracce, di semplici gesti, di movenze, di orme lasciate nel tempo, di segni non decodificabili, eppure, il “gesto” della donna è capace di scalfire l’animo e il cuore del poeta fino a suscitare in lui la necessità vitale di offrirle il gesto poetico.
Nel suo continuo scandaglio, per il poeta, l’amore è slancio, impulso alla conoscenza, ricerca continua e infinita di una realizzazione oltre la dimensione conosciuta: «Al di là di te ti cerco… Di là, più oltre» come proteso ad una scoperta che non ha mai fine.
Lo stesso Salinas scrive: «L’arte è una costante scoperta; non si concede sosta nella sua ansia esploratrice, nella sua sete di rinnovamento, anche quando navighi per mari molto solcati e manipoli, nei suoi esperimenti, le formule più conosciute». A fare da argine a questa esigenza sono le mutevoli realtà, la volubilità della donna amata, le limitazioni del tempo: ecco allora che la concezione del tempo deve essere superata come a ricondurre al primo istante, all’assoluto inizio della voce dell’amore, in uno spazio-tempo indefiniti.
Nel rileggere Difesa della lettera, pubblicato da Rosellina Archinto nel 2002, con traduzione di Barbara Cavallero, ritrovo alcune pagine che mi avevano colpito, quando Salinas ricordava l’“Etica dell’ebanista di Siviglia”: «Ne venni a conoscenza nel luogo e nel momento più inaspettati: nell’ineguagliabile Siviglia e per bocca di un artigiano, un autentico artista dl legno. La fortuna volle che affidassi proprio a lui il compito di arredare con alcune delle primizie uscite dalla sua bottega, una delle stanze della mia allora nuova casa di Siviglia. Dopo esserci accordati sulle condizioni e sulla data di consegna, mi disposi a coltivare celatamente tutte le mie speranze. Giunse il giorno convenuto, ma i mobili non arrivarono. Cercai di alimentare la mia pazienza con ogni genere di argomentazioni, lasciai passare altri quindici giorni, un mese. Alla fine mi recai personalmente alla bottega a presentare il mio reclamo. Appigliandosi a mille pretesti, l’artista s’inventò le scuse più pietose attribuendo, dapprima, la colpa al brutto tempo (Come può asciugare il colore con tutta questa pioggia?), quindi all’inesorabilità della morte (Mister, il capo artigiano ha perso la sua povera madre). La mia fredda crudeltà da intellettuale prese a sua volta a incalzarlo a suon di raziocinio, serrandolo fra date precise finché, come illuminato dall’alto, questi non pronunciò quel suo fatidico apoftegma: “Mister Pedro, i mobili hanno bisogno del loro tempo”. Come colpito dal raggio di un’ignota e suprema ragione, tutto il mio povero arsenale raziocinante improvvisamente crollò. Tacqui e, sconfitto, me ne tornai a quella mia casa sgombra, sì, ma inaspettatamente illuminata da quel barlume di saggezza umana: “I mobili hanno bisogno del loro tempo”.
Quell’ebanista di Siviglia e tutti i suoi seguaci, avevano e avranno sempre ragione. Sì, perché con quelle parole voleva dire che ogni delicata e raffinata opera umana, o almeno quelle degne di ritenersi tali, ha bisogno del proprio tempo naturale e rifugge la fretta. Richiede un affetto, un amore e una dedizione che si proiettano nel tempo; un tempo soggetto non a dei parametri astratti e prefissati, ma a quelli in cui l’opera stessa sente la necessità per essere portata a termine nel migliore dei modi. È l’opera stessa a imporre la quantità di questo suo tempo che non può essere affatto determinato dall’esterno. Quell’uomo voleva dire che non si trattava di concedere ai mobili con i quali avevo deciso di arredare la mia casa uno o due mesi e nemmeno il tempo entro il quale lui, come commerciante, si era ripromesso di terminarli, bensì un lasso di tempo misterioso e indefinito che era cominciato nel momento in cui aveva preso a progettarli e che si sarebbe concluso solo quando questi si fossero offerti al suo sguardo soddisfacenti, conclusi, perfetti.
