La vita è come un elastico

di

Silvia Muloné


Silvia Muloné - La vita è come un elastico
Collana "I Salici" - I libri di Narrativa
14x20,5 - pp. 118 - Euro 10,20
ISBN 978-88-6587-6473

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Prefazione

In una dialettica letteraria fatta di quelle squisite quotidianità e complicità femminili, Silvia Muloné pone a confronto due donne di generazioni diverse, ma uguali nella medesima tensione verso quell’universo affettivo che sembra sfuggire senza tregua.
I temi della vita, della morte, della rinascita sono espressi con vivido realismo, ma anche con luminosa e poetica accettazione della condizione umana, a volte così tragica e insidiosa.
Emma, l’anziana, emblema della maternità ferita, sta preparandosi alla morte.
Laura, più giovane, spezzata dal disamore e dalla solitudine, sta aspettando di rinascere.
Da quest’antitesi, nasce paradossalmente un dialogo che cela in sé tutti i grandi misteri dell’esistenza, eros, thanatos, agape, che si snodano nel racconto con dialoghi pacati e edificanti, ricordandoci i grandi romanzi settecenteschi, nei quali le emozioni dei protagonisti erano meno importanti della narrazione o dell’affabulazione dell’autore.
Protette dai pilastri del tempo le protagoniste sembrano incontrarsi e accompagnarsi con disincarnata compassione nell’universo parallelo delle loro esistenze, una prossima alla fine, l’altra prossima a risorgere.
La saggezza che Emma dona a Laura è il prezioso e mistico humus che le legherà indissolubilmente oltre la vita, e il conforto reciproco renderà entrambe consapevoli dell’inderogabilità del loro futuro.
La resurrezione vitale di Laura, si evolverà gradualmente, con il suo riscatto estetico, inizialmente, simbolo di una rinnovata fiducia in se stessa, poi con un viaggio estatico, nel quale l’abbagliante bellezza dei paesaggi riporta l’autrice alle sue radici, infine con l’accorata e timida speranza in una nuova amicizia, si rivela nella sua semplicità e appagante comunione d’intenti.
La scrittrice Silvia Muloné narra forse la storia di ogni donna, con gli stessi dubbi, esitazioni, palpiti, vibrazioni, estasi, malinconie che conducono alla maturazione e alla scoperta delle piccole grandi cose che assumono in sé il valore universale di una catarsi verso la speranza.
Le sue parole illuminano il cammino di una femminilità percossa, ma mai vinta dagli inganni del tempo e dalle amarezze del fato.
Il dolore dell’anziana Emma non andrà mai perduto, ma si trasformerà in serena consapevolezza nella vita di Laura, che ne diffonderà il messaggio struggente e poetico espresso in versi immortali: nemmeno la morte può cancellare la poesia, che si eleva come una stella regale, al di sopra delle miserie umane.
Il tempo può tutto.

Alessandra Crabbia


La vita è come un elastico


«Gli uomini passano, le idee restano, restano le loro tensioni morali e continueranno a camminare sulle gambe di altri uomini».

(Giovanni Falcone)


«Le buone idee vivranno sempre e, come raggi di sole, penetreranno nelle menti delle future generazioni, per costruire un mondo migliore».

(Silvia Muloné)


