L’Italia in mutande (ma in piedi) (Riusciranno gli italiani a salvare l'Italia?)

di

Sergio Pizzuti


Sergio Pizzuti - L’Italia in mutande (ma in piedi) (Riusciranno gli italiani a salvare l'Italia?)
Collana "La Magnolia" - I libri di Umorismo e Satira
15x21 - pp. 190 - Euro 12,00
ISBN 978-88-6037-9931

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Con la partecipazione e collaborazione di Marco Raja


In copertina vignetta di Carlo Lazzaretti


L’Italia è un Paese pronto a piegarsi ai peggiori governi, è un Paese dove tutto funziona male, come si sa. È un Paese dove regna il disordine, il cinismo, l’incompetenza, la confusione. E tuttavia, per le strade si sente circolare l’intelligenza, come un vivido sangue. È un’intelligenza che, evidentemente, non serve a nulla. Essa non è spesa a beneficio di alcuna istituzione che possa migliorare di un poco la condizione umana. Tuttavia scalda il cuore e lo consola, se pure si tratta d’un ingannevole, e forse insensato, conforto.

da “Le piccole virtù” di N. Ginzburg


Fra trent’anni l’Italia sarà non come
l’avranno fatta i giovani
ma come l’avrà fatta la televisione.

(Ennio Flaiano)


In Italia nasciamo
Catoni e Cincinnati
Ladri? Ma non ne abbiamo
e i poveri avvocati
per non morir di stento
vanno a farsi le leggi in Parlamento.

(Lorenzo Stecchetti)


