Game Over

di

Silvia Locati


Silvia Locati - Game Over
Collana "I Salici" - I libri di Narrativa
14x20,5 - pp. 164 - Euro 13,50
ISBN 978-88-6587-9238

eBook: pp. 164 - euro 7,99 -  ISBN 978-88-6587-9498

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In copertina: illustrazione di Claudia Granata


Anton, sedici anni, la sua passione i giochi al computer. Gioca giorno e notte come la maggior parte dei suoi compagni di scuola.
Una sera finalmente il sogno si avvera!
Una delle squadre più forti lo contatta e gli offre l’occasione di diventare un giocatore professionista di Counter Strike!
Anton andrà a Stoccolma dove incontrerà ragazzi che, come lui, hanno fatto del gioco la loro vita.
Il gioco che si fa realtà o la realtà che diventa gioco? Per Anton la vera sfida sarà quella di non lasciarsi confondere!
E tu quando giochi sei DENTRO o sei FUORI dal gioco?

Io sono Anton e questo è il mio gioco.
Chiunque può essere Anton.


Game Over


Prologo

Tutti mi definiscono un ragazzo solitario solo perché mi piace giocare al computer e starmene in casa tranquillo. Una cosa normale tra i miei compagni!
Il web mi ha offerto il grosso vantaggio di avere tanti amici anche lontani. Mio padre fa fatica ad accettare questo nuovo modo di vivere.
“Esci! Vai ad incontrare i tuoi amici!” Non sa dirmi altro.
Non immagina che anche i ragazzi che lui vede in giro sono costantemente collegati ad internet, e che il più delle volte camminano insieme, ma ognuno di loro intrattiene una conversazione con qualcuno che non è presente.
Non capisce che se non sono presente sul web sono considerato un perdente e mi tagliano fuori! Lui vorrebbe che facessi proprio l’opposto di quello che si deve fare per essere accettato dal gruppo.
L’avventura è iniziata così, quasi per caso, come quasi per caso iniziano tutte le cose importanti nella vita.
Un gioco che condividevo con gli amici è diventato una vera passione, anzi una vera ossessione.
Vivevo le mie giornate di corsa per poter tornare al computer e giocare. Diventare uno dei migliori giocatori di Counter Strike era diventato il mio unico obiettivo. Giocavo soprattutto online e quando non trovavo una squadra in cui inserirmi mi allenavo da solo: stavo ore a perfezionare la mira, il tiro, l’inclinazione dell’arma. Provavo le varie armi per lasciare un mio commento sui vari forum online!
Era iniziato come un gioco e stava diventando un lavoro. Quando ero stanco di giocare, per rilassarmi, guardavo le partite dei professionisti, ragazzi come me che avevano fatto di questo gioco una professione.
Mi staccavo dal Pc solo per mangiare, andare a scuola, e qualche volta dormire.
Ero arrivato a dormire tre ore per notte.
Mi ero abituato ad usare le ore tranquille della notte per allenarmi o per studiare le mosse dei giocatori più bravi. Purtroppo non mi accorgevo che questa mancanza di sonno stava deteriorando il mio fisico.
Di giorno vivevo come uno zombi: non mostravo alcun interesse per quello che accadeva in casa e di rado ascoltavo quello che dicevano i miei genitori.
Mi trascinavo fino a sera. Quando finalmente i miei genitori andavano a letto mi alzavo e accendevo il computer.
La debole luce azzurrognola dello schermo m’illuminava il volto e io vedevo il riflesso di un ragazzo di quindici anni, magro, pallido con due occhi grandi, lucidi, ipnotizzati dallo schermo. Ero io? Credevo di essere più bello!
Raccontata così sembra una follia, ma la verità è che questa era la mia vita e la vita di decine di ragazzi della mia scuola appassionati di giochi al computer. Nella mia classe non si parlava d’altro. I video dei tornei più importanti erano l’unico intrattenimento negli intervalli tra una lezione e l’altra.
Noi ragazzi ci sedevamo a gruppi sul muretto del cortile della scuola e seguivamo gli streaming sui telefonini. Sembrava che non ci fosse nulla di più importante di quelle mappe, di quei soldati che sfidavano una banda di terroristi. C’era una bomba da disinnescare entro un tempo limite e con la minore perdita di uomini, io e i miei amici non facevamo altro, non parlavamo d’altro, non guardavamo altro; nemmeno le ragazze riuscivano a distrarci.
Hobby? Passione? Gioco?
Perdita di tempo! Rispondevano i genitori.
È il mio gioco! Rispondevo sicuro.
Ma come tutte le cose anche quell’avventura ha avuto un inizio e una fine. Non voglio anticiparvi niente. Non vi rovinerò la sorpresa di sapere se con il gioco sono diventato famoso o mi sono rovinato. Ognuno di noi, ha una sua storia da raccontare e questa in breve è la mia.
Che abbia inizio il gioco, cioè la storia!