Dedicato
a Yuri e a Diego.
Con infinito amore…

La nonna


EMMA

Laura, nei freddi e piovosi pomeriggi, scrisse i mozziconi di vita di Emma, come le aveva promesso, ma fissò anche in pagine bianche le emozioni da lei vissute.
“Andai a trovarla di sera, in ospedale. Emma mi stava aspettando in una delle tante rientranze tutte a vetri dove c’erano due sedie, credo opportunamente portate là; infatti su una c’era seduta lei, che mi fece cenno di sedermi accanto. Con gli occhi, oltre il vetro e col gesto della mano mi disse: “Vedi, la luna è gobbuta, presto diventerà piena, io me ne andrò quando sarà nera.”
Non mi abbracciò e neppure un ciao, in fondo perché meravigliarsi era stato sempre così tra noi. Un’amicizia, iniziata per caso, in sordina, sguardi di occhi, sorrisi abbozzati, la stessa panchina in quel parco che da più di un anno, in tutte le stagioni, quando anche un barlume di sole o di aria serena ce lo permetteva, condividevamo insieme. Non c’erano accordi tra noi, né a voce, né telefonici, ci vedevamo là e ci bastava. Io ero sempre triste e non parlavo molto. Lei era più loquace forse voleva distrarmi con le sue parole spezzate, con i suoi racconti legati alla giovinezza, alle persone per cui aveva dimenticato che c’era anche un mondo che pulsava per lei. Ora viveva sola in quel mondo, senza una carezza, senza un bacio da dare o da ricevere. Aveva amato tanto gli altri e non se stessa ed ora quelle creature a lei tanto care, con mille, o nessuna giustificazione, erano sparite ad una ad una da lei. Dicono che l’amore non voglia essere tanto amato; si chiama Amore perché deve stare nel cuore di tanti e non essere soffocato da una sola persona. Sembrava indifferente a tutto e a tutti ormai, un giorno mi disse che era troppo tardi per amare anche la Natura e tutte le sue sfumature. Eppure mi era tanto cara ed io ero sicura che per lei rappresentavo qualcosa.
I fiori, anche di periodi diversi, di profumo poco intenso, di altezza disuguale, sbocciano da soli sul grande prato della vita, poi appassiscono e forse attorno ne cresceranno altri e come i fiori di campo saranno più forti, perché nessuno li raccoglie o li preserva dalle intemperie; essi sbocciano dove il piede umano non può raggiungerli e allora durano di più; altre volte, purtroppo, finiscono per essere schiacciati da tanti numeri di scarpe che non si sono accorti di loro o molte scarpe non conoscono il significato della parola sensibilità… sono fiori simili a tante anime umane che non si lamentano perché a loro è toccato quel pezzo di cielo, la vivono accettandolo e basta.
Beh… chi mi capisce?
Meglio riprendere la storia di Emma, anche se fin da ora so già che sarà una storia spezzata più volte dai miei e dai suoi pensieri volanti. Lei ricordava tutto, anche dopo alcuni giorni, fino dove mi aveva raccontato, ma non era il resoconto della sua vita quello che mi diceva. Emma voleva trasmettermi le emozioni che erano dentro di lei, quelle lacrime che non sapevano più scendere dai suoi occhi secchi. Lei viveva ormai in quel mondo e non aveva capito, o lo aveva compreso troppo bene, ma molto tardi, che la vita continua e la ruota che ci ha sollevato dalla terra ci riporta a terra per sempre: questa è la sorte più o meno lunga che tocca ad ogni essere vivente.
Emma, era bassa di statura, aveva i capelli corti e un po’ ribelli, bianchi con alcuni riflessi biondi qua e là che sembravano lampeggiare tutte le volte che scuoteva la testa, come i suoi occhi cangianti dal marrone al nero intenso che sembravano lampi improvvisi in un mare scuro agitato da punte di onde bianche. Più volte in ospedale mi aveva stretto il viso tra le sue mani dicendomi: “Ti prego scrivi tutto il mio dolore”; ascoltami so che mi capirai, ma se non ci riuscirai o non ci sarà il tempo, scrivi che ho amato l’amore, ma che l’amore non ha amato me; molti leggeranno il loro stesso stato d’animo, molti non vorranno percepire il significato, ma non importa, nel loro silenzio ognuno guarderà dentro di sé e avrà il tempo di cambiare oppure di deviare la direzione della propria vita. Promettimi che lo farai!”
