L’esercito di pietra

di

Stefano Denti


Stefano Denti - L’esercito di pietra
Collana "I Salici" - I libri di Narrativa
14x20,5 - pp. 208 - Euro 14,00
ISBN 978-88-6037-9887

Clicca qui per acquistare questo libro

Vai alla pagina degli eventi relativi a questo Autore

In copertina: Ottimismo – scultura di Stefano Denti (ferro, roccia e termoplastica – cm 35×15×8 – 2005)
Foto di Stefano Denti


Con “L’esercito di pietra” continua la saga dei “Cavalieri e Dèmoni” di Stefano Denti e il testo attuale riprende la storia dal capitolo decimo del precedente romanzo, riportando in luce ciò che accadde nella guerra del primo Varco Oscuro. In questa seconda prova offre una visione più attenta alle personalità dei personaggi, alla presenza dei sentimenti e della storia d’amore, infarcisce con numerosi colpi di scena, crea alta tensione narrativa. Un romanzo ancora più vicino al genere fantasy cinematografico e tolkeniano: vi sono più mostri e creature fantastiche, più magia e alone misterioso, più violenza e sangue versato… Colpi di scena, eventi fantastici, magie…


L’AUTORE RINGRAZIA

Mia moglie Lorena, mio figlio Leonardo, i miei familiari e tutti i miei amici e colleghi. J.R.R. Tolkien. Don Franco Ranza. I miei lettori. Il mio editore.


PREMESSA

Come prefazione al secondo capitolo della mia personale saga fantasy ho pensato di riportare la medesima che feci al suo predecessore, “Cavalieri e Dèmoni”, in quanto la trovo perfetta per spiegare, anche a chi si avvicinasse solo con questo libro alle mie scritture, le ragioni che mi hanno spinto ad addentrarmi nel genere fantasy ed in che modo mi sono approcciato ad esso.
Ciò che posso aggiungere riguarda semplicemente i motivi che mi hanno convinto a scrivere un secondo libro fantasy: l’ottimo feedback che mi hanno dato lettori e critica, la lusinghiera recensione di Massimo Barile, i complimenti di illustri colleghi come Vittoria Haziel e Francesco Gungui. Certo non sono mancate le critiche, che ho costruttivamente raccolto per migliorare e smussare gli angoli vivi del precedente romanzo, al fine di confezionare un “prodotto” che, nelle migliori intenzioni dell’autore, dovrebbe riuscire ad essere quantomeno all’altezza del precedente, contando anche il fatto che i seguiti (o prologhi che siano) annaspano sempre nel confronto con l’originale. Ma ciò che senz’altro mi ha fatto più piacere e quindi mi ha spinto a proseguire la strada fantasy è stato il raggiungimento di un importante obbiettivo che mi ero prefissato, ovvero scrivere un libro fantasy che risultasse di piacevole lettura ai non appassionati del genere (ovvero il 90% dei miei lettori abituali) e che allo stesso tempo incontrasse il favore degli “esperti”. Una volta raccolti pareri (per la maggior parte) positivi in questo senso, era impossibile non continuare. Non si legga della presunzione in ciò che ho appena affermato: è solo la motivazione che do ai miei lettori “standard”, quelli “umoristici”, giustificandomi ai loro occhi e chiedendo loro pazienza per l’attesa del prossimo saggio…
Premessa importante da fare è che “L’Esercito di Pietra” altro non è che il racconto di ciò che in “Cavalieri e Dèmoni” avevo narrato brevemente nel capitolo X. Riprendendo la fine di quel libro, infatti, si compie un lungo flashback per scoprire tutto ciò che accadde durante la guerra del primo Varco Oscuro, ma in modo dettagliato e del tutto autonomo da esso: in questo modo ho cercato di creare una piacevole lettura sia per i lettori nuovi che per quelli affezionati. Certo, per chi dovesse apprezzare questo libro ed andasse a leggersi “Cavalieri e Dèmoni”, molte delle sorprese e dei “colpi di scena” perderebbero spessore, quindi il mio consiglio è senz’altro quello di leggere prima “Cavalieri e Dèmoni”.
A proposito dei miei lettori affezionati, il mio piccolo fan club come amo definirli, oltre a ringraziarli nuovamente per la loro abnegazione, volevo anticipare loro alcune differenze rispetto a “Cavalieri e Dèmoni”.
In primo luogo, raccogliendo le critiche di alcuni di essi ed i consigli di illustri colleghi, la trama è un poco meno intricata e vi è una più rimarcata individualità del protagonista e della sua storia d’amore (senza però rinunciare del tutto ai miei caratteristici “cambi di rotta” e colpi di scena che adoro usare per tenere alta la tensione). In secondo luogo, mi sono lasciato andare ad una narrazione più prettamente “fantasy” rispetto al precedente romanzo, quindi (ambientazione matildica a parte) questo risulta essere un racconto più ricco di “mostri”, di magia e anche di violenza. Per contro, la mia recente paternità ha contribuito a dare più spazio all’introspezione di alcuni protagonisti e dei loro rapporti famigliari (ma senza mai esagerare).
Infine, come si può notare dal sommario (quarantacinque capitoli) ho confermato la scelta di capitoli brevi in un libro relativamente breve, caratteristiche molto apprezzate nel suo predecessore.
Detto questo, riporto come anticipato la prefazione di “Cavalieri e Dèmoni” e auguro una buona lettura a tutti.


