Crescita organizzativa

di

Sergio Benedetto Sabetta


Sergio Benedetto Sabetta - Crescita organizzativa
Collana "Le Querce" - I libri di Saggistica e Diaristica
14x20,5 - pp. 174 - Euro 14,00
ISBN 9791259512857

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In copertina e all’interno: «Porto di Trieste – 1919» fotografie dell’autore


Prefazione

Sergio Benedetto Sabetta propone un nuovo interessante saggio di economia in relazione alla gestione aziendale che prende in esame la concezione di organizzazione e la conseguente crescita organizzativa.
Nella premessa vengono offerti alcuni riferimenti ed attente riflessioni relativamente all’apparato industriale italiano, ma l’analisi si sposta subito ad un livello globale prestando attenzione alle profonde problematiche politico economiche e alle complesse dissertazioni sullo sviluppo organizzativo, sulla gestione dei processi e tipologie di controllo di gestione e, infine, sull’andamento dei mercati e le regole nella globalizzazione.
Alimentando tale processo analitico attraverso uno studio che coglie gli aspetti critici, in primo luogo, viene indagata la concezione di organizzazione aziendale in riferimento ad un ambiente stabile dove si coordinano persone e mezzi per il raggiungimento di un obiettivo comune con “continuità di tempo”: si evince chiaramente che tale approccio statico, ormai, non sia più possibile per le mutevoli condizioni ed esigenze, e anche tenendo conto dell’evoluzione del sistema socio aziendale.
In secondo luogo l’analisi procede facendo riferimento all’esigenza della visione di una programmazione del cambiamento attraverso processi di brainstorming o gruppi nominali, oltre alla necessità di un adattamento dell’impresa all’ambiente esterno, e che tale adattamento sia graduale e programmato.
L’organizzazione deve essere strutturata in dipendenza della pianificazione strategica e la struttura organizzativa aziendale deve essere supportata da sistemi amministrativi come i controlli di gestione, inoltre, assumono grande importanza la comunicazione e l’informazione, ma anche le motivazioni e gli incentivi, ed emerge la considerazione che la pianificazione strategica ed il controllo direzionale debbano essere distinti.
La complessa disamina relativa alle caratteristiche e alle dinamiche dell’organizzazione e della gestione aziendale indaga, quindi, il moderno concetto di sistema economico basato sulla concorrenza, sulla massimizzazione dei profitti e sull’accumulazione dei capitali: ne consegue il dominio di una volontà tesa esclusivamente a massimizzare il capitale entro breve tempo.
Sergio Benedetto Sabetta con il presente saggio esplora tale processo evolutivo e le relative dinamiche e, grazie ad un’attenta e precisa disamina, mette in evidenza le evoluzioni del sistema organizzativo e le problematiche che conseguono dalla moderna globalizzazione informatica.

Massimiliano Del Duca


Crescita organizzativa


A Maria Cristina Colapietra, mia moglie.


PREMESSA

Alcune riflessioni sull’apparato industriale italiano

Nel 2019 il valore della produzione industriale nazionale italiana è stato di 1138,6 miliardi di euro, con valore aggiunto nel 2022 di 351,1 miliardi, con 4 milioni e 259 mila occupati.
Pertanto, risulta che il peso dell’industria italiano sull’intera economia nazionale è uguale al 33,4% del valore della produzione e al 16,7% degli occupati.
Il solo settore manifatturiero, con esclusione dell’industria estrattiva, elettrica, del gas, acqua e rifiuti, era nel 2019 costituito da 366 mila imprese con 3 milioni e 809 mila occupati, generando un valore aggiunto di 250,2 miliardi di euro.
Le imprese con meno di 20 occupati erano, sempre nel 2019, 336 mila e impiegavano circa 1 milione e 322 mila persone, con un valore aggiunto di circa 50 miliardi, rappresentando quindi oltre il 90% del totale delle imprese, oltre 1/3 degli occupati totali e 1/5 del valore aggiunto.
I 4/5 del valore aggiunto manifatturiero è quindi generato dalle imprese con più di 20 occupati, che sono circa 29.500 imprese.
Il dato più rilevante riguarda l’export che nel 2022 ha sfiorato i 600 miliardi di euro, praticamente oltre il 50% del fatturato globale industriale.
Mediobanca conta 3.500 imprese di grandi dimensioni, di cui propriamente industriale 2.500, queste costituiscono il cuore dell’apparato industriale e fanno da traino alle imprese medio-piccole spesso coinvolte nella logistica e nelle sub-forniture.
Costituiscono inoltre la base per molte industrie che risultano essere iconicamente il made in Italy nel mondo.
Vi è pertanto la necessità sia di sostenere le piccole imprese in termini di investimenti e di tecnologia, senza di-sperdere le risorse in molti provvedimenti di dubbia efficacia, sia di evitare che la transizione al green si risolva di fatto in una perdita di quote di mercato.
Dobbiamo, inoltre, considerare che il nostro debito pubblico è pari al 145% del PIL ed essendo coperto in parte da investitori esteri la fiducia è fondamentale per ridurre lo spread e, quindi, possibili crisi finanziarie.