Premessa

Come vi renderete conto leggendo questo libro, esso è pieno di citazioni di persone più o meno famose, che scrivono sull’Italia e sugli italiani, alcune volte in modo speranzoso, altre in maniera drastica. Da queste considerazioni e dalle mie riflessioni emerge un libro satirico, a cui partecipa con il suo umorismo l’amico Marco Raja.
Anche la prefazione voglio iniziarla con le citazioni di due scrittori, uno straniero e l’altro italiano. ALAN FRIEDMAN ha scritto nel 1996 il libro “Il bivio” (L’Italia a metà strada tra crisi e transizione), ove nella sua nota si chiede: “Dove va l’Italia? Che cosa succede in questo Paese tanto dotato di storia, cultura, bellezza ma anche, purtroppo, appesantito da mezzo secolo di partitocrazia a Roma, di mafia al Sud, e oggi dalla disoccupazione e da un’insopportabile pressione fiscale che lacerano la società, inasprendo i contrasti sociali e rendendo sempre più difficile la sfida incalzante del nuovo millennio?”
Quasi contemporaneamente nello stesso anno veniva pubblicato il libro di Roberto Gervaso intitolato “Peste e corna”, ove l’autore scriveva: “Questa Italia che si balocca fra anarchia e regime è un Paese ipocrita e pusillanime, contorsionista e trasformista, opportunista e conformista. Un Paese dove d’insormontabile ci sono i cavilli e di truffaldino soprattutto le ideologie. Un Paese che si vergogna delle cose di cui dovrebbe andar fiero e s’inorgoglisce di quelle di cui dovrebbe arrossire. Un Paese che passa impunemente dall’arsenico alla vasellina, dal pugnale al turibolo, che confonde il peccato con il reato, il confessore con il procuratore di giustizia. Un Paese che gli unni della Prima Repubblica hanno spicinato e i tangentisti consociativi ridotto in brache di tela. Anzi, in mutande”. Ecco da dove deriva il titolo di questo libro; noi italiani ci siamo ridotti, o meglio ci hanno ridotto i vari governi, che si sono succeduti, in mutande, se non in perizoma, per coprire le vergogne che non si devono vedere pubblicamente. Perciò l’Italia, individuata in copertina come un uomo in mutande, si copre con le mani gli attributi maschili, dato che a poco a poco, pur essendo entrata nel terzo millennio da dieci anni, e sebbene sia già avvenuto il trapasso dalla prima alla seconda Repubblica, si sta aspettando la terza per fare le riforme istituzionali, come la riforma fiscale, la riforma della giustizia e la trasformazione della Costituzione, sia per ridurre con l’occasione il numero dei deputati e dei senatori (per diminuire i costi della politica), sia per cambiare l’elezione del Presidente della Repubblica (in via diretta da parte dei cittadini), sia per incrementare le funzioni del Premier alla pari degli altri Capi di Governo europei, e per operare la separazione dei poteri del Senato e della Camera dei deputati, in modo da renderli indipendenti e agevolare la funzione legislativa limitandola a una sola Camera. Riuscirà il legislatore a concludere queste riforme istituzionali, volute un po’ da tutti i politici (almeno a parole), entro il 21 dicembre 2012, data della fine del mondo secondo le previsioni catastrofiche dei Maja? Scherzi a parte, nel frattempo festeggiamo il centocinquantesimo della nascita dell’unità d’Italia come Nazione. Ma cosa dobbiamo festeggiare? Che l’Italia va sempre più male, che i nostri giovani non trovano lavoro tranne forse i raccomandati, che noi italiani, tranne i ricchi e i politici, facciamo fatica ad arrivare con qualche soldo in tasca a fine mese? C’è poco da festeggiare, come dimostrano sia le citazioni richiamate in questo libretto sia le riflessioni che ne conseguono, sia la nuova versione dell’inno “Fratelli d’Italia” riscritta dall’amico Marco Raja, che spiega: “L’inno “Fratelli d’Italia” fu composto nel 1847 dal poeta e patriota Goffredo Mameli su musica del maestro Michele Novaro e solamente nel 1946 divenne “Inno Nazionale”: lo scrittore e patriota Carlo Cattaneo nel 1850 a Lugano, con una quartina intitolata “Controcanzone ai Fratelli d’Italia” parafrasò ironizzando l’inno scrivendo: “Che dite? L’Italia non anco s’è desta. / Convulsa sonnambula / scrollava la testa”.
Oggi addirittura alcuni politici, soprattutto quelli della Lega Nord, vorrebbero sostituire l’inno nazionale suddetto con “Va’ pensiero” di Verdi. Cosa penserebbero oggi i cosiddetti Padri della Patria?
Comunque con il suo scherzoso spirito Marco Raja ha composto un nuovo inno apparentemente mordace ma in fondo speranzoso del meglio che possa avvenire in Italia nei prossimi anni. Se avverrà! Da secoli la nostra bella ma umiliata Italia è motivo di attenzione di personaggi illustri e fra i primi i poeti che ne denunciano le sorti. Lo dimostrano le poesie, gli epigrammi e le riflessioni concentrate nel capitolo terzo di questa raccolta di pensieri e citazioni sulla nostra Italia, l’Italia dei campanili, che ancora oggi suonano le loro campane in modo diverso, forse perché i propri abitanti parlano lingue dialettali diverse, oltre l’italiano comune, e la pensano anche diversamente, non solo politicamente. Nel libro “Cattivi esempi” pubblicato nel 2001 Mario Pacelli scrive: “Garibaldi, Mazzini, Cavour, Gioberti, Ricasoli, Minghetti: l’elenco dei “padri” della patria potrebbe continuare a lungo. La retorica ufficiale li ha spesso descritti come individui pensosi solo del bene pubblico… Troppo bello per essere vero: infatti non lo era. Accanto all’Italia ufficiale grondante di pubbliche virtù ne esisteva un’altra permeata di vizi pubblici e privati, di corruzione, di angherie grandi e piccole, di verità accuratamente celate.”
Mi auguro comunque una riabilitazione, magari che le cose cambino a cominciare dalla data di festeggiamento del centocinquantesimo dell’unità d’Italia.

L’Autore


L’Italia in mutande (ma in piedi) (Riusciranno gli italiani a salvare l'Italia?)


CAP. I

L’Italia e gli Italiani
visti da Marco Raja

PENSIERO ITALIANO

Dopo aver letto al mattino il quotidiano,
così si mette a ragionare l’italiano.
Se rubare per il partito non è rubare,
poiché sottrar quattrini si chiama finanziare,
io, che sono stato onesto, commisi grave reato,
come molti, rimasi un gran fregato.
Ma finalmente ho capito l’aria che tira,
torno a casa e cambio vita e mira,
fondo un partito, incasso a tutte le ore,
rubo, per la sua salute, facendo il finanziatore.


I BIMBI D’ITALIA

Nei tempi andati,
nell’itala terra,
uno solo comandava.
Venne poi la guerra,
fu una vita cupa,
i bimbi d’Italia
si chiamavan “figli della lupa”.
Oggi al comando,
nella patria mangiatoia,
le mandibole son troppe.
Si ruba e s’ingoia,
in totale omertà,
ancor si spara.
Or che abbiamo la libertà,
la vita è pur amara,
non più “figli della lupa”,
ma sol “della lupara”.