Prefazione

Scrivere un libro fantasy è un’impresa piuttosto complicata, per diverse ragioni. La prima difficoltà che si incontra è senz’altro quella di non cadere nell’imitazione di altre opere dello stesso genere, prima fra tutte quella che ha realizzato in una vita il grande J.R.R. Tolkien. Egli ha creato un intero universo in cui muoversi con ogni sorta di creatura e mi accorgo, leggendo altri autori, che diventa difficile non tener conto che molti di essi ne sono rimasti influenzati. Vuoi per la trama narrativa, vuoi per alcuni nomi evocativi, vuoi per alcuni personaggi o alcuni “mostri” che senz’ombra di dubbio possono essere ricondotti, o perlomeno ricordare molto da vicino, quelli creati dal Maestro Tolkien.
Bisogna poi creare una struttura narrativa complessa, per rendere la storia interessante anche per i profani del genere e cercare di tenere viva la tensione creando aspettativa e colpi di scena.
Proprio nel tentativo di creare una storia interessante, diversa dal solito, mi sono dedicato alla realizzazione di questo libro: perché molto del fantasy che ho letto dopo le scritture di Tolkien mi è sembrato approssimativo, scontato e persino scombinato nell’evoluzione delle storie. Quindi ho voluto dare il mio piccolo contributo al genere.
Nel mio caso specifico, poi, provenendo da una narrativa contemporanea, goliardica e sboccata, c’è stata anche una difficoltà in più: cambiare completamente registro rispetto ai precedenti libri.
Ma questa è una sfida che mi stimola e che ho sempre affrontato con entusiasmo. Dopo un saggio umoristico ed un romanzo comico, avevo voglia di qualcosa di più impegnativo ed intrigante. Il risultato, paradossalmente, è che questo romanzo fantasy è l’opera più seria che abbia mai fatto fino ad ora.
Ma la difficoltà più grande, dicevamo, rimane quella di riuscire a creare qualcosa di nuovo, riuscire a scostarsi dal seminato rispettando però alcuni canoni che proprio l’arte del Maestro Tolkien ha imposto a tutto il genere fantasy.
Dunque, vista la buona riuscita del romanzo comico che avevo ambientato nelle mie terre, ho creduto opportuno ambientarvi anche questo nuovo lavoro. Nello specifico, nelle terre matildiche, così ricche di castelli e di leggende.
In questo modo ho avuto l’opportunità di fare qualcosa di più originale, di scostarmi dal solito cliché fantasy, che comporta la creazione di un mondo parallelo in cui generare poi la storia. Il che, tra l’altro, sarebbe stato anche un azzardo pericoloso visto che è assai facile cadere nel ridicolo avendo come capostipite e campione di paragone proprio la Terra di Mezzo nata dall’arte del Maestro Tolkien.
Muovendomi tra i meravigliosi paesaggi delle colline reggiane e dei castelli matildici ne ho approfittato per raccogliere molte leggende che ruotano attorno ad essi, così come molte sono nate dalla mia fantasia, unendo così tutta la “mitologia locale” con un unico filo conduttore.