Capitolo 1

Io sono Anton e questo è il mio gioco.
Chiunque può essere Anton.

Vivevo con la mia famiglia a Zurigo in una piccola casa nel quartiere vicino all’Hallenstadion, il grosso stadio cittadino usato per concerti ed eventi sportivi, soprattutto Hockey e ciclismo, purtroppo mai un torneo di eGames.
Quella sera ci sarebbe stata la partita più importante del torneo, chiuso in camera con il mio iPad sul letto seguivo lo streaming. Lontano in Olanda lo stadio registrava il tutto esaurito, centinaia di ragazzi affollavano le quattro entrate dell’edificio. La polizia aveva bloccato le strade e rigidi controlli erano effettuati su tutti gli spettatori che entravano. All’interno lo stadio si riempiva velocemente. Le luci blu e bianche illuminavano la platea di centinaia di giovani. Dalle balconate pendevano gli striscioni dei fans club con i nomi delle squadre e dei giocatori.
Il jingle del gioco suonava da tutti gli altoparlanti mischiandosi al vociare dei ragazzi.
Tra pochi istanti sarebbe iniziata la partita, speravo solo che mio padre non spegnesse internet!
Le luci si spensero e lo stadio rimase al buio, in silenzio, per un attimo la folla trattenne il fiato poi con un boato il palco di vetro si illuminò. Il fumo bianco invase le postazioni di gioco.
Iniziava così lo spettacolo di apertura del torneo ufficiale di Counter Strike che prevedeva un numero musicale e una partita amichevole tra i migliori giocatori del momento. Le quattro postazioni con le consolle si illuminarono una dopo l’altra suscitando l’entusiasmo del pubblico. I giocatori erano già in posizione: Snake, Alex, Scinto e Lukas. I ragazzi sorridenti alzarono le mani in segno di saluto e il pubblico esplose in urla e applausi. La voce del commentatore li presentava mentre, su grandi schermi posti sopra le loro teste, compariva la loro foto con il nome, il team di appartenenza e gli skills per i quali erano diventati famosi.
Snake e Lukas, 18 e 21 anni, appartenevano a due delle squadre più forti del momento.
Snake del team norvegese Polo, e Lukas del team brasiliano Fantastici.
Alex, nuovo astro nascente del Counter Strike era la nuova scommessa del team svedese Orion Star. Infine Scinto si era aggiunto per il rotto della cuffia al team inglese Blades, dopo aver battuto per un pelo Agor del team tedesco.
Il primo round ebbe inizio. Scese il silenzio nello stadio.
Il pubblico seguiva le fasi di gioco sugli schermi posti sopra il palco. Nelle tribune, in alto dietro al pubblico c’era la postazione degli organizzatori e dei commentatori che davano voce alle azioni di gioco.
“Ecco che Lukas si prepara e… sì! Bella questa azione veloce e precisa vero Stan.”
“Certo Roger, certo non è semplice fermarlo, come sempre si conferma un grande tiratore e un grande campione.”
Le voci dei commentatori si alternavano e si sovrapponevano alle esclamazioni dei ragazzi in platea e agli applausi.