“Va bene”, risposi mentre la luna gobbuta, crescente si era quasi interposta tra noi e tra i vetri sembrava quasi volesse sigillare ed essere partecipe all’accordo; essa che era sempre stata indifferente e solo in noi faceva vivere l’illusione. “Vorrei che mi dicessi cosa hai amato di più e quando, dai racconta…”
La sua pronta risposta fu: “L’ATTESA, sì, ho amato l’attesa del mio primo figlio, quando restavo sola a casa su quel divano bianco, o imbacuccata nel freddo lettino di quelle alte montagne, dopo il lavoro e nelle lunghe sere. Parlavo con lui e gli raccontavo la mia ancor giovane età, i miei divertimenti, le cadute dalla bici, le arrampicate sugli alberi, che allora appartenevano alla zona militare, per afferrare con le mani e con la bocca pelose pesche bianche e tante altre cose, come ad esempio quello di disegnare sempre lo stesso volto che poi era il suo… Speravo che lui mi ascoltasse, ridesse insieme a me… Eravamo tanto soli allora. Capisci, ci facevamo compagnia ed era una reciproca compagnia. Quando rideva scalciava, io lo sentivo. Era bella l’attesa, nessuno può provare la stessa attesa. Ognuno vive l’attesa di qualcosa o di qualcuno in modo personale, diverso, com’è diverso in fondo ognuno di noi. Nella mia vita, un tempo, anche troppo indaffarata, ciò che mi è piaciuto maggiormente o mi ha fatto soffrire oltremodo è stata l’ATTESA. Generalmente si dice «dolce attesa», perché secondo te? Ma so cosa mi risponderesti… perché c’è rispetto e tenerezza verso una pancia grossa con un esserino dentro. Di dolce e veramente unico c’è il muto rapporto che si stabilisce tra madre e bimbo. Loro si parlano anche tacendo e tu lo sai; forse da questo iniziale comportamento di una madre, deriva in parte il carattere del figlio. Il mio primogenito infatti è sempre stato chiuso, silenzioso, solo con se stesso, come lo ero io a quei tempi e allegro con gli altri. Ma forse sto solo vedendo con gli occhi di una madre il carattere di un figlio anche se so che scientificamente ogni bimbo sviluppa un modo di essere tutto suo fin dal ventre materno. Il mio primo figlio però non ha mai sentito il padre, anche se una volta alla settimana o due stava con me alcune ore. E anche dopo… forse per questo tra loro non si è mai creato quel feeling che unisce un figlio e un padre. Si sono rifiutati a vicenda, tanto che quando il mio piccolo stava male, si aggrappava al mio collo più tenacemente del solito e urlava appena lo vedeva come se al dolore fisico si aggiungesse quello morale.
L’attesa non è sempre dolce purtroppo per tante madri, e so di non essere un caso isolato. Magari! Solo che altre, sicuramente più brave di me, sanno nascondere molto bene le pene del cuore.”
Ad interrompere il nostro colloquio, o meglio quello di Emma con me, fu un dottore, ancor giovane, che evidentemente era di guardia ma non solo quella notte. “Scusate se vi disturbo, ma, cara signora, non crede che sia passata, e da un bel pezzo, l’ora delle visite? Mi fa piacere che abbia tenuto compagnia alla sua amica, ma è ora di andare, è passata la mezzanotte e tutti o quasi dormono. Presto, salutatevi, ora mi tocca aprire la porta secondaria e mostrarle da dove può uscire.”