Chi è a conoscenza di talune leggende si lascerà sfuggire un sorriso, altri storceranno il naso, ma la loro trasposizione è assolutamente personale e fine al racconto, all’unione di tutte loro in un solo disegno generale, e lasciatemi dire che se un giorno un nonno usasse le parole di questo libro per spiegare, ad esempio, la strana forma della Pietra di Bismantova al suo nipotino sarebbe senz’altro la soddisfazione più grande che mi darebbe quest’opera.
Un’altra cosa che farà sorridere qualcuno saranno alcuni nomi che ho usato per i personaggi, ma purtroppo questo era necessario. Sarebbe impensabile, in effetti, ambientare un romanzo fantasy in un non ben definito medioevo reggiano ed usare nomi come Gandalf, Aragorn, Sauron, Nazgul e via dicendo. Ho creduto quindi importante mantenere nomi strettamente italiani, se non spesso tipicamente reggiani (ho usato anche i nomi dei miei nonni e dei nonni di mia moglie) legati a questa terra da sempre.
Per lo stesso motivo ho voluto limitare il più possibile l’intervento di “mostri magici” e altresì “incantesimi”… nonostante infatti ci sia indubbiamente la loro inevitabile presenza, ho tentato di dare una impronta (perlomeno nella prima parte del libro) abbastanza realistica e con una struttura narrativa tale da lasciare intendere che “potrebbe anche essere accaduto”, tant’è vero che in un primo momento avevo pensato di dare una collocazione storica ben precisa sviluppando intrecci con eventi realmente accaduti, ma ho presto compreso che sarebbe diventato troppo complicato da scrivere e troppo “saggistico” da leggere.
A proposito della struttura narrativa, sono del parere che essa debba svilupparsi con alcuni intrecci necessari a tenere vivo il racconto per non appiattirlo in una fredda cronaca di eventi susseguenti e devo ammettere che in questo, nonostante i miei sforzi, le mie letture di Tolkien hanno pesato parecchio sul risultato finale. Il viaggio intrapreso dai contadini, l’angoscia nell’apprendere l’incombenza dell’Oscurità, la spiegazione di molti eventi con il ricordo di fatti analoghi avvenuti molti secoli prima di quelli narrati, il Male che ritorna, rivelano senza dubbio l’influenza del Maestro Tolkien.
Ho reso anche diretto omaggio al Maestro, inserendo come lui una mappa delle zone che sono teatro del romanzo, come lui fece con la Terra di Mezzo, dando così modo anche a chi non è di Reggio di capire gli spostamenti dei protagonisti, oltre alle foto di alcuni castelli.
Ma concedetemelo, credo che se mai qualcuno mi accusasse di aver “copiato Tolkien” sarebbe per me un grande complimento perché verrei direttamente accostato e paragonato al Maestro. E questo paragone, positivo o negativo che fosse, sarebbe sufficiente a confermarmi la buona riuscita della mia piccola impresa fantasy.