La partita, che era iniziata tra le urla del pubblico, continuava ora nel silenzio generale. Le uniche voci erano quelle dei commentatori. Alex sfoggiava le sue abilità di AWP e Lukas dimostrava di essere un grande Outsider. Urla e fischi risuonarono in tutto lo stadio, il pubblico era in delirio in pochi minuti Alex aveva battuto Lukas al primo round, e nel secondo era già 4 a 2.
“Vinto, vinto e vinto!” Gridava in continuazione la voce del commentatore nelle mie cuffie.
Alex passò il turno. I quattro ragazzi si sorrisero, il clima era amichevole poca competizione, puro divertimento per loro e per il pubblico.
Scinto e Snake provarono colpi spettacolari che fecero alzare grida di approvazione e boati di ammirazione. Fino a mezzanotte i quattro giocatori si affrontarono sulle piattaforme più famose del Counter Strike. Io seguivo attento ogni loro mossa, osservavo le espressioni concentrate dei giocatori. Cercavo in quei ragazzi qualcosa che li rendesse speciali, i campioni. Sapevano giocare, erano veloci e precisi, concentrati e capaci di resistere allo stress di un torneo e… basta. Per il resto sembravano ragazzi normali, ragazzi come me.
A fine serata esausti, ma soddisfatti, si misero a disposizione del pubblico per autografi e foto. Non fu designato un vincitore ma solo una classifica provvisoria da riportare nelle rispettive squadre. La partita era finita e lo streaming si stava concludendo con le interviste dei vincitori.
Alex fissava la telecamera mentre descriveva le sue ultime mosse che lo avevano portato alla vittoria. Un ragazzo di sedici anni che era riuscito a coronare il suo sogno di diventare uno dei campioni del Counter Strike.
Lo fissavo quasi senza respirare.
Quel ragazzo potevo essere io. Avrei voluto essere là in Olanda, tra il pubblico, o forse meglio ancora, sul palco a giocare!
“Quel ragazzo potrei essere io.” Dissi fissando l’immagine di quel ragazzino biondo ed esile. Fu in quel momento che presi la decisione: avrei giocato da professionista!
Sarei diventato uno dei più bravi giocatori mai visti nella storia del Counter Strike! Non importava quanto avrei dovuto giocare o a cosa avrei dovuto rinunciare, io dovevo salire su quel palco e giocare davanti ad uno stadio pieno di giovani!
Al prossimo torneo ci sarei stato io su quel palco!
Già m’immaginavo di far parte della squadra, seduto su una di quelle sedie ergonomiche, davanti al video e la tastiera luminosa e giocare. E cosa ancor più incredibile essere pagato per farlo! Era ormai l’una di notte quando arrivò il messaggio di Riccardo, il mio compagno di scuola con il quale mi ero messo d’accordo di seguire lo streaming:
“Visto?”
“Sì cool” Risposi
“Alex è troppo forte”
“un fuoriclasse”
“super”
“gioca 10/11 ore al giorno” Scrissi.
“non è vero?”
“giuro”
“cool”
“noi non possiamo”
“lol”
“domani no scuola gioco!” Scherzai, ma non tanto!
“vero?”
Riccardo credeva sempre a tutto!
“no, ti pare?”
“scemo”
“scemo”
“notte”
“notte”
Quando chiusi il telefono sentii di aver finalmente trovato la mia strada. Non persi tempo e così, invece di dormire, giocai fino alle 4.00!
So che mi credete, che è capitato anche a voi. Trovai infatti subito una partita di giocatori insonni in cui inserirmi. Avrei dormito la mattina dopo, in classe.


