Pierre Jacob Tal Coat: la poesia pittorica del vuoto

di

Simona Leone


Simona Leone - Pierre Jacob Tal Coat: la poesia pittorica del vuoto
Collana "Koiné" - I libri di Religione, Filosofia, Sociologia, Psicologia, Esoterismo
12x17 - pp. 36 - Euro 7,50
ISBN 978-8831336949

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Introduzione

Il panorama artistico francese degli anni Trenta è dominato da una sequela di tendenze che giocano tra la forma, il colore, e la trascendenza delle geometrie pure. Questa è la nota dominante nel contesto parigino, ma allontanandoci dalla metropoli si possono scorgere artisti che meritano attenzione e riconoscimento per la loro individualità artistica, per la loro solitaria ma proficua ricerca di un Sé che difficilmente può essere categorizzato negli anacronistici termini della ricerca storico-artistica tradizionale.
Una figura ingiustamente sconosciuta, in modo particolare in Italia, è quella del pittore bretone Pierre Jacob “Tal Coat”, che fa parte di quei movimenti silenziosi e sotterranei della storia dell’arte che devono essere raccontanti, non tanto dalle storiografiche schematizzazioni interpretative, ma dalla sensibilità artistica dei filosofi e dei poeti.
Una figura quella di Pierre Jacob alquanto poliedrica: pittore, scultore e poeta, che sempre ha mantenuto un’individualità in continua metamorfosi, e che forse per questo suo anamorfismo ben poco si presta ad una trattazione lineare. Saranno le sue stesse opere, il suo componimento poetico, la lettura del filosofo Henri Maldiney e la poetica di André du Bouchet a raccontare l’uomo e l’artista nel modo più esplicito possibile a cui si può ricorrere per parlare di arte, o meglio, del mistero della sua arte, tanto umana quanto antica come la cultura bretone di cui è permeata, e tanto rarefatta ed evanescente quanto i suoi gesti grafici, rapsodici e incisivi.
Ma incominciamo a tracciare la storia dell’uomo creatore e vedremo in lui l’artista.


Pierre Jacob Tal Coat: la poesia pittorica del vuoto


Si ringrazia Xavier Demolon per la disponibilità e la collaborazione.
Si consiglia la consultazione del catalogo ragionato delle pitture di Tal Coat:
https://webmuseo.com/ws/tal-coat/app/collection/expo/1