Il suo fare sembrava minaccioso, severo, ma io mi accorsi che i suoi occhi blu erano tristi, insofferenti, come se un tormento interiore continuasse a divorarlo e non riuscisse a chiudere occhio anche lui e continuasse a passeggiare per quegli interminabili corridoi che per lui dovevano essere vuoti a quell’ora. “Mi scusi”, seppi dire soltanto alzandomi di scatto, non rivolsi neppure un saluto ad Emma, tanto sapevo o meglio speravo di ritrovarla là un’altra sera; seguii il dottore che, quando mi aprì l’ultima porta mi guardò con dolcezza e mi disse: “Grazie, ma è il rigido regolamento! Spero di rivederla ancora, io passo qui dal venerdì alla domenica notte, a casa non saprei cosa fare, e fuori poi… non sono fatto per i weekend, non so ridere, non so stare con nessuno e da nessuna parte e vedo che anche lei trascorre il venerdì qui. Di certo, o stima troppo la sua amica, o non ha nessuno come me che la stia aspettando fuori, oppure il suo è un modo per distruggere quei frammenti di vita che sono così importanti, invece per chi lavora una settimana intera fa bene: il relax, i non pensieri, le risate, sono le migliori medicine. Mi scusi ho parlato troppo e per un dottore non va bene, ma mi creda non sono poi così burbero come mi definiscono. La prossima volta, quando vorrà uscire, bussi in quella stanza al numero nove, le aprirò ma faccia attenzione e stia attenta alla strada deserta o troppo affollata di giovani ubriachi!”
Non ebbi il tempo di rispondere perché la porta si chiuse subito alle mie spalle. Strano questo dottore, pensai, è ancora molto affascinante ma avrà sofferto tanto anche lui; nel fondo del suo cuore, c’è tanto bisogno di amore come… comprensione, amore come… affetto. Non so se con altre persone si comporta come ha fatto con me, forse sa che la compagnia ad una certa età, quando la vita appare come un macigno da sopportare, fa bene al cuore che per ore, attimi, smette di sanguinare. È dentro di noi quel sangue dal di fuori, nessuno lo riesce a vedere. Per fortuna sono pochissimi ad accorgersene perché il tempo corre sempre e sempre più avanti senza tregua, senza affanni; fa solo quello che qualcuno gli ha insegnato: correre secondo dopo secondo facendo diventare l’attimo già passato e non dando la possibilità di vivere pienamente il presente. Intanto la mia macchina mi ha portato fino a casa; in un grande letto vuoto, stasera no, non posso starci. Accendo la TV e mi addormento sul divano con la compagnia di immagini e voci che non conosco.
Mi sono svegliata presto, un buon caffè, una fetta biscottata coperta di marmellata casareccia e ho deciso di uscire, dopo una bella rinfrescante doccia. Sí, vado dal parrucchiere e poi a fare shopping perché il mio guardaroba è troppo spento, come i miei cappelli informi, come la mia tristezza che non mi fa più sorridere. Oggi è sabato, ma lo dedico a me, non andrò in ospedale; io per Emma sono un’apparente consolazione perché per me tutto è sofferenza anche guardando con gli occhiali della verità. Lei sa che anch’io ho nel cuore le stesse sue cicatrici; sa bene che la sua storia non la racconterò ma trarrò insegnamento, come tanti altri, dalle sue emozioni, dai suoi mozziconi di vissuto, affinché non sia come per mille altre creature, una vita vissuta invano, per fare numero su questa terra. L’anima di tutti nasce genuina più della sorgente dell’acqua; ma come una limpida acqua durante il suo cammino trasporta ogni detrito, così ogni anima, chi in un modo, chi in un altro, si avvelena giorno dopo giorno lentamente sia vivendo ogni possibile sofferenza, sia offrendo la sua cinica indifferenza.
Tutto il sabato trascorso fuori, tra la gente, nei negozi a provare vestiti e sentire falsi complimenti sul mio nuovo look. Io sorridevo, ringraziavo, ma dentro di me non c’era vitalità. Avevo cambiato taglio di capelli, colore, avevo comprato abiti sia eleganti che sportivi, vivaci e sensuali ma dentro ero rimasta come prima: triste! Il mio sorriso interiore era stato ucciso da chi amavo ma non ero riamata. Alla fine, come Emma, mi ero spenta moralmente anch’io e non sapevo più amare. Mi ero isolata da tutti ed ora che ero lontana, vivevo nel piano inferiore della villetta che Emma mi aveva affittato: due camere, una era grande e con cucina a vista, un bagno e la possibilità di curare una parte di orto se lo volevo. La casa era un po’ lontana dal paese ed isolata, ma il prezzo era conveniente per me ed anche ad Emma certo quei pochi euro facevano comodo. Avevo anche un’entrata indipendente. In pratica tra i due piani non c’era alcuna comunicazione ed Emma non veniva mai a vedere come avevo sistemato la casa, né io salivo da lei. Ci incontravamo al parco, poi, chi prima chi dopo, ognuno a casa sua.
