Con questo racconto è risultata 1^ classificata – Sezione narrativa alla XVII edizione Premio Letterario Internazionale Marguerite Yourcenar 2009
Frammenti di una vita
Profumo evanescente di foglie bagnate
e portate dal vento
gocce sottili e taglienti
che bagnano il mio viso
guardando il cielo scuro e tempestoso
mi domando quale grande dolore
sia causa di tante lacrime
Da poco le ombre si sono infittite e presto lassù ci sarà la luna.
Lei è sempre lì, anche quando noi non riusciamo a vederla.
Credo che questa, fino a qualche tempo fa, fosse la mia unica certezza.
Ricordo di aver creduto in molte cose, questo è vero, ma ricordo altrettanto bene di non aver mai trovato risposte concrete alle mie speranze.
La speranza è una strana cosa: è una voce suadente e tenace che non si stanca mai di sussurrarci che alla fine… sì tutto andrà meglio, il male si trasformerà in bene e ogni lacrima di dolore diverrà una stella splendente sul mondo. È una cosa veramente incredibile… una magia.
È in notti come questa che, accompagnati dalla luce della luna, i miei pensieri corrono veloci riportando alla mia mente episodi del passato… frammenti di una vita che non sento più mia…
Mi sembra quasi di sentire i profumi della primavera nella mia vecchia casa fra le colline, così piccola e piena di luce. È estate, ed eccomi lì, quello sono proprio io! Un esilissimo bambino di dieci anni, quasi immobile sulla riva del ruscello, al di là del vialetto ghiaioso che dalla via principale conduce su fino a casa. Nascosto dietro i miei occhiali sto reggendo l’enorme canna da pesca fabbricata su misura per me dal nonno. I muscoli tesi, gli occhi attenti dietro alle spesse lenti e le labbra strette per la concentrazione.
Se solo riuscissi a catturare un pesce, uno solo, sono sicuro che la mia vita cambierebbe. «Signore, se quel pesce abboccherà allora vorrà dire che sarò finalmente un ragazzo come tutti gli altri, che i miei compagni smetteranno di tormentarmi, che nessuno mi chiamerà più “topo quattrocchi”, che se ne andranno quei brutti sogni nei quali tutti mi prendono in giro e ridono senza alcuna pietà delle mie lacrime di umiliazione».
Le ore passano, sento le braccia indolenzite e la testa pesante ma non mi arrendo, aggrappato alla solita folle preghiera.
È quasi sera ormai e quel pesce insiste a non farsi vedere, quasi che anche lui voglia prendersi gioco di me. Le ombre si fanno sempre più fitte… inutile aspettare ancora!
Mi dirigo verso casa, esausto ma con una certezza: «Ieri non era la giornata giusta, oggi nemmeno, ma ti assicuro che domani, maledettissimo pesce, tornerai a casa con me!».
Arrivo in giardino e mi avvio verso la porta di ingresso, mia madre è sulla terrazza e mi osserva; è come se riuscisse a leggere nei miei pensieri: «E così domani tornerai di nuovo giù al ruscello», poi, senza nemmeno lasciarmi il tempo di rispondere: «Sai Bobby, penso che non esista nessuno su questa terra più ostinato di te!». Ricordo con chiarezza il suo sorriso: così luminoso e allo stesso tempo triste, quasi malinconico.
Il tempo fugge veloce e vedo lo stesso sorriso sulle labbra di Barbara.
La scena è cambiata e mi trovo nella nostra grande casa in riva al lago.
Sono anni ormai che nessuno mi chiama più “topo quattrocchi”, non in mia presenza almeno, ma di tanto in tanto faccio ancora quei sogni.
Nel tempo libero vado a pescare e me la cavo abbastanza bene anche se non saprei dire se il mio pesce abbia mai veramente abboccato o se continui ad osservarmi sotto il pelo dell’acqua e a farsi delle gran risate alle mie spalle!
Barbara è alla finestra e ci sta guardando. La nostra piccola Lisa ha sei anni e Tommy otto: stanno cercando di costruire un aquilone con assicelle di legno e fogli di carta colorata, ridono felici seduti ai piedi della mia sedia a dondolo.
Tutto svanisce di nuovo, ora sono nella nostra camera da letto.
Mi sveglio all’improvviso con il cuore che batte all’impazzata e gli occhi sbarrati, mi è sembrato di sentire qualcosa ma non riesco a capire di cosa si tratti: forse un rumore… forse parole… magari un animale… .
