Opere di

Tiziano Vecellio Mancini

Con questo racconto è risultato 9° classificato – Sezione narrativa alla XVII edizione Premio Letterario Internazionale Marguerite Yourcenar 2009


La giusta direzione

La sveglia suonò troppo presto, quel giorno. Erano le cinque. Fabio accolse con fastidio quel suono gracchiante e si alzò dal letto di scatto per raggiungere il tasto di spegnimento e impedire che continuasse.
Non certo per la voglia di partire.
«Ha suonato, preparo la colazione ma tu alzati, che lo so come va a finire».
Joelle non mosse nemmeno le labbra, mentre gli rispondeva con un filo di voce:
«Ehh? Sì, sì, lo so, vai vai».
«Sì, sì, vai vai, vado vado».
In effetti sei minuti dopo, seppure dopo una nuova chiamata, Joelle si presentò in cucina. Seduti davanti al caffelatte Fabio fece il punto della situazione.
«Il matrimonio è l’arte del compromesso: c’è sempre una parte che cede di più, basta che lo faccia controvoglia ma con amore».
«Bravo. Amore e matrimonio, compromesso e cedimento, hai messo tutto il nostro amore in una frase. Se siamo venuti a vivere a Parigi è perché l’hai voluto tu. Mi pare una scelta, direi, più importante di una gita, no?».
«Hai ragione, lo sai che sono un lamentoso, ma a me ‘sta gita non mi piace. La Baia dei Trapassati è uno dei posti che mi ha affascinato di più nel mondo, e andarci con una gita organizzata mi infastidisce: so già che saremo lì in cinquanta. Un posto dove progettavamo di tornarci da soli, io e te, sapendo che non avremmo detto niente ma solo ascoltato il suono della marea lontana e invisibile, guardando il faro dell’Ile de Sein che si nasconde come un fantasma tra le schiume e i vapori».
«Ooh che poesia, bevi và che si fredda. Questo è il passato, le abbiamo già viste e provate queste cose, fanno parte di noi e nessuno ce le toglierà, non preoccuparti. E oggi le rivedremo. Basta, è un’altra cosa. La vita è sempre diversa, anche negli stessi posti. Neanche se tornassimo noi due, sarebbe la stessa cosa, saremmo ripetitivi, melensi. Anzi, resteresti deluso perché pur essendo sempre noi due soli non sarà la stessa cosa. È meglio così, dammi retta. Non ti era già capitato al Pont du Gard? Che la seconda volta ti sembrava più piccolo, ti rendi conto?».
«Forse hai ragione – disse Fabio abbassando lo sguardo sulla tazza, – è il fascino della prima volta. L’inaspettato, il nuovo, l’imprevisto arrivano solo una volta, per quanto possano essere piacevoli, quando poi si ripetono non sono più loro. Può restare la bellezza ma non c’è più il tuffo al cuore, l’emozione, la palpitazione, l’illusione che la vita cambi per sempre. Ha sempre un grigio rumore di fondo, la vita, e non è piacevole. Ma in quei momenti il suono cessa, non lo senti più, e la sensazione è bellissima. È l’immortalità». Pausa, rialzò lo sguardo e la fissò dicendo: «Solo tu sai essere nuova ogni mattina. Per questo ti amo come il primo giorno».
«Guarda che il primo giorno non mi amavi – fece secca – visto che avevi puntato subito Denise».
«Ti amavo senza saperlo – scherzò Fabio – poi però mi sono reso conto».