1. L’arte della natura e delle pietre sollevate (1924-1949)

Il giovane Tal Coat che si approccia alla pittura è dominato essenzialmente dall’elemento naturalistico; questo è introiettato sotto un’influenza post-simbolista che dominava i giovani pittori di Pont-Aven, dove vi sono riverberi della cromia Fauves e delle linee di un sintetismo geometrico molto personale. In queste prime opere degli anni tra il 1924 e il 1933 c’è una frontalità dominata dal colore; si veda a tale proposito il ritratto a lui attribuito1, Portrait présumé de Louisette del 1924, dove il richiamo alla Stanza Rossa di Henri Matisse non risiede solo nel colore, ma nel gusto per l’arabesco floreale in piano che tutto tende a trasfigurare in una visione onirica molto vicina alla Visione dopo il Sermone di Gauguin. Come nota il critico Pierre Restany, questo influsso di Gauguin segna la prima attività pittorica, ma prepotentemente dominata da una “matrice celtica”, si vedano a proposito Le Promenade e Le Quartier de Viandre (1926). Questa componente bretone, o celtica, sarà quella che caratterizzerà la prima esposizione del 1926 alla Galleria Fabre diretta da Henri Bénézit, dove accanto alla sua cifra identitaria convivono tendenze post-simboliste. In questa occasione egli diviene “testa di legno” (Tal Coat2). Ma il gusto per la materialità della natura si esplicita anche in una prima attività scultorea: a tredici anni scolpiva il legno, a soli quindici anni fu apprendista fabbro, e questo suo “saper fare” traspare nella realizzazione di Trois Sculptures (1934), frutto anche dell’esperienza maturata come modellatore a Quimper, e come ceramista nelle manifatture di Sèvres, tra il 1924 e il 1926. Un’opera come Le Repas (1926) presenta una tache cromatica che fa convivere la tendenza divisionista con la matericità dei I giocatori di carte di Paul Cézanne, non molto dissimile dalla tendenza espressa dall’amico Émile Compard.
Negli anni ’30 la sua pittura è dominata da una visione in piano; il soggetto La Raie (1927), viene ripreso più volte in molte varianti; qui Tal Coat gioca sulla cromia e rispetto al medesimo tema trattato da Chaïm Soutine, manca il moto centrifugo delle pennellate. Il suo interesse personale, oltre che essere intensificato dai viaggi presso i siti megalitici della Bretagna, dai suoi piccoli centri abitati e dai paesaggi selvaggi e verdeggianti, Maisons Bretonnes e Le Bistrot du port de Brigneau (1927), è attirato dalla realisticità dei ritratti antichi, in particolar modo dei ritratti del Fayuum: tale influenza si riscontra nel Portrait de Mélisse (1933). Negli anni ’30 Tal Coat sperimenta in certe nature morte e in alcuni nudi, o in figure femminili abbigliate, tinte più fosche ed opache; si veda Nature morte au boulet noir (1933) e Femme ou bol (1933), dove i toni non si presentano molto dissimili dagli studi morandiani.
La tematica picassiana dedicata agli Arlecchini degli anni ’30 precede l’incontro tra Tal Coat e Picasso, che avverrà nel 1936. Gli orrori della guerra spagnola vengono narrati anche da Tal Coat nella serie Les Massacres; il segno è più geometrico, gli angoli dei corpi sono squadrati, la natura circonda i cadaveri quasi in maniera spasmodica. C’è nel suo linguaggio la traccia di quello che Pierre Restany chiama “intersezione tra Juan Cris e Braque”; ma Tal Coat sta preparando una “evoluzione”, chiamata dal filosofo Maldiney una conversion. La sua arte sta raggiungendo una prima maturità espressiva, le Natures mortes (Nature morte aux raisins à la coupe de fruits del 1943), sono ancora un panteistico richiamo alla natura, ma la sua visione artistica sta diventando sempre più lirica, evanescente, trascendentale. Sarà la serie dei Profil sous l’eau3 (si veda Baigneuse Profil sous l’eau), iniziata indicativamente tra il 1946 e il 1947, a ristabilire quel silenzioso moto che lega l’uomo alla natura, in una visione resa lucida dal contesto in cui si trasferisce a vivere il pittore nel 1943: Château Noir. Qua la presenza di Cézanne è preponderante nel paesaggio circostante, la Saint-Victoire diventa una presenza imponderabile, innegabile, «l’indivisibile dono del reale»[4]; ma questo reale viene a trasfigurarsi in una dimensione danzante della natura (Arborescence, 1948), dove si intravede quell’intimo legame, riscontrato dal filosofo Maldiney, che lega la sua arte del paesaggio alla dimensione orientale, di epoca Song. Maldiney incontra il pittore per la prima volta sullo sfondo della Saint-Victoire, nel verde placido che anima la piana di Aix. A fianco a questa vena meditativa persiste però un influsso di ricerca analitica del dato naturalistico anche in contesti “artificiali”, quali gli ambienti espositivi parigini. Gli studi effettuati dal vero presso l’Acquario del Trocadero o nel Jardin des Plantes, opere come Les Poissons (1946) e Acquarium (1948), sono molto incisive nel tratto pittorico-grafico, non dissimilmente dalle opere di Hans Hartung e alla tendenze post-cubiste presenti a Parigi.

[continua]


NOTE

1 Nella produzione giovanile catalogata si nota che Pierre Jacob tendeva a non firmare le sue opere oppure ricorreva al fantasioso nome di Pierre de Merrien. Successivamente apporrà alle sue opere il nome per esteso di Tal Coat o la sigla TC.

2 A titolo di pura curiosità si segnala che il musicista Brian Eno ha inciso un brano riferito al pittore dal titolo Tal Coat, presente nell’album del 1982 Ambient IV: on land.
Serie tematica prima intitolata Bagnanti e successivamente Profili sull’acqua.

3 Serie tematica prima intitolata Bagnanti e successivamente Profili sull’acqua.

4 E. Straus, H. Maldiney, L’estetico e l’estetica un dialogo nello spazio della fenomenologia, a cura di A. Pinotti, Mimesis Edizioni, Milano 2005, cit., p. 89.


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