Capitolo 2

“A destra, no! In alto, vai!”
“Dobbiamo prenderli alle spalle: voi a destra e noi a sinistra! Via veloci!”
“Scendete! Sono sotto!”
“Scendi?”
“Dove?” Chiesi non sapevo esattamente chi mi aveva chiamato.
“Dove vai? A destra, a destra!” Gridò di nuovo la voce nella cuffia.
“Scendi?” Gridò un’altra voce.
“No, a destra e poi scendo.”
Ci volle qualche secondo e poi capii. Una delle voci non veniva dalla cuffia, bensì dalla cucina! Mia madre mi stava chiamando per il pranzo.
“Anton scendi!” La voce era diventata più severa.
“Subito mamma.” Risposi.
Mi armai del mio sorriso migliore e scesi in cucina.
“Scusa mamma, avevo le cuffie e non ti sentivo.” Dissi sorridendo schioccandole un bacio sulla guancia.
“Immaginavo. Che cosa stavi facendo?” Chiese lei sorridendo.
“Compiti.” Risposi automaticamente.
“Con le cuffie?” Chiese mia madre sospettosa.
“Stavo giocando” Ammisi.
“Da quanto? Un’ora?”
“Due.”
“Due? Due ore di fila! Anton!” Esclamò mia madre portando in tavola i piatti.
“Lo so mamma ma…”
“Dieci e lode per la sincerità, ma due ore di fila a giocare sono troppe. Dovresti almeno fare delle pause, lo sai che troppe ore al computer possono scatenare…”
“L’epilessia, lo so mamma, me lo dici sempre. Anche tu passi tante ore davanti al computer a scrivere eppure non mi sembra che sei epilettica.” Sottolineai.
“Faccio molte pause, vado in cucina a farmi un tè e…”
“Ok, allora la prossima volta berremo un tè insieme.” Conclusi ridendo.
“Mangia che si raffredda!” Sorrise mia madre scompigliandomi i capelli.
Mentre mangiavo mi accorsi di avere la vista un po’ offuscata.
“Anton stai bene?” Mi chiese mia madre preoccupata.
“Sì, ho solo un po’ di mal di testa.’’ Risposi guardandomi intorno.
“È il computer!” Esclamò mia madre sicura.
“Potrebbe essere influenza!” Ribattei, ma osservando gli spaghetti nel mio piatto mi accorsi che erano diventati una nuvola rossa e tutta la tavola era invasa da una luce giallognola, ocra, color sabbia! Mi sforzai di finire gli spaghetti e cercai di scacciare quella sensazione strana di stordimento!
Avevo veramente giocato troppo? C’era qualcosa di famigliare in quella luce dorata che illuminava la tavola, la cucina, i muri, la porta. Mi sembrava di essere nel deserto. Con un lieve senso di panico mi accorsi che quello che vedevo intorno a me era lo stesso colore della luce abbagliante che illumina il cortile della mappa Dust 2.
“Non è possibile! “Dissi ad alta voce scuotendo la testa nella speranza di scuotere via quella luce e tornare a vedere la mia cucina con i pensili in legno, i gerani alla finestra e la tovaglia colorata sul tavolo.
“Vuoi la cotoletta?” Chiese mia madre.
Risposi con un cenno della testa. Il mal di testa si era trasformato in qualcosa di diverso: era una sensazione di pesantezza. Facevo fatica a muovere la testa su e giù come se qualcuno mi tenesse una mano sulla fronte impedendomi i movimenti.
Diedi la colpa di quel malessere alla stanchezza, la notte prima avevo dormito poco. Dopo lo streaming del torneo ero rimasto sveglio a fantasticare su come diventare un professionista! Era normale che ora avessi la testa pesante! Un bel pisolino pomeridiano mi avrebbe rimesso in sesto!
Ma il panico mi prese quando tagliando la cotoletta mi sembrò di impugnare un coltello a serramanico usato dai soldati in Counter Strike. Mi fermai di colpo, lasciai cadere il coltello per terra.
“Anton!” Gridò mia madre allarmata.
“Vieni a sdraiarti sul divano sei pallido!”
Mi lasciai accompagnare sul divano, la luce ocra era sparita, tutto sembrava tornato alla normalità con una piccola eccezione: la stanza girava vorticosamente.
“Vado a prendere il termometro.” Disse mia madre tornando in cucina.
Chiusi gli occhi sperando che la stanza si fermasse, ma la situazione peggiorò. Fui preso anche da un forte senso di nausea. Riaprii gli occhi e cercai di concentrarmi sulla libreria di fronte a me. Oscillava sì, ma almeno la stanza si era fermata!
“È solo influenza.” Mi ripetevo sottovoce. Mia madre tornò con il termometro, un bicchiere d’acqua e un’aspirina.
“Forza vediamo se sei veramente malato!” Disse allegra.
Vedendo mia madre parlare tranquilla mi sentii meglio, di solito lei ci azzeccava! Infatti niente febbre solo mal di testa.
“Giochi troppo Anton!” Sentenziò mentre prendevo l’aspirina. Per la prima volta fui d’accordo con lei e promisi che per quel giorno non avrei più acceso il computer.
Mia madre, Luisa, come tutte le madri, non ha mai approvato che io passassi tante ore sul computer anche se rimaneva sempre affascinata da questi nuovi giochi di squadra che ogni tanto le spiegavo.
Un pomeriggio mi aveva sentito parlare con altri giocatori in inglese o tedesco, e una volta le avevo permesso di ascoltare quelle voci che si alternavano nelle cuffie, a patto che se ne stesse muta come un pesce!
