Una ribellione solo pensata

di

Vincenzo Pirola


Vincenzo Pirola - Una ribellione solo pensata
Collana "I Salici" - I libri di Narrativa
15x21 - pp. 248 - Euro 14,00
ISBN 978-88-6587-4844

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In copertina: disegno di Carlo Adelio Galimberti


Col pretesto di un omicidio, un grande affresco degli ultimi giorni del secondo conflitto mondiale e dell’Italia del dopoguerra che copre tre generazioni di una famiglia.

In esso spiccano le figure di due personaggi: un bambino e un nonno che – insieme – riassumono le gioie e le speranze che appartengono, in maniera diversa, all’età che è propria di ciascuno di loro.

Il male di vivere il nonno lo ha superato vittoriosamente. Quello del bambino è sofferto da chi ne è stato precursore il quale teme le prove difficili a cui il nipote sarà sottoposto in una società che concede troppe licenze ai giovani d’oggi senza, in contemporanea, rafforzare la loro capacità di controllarle.

Una storia romanzata che può ricordare, a tratti, “L’ospite inquietante” di Umberto Galimberti.

Un altro personaggio emerge – in tutta la sua negatività – una donna, una madre incapace di superare il proprio egoismo personale, che, dimentica delle esigenze della figlia e del suo sposo, favorisce e avvalla la loro separazione.

Il tutto scritto con un lessico moderno e assieme antico che rende l’opera piacevole e interessante e che fa comprendere anche ciò che le parole non dicono ma sottintendono.

Insomma un libro da leggere in punta di piedi.


Una ribellione solo pensata


Questo romanzo è frutto della fantasia dell’autore. Gli eventi di cronaca e i personaggi esistenti o esistiti nella realtà sono trasfigurati dall’immaginazione dell’autore. Per il resto ogni riferimento a persone e fatti reali è da ritenersi casuale.


Quando il vincolo è nevrotico è impossibile cancellare l’altro, cui si è uniti come da un magnete, non lo si può eludere. Lo si può solo uccidere.

“Il lato oscuro”, Vittorino Andreoli


Capitolo 1

GIUSTIZIA È FATTA

Ecco, si disse Franco, si è fatta giustizia finalmente.
Zita non farà più del male a Federico.
Alla vista del cadavere di Zita emerso dalla cella mortuaria dell’obitorio si fermò qualche istante per osservarla con maggior attenzione.
Il volto pallido e grinzoso, come si addiceva a una donna di settant’anni, aveva un’espressione quasi lieta: le labbra atteggiate a un lieve sorriso come quello di una martire.
Sapeva che sarebbe morta ma gli ultimi istanti li aveva vissuti come un sacrificio necessario.
Questo si sorprese a pensare.
La sua attenzione era totalmente impegnata in queste riflessioni e nella osservazione del corpo gracile, filiforme, della donna che, sdraiato, appariva più lungo di quanto fosse stato nella realtà.
Solo quando il poliziotto alzò la voce, Franco capì quello che gli stava chiedendo.
“Allora, dottore, la riconosce?”
“Sì. È lei, Zita Filetti”.

