Opere di

Stefano Reggiani


Con questo racconto è risultato 9° classificato – Sezione narrativa alla XIX Edizione del Concorso Marguerite Yourcenar 2011,


Questa la motivazione della Giuria: «Un uomo che è cieco, nei suoi sogni-incubi, prevede eventi delittuosi e, al mattino, ritrae il volto delle vittime che, puntualmente, consegna al commissario di polizia. Purtroppo inutilmente. L’amara realtà sarà un colpo di scena inimmaginabile. La scrittura presenta un ritmo serrato e le fasi della narrazione sono ben architettate».

Massimo Barile


L’ultimo ritratto

Ogni mattina si svegliava con le dita che gli formicolavano. A fatica riusciva ad impugnare il bastone che gli serviva per camminare. Ero cieco dalla nascita. Quella mattina ci riuscì quasi immediatamente, nonostante le dita fremessero come impazzite. Lo appoggiò per terra e iniziò a mettere avanti a sé un piede dopo l’altro arrivando fino alla scrivania. Sfilò lentamente la sedia da sotto e ci si sedette sopra con estrema attenzione. Sulla scrivania c’erano il solito foglio bianco e un pennarello grigio. Con la mano tastò un attimo il terreno e afferrò il pennarello. Poi, come guidato da un demone interno, iniziò a incidere il foglio con disegni automatici. Nel momento preciso in cui iniziava il disegno, sembrava immergersi completamente in uno stato di trance. E nel preciso istante in cui il disegno terminava, lo stato di trance svaniva come per magia. Disegnava automaticamente il volto di uno sconosciuto che aveva sognato la notte prima. Era fatto talmente bene da sembrare reale. Prese quel foglio, lo piegò in quattro parti come se lo dovesse custodire dallo sguardo di qualcuno. Ma nella sua stanza da letto non c’era nessuno, non c’era mai stato nessuno. Poi si alzò dalla sedia e iniziò a cercare i vestiti sull’appendiabiti che si trovava davanti al letto. Si vestì e uscì dalla sua stanza da letto con il foglio nella tasca dei suoi pantaloni. Si diresse nel ripostiglio dove teneva le sue tele. Di mestiere faceva il pittore di strada. La capacità di disegnare automaticamente ciò che sognava gli dava da mangiare, in aggiunta al sussidio d’invalidità dello stato. Prese le tele che aveva riposto sul ripiano intermedio della teca. Le contò per due volte facendosele passare fra le dita. Le infilò in un portadisegni che si mise a tracolla. Poi uscì dalla porta col suo bastone ben saldo nella mano sinistra. Uscito dal portone del condominio iniziò a mettere insieme tutti i suoni e gli odori che lo circondavano, in modo da orientarsi meglio. Fece un lungo tratto sul marciapiede urtando involontariamente due o tre persone al massimo. Tutte domandavano scusa con tono ossequioso.
«Oh, non si preoccupi» rispose lui voltando la testa verso la direzione della voce.
Poi proseguì la sua strada fino al commissariato di polizia.
«Buongiorno Walter!» lo salutò il portinaio come ogni mattina.
«Buongiorno a te Antonio» rispondeva lui.
«Come vanno i tuoi quadri?» chiese Antonio.
«Nessuno credo possa averli fatti un cieco” rispose lui.
«Tu ci vedi meglio di chiunque altro, caro Walter» disse Antonio sorridendo.
«Sì come no. È arrivato l’ispettore Rigamonti?» chiese lui.
«Lo trovi nel suo ufficio, è appena arrivato» rispose Antonio.
«Grazie mille Antonio» disse lui.
«Di nulla, dovere!» rispose il portinaio.
Walter conosceva perfettamente la strada per l’ufficio dell’ispettore Rigamonti, lo andava a trovare ogni mattina. Salì due rampe, venti passi verso sinistra, seconda porta. Bussò nonostante la porta fosse aperta.
«Vieni pure Walter!» disse Rigamonti.
Walter entrò, cerco con la mano destra la prima sedia disponibile e si sedette.
«Buongiorno Walter, come va?» chiese l’ispettore.
«Non si vendono quadri e il sussidio è magro come un levriero» rispose Walter.
«Tempi duri!» disse Rigamonti sospirando.
Ci fu un istante di silenzio e Walter ne approfittò per sfilarsi dai pantaloni il suo disegno ancora piegato in quattro parti.
«Cosa mi porti stamattina?» disse Rigamonti osservando la scena.
Walter aprì il foglio con scientifica cautela e lo mostrò all’ispettore.
«Avrà non più di trent’anni» disse Walter.
L’ispettore osservò il foglio annuendo. L’immagine disegnata era talmente nitida da sembrare una fotografia sfuocata.
«Non ho mai visto una donna così bella» ribadì il cieco.
«Mi sai dire un nome?» chiese Rigamonti.
Walter si grattò la fronte per qualche secondo.
«Mi pare di aver capito Sabrina, ma non ne sono sicuro» rispose lui.
«Vedremo di fare tutto il possibile» disse l’ispettore con voce decise.