INTRODUZIONE

Fino agli anni Ottanta del ’900 si parlava di organizzazione aziendale con riferimento ad un ambiente stabile, in cui si coordinavano un insieme di persone e mezzi per il raggiungimento di un obiettivo comune, con continuità nel tempo.
Tale approccio caratterizzato da una forte staticità non è più accettabile in presenza di mercati turbolenti, acquista importanza la capacità dell’impresa di adattarsi alle mutevoli esigenze dell’ambiente, in altri termini ad adattare i suoi output agli input variabili che derivano dall’ambiente esterno.
Questo porta ad una ulteriore evoluzione nella quale alla convergenza degli sforzi, si privilegia l’analisi delle conflittualità che i diversi componenti del sistema socio-aziendale presentano fra di loro e nei confronti di componenti socio-politici esterni.
Tale modo di pensare e operare consente di porre in giusto rilievo il problema della motivazione, la cui corretta considerazione può risolversi in notevoli benefici per l’organizzazione aziendale nel miglioramento della qualità.
Secondo la psicologia sociale il sistema dovrebbe promuovere la congruenza dei fini, ossia fare in modo che i fini dei membri dell’organizzazione siano compatibili con i fini propri dell’organizzazione stessa, in questa ottica un sistema di controllo è inefficace se i membri dell’organizzazione non sono pienamente convinti che la direzione lo consideri veramente importante.
Occorre considerare che l’ambiente ingenera differenti modi di concepire la sfera aziendale, infatti le organizzazioni e coloro che le vivono risentono i passati periodi storici, l’estrazione culturale ed i differenti costumi.
Questo ha riflesso sugli aspetti psicologici e comportamentali come, ad esempio, nel rapporto capo e collaboratore, in cui si può creare un’atmosfera oppressiva nella quale le persone perdano la propria identità con atteggiamenti di dipendenza o all’opposto rifiutino il rapporto con atteggiamenti di contro dipendenza, dissipando in ogni caso energie che potevano essere spese in una direzione “produttiva”.
Consegue che nei processi di sviluppo organizzativo nel cambiare l’organizzazione necessita impegnarsi nella formazione al fine di cambiare l’atteggiamento delle persone che la compongono, tenendo presente il loro vissuto e l’interpretazione che ne danno.
Si tratta di una continua azione di feedback tra l’azienda che, individuato il problema e preparata la strategia di cambiamento, influenza il comportamento dell’individuo e l’individuo che viene ad influenzare l’azienda.
Viene a realizzarsi una programmazione del cambiamento con il coinvolgimento del personale attraverso processi di “brainstorming” o “gruppi nominali” in modo da rendere meno traumatico il cambiamento interiorizzandolo, fino a giungere a un vero e proprio contratto psicologico di tipo professionale.
L’adattamento dell’impresa all’ambiente esterno non può avvenire in modo brusco, bensì attraverso azioni graduali e programmate che tuttavia solo in minima parte potranno anticipare l’evolversi delle condizioni ambientali caratterizzate da una crescente imprevedibilità, tenendo pertanto sempre presente l’insufficienza di una logica strettamente revisionale.
Dalle considerazioni sopra esposte risulta evidente che strutture e strategie sono interconnesse, in altri termini una organizzazione deve essere strutturata in dipendenza della pianificazione strategica ma è altrettanto evidente che nei nostri scenari sociali è difficile un tale sincronismo.
Avviene pertanto che la struttura segue la strategia, sicché può osservarsi che l’attuazione di una nuova strategia in un quadro organizzativo di vecchia struttura non fa che accrescere l’inefficienza e dilatare le tensioni all’interno dell’organizzazione, fino all’adozione di una nuova struttura.
La struttura organizzativa aziendale, individuate le autorità e le responsabilità necessarie, dovrà essere supportata da altri importanti sistemi amministrativi, quali il controllo di gestione, comunicazione e informazione, motivazione e incentivi, tale contesto deve necessariamente trovare adeguata coerenza con la cultura aziendale.
Pianificazione strategica e controllo direzionale devono comunque essere ben distinti sebbene entrambi proiettati sul lungo periodo, nella pianificazione limitata all’alta direzione e al suo staff prevale l’elemento creativo supportato da adeguate informazioni, deve peraltro considerarsi l’influenza che assume il controllo direzionale sulla pianificazione a seguito del flusso delle informazioni estrapolate.
Anche nella strutture di gruppo i benefici di natura fiscale finanziaria vengono ad essere superati dalla necessità di un migliore sfruttamento delle aree strategiche di affari ad opera delle aziende consociate inserite negli ambiti locali e fornite delle conoscenze necessarie, viene pertanto ad incorporarsi nello schema della holding anche un aspetto strategico.