Anche tutti gli altri mobili, inclusi quelli che decorano le abitazioni dello spirito, richiedono il loro tempo. Il proprio tempo richiese la commedia di Lope, il suo il poema di Mallarmé. E chi non sarà disposto a concederlo si vedrà inesorabilmente condannato all’insuccesso e all’imperfezione. Quell’artigiano di Siviglia, quel modesto ebanista si era limitato a riaffermare nel suo stile macareno ciò che Nicolas Poussin, un suo collega pittore più propenso, però, a ritrarre su tela nostalgiche avventure e divine baccanali ignude, aveva declamato con insuperabile eleganza retorica: “Les temps ne pardonne pas ce que l’on fait sans lui”. Che, tanto per farci intendere dal nostro sivigliano, non significa altro che il tempo non perdona ciò che viene fatto senza contare su di lui».
Ho sempre pensato che sono proprio alcune pagine come queste, sovente, lette casualmente, ad offrire frammenti letterari capaci di rappresentare molto più fedelmente un poeta che non la lettura freddamente critica di tutta la sua produzione lirica. In fin dei conti, in poche parole, vi sono l’essenzialità del vivere, il significato del tempo, la visione-percezione saliniana legata alla quotidianità della vita, la razionalità che si confronta con ciò che è misterioso e indefinito.
Quando si legge la poesia di Salinas «con la punta delle dita si può sfiorare il mondo». È facile capovolgere i misteri, rendere chiari e trasparenti anche i più complicati enigmi, gettarsi nell’ardore dell’amore e ritrovarsi su ali dorate che fanno volare in una dimensione superiore.
Come ascoltare la musica della vita, il suono dell’anima che tutta protende ad essa. È come sentirsi il primo uomo davanti alla prima aurora del mondo.
Il risveglio è accompagnato dall’amorevole abbraccio dell’estasi d’amore e non v’è niente di più potente della fiamma che brucia dentro di noi. La stessa terra sulla quale si poggiano i piedi diventa, improvvisamente, carne e sangue del vivere, materia ancestrale che riconduce alla fonte della vita.
Ecco allora che l’anima del poeta desidera estrarre la parte migliore della donna amata, immergersi nel profondo del suo mondo: lui vede, sente, trattiene, cerca, si insinua e finalmente raggiunge il cuore pulsante di lei dopo aver solo sfiorato la sua pelle in una lenta e consapevole ascesa all’amore.
Come «l’albero che trattiene l’ultima luce», anche l’uomo, diventa luce solare che innalza il corpo fino a sublimarsi nella sua autentica essenza.
L’alba che rinasce è stupefacente novità, luce che appare dal nulla, notte stellata che offre risposte.
E Pedro Salinas scrive: «Per amore dobbiamo/ imbarcarci su tutti/ i progetti che passano, /senza chiedere nulla, /pieni, pieni di fare/ nell’errore/ di ieri, di oggi, di domani,/ che non può mancare». E ancora: «dell’allegria purissima/ di sbagliare e trovarci/ sulle soglie, sui margini/ tremuli di vittorie,/ senza voglia di vincere. Con il giubilo unico di vivere una vita innocente… che non vuole altro che essere, amare, amarsi nell’immensa attesa di un amore… che si muove ormai al di sopra di trionfi o di sconfitte, ebbro nella pura gloria della sua certezza».
L’amore non ha bisogno di tesori, isole da sogno né palazzi fastosi perché l’amore è nudo, non ha bisogno di vestirsi di apparenze, di false maschere: riesce sempre a riconoscere la sua sostanza altre ogni artificiosità.
L’amore distrugge quanto viene gettato addosso, aiuta a ritrovare l’autentica identità della vita.
«La materia non pesa: Il tuo corpo ed il mio,/ uniti, non sentono mai/ schiavitù, sentono ali»: “el mundo material” non esiste più, un bacio si fa redenzione, un abbraccio equivale a trattenere vicino a sé una stella che viene da un’altra vita e l’immenso vuoto lasciato dall’assenza del corpo della donna amata, diventa sofferenza.
La parola di Salinas pare inseguire alfabeti lontani e sconosciuti, vocaboli recuperati da dizionari d’amore, rifrazioni emozionali sedimentate sul fondo del fiume dell’esistenza: nella vita si possono rincorrere “farfalle di schiuma e ombre verdi di olivi”, immagini sognanti e miracoli insoliti, “amor en vilo” e chimere.
Ecco allora l’atto liberatorio, l’abbandono completo: «E posso vivere in te, senza temere ciò che desidero di più». E v’è sempre il momento nella vita in cui si crede di aver perso tante cose, ma «perdute non sono mai», perché, inaspettatamente ed improvvisamente, si possono ritrovare nell’essenza di una donna «quante cose perdute/ che perdute non sono,/ tutte le sembri tu».
