Opere di

Serafino Randazzo

Con questo racconto è risultato 3° classificato – Sezione narrativa alla XVII edizione Premio Letterario Internazionale Marguerite Yourcenar 2009


La scritta d’oro

La storia che mi accingo a scrivere ha il sapore dell’incredibile, si sarebbe svolta nel Basso Medioevo, se risultasse vera, ma purtroppo si basa su fatti mai accaduti a meno di non credere all’esistenza di streghe, folletti e roba simile. Ma parlando di Medioevo non ci stupisce sentire di eventi strani e prodigiosi tramandati per veri a beneficio di coloro che credono vivacemente in pratiche magiche, stregonerie e simili.
Alcuni di questi fatti riportati come reali appartengono solo al mondo dei sogni e non sono altro che accadimenti trasformati dalla magia del sogno in fatti prodigiosi.
In uno di questi sogni mi parve di vedere intorno all’anno 1100, grosso modo al tempo della prima crociata, famosa per via di Goffredo di Buglione, davanti ad una vecchia capanna mezzo distrutta dagli anni e dalle estenuanti incursioni barbariche, un monaco dalla barba bianca ed incolta, seduto su una grossa pietra lungo un sentiero che poco più in là s’inoltrava nel bosco. Intorno a lui, disseminati per terra, tanti ramoscelli e radici d’albero che lui pazientemente scolpiva ricavandone figure d’ogni tipo soprattutto animali che assumevano, abilmente lavorate, delle sembianze quasi perfette.
D’un tratto credetti di sentire delle urla provenire dalla parte opposta del bosco tant’è che il monaco si girò di scatto da quella parte e poi un forte scalpitìo di cavalli, subito dopo un nugolo di cavalieri armati di tutto punto ed a viso coperto sfrecciò in pochi secondi attraversando il sentiero situato tra me che sognavo ed il monaco che balzò di scatto all’indietro, esterrefatto dalla paura. Il passaggio dei misteriosi cavalieri sollevò una grande nuvola di polvere. Essi sparirono d’improvviso all’interno della boscaglia e quasi immediatamente tornarono sul sentiero, silenzio e visibilità. Questo fatto mi fece per un attimo pensare a certi fenomeni del nostro tempo, quando qualcuno racconta di aver avvistato un’astronave aliena che atterra in un campo (perché mai in una città!), solleva nuvole di polvere e poi sparisce repentinamente e misteriosamente.
La nota prodigiosa si rivelò quasi subito e divenne chiara (si fa per dire) subito dopo la scomparsa di quei cavalieri erranti, perché oltre la boscaglia c’era una sorta di radura poco estesa ed oltre la radura una fittissima selva impenetrabile ai piedi d’una alta montagna. Questo lo seppi dal monaco che conosceva quei posti a menadito ed anche perché l’inquadratura del mio sogno era fortemente limitata alla capanna e parte del sentiero. Il monaco per la verità non emetteva suoni ma io percepivo i sui pensieri che si trasferivano incredibilmente dentro di me. Mi riferì che già un’altra volta era successo qualcosa di simile: un’orda di masnadieri a cavallo erano passati sbraitando e brandivano armi di ogni genere poi erano spariti all’interno del bosco senza fare più ritorno e la cosa non era materialmente possibile dal momento che non esistevano altre vie di ritorno oltre a quel sentiero.
Anche se quel sogno non era a colori, notai subito la faccia del monaco impallidire e le sue mani tremare come le foglie sopra il suo capo.
Qualche minuto dopo vidi passare un pover’uomo in sella ad un cavallo, che peraltro sembrava un malandato ronzinante dall’andatura barcollante. Prima che quel cavaliere male in arnese fosse inghiottito dalla boscaglia il monaco si affrettò a chiedergli: «Chi sei, buon uomo, dove vai? perché non ti fermi un attimo a chiacchierare con noi!» e da ciò trapelava l’ansia del monaco di saperne di più su quel fitto mistero che s’annidava all’interno del bosco. Ma quell’uomo, come se vivesse in un mondo tutto suo, proseguì verso il bosco. Poco prima di sparire però come tutti gli altri, quasi a voler rispondere tardivamente alla domanda del monaco, urlò: «Alla grotta! vado alla grotta… laggiù!» e la sua voce si spense insieme alla sua immagine.
“Adesso è troppo!” pensò il monaco, così almeno mi parve di sentirgli dire attraverso quella specie di comunicazione intuitiva propria dei sogni. Si armò di coraggio cancellando quasi per miracolo quel pallore che aveva disegnato sul volto e s’inoltrò correndo nel bosco. Attesi con trepidazione il suo ritorno, memore della fine che avevano fatto gli altri.
Avevo anche il timore che una sorta di risveglio ponesse fine a quel sogno e alla spiegazione di quel mistero.
Ma ecco che d’un tratto vidi tornare indietro il monaco. Aveva il volto disteso e rasserenato, il passo leggero e quasi sollevato da terra. Si fermò di fronte a me e prevenendo la mia curiosità, mi trasmise il suo messaggio. All’interno della radura, oltre la boscaglia c’era in effetti traccia di una grotta sigillata da un masso enorme ed in alto una scritta impressa con lettere di fuoco:

«Le anime dei Cavalieri sono tornate alle loro Case…
all’inferno i malfattori!»

Vidi il monaco tornare a sedere sulla pietra davanti alla capanna e riprendere il suo lavoro coi ramoscelli e le radici d’albero e prima che tutta la scena si dileguasse nel nulla lo sentii sussurrare con un filo di voce: «Quanti altri Cavalieri dovrò veder passare da qui, prima che…» e non mi fu possibile udire altro!


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