«Va bene, va bene. Non rivanghiamo, io sono una che non ci guarda mai al passato, lo sai. Pensa piuttosto che conosceremo tanta gente, oggi. Questa idea di farci un po’ di amici prendendo i volantini delle gite invece è stata geniale, non dire che non è vero».
«È vero, non lo nascondo, ma cavolo almeno scegliamole, parliamone: a seconda delle gite dovevi anche pensare agli amici che ci saremmo fatti. Dopo il pellegrinaggio da Teresa di Lisieux siamo dovuti andare ai rosari del venerdì del mese mariano – poi alzò la voce con enfasi – ecco il nostro maggio francese! Pensa un pò, e adesso abbiamo amiche di ottant’anni».
«MarieRose, che vecchietta simpatica, che tesoro!».
«Va bene, non discuto, ma che amicizie durature sono, che basi sono per mettere radici in società? Tra due anni ti son morti tutti gli amici e devi rifare tutto daccapo. O magari ti tocca fargli da badante».
«In società, ma come parli? E non essere cinico, MarieRose ha dei figli che adesso conosci e come vedi ho scelto anche di meglio. O volevi andare a Eurodisney con la scuola elementare?».
«Beh, avevi preso anche quella».
«Sì ma poi ho rinunciato».
«Grazie, era piena e ci avevano preso per dei maniaci o degli scrocconi. Bambini e genitori con le merendine offerte dalla scuola. Senza avere figli, men che meno a quella scuola. E naturalmente avevi fatto tutto senza neanche dirmelo. Come stavolta».
Joelle si alzò di scatto e come sempre proiettò le sue parole verso il futuro. In questo erano decisamente diversi. Lui parlava al passato e lei al futuro. Ma si incontravano nel presente.
«Forza che sennò arriviamo tardi anche stavolta».
«Non sia mai: tutte quelle vecchie coi fazzoletti in testa, con lo sguardo carico di odio che ci guardavano dai finestrini, mamma mia. Siamo saliti sul pullman come i romani alle forche caudine».
«Appunto, evitiamo un’altra Lisieux».
In effetti alle sei in punto salirono sul pullmann. Joelle, pur non conoscendo nessuno, salutò tutti con la sua solita euforia, che a quell’ora sembrava svegliare le persone più del caffè, costringendoli a mettere in moto lingue felpate e occhi cisposi. Qualcuno gradiva e altri meno. Ma le gite sono così, pensava Fabio, non sai mai chi ti tocca. A noi e a loro. È come la città dove nasci. Ma lui amava Parigi, l’aveva sempre sentita sua, da subito. E sì che la prima volta ci era venuto proprio con una gita organizzata dal Circolo dei dipendenti universitari. Però l’aveva amata lo stesso, nonostante tutto. In nessun altro posto al mondo i colori delle case e dei negozi si combinavano così armoniosamente con la voce dei giornalai, quelli delle foglie dei tigli d’autunno o dei platani d’estate con la paglia delle sedie dei caffè e il cuoio dei taccuini in mano ai camerieri, mentre i cappelli delle turiste non impedivano mai la vista sulle mansarde. E su tutti, in ogni luogo e in ogni momento, la vista della Tour Eiffel trasmetteva un senso di benevola maternità che impediva a chiunque di sentirsi solo. E lui da solo ci era tornato. Premio di laurea. Solo, completamente. Così aveva conosciuto Joelle. Si era sempre chiesto se l’avrebbe amata lo stesso, se fosse stata italiana e l’avesse conosciuta a Milano. Comunque adesso le amava tutte e due.