«Vi prego, questa è la trentesima vittima che disegno e la cosa sta diventando inquietante» disse Walter.
«Non è semplice Walter, non è semplice» disse Rigamonti.
Poi scannerizzò il foglio e lo inviò per fax alla scientifica.
«L’ho già mandato a chi di dovere» disse l’ispettore.
«Grazie davvero, grazie davvero» ripetè Walter.
Poi strinse la mano all’ispettore e se ne andò.
Era da più di un mese che sognava volti di persone. Dopo la decima volta gli successe una cosa strana. Una sera accese la tv e ascoltando il telegiornale capì che una di quelle persone che aveva disegnato, era stata assassinata. Lo intuì dalla descrizione che ne facevano alla tv e dal profilo che fornivano. Dopo la prima volta lo fece per tutte le sere successiva e capì che i volti sognati erano volti di persone destinate ad essere uccise. Raccontò la sua storia ad un amico che, saggiamente, gli consigliò di dire tutto alla polizia. Inizialmente non gli cedettero ma poi, constatando le incredibili coincidenze, dovettero ascoltare ciò che Walter aveva da dire. E ogni mattina forniva loro il disegno della futura vittima. Ma fino ad allora la polizia non era mai riuscita a sventare un solo omicidio.
Uscì dal commissariato con la sensazione di aver compiuto il proprio dovere ma, nonostante ciò, sentiva che la vita di quella ragazza era appesa ad un filo. Poi, col suo porta disegni a tracolla, si diresse verso la piazza principale della città. Compiva quel tragitto ogni mattina, sabato e domenica compresa. Aveva bisogno di vendere i suoi quadri. Ma la gente, nella maggior parte dei casi, li comprava per pietà, non credendo affatto che li avesse potuti dipingere lui. Arrivò alla piazza e scelse il solito angolino per appoggiare le sue cose. Per un cieco l’organizzazione deve essere scientifica, ogni movimento coordinato in funzione del risultato finale. Aveva imparato col tempo a muoversi nel vuoto dell’esterno, senza alcun punto di riferimento. Una volta piazzato si diresse verso il bar per chiedere una seggiola in prestito. Il cameriere, sempre gentile, gliela diede senza discutere. Finalmente si poté sedere di fianco ai suoi dipinti. Si tolse un attimo gli occhiali da sole per strofinarsi gli occhi che gli bruciavano per la polvere. Non fece in tempo a rimetterseli che una persona gli toccò il braccio per chiedere un’informazione.
«Mi scusi, sa indicarmi dove si trovano le poste?» disse l’uomo con uno spiccato accento piemontese.
Walter, preso alla sprovvista, fece cadere gli occhiali.
«Oh mi scusi di nuovo ma non l’ho fatto apposta!» disse l’uomo non accorgendosi della menomazione di Walter.
«Ah mi ha colto di sorpresa… Sa… la mia cecità…» disse Walter.
«Mi perdoni di nuovo, non me n’ero accorto, non so davvero come scusarmi!» disse l’uomo quasi imbarazzato.
«Oh non si preoccupi, non sa quante volte mi è capitato! Comunque le poste sono in Via Gandhi, la prima sulla destra superata la piazza» disse Walter.
«Grazie mille, non so come ringraziarla, ho una bolletta che mi scade! Scusi ancora per l’accaduto, è stato davvero gentile» disse l’uomo.
«Di nulla, buona giornata» rispose Walter.
L’uomo se ne andò con passo veloce. Poi Walter si chinò per raccogliere i suoi occhiali, che nel frattempo erano rimasti per terra a fianco del suo piede destro.
Faceva abbastanza freddo quel giorno. Di tanto in tanto Walter tirava fuori dalla giacca un piccolo fiaschetto dove custodiva gelosamente la grappa che suo padre faceva in casa. Quella funzionava meglio di un termosifone. La giornata filò via liscia come l’olio. Era riuscito a vendere due quadri per il valore di cinquanta euro. Sette se n’erano andati per pranzo. Risultato netto quarantatre euro. Teneva i soldi in un portamonete che nascondeva sotto la giacca per precauzione. Nel frattempo il campanile del Duomo suonò per diciannove volte. Walter raccolse le sue cose, riconsegnò la sedia al cameriere del bar e prese la via di casa. Durante il tragitto ebbe la sensazione che qualcuno lo seguisse. Sentiva il rumore di passi che acceleravano e frenavano in funzione dei suoi. Ma non potendo vedere, non dava peso a queste sensazioni, sarebbe potuto essere chiunque. Rientrò verso le otto. Aprì la porta di casa e lasciò subito i suoi disegni nel ripostiglio. Si tolse il cappotto appoggiandolo su una sedia e si diresse verso il televisore. Lo accese e si voltò verso il frigo. Mentre appoggiava la mano sulla maniglia il notiziario rapì la sua attenzione.
«Giovane ragazza di vent’anni trovata morta nel parco cittadino. Il suo nome era Sabrina Rovatti» affermò la conduttrice.