La concezione moderna concezione darwiniana

Secondo i presupposti odierni del capitalismo gli uomini sono essenzialmente esseri economici che operano esclusivamente in funzione del denaro, ossia per migliorare i loro interessi finanziari in termini puramente egoisti.
Il sistema economico attuale basato sulla concorrenza, massimizzazione dei profitti e accumulazione di capitali (leggi del movimento), è sostenuto da un concetto darwiniano sociale di sopravvivenza del più forte in presenza della necessità di una crescente concorrenza sulle sempre più limitate risorse disponibili, la disuguaglianza che si crea favorisce le varie rotture sociali dalla criminalità all’immigrazione illegale.
Sorge la volontà di una massimizzazione a breve del capitale con una prospettiva contraria agli investimenti a lungo termine ma contemporaneamente vi è uno stressarsi del fattore umano dovendo venire sacrificati altri valori rientranti nella sfera personale, tutto si basa sul concetto di performance, incrementato nei valori quotidiani dai continui messaggi pubblicitari tesi al modello della perfezione, senza accettazione della quotidianità quale elemento invasivo della persona.
L’eroico furore di cui devono essere forniti oggi giorno gli esseri umani che si cimentano nei vari settori della politica e dell’impresa non deve compromettere la ricerca del significato proprio di ogni singolo uomo, solo l’insieme di questi significati crea il “capitale sociale” necessario per un vantaggio sociale competitivo con bassi tassi di criminalità, di instabilità politica e di altri fattori di instabilità sociale.
Il concetto di ricchezza viene a espandersi da un aspetto puramente materiale quale il denaro, concetto facilmente assorbibile, ad un aspetto più ampio di capitale o ricchezza spirituale, elemento ben più difficile da afferrare e valutare. La ricerca della perfezione non deve comunque sfociare nell’illusione del perfezionismo verso sé o gli altri quale esagerazione “tossica” dell’animo, è ben vero che l’esercizio continuo crea le abilità necessarie per formare l’esperto, strutturandone la mente, ma questo non vuol dire che vi debba essere una distorsione arrogante della personalità e che una competizione portata all’estremo e non controllata non risulti essere deleteria nei tempi lunghi ai rapporti lavorativi e sociali.
Nella tensione nata dalla moderna economia in continuo divenire, occorre pertanto avere la capacità di distinguere l’entusiasmo dal fanatismo, il primo come capacità nel tenere ferme le idee senza per questo negare l’opportunità dell’apporto del nuovo a seguito di una dialettica, mentre nel secondo prevale la chiusura all’innovazione nella certezza della perfezione già raggiunta (Jaspers), come all’opposto il negare totalmente il passato nella ricerca di un improbabile Eden assoluto.
Il fanatismo è in contrasto con l’ironia quale riconoscimento dei limiti dell’uomo attraverso la critica (Shaftesbury), in altre parole la ragionevolezza come garanzia di un serio impegno (Kant).
Nasce la possibilità di sbagliare e il riconoscimento di tale eventualità (Peirce), fino a giungere nel campo della scienza alla rinuncia ad ogni certezza (Popper). È chiaro che la possibilità oggettiva di un fatto o dell’errore può essere individuata solo in un determinato contesto, sulla base delle condizioni o delle regole giuridico-morali e tecniche che vivono in quel campo.
Sostiene Kant che l’errore è originato dall’agire della sensibilità, quale istinto, sulla ragione e la conseguente confusione che ne nasce per la mente tale da scambiare l’apparenza della verità per la verità, ciò che è soggettivo per oggettivo.
Ma questa concezione nel distinguere nettamente ragione e sensibilità individuale non riconosce l’influenza positiva, che le neuro-scienze hanno evidenziato, della sensibilità soggettiva nell’elaborazione primogenia delle sensazioni derivanti dagli stimoli esterni secondo sistemi neuronali indipendenti ma sovrapposti, certo viene distinto il rigore della ricerca scientifica dall’agire quotidiano. Se Lewis recupera la concezione kantiana dell’errore come combinazione dei dati mediati dalla esperienza con le sue interpretazioni abituali di natura intellettuale, nel riconoscere l’intrinseca fallibilità dei processi conoscitivi non si può in realtà non ammettere con Popper che la possibilità dell’errore non si distingue dalla possibilità stessa della conoscenza.
Torniamo alla necessità dell’uomo moderno nel limitare l’eccesso quale fanatismo perfezionista, in qualsiasi campo lavorativo o politico a cui l’azione è applicata, tale fanatismo viene di fatto a menomare le varie possibilità intrinseche all’essere umano diminuendo il suo “capitale sociale”, vi è un limite in altre parole oltre il quale vi è la disutilità dell’agire nel settore rispetto al resto della personalità, qui nasce la difficoltà dell’uomo di trovare il punto di equilibrio.
Fondamentale diventa a riguardo il contesto in cui agisce, in altre parole il modello sociale di riferimento costituito dalle relazioni personali e normative nonché dalle pressioni comunicative dei modelli proposti.
Come osserva C. Locke il business per il business non può funzionare alla lunga in quanto gli esseri umani non sono entità puramente economiche ma anche sociali, sì che come il business influenza profondamente la società, le attività aziendali sono a loro volta influenzate dagli aspetti fisici, psicologici e culturali; il commercio non è altro che un elemento della cultura umana di cui bisogna svilupparne la critica.


L’individuo quale essere nel tempo ermeneutico

“La finitudine una volta afferrata, sottrae l’esistenza alla molteplicità caotica delle possibilità che si offrono immediatamente (i comandi, le frivolezze e le superficialità) e porta l’Esserci in cospetto della nudità del suo destino”.

Heidegger, «Essere e tempo»

Vi è nell’individuo l’esistenza di una simulazione incarnata delle altrui azioni nel sovrapporsi tra l’io e il tu in cui l’osservare è il vivere l’esistenza (de Waal, Gallese), il tempo è un eterno ritorno uno scorrere senza inizio né fine, nella sua circolarità l’esistenza si perde nel congiungersi tra il nulla e l’infinito ove la temporalità del proprio essere emerge nel riscontro dell’altro.
Nel rispecchiarsi delle altrui esperienze frutto della nostra socialità definiamo tecnica e tempo, la circolarità nel suo estendersi diventa linearità nel nostro orizzonte degli eventi, la tecnica stessa ci impone la misurazione di un tempo potenzialmente infinito ma di fatto determinato, frazionato, tutto diventa misurabile dall’economia ai rapporti sociali, lo stesso diritto si trasforma di fatto in una misurazione economica e temporale dei rapporti nella volontà di appropriarsi dello scorrere dell’esistenza.
Veniamo calati in un tempo da noi stessi creato, imposto dal dovere relazionarci nella ricerca di beni e servizi, sicurezza e supporto, nel dover creare e difenderci al contempo, la cooperazione avanzata di cui parla Cosmides permette l’adattamento dell’individuo alla collettività e la collettività all’ambiente di cui l’universo normativo ne diventa strumento (Fernandez), vi è una dimensione sociale di reciprocità che assorbe totalmente l’individuo impedendone l’uscita (Jones, Goldsmith), l’essere per tale via viene calato nel tempo del proprio esistere, egli deve creare e nel creare trova il senso del proprio permanere, la possibilità di rimanere agganciato alla fisicità con tutte le sue potenzialità e limitatezze.
Il creare contiene in sé la potenzialità di una probabilità non la certezza, in questo vi è il piacere e l’ansia del rischio che il vivere nel tempo comporta, ma anche il vantaggio adattivo proprio di un adattamento selettivo normativo al mondo (Fernandez).
Nella circolarità temporale è implicito un eterno ritorno, la necessità dell’accumulo nella prevedibilità del ripetersi degli eventi dove prevale il consolidarsi della consuetudine, nel tempo lineare la consuetudine evapora sostituita dalla volontà creatrice dell’onnipotenza legislativa, la società come nelle scienze tecniche diviene materia da plasmare e trasformare secondo precisi disegni.
Si passa dallo studio e mantenimento dell’esistere alle potenzialità dell’ideale nella necessità, vi è il desiderio di un accumulo infinito a cui tuttavia si contrappone il carpe diem che nasce dalle vertigini del vuoto, dalla delusione del desiderio bulimico dell’essere nell’esistere.
La radicalità dell’interloquire, del rapportarsi con l’altro lega al momento, al presente nella retta del tempo, al suo rappresentarsi giuridicamente, solo nel momento della rottura, dello spezzarsi dei legami si ha la proiezione temporale verso passati e futuri non economicamente definibili, dove i principi acquistano valenze metafisiche con nuove rappresentazioni del mondo e costituzioni di senso in una diversa soggettività.
La negazione della circolarità del tempo isola l’individuo sulla retta del tempo, crea l’ostacolo della mediazione giuridica alla realizzazione dell’incontro impedendo al singolo di essere dentro la relazione, di acquisirne il senso profondo (Buber), è la circolarità che crea la realtà dell’esistere, il suo rotolare sugli assi del tempo e dello spazio crea la storia, la tensione creativa si pone quindi fra questi due termini, la norma codifica quello che è già passato, plasma un divenire che è interpretazione e nell’interpretare pone già le basi per la sua negazione in cui la riuscita è sempre e solo parziale.