Era felice e lo sapeva. Spesso la felicità è un rimpianto, la scopri a posteriori, quando non te la puoi più godere, quando non puoi più dire “sono felice” ma devi dire amaramente “ero felice e non lo sapevo” e ti dai del coglione. No, Fabio era felice e lo sapeva. E intendeva essere sempre più felice. Da domani. Oggi lo era un po’ meno. Ma va bene così. Si può rimpiangere per un giorno la felicità, se sai che domani tornerà.
Tre ore dopo, attraversata la Loira e la Bretagna tra le chiacchiere di Joelle e il finto sonno di Fabio, arrivarono a destinazione.
Il pullman li lasciò a un paio di chilometri dal faro della Pointe du Raz. Sotto il cielo limpido attraversarono un immenso, morbidissimo tappeto di erica fiorita. Fabio si riconciliò coi suoi ricordi.
«Oh, è quasi meglio adesso di quella volta».
«Anche se siamo in cinquanta, hai visto?».
Ancora una volta dovette darle ragione. Anzi. Si tolse le scarpe e si mise a passeggiare sull’erica a piedi nudi andandosene verso la scogliera. Joelle sorrise a guardarlo, pensava che fosse una scusa per allontanarsi.
«Fabio! Vieni, c’è un poggetto al sole, qui: è asciutto, e si sta in pace… laggiù fanno un casino…» e si sedette sull’erba mentre lui la raggiungeva: «Scusa, ma allora adesso perché cerchi un posto appartato? Eh, se vuoi partecipare al rito collettivo, che collettivo sia!» disse Fabio raggiungendola con le scarpe in mano e il fiato grosso.
Il giorno passò piacevolmente. La Baia dei Trapassati si impegnò comunque a mostrare tutto il suo fascino allontanando il mare mentre il sole abbassava lo sguardo impudico sulla costa di granito che non potè evitare di arrossire. Alle cinque della sera si avviarono verso il pullman, lasciando qualche pallottola di carta unta e un po’ di briciole per gabbiani e formiche. Non era andata poi così male. Stava tornando, ancora a piedi scalzi, accanto a una signora che voleva sapere tutto di lui, e questo gli piaceva.
«Il creativo, faccio, madame, per un’agenza pubblicitaria. Sì, ci vuole fantasia, ma specifica, non generica. Idee finalizzate. Un po’ come la differenza fra arte e design. No, non è solo una dote naturale, ho fatto studi specifici. La creatività si impara anche, diciamo si coltiva e si migliora. Si tratta di avere sempre le antenne aperte. Si respira con tutti i pori, ogni momento. Si vive più intensamente, pronti a cogliere ogni ispirazione dalla vita. È solo un po’ ansiogeno. Non stacchi mai, sei sempre al lavoro».
Come esempio descrisse alla sua accompagnatrice quella domenica di anni prima, quando sul sagrato erboso di una chiesa di campagna aveva visto certe espressioni felici sui volti paonazzi: ballavano al suono di una pianola elettrica, felici di esserci e dimentichi di ogni affanno. E lui era dovuto fuggire, in preda all’orrore, per poi incolpare quella maledetta pianola, un artificio tremendo in quel luogo pieno di natura e di splendide storie segrete mai raccontate. Un momento per altri di spensieratezza, per lui che se l’era negata, era un problema. Non per questo non era felice. Ma la sua felicità era attiva, cosciente, un piacere sensibile, come una porta sempre aperta, a volte anche all’infelicità. L’atarassia gli era impossibile.
«E allora cara signora, come mai, in certi luoghi, in certi momenti, gli stessi, uguali per tutti, alcuni possono credere di scorgere l’eternità e altri sentono all’orecchio un gelido soffio di tragedia imminente? Dipende dalla direzione in cui hai rivolto lo sguardo. Ma non è facile saperlo, ognuno ha la sua, è come un navigatore segreto. La strada è una sola fra trecentocinquantanove gradi di possibili errori. Una sola è quella giusta. Lo sai solo tu e non valgono consigli. Io credo di averla trovata. Quanti possono dire altrettanto? Cercano scampo nel Noi, ma l’Io non muore mai, e se l’Io non è contento te lo dice tutti i giorni, sottovoce, lo senti come una voce lontana nella notte, che ti inquieta, che non ti dà pace e non ti fa dormire».
La signora rimase turbata, e quella sera fece fatica a prender sonno, ripensando ai suoi sogni di ragazza.
Arrivarono al pullmann che l’aria cominciava a rinfrescare.
Durante il viaggio di ritorno non fece che raccontare barzellette al microfono. Barzellette italiane in francese. E quelli ridevano pure. Faceva fatica a riconoscersi.
Infatti la sera si sentì cambiato. Ma aveva solo fatto un passo avanti.
Joelle si stava addormentando, quando sentì sussurrare:
«La giusta direzione. Se la trovi, sai sempre cosa fare. Bonne nuit, joliecoeur».


Il Club degli Autori - Concorsi Letterari - Montedit - Consigli Editoriali - Il Club dei Poeti
Chi siamo
La Rivista
La voce degli Autori
Tutti i nostri Autori
Per iscriversi
ClubNews
Il notiziario gratuito
Ultimi inserimenti
Homepage
Avvenimenti
Novità & Dintorni
i Concorsi
Letterari
Le Antologie
dei Concorsi
Tutti i nostri
Autori
La tua
Homepage
su Club.it