ITtAALLIAAAA

L’Ittalliaaaa, nonostante tutto,
rimane “il giardino d’Europa”
ma con scarsa manutenzione.
Ci sono troppe piante infestanti
che si fanno festa reciprocamente.
Sarebbe pertanto necessaria
una dilatazione nazionale.
Parlando e scrivendo dell’Italia,
bisognerebbe dire e scrivere:
“Ittalliaaaa” per poterla aiutare
a uscire dalle ristrettezze.


ITALIA NON ECOLOGICA

L’Italia è una penisola confinante con montagne di debiti e mari di guai. È uno stivale bagnato da quattro mari e dalla pipì dei turisti e degli extracomunitari. L’Italia è un Paese di debole costituzione, ha sempre bisogno del ricostituente della rianimazione. Quasi ogni anno frane e incendi la feriscono, la indeboliscono e la rovinano, perché gli italiani non sono capaci di proteggerla, come se non fosse la loro terra. Perché? Io ci terrei alla mia casa, al luogo che mi ha dato i natali, laddove sono nato e cresciuto. Perché dobbiamo rimboccarci le maniche quando potremmo preventivamente evitare tali disastri? Spero che gli italiani, compreso me, si diano da fare in tal senso, prima e non dopo gli eventi.


GENESI DELL’ITALIA E DEGLI ITALIANI

Durante i giorni della Creazione, quando Dio estrasse dal caos l’Italia somigliante a uno stivale da calzare a lungo, gli riuscì così bene e fu soddisfatto. Vide che “era cosa buona” e subito pensò: “Se tanto mi dà tanto, per custodirla così preziosa e bella creerò gli Italiani”. Nell’entusiasmo creativo non immaginò che questo fantasioso popolo da lui escogitato poteva riportare questa Sua bella Italia al caos primordiale, soprattutto non sapendo che l’uomo era un animale politico. Se ne accorse dopo il risveglio dal riposo seguito ai sei giorni di fatiche e con benevolenza di nuovo pensò: “Non tutto il male viene per nuocere, questa è una scusa buona per rifare daccapo la stupenda Italia”. Sorrise misericordioso con il dubbio se popolarla ancora con gli Italiani. Poi decise per il sì, cambiando tipo di fango, con meno impurità incorporate e, una volta seccato, meno riducibile in polvere a disposizione secondo il vento che tira.

[continua]


CAP. II

L’ITALIA E GLI ITALIANI
VISTI DA SERGIO PIZZUTI


DEFINIZIONE DI ITALIANO

Già con l’unità d’Italia un uomo politico, scrittore e pittore piemontese, il marchese Massimo d’Azeglio, che fu presidente del Consiglio dei Ministri dal 1849 al 1852, disse: “l’Italia è fatta. Ora bisogna fare gli Italiani”. Molti scrittori stranieri e italiani hanno scritto sugli italiani, per es. Enzo Biagi (“I come Italiani”), Giorgio Bocca (“Italiani strana gente”), Luigi Barbini (“Gli Italiani: virtù e vizi di un popolo”), Beppe Severgnini (“La testa degli italiani”), David Bidussa (“Siamo Italiani”), Antonio Caprarica (Gli italiani la sanno lunga o no!?). La migliore definizione dell’italiano è quella data per esclusione da Ferdinando Martini di Firenze (facendo parlare un inglese): “Siete troppo linfatico per un greco, troppo vivace per un olandese; parlate da mezz’ora con un uomo di cui non sapete il nome, non siete un tedesco; parlate poco, non siete un francese; avete dato la mancia al facchino, non siete uno svizzero; non avete le mani sudice di tabacco, non siete uno spagnolo; non portate diamanti alla camicia, non siete un sud-americano; non vi prendete i piedi in mano, non siete un nord-americano; non avete ancora lodato l’Inghilterra, non siete un inglese. Dunque siete un italiano.”