L’ermeneutica nella comunicazione moderna

Il principio fondamentale da cui parte Schleiermarcher è un rapporto di reciprocità tra le parti e il tutto del testo fondato sul libero esame, il circolo ermeneutico quale principio base a cui associare quale ulteriore principio l’intuizione necessaria a penetrare la nascita del testo, che Jaspers definisce in termini di assimilazione e che Dilthey allarga al complesso dell’insieme sociale che ne ha permesso la formazione.
La concezione diltheyana distingue tra organizzazioni della società fondata su costrizioni e sistemi culturali in cui l’individuo viene a trovarsi aderendone naturalmente, con una accettazione sostanzialmente libera che presuppone la possibilità di esprimere una scelta, si ha quindi la coscienza storica della finitezza di ogni sapere.
Nella vita psichica può esservi solo una comprensione in antitesi alla spiegazione propria della natura fisica, dove il soggetto percepisce dall’esterno l’oggetto, la comprensione di ogni individuo è storicamente condizionata dal legame con luogo e ambiente in un condizionamento reciproco nella ricerca dell’intendere e comprendere, vi è una interrelazione continua dei singoli individui che si esplica in una “connessione dinamica” fino a diventarne l’autocentralità (Dilthey), costituendone valore, scopo e significato.
L’individuo esiste in quanto relazione, nella relazione sociale assume ruoli e significato, in essa dà senso al proprio esistere, difficilmente può trovare solo in sé stesso il significato dell’esistere quale essere completo, o vi è una alienazione o un lungo affinamento spirituale, in questo vi è quella familiarità storica costitutiva, frutto di una stessa tradizione che permette un’interpretazione generale storicizzata di cui parla Gadamer dove l’idea dello stesso pregiudizio acquista un proprio valore necessario e naturale.
Il mio “orizzonte” viene a fondersi con gli altri “orizzonti” in un processo interminabile e sempre provvisorio, storia e tradizione letti attraverso l’esperienza sono pertanto alla base dell’interpretazione, dove l’ontologia della nostra storia risiede nel linguaggio quale mezzo generatore di senso nella lettura del mondo e delle sue regole.
Se nell’ermeneutica classica vi è il solo testo con i suoi riferimenti in Ricoeur emerge l’esistenza con tutte le problematiche dell’io, l’unico elemento che congiunge i due poli è lo scorrere del tempo che rende omogenei gli estremi, ma l’interpretazione non è che un continuo ricostruire tra il fondo oscuro della coscienza e la storicità dell’essere espressione degli eventi e della cultura del suo tempo, dove ad un passato perso nella nebbia si contrappone un futuro probabile ma non anticipabile, in cui vive il carattere interpretativo di ogni relazione umana (Pareyson) con la conseguente necessità dell’infinita interpretazione della verità.
Essendo la verità una compenetrazione di verità la libertà dell’individuo nell’esplicarsi nella sua personalità può diventare minaccia all’interpretazione stessa, negazione alla possibile valutazione, in questo la libertà traligna nell’errore, spezzando il legame tra essere e individuo (Pareyson), la norma non è quindi un oggetto del discorso bensì la fonte del discorso, nella ricerca di un pensiero che non sia meramente storico e ideologico ma anche rivelativo della persona nel suo tempo attraverso l’atto.
Vi è pertanto alla base un pensiero dialettico il quale esprima le contraddittorietà dell’individuo nella realtà, non può esservi perciò una esplicitazione completa del sottinteso con lo svuotamento dell’intervallo tra detto e non detto, in quanto mentre l’implicito risiede nella struttura del discorso il sottinteso è nascosto tra le pieghe della parola, nel dialogo infinito tra implicito ed esplicito la parola è sia rivelativa che espressiva, l’universo logico del pensiero sistematico razionale viene a convergere nel pensiero ermeneutico dove l’esperienza è interpretata, in una interpretazione riflessa di una interpretazione reale (Pareyson).
La funzione di accompagnamento che Vattino rivendica all’ermeneutica fa sì che nel linguaggio si vedano non tanto verità certe e date quanto piuttosto modelli culturali da trasmettere, circolazione costante di significati e discorsi che stimolano gli individui ad allargare le prospettive (Rorty), facendo emergere i limiti del linguaggio e il non detto, ossia il mascheramento della retorica che si allarga sull’insieme della comunicazione umana, mascherata nel giuridico dalla pretesa tecnicità.