Quel sabato ero davvero stanca e felice che fosse finito. Mi gettai letteralmente sul divano, accesi la TV e guardai ma non il video, bensì dentro di me. Non sarei andata in ospedale a trovare e sentire Emma e poi quel dottore… chissà forse avrebbe pensato, vedendomi, che mi ero “rinnovata” per lui. È vero mi aveva colpito ma stavo solo seguendo, come una scolaretta, gli insegnamenti di Emma “mai dire mai, mi raccomando”, mi diceva “non gettare mai la spugna, altrimenti diventerai come me, indifferente, insofferente, apatica e soprattutto resterai sola.”
Io mi stavo sforzando di cancellare il passato e ricominciare da zero, perché zero è l’inizio di ogni cosa, almeno così si dice. Non sapevo ancora cosa mi avrebbe riservato il futuro, e soprattutto io dovevo imparare a riavere e dare ancora fiducia e questo era molto difficile. Ero riuscita a cancellare forzatamente, ogni delusione del passato. Ora vivevo come un’anonima tra tanti e quando qualcuno mi chiedeva incuriosita, ma era normale, qualcosa di me, inventavo sempre e sapevo ben mentire, tanto bastava ripetere la solita solfa: vedova, senza figli e nessuno. Emma non mi aveva mai chiesto niente se non le generalità per l’affitto della casa. Io l’ascoltavo, ma in effetti era come se non fosse lei a parlarmi, ma io a confidarmi. Pensando mi addormentai…
È domenica!! Un dolce cinguettio, un allegro scampanio proveniente dalla chiesa del paese mi svegliano. Mi sento in forma, anzi addirittura allegra, euforica e dopo un buon caffè decido di preparare una bella torta fredda da portare stasera ad Emma. È estate, quindi una ricca pasta fredda, tanta frutta e la torta al limone. Ma guarda!!!”
Laura parlava sempre con il suo io. Affacciandosi alla finestra vide che dall’albero di ciliegie di Emma, un ramo carico sporgeva nel suo orticello.
“Ora prendo una scala ben ferma, un bel cestino e le stacco… mhhh… ma che buone, grosse e dolci, ma queste sono i cosiddetti duroni. Ora basta mangiarne e staccarle. Il cesto è colmo e naturalmente stasera ne porterò tante anche ad Emma.”
La giornata trascorse e prima di quanto si aspettasse era già sera. Laura si preparò con cura: il vestito nuovo, una ritoccata con le mani ai capelli, un po’ di trucco, una spruzzatina di profumo ed eccola davanti allo specchio che rifletteva l’immagine di una donna ancora giovane, e molto graziosa. Dopo un cenno di approvazione… dato a se stessa, prese la borsa frigo, le chiavi e si avviò.
L’ora delle visite era finita, ma Laura ormai conosceva le scorciatoie e poi le varie infermiere e le operatrici socio-sanitarie, erano tutte impegnate a ripulire, quindi via libera. Trovò Emma al solito posto, ma la sua piccola figura e l’ammasso di colore che aveva la vestaglia in cui era rannicchiata, cozzavano con quella sedia, ormai erosa dal tempo. Come sempre, Emma la guardò, le sorrise, le fece il solito cenno. Nessun apprezzamento sul nuovo look di Laura, che aprì la borsa frigo, tirò fuori le ciliegie, con entusiasmo le raccontò che erano quelle del suo albero e per finire le tagliò una grossa fetta di torta. Emma mangiò tutto con indifferenza, come fosse un normale pasto domenicale. Poi disse: “Metti tutto via e se vuoi riportalo a casa prima che si riscaldi.” Laura obbedì. Calò uno strano silenzio tra loro finiti quei gesti, quasi di attesa, visto che Emma continuava a fissare il cielo oltre quei vetri. Poi, una luna deforme, non del tutto piena si interpose tra loro e allora Emma riprese il discorso non completato precedentemente: L’ATTESA.

[continua]


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