QUANDO L’ITALIA CI FA ARRABBIARE

“Quando l’Italia ci fa arrabbiare” è il titolo di un libro di Cesare Marchi, in cui ci spiega il miracolo di un Paese che ogni giorno sopravvive a se stesso. E Mario Cervi nell’introduzione al libro di Stefano Lorenzetto, intitolato “Italiani per bene” conferma i concetti di Marchi scrivendo: “Sì, è un Paese, il nostro, che ci fa arrabbiare e qualche volta ci fa disperare. Il Paese degli egoismi anche sfrontatamente confessati, delle giungle pensionistiche e retributive, dei boiardi inamovibili e dei parlamentari flessibili.” Ma è anche il Paese degli Italiani per bene, come ci dimostra il contenuto del libro di Lorenzetto. Ci sono molti disonesti, ma la maggior parte è gente onesta, lavoratrice, con la testa sulle spalle. Perciò, anche se ho intitolato il mio libro “L’Italia in mutande” sotto tra parentesi c’è scritto “ma in piedi”. E la stessa raffigurazione dell’Italia sulla copertina del mio libro configura un uomo muscoloso, in mutande, ma in piedi (e non in ginocchio), perché nonostante la crisi e i problemi economici e politici della Nazione (per non parlare degli altri Paesi d’Europa), gli italiani sapranno sorgere dai mali che li affliggono, che metto in evidenza in queste mie riflessioni. Forza, rimbocchiamoci le maniche, come abbiamo fatto dopo il 1945, e saremo capaci di rimanere a galla.


L’ITALIA CINICA

Gli italiani non sono solo un popolo di poeti, di eroi, di santi, di navigatori, ma anche di evasori fiscali; senza offesa per nessuno di noi. Accanto agli onesti cittadini, ci sono molti evasori fiscali, tanto è vero che tre italiani su quattro ritengono che l’evasione fiscale sia un problema gravissimo e nove italiani su dieci chiedono ancora più rigore nella lotta all’evasione. Molti di noi non sanno che, se gli evasori fiscali pagassero le tasse, il Fisco avrebbe in tasca circa 100 miliardi di euro in più all’anno, quasi 8 miliardi e mezzo al mese.
Secondo il presidente della Corte dei conti, Tullio Lazzaro, “il vero guaio è che l’evasione fiscale italiana è la più alta di tutto il mondo occidentale. È uno scandalo. Non è né possibile né tollerabile. Altri sono riusciti a sconfiggerla, non si capisce perché l’Italiano no”. Ma qual è l’identikit dell’evasore fiscale? Secondo uno studio di Bankitalia “la propensione all’evasione assume valori mediamente più elevati per i lavoratori indipendenti che per quelli dipendenti; per quest’ultimi la propensione a evadere risulta maggiore per gli operai e minore per i dirigenti e direttivi”. Sono questi gli evasori che vivono e prosperano nell’“Italia cinica” disegnata dal sociologo dell’econonomia Carlo Carboni nel libro “La società cinica”: “Un’Italia in cui alberga l’individualismo amorale, secondo il quale lo spazio pubblico è visto in funzione di un riconoscimento o di un vantaggio individuale: è l’Italia in cerca di scorciatoie, che rifà il verso ai “furbetti del quartierino”, che cerca di emergere a qualsiasi costo. È l’Italia che non rispetta le regole, l’Italia dell’evasione fiscale diffusa”.
Noi, onesti cittadini, dovremmo ribellarci al cinismo e alla furbizia di questa Italia, diffusi nelle fasce alte e medio-alte di ricchezza della società italiana, ai politici che non consentono il cambiamento, non combattendo con efficacia questa quasi permanente evasione fiscale se non con lo scudo fiscale, che permette il rientro pulito in Italia di capitali e patrimoni diffusi all’estero (per non pagare le tasse). Ma, se non lo fanno bene quelli che comandano, cosa possiamo fare noi?