L’utopia di un totalitarismo informatico

Nell’accelerazione avvenuta negli ultimi anni di una globalizzazione informatica, si è aperto un dibattito tanto sulle conseguenze ultime che sulle possibili manipolazioni che la crescente tracciabilità comporta, tutte circostanze che vengono a riflettersi sul mondo giuridico.
In quest’ultimo decennio siamo entrati in quello che Sadin definisce come “l’era della misurabilità della vita”, la raccolta sempre più ampia e precisa dei dati riferita a ciascun utilizzatore del sistema, l’inserimento di sensori in ogni strumento di vita quotidiano (domotica), fa sì che si rafforzi una visione del mondo fondata sulla necessità di colmare l’insufficienza umana con l’intelligenza artificiale.
Questo permette di trasportare la capacità critica dalle scienze umanistiche al campo ideologico della rete, riducendo il tutto a valutazioni di sola misurazione socio-ingegneristiche, la politica tende ad abdicare alla forza della rete, sperando di trovare in essa le soluzioni per problemi di cui il mondo informatico stesso ne è stato in parte fonte.
Vi è in essa una ideologia salvifica che viene bene ad intrecciarsi con le considerazioni proprie dell’economia comportamentale, dobbiamo considerare che vi sono attualmente tre condizioni basilari nella strutturazione industriale: la formazione di banche dati comportamentali, il sempre crescente peso della gestione algoritmica nei rapporti sociali e la personalizzazione delle applicazioni con il conseguente passaggio da un’utopia culturale e relazionale ad una squisitamente economica (50, E. Sadin, La siliconizzazione del mondo, Einaudi, 2018).
Si crea un legame continuo e diretto non solo tra gli internanti ma bensì tra tutti gli utenti e il vertice del sistema informatico, circostanza che permette di agire sulle coscienze, imponendo una visione unitaria del mondo in termini prevalentemente economici.
La capacità crescente dell’intelligenza artificiale di “interpretare” il contesto e l’agire, fa crescere a sua volta la potenziale sua “autonomia decisionale”, a cui si affianca un forte potere di “suggestione” nel formulare soluzioni accettabili, si ha un progressivo “indirizzamento delle decisioni umane” (E. Sadin) secondo modelli di informatica cognitiva, abdicando per tale via al problematico rapporto tra libertà individuale e regolamentazione collettiva.
La “gestione automatizzata del mondo” tende a rendere superata la capacità critica a livello individuale, considerati arcaici gli stessi sistemi informatici di analisi giuridica in termine ristretto di filtro. Ormai si procede all’indirizzamento morbido dell’agire umano secondo decisioni illuminate, il tutto rifacendosi ai principi e alle analisi dell’economia comportamentale, vi è per tale via la “disintegrazione delle responsabilità” (Sadin) quali conseguenze di una serie di impercettibili processi di governamentabilità.
La stessa emotività diventa oggetto di analisi informatica e come tale viene progressivamente governata dalle leggi della tecnologia, come del resto il tempo che diventa un tempo reale ed eternamente attuale in cui vi è un permanente dominio sulle cose.
La possibilità di ridurre tempo e spazio fa sì che, unendosi alla crescente elaborazione sulla tracciabilità dei dati in tempo reale, si avveri la teoria della “spinta gentile” ultima frontiera dell’economia comportamentale, questo tuttavia non esclude la sempre ricorrente tentazione di imporre autoritativamente eventuali tipologie di consumo.
Il diritto viene a sfumare nell’estendersi del mondo digitale, nel crescere dello spazio e nella rapidità di un tempo sempre presente, come la privacy che incipiente nelle dimensioni minori si perde nell’immensità della globalizzazione e nella rapidità della sua rotazione.
Il tecno liberismo trasferisce nel privato parti crescenti del settore pubblico proprie dello Stato sociale, come del resto riduce progressivamente gli spazi del privato in favore del mercato, in una identificazione tra individuo, cittadino e consumatore (Morozov).
Nella sharing economy la codificazione di diritti/doveri derivante dal rapporto personale viene sostituita dalla reputazione, la piattaforma tecnologica risulta qualcosa di immateriale che mette semplicemente in contatto potenziali clienti del cui agire non ne risponde, sarà direttamente il mercato a punire gli inaffidabili in quanto “nella battaglia tra giustizia e innovazione, è sempre quest’ultima a vincere” (19, E. Morozoi, Silicon Valley: I signori del silicio, Codice ed., 2017).
I dati personali possono diventare merce di scambio non solo tra singoli e società commerciali, ma anche tra pubblico e privato nella fornitura di servizi a costi zero, basti pensare al caso Boston.
Il concetto stesso di proprietà, così come inteso normalmente, viene contestato in nome di una maggiore efficienza derivante dalle enormi possibilità di una condivisione commerciale propria di una società dei servizi, globale e perennemente interconnessa, dove vi è uno sfruttamento continuo e capillare del bene, a prescindere da qualsiasi risvolto psicologico, questo tuttavia viene a riproporre per alcuni, quali Posner e Weyl, nuove forme di regolamentazione di cui garanti dovranno porsi gli stessi Stati.
Secondo l’economia comportamentale i nostri comportamenti, le nostre decisioni economiche, sono per lo più irrazionali, ne deriva la necessità di una crescente informazione personalizzata, di cui tuttavia si rischia l’irrigidimento per il fenomeno del problem closure (chiusura del problema), ossia l’inquadramento precedente di un problema diventa causa dell’inquadramento di un successivo problema.
La possibilità della rilevabilità e tracciabilità ha indotto a teorizzare in termini politici una “regolamentazione algoritmica” della quotidianità, quale nuova tipologia di governance che venga a sostituire mediante un continuo feedback la semplice “regolamentazione giuridica”.
Si ha quindi quale beneficio una reazione in tempo reale rispetto alla rigidità della regolamentazione classica, oltre che un risparmio sui costi derivanti sui necessari successivi controlli, si ha una inversione nella relazione causa/effetti in cui, come osserva Agamben, invece di governare le cause si cerca di governare più semplicemente gli effetti, in una crescente verifica e controllo.
O’Reilly predice una riduzione della quantità regolamentativa in funzione di una crescente supervisione sugli esiti desiderati, si ha quindi un cambiamento di prospettiva dello Stato, il quale tende tra l’altro a liberarsi del peso del Welfare, spostandone il peso sul privato e riprogrammandosi in termini di controllo, mediante un quotidiano feedback agevolato da sensori e app, dove i database sono inter-operativi e i dati ricavati analizzabili ed economicamente vendibili sul mercato.
Vi è in questo tuttavia una forte asimmetria, se i singoli diventano sempre più “visibili” e quindi anche economicamente controllabili, i controllori e utilizzatori del sistema acquistano da parte loro una iper-invisibilità, con la conseguente riduzione di una capacità di controllo democratico, passando dalla politica alle semplici transazioni commerciali.
La regolamentazione perde la propria funzione rispetto ad un sistema dominato dalla crescente sharing economy, la quale permette tra l’altro lo spostamento della responsabilità sui singoli, riducendo la presenza del welfare e favorendo al contempo le politiche di austerity.
La regolamentazione avviene all’interno del sistema stesso mediante l’introduzione di sempre nuovi software, evitando le costose e sempre successive procedure giuridiche di regolamentazione, che tra l’altro soffrono di costosi e continui blocchi ed eterni contenziosi, si acquista quindi una ulteriore efficienza dovuta alla fluidità del sistema, continuamente ricalibrato e potenziato.
Si è pensato di sostituire leggi e regolamenti con i principi della “spinta gentile” propri della economia comportamentale, ma non vi è mai stata né una volontà né tanto meno vi è la possibilità di superare integralmente il sistema di divieti ed obblighi, necessari al funzionamento ordinato delle relazioni sociali.
Come osserva Thaler, una cosa è abrogare integralmente il sistema regolamentare, un’altra cosa è influenzare le scelte per un migliore benessere lasciando comunque la decisione ultima al singolo.
In una società a complessità crescente il principio dell’economia classica delle scelte razionali risulta una pia illusione, rimanendo il diritto di scegliere crescono gli errori per incompetenza, è necessario facilitare la scelta delle decisioni migliori.
Vari ostacoli si frappongono tra la necessità ed una scelta razionale, in particolare: l’inerzia, l’avversione alla perdita e la distorsione nella percezione del tempo nel rapporto presente/futuro, a questo sono da aggiungersi le distorsioni derivanti dal sistema normativo.
Non dobbiamo comunque dimenticare che “Le imprese e i governi mossi da cattive intenzioni possono usare i risultati delle scienze comportamentali a loro proprio vantaggio, a spese delle persone che sono state spinte ad agire contro il proprio interesse”. (411, R.H. Thaber, Misbehaving, Einaudi, 2018), a cui possiamo aggiungere in una mancanza di equilibrio tra pubblico e privato.
Principio fondamentale della Scuola di Chicago è la “sovranità del consumatore”, secondo cui questi sceglierà sempre razionalmente, rendendo superato qualsiasi limite esterno imposto alla razionalità.
L’economia comportamentale smonta questo presupposto teorico, dimostrando le distorsioni cognitive nel valutare ed attribuire il valore, così come nel considerare i costi di transazione.
In mancanza di costi o quando questi sono bassi le risorse andranno dove il loro uso crea un maggiore valore (Teorema di Coase), il sistema giuridico quindi non finirà per decidere quali attività economiche potranno realizzarsi, bensì solo sulla distribuzione dei pagamenti.
Anche la stessa misurazione può dare luogo a sopravvalutazioni, circostanza che coinvolge anche gli apparati amministrativi nelle distorsioni valutative ed errori sistematici, fattore che induce alla prudenza tanto nell’imporre regolativamente che nell’accompagnare secondo il modello della “spinta gentile”.
Vi è pertanto la necessità di sottoporre a test le idee prima di spingerle e di non sottovalutare le percentuali modeste, se si rapporta alle dimensioni delle poste in gioco, né il valore monetario può essere l’unico elemento motivante essendo differente percentualmente da persona a persona.
Si pensa che di fronte a decisioni di particolare valore prevale la razionalità, una tesi più volte smentita dai fatti ma anche da recenti studi (Foottball e Giochi televisivi, 331-364, R.H. Thaler, cit.), gli aspetti comportamentali continueranno ad esistere e saranno causa, nel loro sommarsi, delle ricorrenti crisi.
La mano invisibile del mercato, secondo l’economia classica, appare solo in termini macro, quando l’insieme dei comportamenti, che nel loro sommarsi hanno provocato la crisi, verranno corretti dalla razionalità della valutazione critica.