La sua mano rimase impietrita sulla maniglia. Un senso di ansia lo assalì e gli cominciarono a formicolare le mani. Tolse le mani dal frigo appoggiandole freneticamente sul tavolo. Cercava il suo telefono cellulare. Mentre tastava la superficie del tavolo lo fece cadere a terra. Poi si chinò a cercarlo mettendosi a carponi sul pavimento. Sudava come un maratoneta al quarantesimo chilometro. Finalmente lo trovò. Con le mani tremanti compose un numero. Squillava.
«Ispettore ha visto il notiziario?!» disse Walter con voce agitata.
«Calmati Walter, lo sto guardando ora» rispose Rigamonti.
«Come posso calmarmi, siamo arrivati a trentaquattro!»
«Cerca di rilassarti! Senti oggi com’è andata coi tuoi quadri?»
«Non me ne frega nulla dei miei quadri!»
Walter riagganciò. Camminava nervosamente facendo un solco lungo il corridoio del suo appartamento. Aveva paura di andare a letto e generare un’altra vittima. Iniziava a sentirsi un carnefice. Poi si sedette sulla poltrona del suo salotto e si mise ad ascoltare i programmi televisivi. Quella sera non c’era nulla d’interessante e decise di mettere su un disco. Un vinile dei Doors, lo rilassavano nonostante le tempeste elettriche e Los Angeles perennemente in fiamme. Ad un certo punto attaccò “The End”. La prima frase faceva così «L’assassino si svegliò prima dell’alba». Si alzò dalla poltrona e nervosamente spense il vecchio giradischi. Si mise la mano sulla fronte come per riflettere. Poi si diresse verso uno scompartimento di un mobile della cucina. Lo aprì e tirò fuori una bottiglia di scotch. Ne tracannò tre o quattro sorsate. Si pulì la bocca e andò al bagno. Gli sembrava di pisciare tutta la tensione. Decise, a malincuore, di andarsene a dormire. Fece fatica a prendere sonno, ci volle una buona mezz’ora. Invece di contare le pecore si faceva scorrere davanti agli occhi i trentaquattro ritratti che adesso stavano al cimitero.
Si svegliò di soprassalto alle 7.30 in punto. Le dita formicolavano come al solito e dovette dirigersi immediatamente alla sua scrivania. Disegnò automaticamente il solito ritratto. Lo arrotolò e lo infilò nel suo porta disegni. Si vestì e uscì per dirigersi al commissariato.
«Buongiorno Antonio» disse Walter.
«Buongiorno Walter» rispose il portinaio.
Poi Walter, senza tanti fronzoli e con passo spedito si diresse verso l’ufficio di Rigamonti. Aprì la porta di scatto trovando l’ispettore impreparato.
«Spero che stavolta possa fare qualcosa!» disse Walter con tono deciso.
Rigamonti prese in mano il ritratto. Ci fu un attimo di silenzio.
«Allora? Le dice qualcosa? È un uomo sulla quarantina direi» disse Walter.
L’ispettore continuava ad esitare.
«Cercheremo di fare tutto il possibile» disse Rigamonti.
«Mi sembra di averla già sentita questa frase» rispose Walter.
«Questa volta chiuderemo il caso» affermò l’ispettore.
«Lo spero davvero» concluse Walter.
Poi il cieco se ne andò lasciando l’ispettore che stava ancora scrutando il disegno.
Walter uscì dal commissariato e si diresse alla piazza centrale a vendere i suoi quadri. Tutto il giorno Walter meditò sullo strano comportamento dell’ispettore. Come mai questa volta era così sicuro di trovare l’assassino? La giornata terminò con la bellezza di due quadri venduti per pietà. Incasso totale pari a quaranta euro. Meglio di niente comunque. Walter raccolse le sue cose e ripartì verso casa. Aveva la sensazione di sentirsi seguito, anzi, ne era quasi sicuro. Arrivò al portone del suo condominio. Infilò le chiavi nella serratura, un giro, due giri, il portone si aprì. Non fece in tempo a infilare una gamba dentro che si sentì afferrare le braccia da dietro. Walter diede uno strattone per divincolarsi. Nulla da fare. L’attentatore lo bloccò e lo scaraventò a terra. Il cieco si dimenava per terra come un pazzo. L’attentatore decise di infilargli un fazzoletto in bocca. Poi dalla giacca tirò fuori una pistola con silenziatore. Un colpo secco al torace e Walter rimase a terra stecchito.
La stessa sera alla televisione la polizia diramò il seguente comunicato:
«Il serial killer che ha ucciso 34 persone è stato finalmente trovato. Dopo una violenta colluttazione con le forze di polizia è stato ucciso con un colpo di pistola proprio davanti alla sua abitazione. Si chiamava Walter Bignaghi, aveva quarantadue anni. La città, finalmente, non potrà più temere per nulla…»
Mentre il comunicato veniva diramato le telecamere inquadravano l’ispettore Rigamonti che sorrideva. Sembrava essersi tolto un peso.

Stefano Reggiani



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