Opere di

Rocco Pirrotta


La morte di Ettore

I sentimenti d’un padre, intensi per l’amore viscerale profondo che nutrivi per tuo figlio concepito nell’amore e fatto della tua stessa carne, hanno vinto l’orgoglio nudo e il ruolo di monarca assoluto, regnante con la mano distesa sui popoli, e ti sei prostrato davanti a un uomo divino perché superiore, mostrando il viso rugoso e sofferente d’un vecchio che con saggezza non mostra con arroganza il suo ruolo, ma in veste umana esterna all’eroe vincitore l’amore d’un padre, il dolore per la morte e il desiderio d’aver fra le braccia il corpo del figlio valoroso che ha cessato di vivere. E l’eroe glorioso comprese i sentimenti d’un padre. Li comprese con la saggezza e con i sentimenti del cuore, consegnando nelle mani d’un padre in lacrime il corpo del figlio morto. L’amore, il più bel sentimento umano, di tale forza da portare un popolo intero a combattere. E mentre il corpo del grande ettorre bruciava sull’ara del padre, troia incendiava vinta dall’astuzia d’ulisse e alle navi un grido di gloria s’innalzava al cielo tra i fuochi, agli albori dell’umanità guerriera.


Seneca

Si respira ancora il tempo lontano della roma imperiale, quando nascesti sul lido ispanico, ove il rumore dirompente del mare evoca ancora le glorie imperiali della spada vittoriosa di scipio. La combinazione fortuita degli astri ti ha pregiato dell’ingegno più grande, che hai espresso nel canto poetico del tuo teatro e la tua voce altisonante d’un tempo la sento viva ancor oggi nelle parole delle tue epistole. Hai vissuto capendo in profondità l’esistente e hai contemplato il bello con animo grande, vivendo in simbiosi con la natura dei campi assaporandone la delizia, ma hai sopportato l’amarezza dell’incomprensione degli altri e la rinuncia alla gioia della gloria. A te, che il destino riservava un’orrida morte barbaramente decisa da un uomo comune esaltato dal potere. Ma se con la morte si potrà incontrare chi ha vissuto, dopo le persone che mi sono state più care, le uniche a cui ho voluto veramente bene, vorrei incontrarti e l’un l’altro di fronte, con lo sguardo fisso sull’altro, in silenzio, nella stima di una persona di grande valore, per dirti con compiacenza che la posterità ha coronato d’alloro la tua grande opera, rendendola eternamente universale.


Poesie tratte da “Verso l’uomo” – Ibiskos Editrice Risolo, Empoli


(Febbraio 1997)
Dialogo tra una madre e suo figlio

(Il figlio)

Ho sopportato remissivamente le tue accuse ingiuste che mi facevano soffrire ed ho taciuto i mali che mi causavano senza reagire, senza incolparti. Sbagliavi, ed io te lo dicevo, ma tu non capivi e t’ostinavi ad accusarmi ingiustamente, umiliandomi davanti agli altri senza accorgertene. Per questo vado via, senza perdonarti né odiarti, ma con rabbia t’abbandono, sola, senza aiuto, perché il mio affetto non ha la forza di vincere il mio rancore.

(la madre)

Solo ora che ti vedo andar via lasciandoti nella disperazione d’una madre che t’ama e ti vorrebbe fermare, che t’ama e ti vorrebbe abbracciare, solo ora vedo gli sbagli compiuti, senza capire, e la ferita profonda che t’allontana da me.
Vorrei che tu mi perdonassi, ma so di non poterlo pretendere, e mi strugge il pensiero d’averti perduto, ma l’accetto, come s’accetta un male per una colpa commessa, senza astio, senza rancore. Ma sempre, sempre finché vivrò cercherò il tuo amore, che non è spento, col cuore spezzato dal rimorso per una colpa commessa su chi più amavo.

(il figlio)

ma ora io, il figlio che t’ha lasciato nel pianto della disperazione d’avermi perduto, abbandonandoti senza ascoltare la tua voce accorata e sincera che chiedeva perdono, ora io vengo da te per avere il tuo aiuto, che ti chiedo abbandonandomi a capo chino tra le tue vesti che ti scendono sulle ginocchia, e (per avere) il conforto dell’amore materno che solo tu mi puoi dare, pentito e sconvolto dal rimorso del mio diniego.

(la madre)

Ed io sofferente, che nel pianto consumavo ogni istante della mia vita pensando a te, al figlio che credevo perduto per sempre, sempre t’accoglierò felice nel seno materno e mai ti negherò l’aiuto che t’abbisogno, anche se mi odiassi o funestassi con crudeltà, per l’amore, vero, che sento per chi ho creato e più forte di ogni sentimento.


Oltre il comune senso
del bene e del male

(L’uomo)

O Minosse! Che nella culla d’Europa il grande Zeus accarezzò con la gigante mano inanellata, per donarti il dono d’esser giusto, leggimi la tua aurea costituzione, affinché possa conoscere se giusto è uccidere un uomo che mi sta uccidendo?

(Minosse)

A te uomo, che t’interroghi sulla moralità delle tue azioni, dico ch’è ingiusto perché l’azione crudele è sempre ingiusta in sé, indipendentemente dal fine, essendo l’ingiustizia dipesa dalla sua crudeltà.

(L’uomo)

Ma se questo è scritto nella tua aurea costituzione, dimmi o Minosse! Come si può chiedere a un uomo d’accettare la morte per essere giusto?

(Minosse)

A te uomo, dico anche che la mia aurea costituzione, da nessun uomo esige un così forte rispetto della giustizia da rinunciare alla vita, legittimandolo a compiere un’azione ingiusta quando la vita lo pone di fronte a questa macabra scelta.
Ma la mia mano intenta ad uccidere, venne bloccata dalla bontà e dall’indole retta alberganti in me, e mentre sentivo la lama penetrarmi nella carne viva, io morivo tra il sangue che mi lordava le vesti, con la rassegnata storicità d’un uomo onesto.



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