L’ITALIA DELLE INTERCETTAZIONI

Già nel luglio 2005 Sandro Bondi, coordinatore di Forza Italia, diceva: “Per un cittadino normale leggere sui giornali intercettazioni telefoniche o ambientali che dovrebbero far parte del segreto istruttorio dà davvero un’immagine non positiva del nostro Paese”. Lo seguiva a ruota Rocco Buttiglione, Udc, allora Ministro dei Beni Culturali, che confermava: “C’è una carenza della politica e non mi piace che questo vuoto sia stato riempito dalla magistratura e, addirittura, dai giornali che hanno pubblicato delle intercettazioni che dovrebbero essere secretate”. Ma anche quelli della minoranza, come Fausto Bertinotti, allora segretario di Rifondazione comunista, non replicava ma era della stessa opinione: “Dobbiamo discutere sul terreno politico perché le intercettazioni sono un’attività corsara e una malattia del sistema”. Da allora si è discusso tanto sulle intercettazioni telefoniche ma non si è concluso ancora niente. Michele Serra nel suo “Breviario comico” scrive: “Le intercettazioni sono spesso un grave arbitrio e una pesante violazione della vita privata: lo ha detto il garante della Privacy in un’intercettazione telefonica pubblicata sui principali quotidiani nazionali: sapendo di essere intercettato, preferisce rilasciare solo dichiarazioni ufficiali, molto calibrate, anche quando telefona ai parenti. Uguale abitudine è stata ormai acquisita da tutti i principali esponenti politici e istituzionali”. Ciononostante, qualcuno ha la lingua lunga, avendo il vizio di parlare troppo al telefono, pur sapendo che il “Grande fratello” lo sta sentendo. Le intercettazioni sono lunghe orecchie che ascoltano imprudenti parole di sedicenti potenti, che, pensando d’essere tali, credono d’essere intoccabili e immortali. Com’è vero il proverbio che dice: si perde il pelo, ma non il vizio. Nel libro “C’era una volta l’intercettazione”, l’autore, il magistrato Antonio Ingroia scrive nell’introduzione: “Un marziano che si ritrovasse catapultato all’improvviso nelle aule e nei corridoi dei nostri palazzi del potere, a furia di sentire gli inquilini parlare con terrore di intercettazioni e progettare coma abrogarle, si farebbe l’idea di essere capitato in una succursale della Banda Bassotti. Nei Paesi normali sono i criminali a essere ossessionati dal timore di venire intercettati e a predisporre tutti gli accorgimenti possibili per comunicare lontano da orecchie indiscreti. In Italia sono politici, amministratori, finanzieri, banchieri, imprenditori, top manager, alti ufficiali delle forze dell’ordine e dei servizi di sicurezza. (…) Tale è la paura dei nostri politici, di destra e di sinistra, di finire intercettati (…) che anche i più fanatici propagandisti della “sicurezza” e della “tolleranza zero” contro la criminalità sono disposti ad abrogare di fatto lo strumento più efficace per smascherare e incastrare i colpevoli dei reati. Franco Cordero, su “la Repubblica”, l’ha chiamata “criminofilia”. Non poteva usare termine migliore!


L’ITALIA DELLA DICHIARAZIA

Scrive nel libro “Dichiarazia” Mario Portanova: “La Dichiarazia è una degenerazione della democrazia, è la libertà di pensiero che diventa pensiero in libertà. È una perversa spirale tra politica e media che ogni giorno ci inonda di centinaia di dichiarazioni, di fumo verbale che annebbia la realtà dei fatti e l’attività politica seria. Dichiarano i leader e i gregari, i ministri e i loro portavoce, i parlamentari nazionali e i consiglieri comunali, e tutti dichiarano su tutto. La dichiarazione monta su quella precedente, ne provoca una successiva e così via”. Bla, bla, bla, parole al vento che trasformano il detto latino “cogito, ergo sum” in quello latino italianizzato: “Dichiaro, ergo sum”. Però dopo arrivano le smentite, perché le prime dichiarazioni non erano altro che bugie o false verità. Si dichiara in televisione, in Internet, nei talk show, e così si narcotizzano gli elettori con l’abuso delle parole, affermando che chi dichiara ha sempre ragione. Ma non è così, perché molte dichiarazioni sono contraddette dai fatti e dai comportamenti. Quindi, perché blaterare a vuoto? Sarebbe meglio parlare meno e fare fatti di più.


SALVIAMO L’ITALIA E GLI ITALIANI

Certamente alcune categorie di Italiani non fanno una gran bella figura in questo libretto, perciò, dovendo l’Italia e gli italiani risorgere dal marasma generale, l’ho sottotitolato: “Riusciranno gli italiani a salvare l’Italia?”. Da che cosa? Dai vizi capitali di cui sono affetti gli italiani! Quindi mi chiedo: riusciranno gli Italiani a salvare se stessi? I politici italiani non fanno altro che litigare e non riescono a pensare al bene comune e l’italiano medio-normale pensa a sopravvivere, contenendo le spese e aiutandosi in qualche modo. Giovanni Guareschi definì gli italiani così: “Gli italiani praticamente si dividono in tre grandi categorie: 1) italiani che la pensano in un certo modo; 2) italiani che la pensano in modo contrario a quelli che la pensano in un certo modo; 3) italiani che non pensano per niente! Orbene, questa distinzione è illusoria, in quanto quasi sempre succede che pure gli appartenenti alle prime due categorie risultano alla fine classificabili fra gli appartenenti alla terza, agli italiani cioè che non pensano per niente”.
Io non credo a questa definizione, perché l’italiano è creativo e originale, lo è sempre stato!

[continua]


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