Salinas è un poeta che penetra la dimensione più profonda, che tenta un avvicinamento al nucleo ardente dell’amore e ciò che esso sprigiona: sentire sulla pelle le sue esplosioni, fino ad andare oltre l’ultimo confine conosciuto, la verità finale al di là della notte, oltre l’orizzonte di se stessi, superando menzogne, trepidazioni ed immobilità.
Giungere al proprio cuore attraverso il cuore dell’altro, per sentire nello stesso istante, il pulsare della vita, la fusione di due anime in un’anima sola.
E come ricordava Nazim Hikmet « La fusione dei metalli è molto più semplice della fusione delle anime».
La poesia arriva a varcare la soglia dell’ultimo confine e si fa sacra, tocco celestiale e visione sovrumana: scrigno spirituale che raccoglie ogni frammento d’esperienza, ciò che nasce dal profondo dell’essere di un uomo e può offrire un senso alla vita.
Salinas fa partecipi della sua lirica d’amore eppure ci pone davanti alla limitante finitudine dell’uomo, alla sua fragilità intrinseca, al desiderio di cogliere le innumerevoli percezioni che ogni essere umano ha la possibilità di sfiorare anche solo una volta nella sua esistenza.
Consapevole ed umile, timido e riservato, sempre proteso a “penetrare ciò che si vede”: e gli enigmi allora diventano stelle la cui luce rivela i prodigi e i misteri. Abbandonarsi alla vita significa lasciasi condurre in ogni luogo inesplorato per tornare ad essere ciò che si è, il proprio corpo che si ritrova nello specchio ogni mattina.
In questo contesto, il poeta esorta a non lasciare chiuse le porte della notte, le porte che conducono a ciò che non si è ancora visto, alle porte ignote che si aprono nei luoghi percorsi, come a cercare sempre un varco.
Salinas esorta a viaggiare attraverso segnali celesti, astri e meraviglie, e i numerosi percorsi dove l’amore risulta essere attesa e stupore, finanche comportare mille tempeste: e proprio nella tempesta conoscersi e riconoscersi.
Malgrado le ombre dell’universo invisibile del poeta e le frequenti riprese d’un linguaggio che riconduce alla tradizione lirica amorosa spagnola, come aveva sottolineato l’amico poeta Guillèn, v’è sempre in Salinas una libertà lirico amorosa da ripristinare: andando “oltre”, magari facendo appello ad una identificazione simbolica nella figura della donna amata, percepibile e, al contempo, inafferrabile. Nell’alternarsi tra ispirazione e fedeltà alla propria concezione amorosa, nella transizione d’un passaggio femminile e nel dissolversi d’un volto che poco prima sorrideva, presenza di una creatura bella e palpitante, evanescente e ansiosa.
E la visione lirica diventa vivida testimonianza del proprio esistere, della necessità vitale di amare: «Al di là di te ti cerco. Non nel tuo specchio/e nella tua scrittura,/nella tua anima nemmeno./Di là, più oltre».
Non è un caso che La voce a te dovuta, pubblicato nel 1933 in poco più di mille copie, è un titolo che riprende un passaggio delle Egloghe di Garcilaso, e non è altro che un profondo richiamo al grande “poeta dell’amore umano e insieme al più divino poeta amoroso”.
Dopo Ragioni d’amore del 1936, ultimo libro prima dell’esilio, il poeta rimarrà in silenzio per oltre dieci anni, fino al 1946 quando sarà pubblicato El contemplado, poemetto ispirato dal mare di Puerto Rico, e, eccetto la raccolta poetica del 1949 Tutto più chiaro, negli oltre quindici anni, da Ragioni d’amore fino al 1951, anno della sua morte nella città di Boston, Salinas si dedicherà con grande impegno, all’insegnamento della letteratura spagnola in numerose università americane.
«E il tormentato sonno/ di ombre sarà, di nuovo, il ritorno/alla corporeità mortale e rosa/dove l’amore inventa il suo infinito»: così si chiude La voce a te dovuta.
Le delizie ed il centro puro della donna, carezza per carezza, abbraccio dopo abbraccio come a farsi sostanza di tutta una vita, per cercare di lanciare, dopo ogni contatto con il corpo della donna, una voce alle nubi: e «vivere ormai di là da tutto,/ sull’altra sponda di tutto/per trovarti/come fosse morire», nell’ultima aurora, sulle labbra, nel fondo del mare o tra le costellazioni, in un’esultante ripetizione infinita dell’amore.
Massimo Barile