Quella sera Franco si trovava in casa solo. La telefonata lo aveva raggiunto mentre, a letto, di fronte al televisore, stava realizzando il primo sonno cadenzato dall’armonia irregolare dei suoni. Fra poco si sarebbe lentamente svegliato pronto a seguire uno dei suoi programmi preferiti.
Ma non fu così.
Dall’altro lato del telefono c’era la stazione di polizia di Milano-Città Studi. “Parlo col dottor Franco Fossati? Sono il commissario Di Maggio. Deve venire subito per identificare una persona. L’appuntamento è fra un’ora all’obitorio di via Mangiagalli. Prima di rispondere affermativamente alla richiesta il dottor Fossati aveva esitato cercando un modo per sottrarsi al fastidio che gli sarebbe costato scendere dal letto, rivestirsi, prendere l’auto e correre fino all’obitorio. Conosceva bene l’ubicazione trattandosi della via nella quale avevano sede le materie più ostiche della Facoltà di Medicina che lui aveva frequentato molti anni prima.
Anche a quell’ora tarda, le nove di sera, partendo dalla cittadina dove abitava, ci avrebbe messo più di un’ora per arrivare. E poi perché proprio lui e che motivo c’era di tanta urgenza?
“Dottore, si tratta di una donna priva di documenti. L’unica cosa utile che le abbiamo trovato addosso per l’identificazione è un’agenda e il suo biglietto da visita. La prego di venire subito”.
“D’accordo” si limitò a rispondere “mi preparo e sono da voi”.
Quando la constatazione dell’identità si concluse, salito in macchina, mentre percorreva la strada del ritorno, aveva cominciato a riflettere sulle conseguenze di quella morte.
Alla moglie e al figlio, che se già non erano in casa lo sarebbero stati presto, non pensava di telefonare e a Laura – per maggiore e diverso motivo – sarebbe stato meglio comunicare la notizia di persona.
Si sorprese anche a pensare che era stata una guerra, anche sua, quella che aveva portato alla morte di Zita. E la rivelazione che il conflitto si era concluso e la pace sopraggiunta doveva essere motivo di un comune appagamento.
A casa non c’era ancora nessuno.
Il dottor Fossati si spogliò mettendosi in pigiama e poi sdraiandosi sul letto che aveva lasciato poche ore prima.
Avrebbe desiderato addormentarsi e, solo quando l’ingresso della moglie nella camera, preceduto dal rumore dell’auto e dal frastuono prodotto dalla chiusura della porta basculante del garage lo avesse svegliato, comunicare, con tutta calma, la notizia. Avrebbe desiderato annullare qualsiasi pulsione emotiva, sino a una estraneità molto simile a una indifferenza ostentata.
Ma i suoi propositi non avevano avuto fortuna.
Non era riuscito a prendere sonno e, quando la moglie rientrò, si scoprì assumere un atteggiamento di circostanza.
Si alzò dal letto, scese, entrò nel garage, chiuse la serranda, prese le borse che la moglie gli porgeva. Poi disse “Arianna, appena ti sei sistemata, vieni che ti debbo dire una cosa importante” e si riavviò verso la camera.
Quando la moglie entrò, lui era seduto appoggiato alla testiera del letto. Allora spense la televisione e la invitò ad accomodarsi.
“Cosa ti è successo?” disse subito Arianna che avvertiva nel marito un comportamento non usuale.
“A me niente di grave. Zita invece ci ha lasciati”.
“Vuoi dire che, alla fine, se n’è andata?”
“Certo, andata… andata definitivamente”.
“Cioè… per sempre?”
“Sì, cazzo, è morta!”
“Non scherzare Franco. Cosa stai dicendo?”
“Esattamente quello che ho detto. Qualche brava persona le ha stretto troppo forte il collo fino a quando lei ha smesso di respirare”.
Arianna era rimasta in silenzio per alcuni secondi, incerta se dare credito al marito oppure pensare a uno scherzo.
La serietà e il comportamento di Franco tuttavia conferivano autorevolezza alle sue parole.
“Non è possibile” aveva ripreso la donna.
“Eppure è vero”.
Arianna aveva cominciato a singhiozzare mentre il marito la osservava perplesso.
“Cosa piangi, con tutto il male che quella ci ha procurato…”
“Eppure mi conosci. Quando qualcuno muore, specialmente in quel modo, non ce la faccio a non emozionarmi”.
“Noi non stiamo forse soffrendo da anni per colpa sua?”
“Ma è la nonna di nostro nipote!”
“Dillo ancora e mi farai impazzire! Sarebbe più giusto dire che era ‘il marito di nostra nuora’ e anche la peggiore delle nonne. Lei gli ha sempre impedito di vivere libero e normale. Lo ha cresciuto con un sacco di paure”.
“So che hai ragione. Anch’io ho spesso desiderato la sua morte, ma non sempre quello che uno si augura, quando accade, è poi in grado di accettarlo. È vero, lei si è imposta da subito con quei suoi modi falsamente dolci. Sembrava disposta ad accettare consigli, a mettersi in gioco col solo scopo di aiutare i due ragazzi. Poi abbiamo capito che dietro alle apparenze c’era un carattere duro… prevaricatore. Sua figlia si è sempre piegata alle sue ragioni e lo ha sempre fatto senza esitazioni”.
“Dì pure che Laura, finora, è stata completamente in balia della madre, plagiata totalmente”.

Il colloquio fra i due andava avanti senza interruzioni da almeno un’ora. Si era fatto tardi ma nessuno sembrava avere l’intenzione di smettere.
L’atmosfera che si stava creando a poco a poco appariva simile a una veglia funebre alla quale non partecipava il morto. Erano quasi le una e trenta quando i due sentirono sbattere la porta della casa.
Con un balzo Arianna si alzò dal letto, scese le scale e corse verso l’ingresso.
Matteo era rientrato. Le luci della sala erano accese.
“Cosa fai ancora sveglia a quest’ora mamma?”
“Siamo tutti e due svegli. Vieni che dobbiamo parlare”.
“Ma lo sai che ora è? Domani debbo lavorare”.
“Domani forse non andrai al lavoro”.


Capitolo 2

MATTEO

La morte violenta della suocera non era sembrata scuotere Matteo più di tanto.
Gli occhi assonnati, un po’ rossi, pesantemente adagiato sull’unica poltrona della camera da letto dei genitori, si sforzava di mettere a fuoco dove, come e quando fosse successo.
Il volto non mostrava alcun segno di dolore. Accennò persino a un sorriso quando il racconto dei genitori, giunto alla fine, gli diede la consapevolezza che quanto era accaduto era accaduto veramente. Un sorriso che voleva essere un moto di trionfo per una battaglia che, fino a poco prima, non avrebbe mai sperato di vincere.
Poi qualcosa si era rotto.
Forse anche per la stanchezza, forse per qualcos’altro, gli occhi di Matteo si erano inumiditi.
“Eppure lei ha sempre pensato, anzi ne aveva la certezza, di avere ragione, su tutto”. si limitò a dire.
Poi singhiozzò.
Solo per alcuni istanti.
Subito smise e, asciugandosi gli occhi con un fazzoletto, chiese scusa.
Lo sguardo era rivolto a entrambi i genitori ma in particolare al padre che, ne era certo, ora lo stava giudicando.
Franco attese in silenzio. Poi disse “Non vale le tue lacrime quella donna” e aggiunse “ma ti capisco. È tua madre che ti ha cresciuto. Forse sono io a essere troppo duro”.
“Ora vai a dormire. Domani penseremo al da farsi” disse la madre.
“Chiederò qualche giorno di ferie in ditta” e fece per avviarsi al suo giaciglio poco distante dalla camera dei suoi.
Erano molti mesi, ormai, che dormiva in un angolo del garage circondato dai suoi due labrador.
“Domani avvertiremo Laura”.

[continua]


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