Bibliografia

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CAPITOLO I

SVILUPPO ORGANIZZATIVO

Politica, potere, gruppi di pressione e corporate governance

Qual è l’obiettivo principale di una buona corporate governance?
Per il “codice Preda” è la massimizzazione del valore per gli azionisti, per la Germania è il rafforzamento della fiducia degli azionisti, dei prestatori, dei dipendenti e dei soci in affari presenti e futuri e del pubblico in generale sui mercati nazionali e internazionali, mentre in Francia è l’interesse della Nazione piuttosto che dei soli azionisti, se nella matrice anglo-americana è la massimizzazione del valore per gli azionisti, alla matrice europea si avvicina il sistema giapponese in cui l’attività di impresa è il contemperamento di interessi di tutti gli stakeolders, ossia coloro che portano interessi rilevanti per l’impresa.
In tutte queste visioni vi è un elemento in comune, sia nell’ipotesi esclusiva di produzione di utili che in una funzione più propriamente sociale, la vicinanza più o meno articolata al potere politico, questo tanto più al crescere delle dimensioni aziendali o economiche del settore.
Il problema è l’emergere o meno di questi rapporti in termini espliciti e l’azione dei mezzi di comunicazione nel deviare l’attenzione o mettere in luce l’intreccio dei rapporti stessi.
Truman già nel 1951 individuava la politica come un processo di contrattazione e mediazione tra molteplici gruppi rappresentanti di interessi diversi, con una dispersione di potere a vari livelli. Il mutare dell’importanza delle relazioni e del loro incrociarsi cambia la direzione politica e l’attività di governo, solo l’eterogeneità degli interessi contrapposti garantisce la democrazia e impedisce la prevaricazione di un gruppo sull’altro, ma la minaccia di determinati interessi porta alla formazione di nuovi gruppi sulla scena sociale e politica.
Questa visione ottimistica in cui l’individuo attraverso l’appartenenza a vari gruppi determina la stabilità politica, quale risultato dell’intersecarsi dei conflitti, è contestata da Schattscheider il quale sottolinea la selettività del sistema politico dei gruppi di pressione adatto solo per la tutela degli interessi speciali e non per gli interessi diffusi.
Tuttavia il predominio dei gruppi economici non è inteso quale negazione dell’autonomia del processo politico, anzi il trasferimento nell’arena politica è richiesto solitamente dai poteri deboli e serve a “socializzare” il conflitto riducendo la pressione dei gruppi più forti.
Vi sono due concezioni di potere, una come conseguenza di una ineguale distribuzione di risorse (Mills), l’altra quale visione “relazionale” fondata su aspettative e condotte reciproche (Riesman).
Salisbury, rifacendosi alla concezione relazionale, afferma che i gruppi non sono altro che relazioni di scambio tra i promotori e coloro che vi aderiscono successivamente, la difesa degli interessi particolari dà vita a gruppi che si configurano piuttosto come “fazioni” tese a imporsi contro gli altri gruppi, più che elementi armonici della società. La lotta per interessi particolari contro interessi opposti, se liberamente lasciata al suo corso, può arrivare a mortificare gli interessi della collettività visti dai gruppi economicamente e socialmente dominanti quali vincoli piuttosto che risorse; in realtà l’indebolimento delle procedure formali con la sostituzione della negoziazione tra attori, porta a favorire coloro che risultano economicamente meglio dotati (Lowi).
I gruppi di interesse, come la struttura sociale nel complesso, sono passati da organizzazioni gerarchiche a network talvolta non omogenei in cui prevalgono oligarchie decisionali, vengono in tal modo favoriti i collegamenti di interessi personali e non collettivi del gruppo con la politica.
È stata coniata la metafora degli iron-triangles per mettere in luce la fitta rete di contatti e negoziazioni che si svolge tra tre tipi di attori (Jordan, Berry):
• Gruppi di interesse.
• Dirigenti burocrati.
• Politici competenti dell’area interessata.