Stefano Lester Denti


L’esercito di pietra


A mia moglie Lorena e a nostro figlio Leonardo,
ovvero tutta la mia vita


I
PROLOGO1

Il giorno volgeva ormai al termine e le ruote di legno del carro cigolavano stanche sui ciottoli del piccolo sentiero che portava alla capanna di Fernando. Il sole del tramonto bruciava freddo incendiando il cielo che tingeva le sue nubi di rosso fuoco.
Nubi cariche di pioggia.
– Ecco la capanna! – esclamò Archimede interrompendo il silenzio che persisteva ormai da quando, lasciata la chiesa di Brescello per una breve cerimonia funebre, si erano avviati verso la loro meta ultima.
Il fratello Alfeo spronò i cavalli con un deciso colpo di redini e il trotto veloce li portò in breve sull’aia della capanna di argilla e paglia essiccata.
Artemio carezzò il volto esanime di Fernando, che giaceva sul carro avvolto dal suo tabarro grigio.
– Ora sei a casa, amico mio – gli disse commosso.
Alcune gocce iniziarono lentamente a cadere dalle nubi rossastre, quasi come se anche il cielo fosse rattristato da tale perdita.
– Presto, aiutatemi a portare Fernando in casa! – sollecitò Archimede sollevando il corpo del vecchio Alchimista.
Artemio corse subito ad aiutare il suo padrone, nonostante le ferite al torace, le quattro artigliate profonde del Senza Volto, pulsassero ancora sangue e dolore. E mai si sarebbero del tutto rimarginate.
Alfeo era più in difficoltà, visto che la stessa bestia si era portata via la sua mano destra.
– Non affannarti, fratello! – lo fermò Archimede – E perdonami: il mio animo cerca di rimuovere così frettolosamente le ferite inferte ai nostri cuori dall’incubo appena vissuto, che talvolta dimentico anche le ferite subite dai nostri corpi.
Alfeo gli sorrise e tentò comunque di aiutare con la mano sinistra.
Infine riuscirono a portare il loro vecchio amico sul letto della piccola capanna prima che la pioggia imbrattasse il suo corpo, poi i tre contadini si riposarono sotto all’aia ascoltando la pioggia.
– Ora che facciamo? – chiese Alfeo sfregandosi il moncherino che la dama di Leguigno gli aveva curato in modo esemplare.
– Domani mattina seppelliamo Fernando qui, nel cortiletto della sua capanna, sulle rive del Po – rispose Archimede dopo aver dato un ampia boccata di pipa.
– Così tutto sarà finito.
– Come?
– Tutto sarà finito – spiegò Archimede – Abbiamo dato gloriosa sepoltura a Falèster e al nostro caro Giovanni nella nostra corte a Villa Gavassa, qualche giorno fa. Ora diamo degna sepoltura al nostro Maestro.
– E tutto sarà finito – fece eco Artemio proseguendo il discorso – Tutto questo incubo sarà finalmente finito.
– La guerra contro i mannari, contro i non morti, contro il Senza Volto e quei maledetti stregoni sarà solo un incubo da non ricordare – proseguì Archimede.
Alfeo accese la pipa e poi scrutò il buio che ormai avvolgeva tutta la campagna. Il fragore del grande fiume era ormai sopraffatto dallo scrosciare della pioggia battente.
– Sarà difficile non ricordare – sospirò mesto – Perché profonde sono le ferite che ci sono state inferte. Qualcuna guarirà, ma molte altre accompagneranno il nostro cammino ricordandoci continuamente ciò che abbiamo visto.