Afferro gli occhiali sul comodino e mi metto a sedere sul letto, il mio sguardo corre per la camera e si ferma sul cuscino vuoto accanto al mio.
È quasi un mese che Barbara è tornata a vivere da sua madre portando via con sé i bambini; a me sembra molto di più, non riesco ancora ad abituarmi all’idea.
Rimango per un po’ a fissare quel malinconico posto vuoto, lì al mio fianco, su quel letto all’improvviso così grande e così freddo. Poi il mio sguardo torna a vagare per la stanza: è tutto a posto.
Mi stendo per tornare a dormire: «È stato solo uno dei soliti brutti sogni» gli unici compagni veramente fedeli della mia vita. Allungo la mano per spegnere la luce ed è solo allora che mi accorgo di non averla mai accesa.
La mia mente vacilla, il mio sguardo corre alla finestra: è come se un grande sole pallido e freddo splendesse nel cuore della notte. Per un attimo mi sento smarrito come quando ero bambino e i miei amici sembrava non riuscissero a trovare altro divertimento se non quello di ridere dei miei difetti facendomi piangere per l’umiliazione.
Finalmente torno in me: forse è già tarda mattina… forse la sveglia non ha suonato… può anche succedere, no? Guardo l’orologio, sembra perfettamente funzionante e segna le 2:10 del mattino.
Sono spaventato, attonito… ma i miei movimenti sono incredibilmente calmi. Mi alzo, mi infilo la camicia e i pantaloni ed esco fuori sulla terrazza.
Il tempo corre avanti, questa volta solo di alcuni minuti.
Ora sono in giardino con gli occhi al cielo e la bocca spalancata per lo stupore. Ricordo una luce pallida, rosata e suadente ma incredibilmente viva, tanto quasi da accecarmi. Ricordo una sensazione di disagio e di muto e freddo orrore: come se una mano invisibile e gelida mi stesse accarezzando il viso. Poi più nulla.
Non so quanto tempo sia passato da allora; so solo che da quella notte la mia vita non è più stata la stessa.
Non saprei dire dopo quanto i miei occhi abbiano ricominciato a vedere qualcosa e se questo, allora, sia stato un bene: le mie mani non erano già più mani e quello che intravidi del mio corpo bastò a farmi provare terrore e orrore verso me stesso.
I primi tempi furono tremendi: continuavo a domandarmi perché tutto questo stesse succedendo proprio a me. Stavo scontando le colpe di qualche ignobile vita precedente oppure ero semplicemente una specie di calamita per la sfortuna più nera?
Poi ho cominciato a capire e tutto è cambiato.
Ora sono uno di loro: mi hanno nutrito e accudito nei giorni di completa cecità; mi hanno aiutato nelle prime fughe disperate da pericoli che ancora non conoscevo: era necessario scappare, c’era la vita in ballo, nonostante tutto loro erano con me e avvertivo la certezza che non mi avrebbero abbandonato: mi sembrava veramente incredibile!
È vero, i primi giorni sono stati orribili, avevo paura, mi sentivo smarrito, mi mancava il mio mondo, quel mondo che non mi aveva mai veramente amato.
Ora tutto è diverso, tutti coloro che facevano parte della mia vita precedente mi sembrano degli estranei, persino i miei bambini. Può sembrare orribile ma è così!
Di molte persone non ricordo nemmeno più il viso.
Solo in notti come questa, quando mi trovo solo con i miei pensieri, alcune immagini si affacciano alla mia mente, inutili frammenti di una vita che non mi appartiene. Nessuna malinconia, nessun dolore. Non più.
Qui ho gli amici che non avevo mai avuto e tutto l’amore e la comprensione che ho sempre e inutilmente cercato.
Sono finalmente nel mio mondo, nella mia vita e tutto questo è inebriante.
Accidenti! La mia vista non è mai stata buona e ora non ho nemmeno i miei occhiali, non mi servono. Il mio naso sa riconoscere perfettamente gli odori e questo è inconfondibile!
Devo sbrigarmi a raggiungere gli altri nelle gallerie; giorni fa le mie incaute riflessioni sotto le stelle mi sono quasi costate la coda… quel dannato gatto era proprio affamato! Comunque sia, credo che anche stanotte dovrà cercare altrove la sua cena.
Ho appena cominciato una nuova vita e niente e nessuno può permettersi di insidiare la mia speranza. Non più!