Parolacce a parte, aveva avuto l’impressione che al di là del video ci fosse una comunità di ragazzi che si divertiva, che faceva conoscenza, seppur virtuale, condividendo la stessa passione per il gioco, o la stessa piattaforma, come le avevo insegnato a dire.
Una cosa impensabile l’aveva definita. Ai suoi tempi i punti di aggregazione erano la piazza del paese o il cortile della chiesa. Chi non usciva restava fuori dal giro. Ora era tutto ribaltato chi usciva e non si connetteva in rete restava tagliato fuori. Dietro quei giochi c’era un mondo a lei completamente sconosciuto un mondo che gli adulti si rifiutavano di riconoscere.
Quando le avevo fatto vedere i video di stadi pieni di ragazzi intenti a seguire il gioco di altri, si era resa conto di non conoscere nulla di quel mondo!
Quando cercava di parlarne con papà non otteneva molto, solo commenti negativi così come quando ne parlava con i colleghi a scuola.
“I ragazzi di oggi sono degli asociali, non escono, non comunicano più tra loro.” Era la frase che andava per la maggiore.
Nel tardo pomeriggio stavo già molto meglio. Il mal di testa era passato e la stanza si era fermata! Infrangendo la promessa che avevo fatto di non aprire il computer ero di nuovo online!
Seguivo una partita in cui giocava Riccardo, il mio compagno di scuola. Contemporaneamente lo vedevo sul telefono e gli stavo raccontando del malore che avevo avuto.
“Davvero hai visto uno di questi coltelli sulla tua tavola?” Chiedeva ridendo Riccardo.
“Sì, ti dico e tutta la cucina era invasa della stessa luce giallognola che vedi adesso sulla mappa!”
“Cool” Esclamò.
“No, non direi. Sono stato veramente male. Era come se non riuscissi a togliermi da davanti agli occhi la mappa del gioco!”
“E tua madre era diventata un soldato? “Rise Riccardo.
“Non esagerare! Certo che no!”
“Allora sei solo stanco. È capitato anche a me!”
“Davvero?”
“Sì una volta ho giocato tutta notte e la mattina dopo mi sembrava di essere ancora nella mappa! Comunque adesso giochi?”
“No, ho altri piani.” Risposi allegro.
Se volevo diventare un professionista dovevo farmi notare. Dovevo fare in modo che qualcuno notasse le mie capacità.
Dovevo aprire un mio canale YouTube. C’era solo un problema, non avevo ancora 18 anni e avevo bisogno del permesso di mia madre. Così scesi di corsa in cucina e cercai di prenderla alla sprovvista, forse riuscivo a strapparle un consenso confondendola un po’.
“Mamma posso fare lo streaming?” Le chiesi.
“Come?” Mia madre stava pensando ad altro.
“Lo streaming, lo fanno anche i miei compagni” Mentii.
“In che cosa consiste?”
“Io gioco online e gli altri mi guardano.” Risposi evasivo.
“Che senso ha? Gli altri non vogliono giocare?”
“No, mi guardano e osservano le mie tattiche.”
“Non è noioso?”
“Cosa?”
“Mi sembra noioso guardare uno che gioca.” Disse mia madre.
“Non vedono me, vedono il gioco.” Precisai.
“Peggio ancora.” Rise mia madre.
“Cosa dici?”
“Non capisco che gusto ci sia a vedere un gioco che… gioca senza vedere le persone…” Mia madre iniziava a confondersi, buon segno!
“Dai! Mamma! Posso?”
“Perché me lo chiedi?”
“Perché sono minorenne ed è meglio che tu lo sappia.”
“Non è pericoloso vero? Hai solo 16 anni lo sai quanti pericoli girano in rete.”
“Lo so mamma. Non preoccuparti chi guarda sono tutti ragazzi come me, magari i miei compagni e se riesco ad avere tanta gente che mi segue guadagno anche dei soldi!”
“Questa poi non l’ho proprio capita, ti pagano per guardarti giocare?” Mia madre stava diventando sospettosa era meglio tagliare corto ed ottenere il permesso.
“Se sei bravo sì. Ci sono dei ragazzi poco più vecchi di me che hanno fatto un sacco di soldi!”
“Quando ci sono di mezzo i soldi devi fare attenzione Anton, qualcuno potrebbe approfittare della tua passione per il gioco.”
“Starò attento mamma.”
“Come fai a fare…”
“Streaming?”
“Sì”
“Creo un account mio e poi inizio a giocare e commento le mie tecniche.” Spiegai velocemente.
“…e gli altri ti guardano?”
“Sì, devi giocare spesso. Fare uno streaming al giorno ad un’ora fissa e piano piano forse diventi famoso…”
“Famoso, Anton, famoso con un gioco sul computer?”
“C’è tanta gente che lo fa e ci guadagna…”
“Ok prova.” Disse sfinita mia madre.
“Dici sul serio?” Non potevo credere di averla convinta così in fretta.
“Mi raccomando stai attento se qualcuno ti contatta e non sei sicuro di chi è…”
“Mamma non sono un bambino, i pedofili mica ti cercano sugli streaming…” Mi allontanai prima che potesse cambiare idea.
“Torno in camera.” Dissi dandole un bacio sulla testa.
Feci le scale a due a due e mi chiusi in stanza, sarebbe stata una lunga serata! 

[continua]


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