– E mai dovrete dimenticarlo! – intervenne una voce dall’oscurità.
I tre contadini misero subito mano alle spade. Le vicissitudini passate avevano alzato notevolmente il loro livello di guardia e la tensione era ancora vibrante.
– Chi va là? – urlò rabbioso Archimede.
La luce della lanterna illuminò infine una figura ricurva che si appoggiava faticosamente ad un bastone molto vecchio. Un volto anziano e bonario abbozzò un sorriso rincuorando i tre giovani di Villa Gavassa.
– Perdona i nostri modi poco garbati – gli disse Alfeo – Ma non puoi immaginare ciò che abbiamo passato.
– Oh, lo immagino eccome, invece – rispose l’anziano signore accomodandosi sulla sedia a dondolo lasciata libera da Artemio – E in verità io vi stavo aspettando.
– Ma tu chi sei? E come fai a conoscerci?
– Il mio nome è Arturo, ma se devo esser sincero non vi conosco personalmente – sorrise enigmatico.
Gli sguardi smarriti dei suoi interlocutori e la consapevolezza dell’incubo che avevano vissuto, convinsero subito Arturo a dare una breve spiegazione.
Egli, raccontò, era il fedele servitore di Fernando, il suo aiutante ed il suo più intimo amico. Fernando, quando settimane addietro si era incamminato alla volta di Leguigno, era ben consapevole che probabilmente quello sarebbe stato il suo ultimo viaggio.
– Questa volta andrò fino in fondo – mi disse il padrone prima di partire – citò Arturo. E così è stato, a quanto vedo.
– Tu sai dunque cosa è successo nella Val d’Enza in quest’ultimo periodo? – chiese Alfeo.
– Posso immaginarlo – rispose Arturo evasivo – Ma quello che sapevo e che se il padrone non sarebbe tornato, qualcuno a lui caro lo avrebbe comunque riportato al grande Po, alla sua casa.
– Cosa intendeva dire Fernando con “Questa volta”? – incalzò Archimede curioso.
Arturo sorseggiò da una fiaschetta di otre estratta da una tasca, poi proseguì pacato.
– Egli sentiva in cuor suo che molti anni fa, durante la guerra del Varco Oscuro, l’incubo non era stato scongiurato del tutto, ma solamente rinviato… e nonostante molti Natali fossero ormai trascorsi, il suo animo era pronto da allora all’appuntamento con il suo destino.
– Come fai a sapere della guerra del Varco Oscuro? – chiese Artemio sospettoso – Quella storia è un segreto che solo taluni possono portare!
– Allo stesso modo in cui tu, umile servitore, sei messo a conoscenza di quanto sanno i tuoi padroni – rispose stizzito – Io condividevo i segreti del mio padrone!
Artemio si scusò e chiese cortesemente all’anziano signore di proseguire.
– Proseguire cosa? – chiese lui – Io ho terminato. Sapevo che, se l’Alchimista non fosse sopravvissuto, persone a lui care lo avrebbero riportato a casa per dargli degna sepoltura. Sono semplicemente qui per aiutarvi, e per affidarvi un compito delicato.
– Che genere di compito? – chiesero in coro.
– Domani saluteremo il nostro Fernando per l’ultima volta, poi vi affiderò le sue ultime volontà – rispose Arturo alzandosi e congedandosi zoppicando.
I tre contadini rimasero basiti. Non sapevano cosa dire. Né cosa pensare.
– Andate a riposare – suggerì loro Arturo senza voltarsi – Domani capirete molte cose.