In questa immagine vi è una rigidità di rapporti tra posizioni consolidate e pertanto vi è stata una forte critica nel tentativo di evidenziare il carattere transitorio delle aggregazioni secondo la metafora della issue network (Heclo).
Viene esaltata l’informazione e i processi di comunicazione quali elementi decisivi nella contrattazione attraverso la loro manipolazione, anche mediante l’uso strumentale dell’opinione pubblica, tranne in settori particolari controllati da gruppi istituzionalizzati, quali le associazioni degli imprenditori e dei lavoratori, prevale la logica dell’accomodamento.
Questa logica suggerisce un’implementazione delle azioni secondo un flusso circolare che torna continuamente su sé stesso, rendendo instabile e accidentato il percorso decisionale e pertanto problematico il risultato, infatti essendo molteplici gli attori, talvolta in contrasto tra loro, vi è una varietà di partite da giocare con risultati che possono essere contrastanti (Bardach, Rein, Rabinovitz).
Se finora abbiamo parlato in termini di elitismo e pluralismo non possiamo non considerare le posizioni neocorporative.
L’approccio neocorporativo ha avuto il merito di sottolineare la crescente espropriazione dell’autonomia di mercato da parte delle autorità pubbliche, in questo favorite dalla teoria keynesiana, intervento che resta, se pure in altre forme indirette, anche con le recenti privatizzazioni considerata la complessità strutturale del capitalismo moderno (Shonfield).
Altra tendenza in atto è il conferimento ad associazioni “private” del ruolo di organizzazioni “semipubbliche” in appoggio e con regolari rapporti con il governo, sì che i gruppi di interesse riconosciuti risultano di fatto meglio tutelati fino ad assumere il carattere di quasi governi “privati” (Beer).
Analizzando il fenomeno Cawson e Bull hanno posto in rapporto fra loro concentrazione e autonomia degli interessi privati con il carattere forte o debole della struttura statale, consegue che la vera e propria tipologia del neocorporativismo si realizza solo in presenza di uno Stato “forte”, ossia compatto e autonomo in grado di fare rispettare le decisioni assunte contrattualmente, rispetto a contrapposti interessi altrettanto forti, concentrati e gestiti da leader-ship riconosciute.
In presenza di uno Stato frammentato, “debole”, gli interessi forti assumono un carattere monopolistico che si trasforma facilmente in un regime mascherato, in cui predominano i gruppi privati, Schmitter riconosce tuttavia l’utilità di un corporativismo societario e liberale nella gestione di un capitalismo avanzato in società democratiche con benessere diffuso.
È stata comunque rilevata l’eccessiva rigidità del modello neocorporativo che non coglie le differenze organizzative e gestionali fra i gruppi, né le pressioni derivanti dagli interessi esclusi o minacciati e ancor meno i continui accomodamenti che portano al progressivo sgretolamento delle organizzazioni sociali e politiche esistenti, frammentando il sistema politico con la necessità di riformulare nuovi equilibri tra i poteri politico ed economico-sociali (Offe, Pasquino).
I costi crescenti della partecipazione politica sono affiancati al ricorso delle élite alla disinformazione, anche con metodi di marketing, con un progressivo affermarsi del voto di scambio sul voto di opinione.
Bobbio individua nella gestione più o meno diretta dei grandi centri di potere economico e dei correlati centri di informazione il metodo di sottogoverno utilizzato dalla classe politica, a cui non si disdegna di affiancare l’eventuale utilizzo di forze economiche di provenienza sospetta.
In ambito locale, tenuto conto delle dimensioni dell’ente e quindi dei relativi gruppi di pressione nonché dei rapporti più o meno diretti dei politici con gli elettori con o senza filtri comunicativi, metodi di ricerca reputazionali (Hunter) su medio-grandi dimensioni hanno messo in evidenza una distribuzione del potere piramidale con una presenza al vertice di una élite composta prevalentemente da uomini di affari o esponenti del mondo economico.
Il metodo ha tuttavia suscitato obiezioni (Dahl), in particolare sulla capacità di individuare l’effettiva distribuzione di potere e non solo di quello presunto dagli intervistati, ma soprattutto non coglie le divergenze di interessi e la conseguente conflittualità fra i membri della stessa élite.
Se si passa a considerare l’eventuale coesione delle élite non tanto come risultato di una consapevolezza, quanto come conseguenza di condizionamenti organizzativi secondo il metodo posizionale (Mills), si individua una élite più ampia di potere con una notevole circolazione di persone entro cui vi è un nucleo più ristretto, ossia una élite della élite corrispondente a coloro che tendono ad occupare i vertici nelle diverse organizzazioni e istituzioni in cui vi è una rotazione fra gli stessi membri.
Tuttavia ridurre il potere ad una unica élite ha suscitato perplessità considerando le numerose aree di influenza che si riscontrano in una comunità locale, pertanto si è rivalutata l’influenza indiretta esercitata dagli elettori e dall’informazione sul potere politico in contemporanea all’influenza diretta riconosciuta a una ristretta cerchia di persone sugli interessi che li riguardano direttamente (Dahl).
Anche questo metodo, detto decisionale, ha comunque sollevato perplessità non rilevando i casi in cui le questioni non vengono portate allo scoperto e fatto oggetto di discussione, in altre parole sfugge il potere di interdizione.
Bachrach e Baratz negli anni ’60 hanno pertanto sviluppato il metodo della non decisione o soppressione delle decisioni, considerando che la non decisione è assai diversa dalla decisione di non agire o di non decidere.
La ricerca parte dalla constatazione che ogni organizzazione politica promuove una “mobilitazione delle preferenze”, ossia dei valori, credenze, pregiudizi, rituali e procedure istituzionali, coerenti e continuativi nel favorire alcuni interessi a spese di altri; se a questo si affianca l’osservazione che vi sono due categorie di attori, coloro che difendono l’attuale distribuzione delle risorse e dei benefici e coloro che puntano ad una diversa distribuzione, si ottiene che vi è la volontà di coloro che operano per il mantenimento dello status quo, in particolare attraverso l’operato degli apparati istituzionali, ad impedire che le questioni possano raggiungere lo stadio decisionale e una volta superate le barriere informative e culturali, oltre che procedurali, deviarne l’attuazione.
Deve comunque riconoscersi che i poteri delle élite, in particolare delle élite interne alle élite che esprimono i top-leaders, sono limitati ai settori dei loro interessi, tra questi le possibilità di intrecci finanziari e industriali nelle imprese pubbliche locali quotate o i più classici piani regolatori, non volendo impegnare il proprio tempo in questioni che non li riguardano direttamente, interviene nei restanti settori il potere politico come élite di professionisti a tempo pieno quale distributore di risorse e benefici, pertanto sensibile ad eventuali pressioni elettorali organizzate.
L’imprenditore singolarmente o mediante associazioni, secondo le proprie dimensioni, tenderà ad avere sempre un rapporto privilegiato con la politica, non esistendo se non teoricamente mercati perfettamente concorrenziali. Gli interventi del potere politico potranno avvenire o a livello di normativa, regolando i mercati secondo gli interessi proposti o decidendo di non intervenire se non formalmente con norme di immagine di cui non seguirà l’applicazione, o a livello di finanziamenti o trasferimento di altre risorse di cui di fatto non vi sarà rendicontazione; quello che importa è la retroazione in termini di voti e di risorse alla macchina politica.
Non potendo escludere per i motivi esposti i collegamenti anzidetti, sarebbe opportuno che questi emergessero il più possibile, innanzitutto con la possibilità di dedurre integralmente i finanziamenti ai partiti, senza alcun limite all’ammontare e favorendo la formazione di associazioni di cittadini, che tutelando specifici interessi collettivi, si contrappongano apertamente a eventuali interessi occulti.
Rilevante inoltre è l’individuazione delle proprietà superando il sistema a cascata delle scatole cinesi al fine di potere meglio seguire i rapporti che intercorrono, in questo potenziando e non frammentando le capacità di intervento delle Authority indipendenti, collegate alla stampa e alle varie associazioni, tenendo presente che le norme del sistema legale possono essere viste anche come il prodotto di un “mercato politico” in cui agiscono diversi potentati aziendali.