II
IL LIBRO DELLA MEMORIA

La pioggia cullò il sonno dei contadini per tutta la notte. Solo la fredda alba del primo mattino, con la sua brezza gelida, soffiò via le nubi dando spazio ad un pallido sole, che di certo non scaldava.
Fernando venne tumulato dopo una breve ma commovente cerimonia a cui partecipò anche Arturo. Una lapide di granito con il suo nome fu rivolta verso il grande fiume che tanto aveva amato, mentre una croce si stagliava a sud, verso quelle montagne a cui tanto aveva dato.
La commozione fu grande e i tre giovanotti di Villa Gavassa si raccolsero in un lungo silenzio. Un silenzio in cui l’animo di ognuno di loro lottò tra i bei ricordi dei momenti trascorsi con il loro amico e gli incubi delle battaglie che ancora attanagliavano i loro cuori.
Arturo lasciò loro tutto il tempo necessario e li attese paziente sull’aia.
Quando infine lo raggiunsero, si accese la pipa e disse loro di accomodarsi all’interno della capanna.
– Cosa mai dovrà affidarci? – chiese Alfeo al fratello.
– Non ne ho idea… ma sono stanco e voglio solo tornare a casa.
– Presto ci tornerai, amico mio – intervenne Arturo, che entrò nella stanza trascinando un grosso forziere – Ma prima devo darti una cosa.
Si staccò una chiave che teneva appesa al collo con gesto deciso, poi la infilò nel forziere e la fece girare più e più volte, finché la serratura scattò rumorosamente.
– Ecco qui! – disse emozionato estraendo un grande libro impolverato.
– Cos’è? Un libro di incantesimi?
Arturo accennò un sorriso amaro, poi soffiò via la polvere dal tomo facendo tossire tutti quanti.
– No, non lo è! – disse serio appoggiando pesantemente il grande volume sul tavolo – Questo è un Libro della Memoria.
– Un Libro della Memoria? – chiese curioso Archimede.
– Più precisamente, ora che voi siete qui, uno dei due Libri della Memoria – spiegò Arturo.
– Memoria di che cosa?
Arturo uscì sull’aia e si accomodò sulla solita sedia a dondolo, facendola scricchiolare armoniosamente, poi finalmente rispose:
– A quanto ho capito dalla nostra conversazione di ieri sera voi siete a conoscenza della guerra del Varco Oscuro.
– Certo – rispose Alfeo orgoglioso – La guerra che molti secoli fa devastò la pace della Val d’Enza…
– La guerra che devastò la Val d’Enza! – lo scimmiottò Arturo sorridendo – Mi sembra un po’ riduttiva come risposta.
– Fernando ci ha spiegato brevemente quei tristi accadimenti2 – intervenne Archimede – Ma devo ammettere che è stato un racconto piuttosto sommario…
– Per questo esiste il Libro della Memoria – disse solenne Arturo sorseggiando dal suo otre – Perché quell’incubo terribile non si trasformi nel tempo in un “racconto sommario”…
I tre contadini ebbero un fremito. Dunque quel libro riportava per filo e per segno la prima guerra del Varco Oscuro?
Erano freschi reduci da un incubo inimmaginabile, dolorose ferite inferte ai loro animi che mai si sarebbero rimarginate, eppure la curiosità di leggere quel libro era fortissima.
La comprensibile voglia di lasciarsi tutto alle spalle era ormai schiacciata dall’irragionevole desiderio di rigettarsi nell’incubo. Anche se stavolta sarebbero stati semplici lettori di storie antiche. Anche se l’incubo in realtà era per fortuna svanito. Ma, da quel che Fernando aveva loro accennato su quei tristi accadimenti, le analogie con la loro infernale disavventura erano moltissime…e la paura di riaprire ferite ancora sanguinanti frenava un poco la loro curiosità.
Ma la sete di sapere, il voler giustamente capire come tutto ebbe origine, sciolse i loro più timorosi indugi e infine sfogliarono la pesante copertina di pelle consumata ed iniziarono a leggere.

[continua]


NOTE:

1 Avvertenza: i capp. I e II sono di necessario collegamento tra la fine di “Cavalieri e Dèmoni” e “L’Esercito di Pietra”. Una lettura autonoma e indipendente di questo libro, come promesso in prefazione, parte dal cap. III.

2 Vedi Cap. X di “Cavalieri e Dèmoni”.


Se sei interessato a leggere l'intera Opera e desideri acquistarla clicca qui

Torna alla homepage dell'Autore

Il Club degli Autori - Concorsi Letterari - Montedit - Consigli Editoriali - Il Club dei Poeti
Chi siamo
La Rivista
La voce degli Autori
Tutti i nostri Autori
Per iscriversi
ClubNews
Il notiziario gratuito
Ultimi inserimenti
Homepage
Per pubblicare
il tuo 
Libro
nel cassetto
Per Acquistare
questo libro
Il Catalogo
Montedit
Pubblicizzare
il tuo Libro
su queste pagine