Bibliografia

Bachrach P. – Baratz M. S., Le due facce del potere, Liviana, 1986;
Beer S. H., British Politics in the Collectivist Age, Knofp, 1969;
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Bobbio N., Il futuro della democrazia: una difesa delle regole del gioco, Einaudi, 1984;
Bobbio N. – Offe C. – S. Bombardini S., Democrazia, maggioranza e minoranza, Il Mulino, 1981;
Bull M. J., The Corporatist Ideal-Type and Political Exchange, in “Political Studies”, 255-272, 40, 1992;
Cawson A., Pluralismo, corporativismo e ruolo dello Stato, in Miraffi, 283-300, 1981;
Dahl R. A., Recensione a Hunter, in “Journal of Politics”, 22, 148-151, 1960;
Heclo H. H., Issue Networks and the Executive Establishment, in ed. A. King, 1978;
Jordan A. G. – Schubert K., Policy Networks, in “Europan Journal of Political Research”, 21, Special Issue, 1-205, 1992;
Lazzari V., Corporate Governance: fondamenti, aspetti controversi e prospettive future, in “Economia & Management”, 71-84, ETAS, 3/2001;
Lowi T. J., I gruppi e lo Stato. Un aggiornamento sull’esperienza americana, in “Teoria politica”, 7, 3-30,1991;
Mills W. C., L’élite del potere, Feltrinelli, 1959;
Reisman D. – Glazer N. – Denney R., La follia solitaria, Il Mulino, 1959;
Salisbury R. H., I gruppi come luogo di scambi, in D. Fisichella, a cura di, Partiti e gruppi di pressione, Il Mulino, 1972;
Schattschneider. E.E., The Semi-Sovereign People, Holt, Rinehart and Winston, 1960;
Schmitter P. C., Teoria della democrazia e pratica neo-corporativista, in “Stato e mercato”, 385-423, 9, 1983;
Pasquino G., I volti della rappresentanza: come ridurre la complessità sociale, in “Democrazia e diritto”, 101-128, 24, 1984;
Shonfield A., Il capitalismo moderno, Il Saggiatore, 1967;
Tirale J., Corporate governance, Econometria, 2000;
Truman D. B., The Governmental Process: Political Interests and Public Opinion, Knopf, 1951.

[continua]


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