Erpin e il suo cane Lilli sull’isola della gioia

di

Alba Silva


Alba Silva - Erpin e il suo cane Lilli sull’isola della gioia
Collana "Le Schegge d'Oro" - I libri dei Premi - Narrativa
12x17 - pp. 46 - Euro 7,00
ISBN 978-88-6587-1249

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In copertina fotografia dell’autrice


Pubblicazione realizzata con il contributo de IL CLUB degli autori in quanto l’autore è finalista nel concorso letterario J. Prévert 2011


Prefazione

Fantasia più che sorprendente e grande semplicità; qui, in questo lavoro di Alba Silva felicemente si accordano.
I personaggi, sgraziati per l’estetica corrente, sono belli nell’animo, e capaci di quei nobili sentimenti che l’autrice ama mettere in risalto nei suoi lavori, sempre.
Alba Silva è poetessa sempre, anche quando non scrive in versi; e qui, in questo lavoro che parrebbe fin troppo semplice, ma non lo è, perché ricco di umanità, ci sono pagine di alta poesia.
Il lettore vi troverà tanta dolcezza e tanta finezza di espressione; e quel mondo fantastico in alcuni momenti porterà commozione al suo cuore!

Carla Rastellino


Erpin e il suo cane Lilli sull’isola della gioia

Erpin è un bambino di dieci anni; Lilli è il suo fedelissimo cane amico di giochi…
Erpin è molto vivace; figlio unico, molto amato dai suoi genitori; ma in un baleno quella felicità finì.
Abitava in un piccolo paese; la sua casa era isolata, circondata dai campi.
Il cane, abbandonato dal padrone, era finito sulla strada che fiancheggiava la casa di Erpin.
Come tutti i bambini anche Erpin amava gli animali.
Lilli molto spesso si recava poco distante da quella casa, osservare i movimenti di un bambino. Erpin, accompagnato dalla madre, volle andare ad accarezzarlo; in quell’istante teneva fra le mani, un pezzo di torta; allungò la mano e glielo offrì!
Il cane, senza fargli alcun male, afferrò il pezzo di torta e si mise a scodinzolare, abbaiando; così voleva ringraziarlo.
La madre, la signora Favilla, rimase stupita di quel gesto: e disse tra sé: “Come deve esser intelligente questo cane!”
Il cane non voleva più andarsene; si aggirava sempre intorno alla casa; a pranzo, a cena, si accovacciava vicino alla porta.
Erpin e sua madre, in una vecchia scodella, deponevano gli avanzi del pranzo, e della cena; lui, tranquillo, divorava tutto.
La signora Favilla, a volte si avvicinava ad accarezzarlo, dicendogli:
“Come sei buono! Perché ti hanno abbandonato?”
Il cane ascoltando quelle poche parole, capiva che quella signora a poco a poco si affezionava a lui. La ringraziava scodinzolando; le leccava le mani, spesso abbaiando. Erpin giocava spesso al pallone in cortile; il cane non si allontanava; rimaneva ad osservare come se volesse giocare anche lui. Il cortile non era recintato; il pallone facilmente sfuggiva tra i piedi e scivolava sulla strada.
La signora Favilla, una mattina si era recata a fare la spesa in paese; Erpin era rimasto a casa con il padre…
Il bambino chiamò il padre, lo invitò ad uscire, a giocare al pallone insieme a lui.
Il padre gli rispose:
“Non ho tempo in questo momento; ho tanto da fare! Più tardi ti raggiungerò!”
Erpin di quella risposta non era rimasto molto soddisfatto; diede un calcio al pallone talmente forte, che lo fece andare tanto lontano, da non essere capace di raggiungerlo; gridò con tutta la sua voce richiamando il padre.
Il padre si affacciò alla finestra, chiedendo che cosa volesse il figlio; in quell’istante, però vide il cane che stava fuggendo…
Il figlio sedeva a terra, con gli occhi sbarrati in direzione del cane che correva veloce. In quell’istante pensò che non lo avrebbe più visto; e pensò; “Non gli ho fatto nulla! Come mi spiace non vederlo più; era sempre attento ai miei giochi.”
I suoi occhi erano attratti da quel tratto di strada, dove il cane era scomparso. Il padre anch’egli dalla finestra, aveva osservato la scomparsa del cane. Allora rimproverò il figlio e gli chiese: “Che cosa gli hai fatto per farlo fuggire così in fretta?”
Lui rispose: “Niente, papà!” E scoppiò in lacrime; insieme osservarono quel tratto di strada, per vedere se il cane potesse riapparire.
Infatti lo videro riapparire, molto affaticato, facendo rotolare sempre in avanti, con il suo musetto il pallone. Erpin e suo padre, rimasero senza parole, nell’osservare il cane, che si era preoccupato, di raggiungere, di corsa il pallone, per restituirlo al suo amico Erpin.
Nel frattempo arrivò anche la madre, che rimase stupita nel vedere figlio e marito, impietriti guardando verso il basso.
Subito si precipitò vicino a loro, dicendo:
“È successo qualcosa di brutto?”
Il figlio si affrettò a dirle:
“Guarda, mamma, che cosa sta facendo il cane!” Anch’essa si girò, guardando in basso; il cane, era assai affaticato; non ce la fece ad arrivare col pallone vicino alla casa; e si coricò poco distante con il pallone fra le zampe. Si mise ad abbaiare per dimostrare che fino lì era arrivato, e ora toccava a loro recuperare il pallone.
Padre, madre, e figlio, corsero vicino a lui, presero il pallone; accarezzarono il cane; il padre, il signor Miricco, lo prese tra le braccia e lo portò in casa, proprio si meritava una bella accoglienza, dopo tanta fatica.
Da quel giorno, Lilli entrò a far parte della famiglia.
Con amore, padre e figlio gli costruirono una cuccia, sotto il porticato; la madre confezionò una copertina con degli stracci, vecchi; e lui, felice, andava lì a coricarsi, tranquillo.
Miricco, con un pezzo di cuoio, gli confezionò poi un collare, con inciso il suo nome, e il giorno, e il mese, e l’anno in cui era entrato a far parte della famiglia. Tutto questo con molta precisione, e con un punteruolo; fece dei buchini molto piccoli, li dipinse di rosso; faticò molto; ma al collo del cane donava molto; il pelo, un marrone chiaro, il collare, bianco, la scritta, rossa; e il cane sembrava un modello. Lilli era un cane molto intelligente; mancava a lui solo la parola. Quando Erpin faceva i compiti, il cane si accucciava vicino ai suoi piedi, e gli teneva compagnia.
Ma un giorno scoppiò un temporale; come tante altre volte; forse però non era proprio il solito temporale. Lilli riposava nella sua comoda cuccia. Ad un tratto incominciò ad abbaiare, arrabbiato, quasi feroce; voleva attirare l’attenzione dei suoi padroni per far capire loro che qualcosa di grave stava succedendo.
Erpin di corsa si precipitò, ad aprire la porta per raggiungerlo; lo seguirono anche mamma, e papà.
Mentre si accinsero ad aprire la porta, si accorsero che soffiava un vento molto forte.
Il padre slegò il cane, lo fece entrare in casa, in loro compagnia; prima di chiudere la porta, si guardò intorno; il vento soffiava ad una velocità elevata, portava con sé ciò che trovava nel suo percorso, specialmente cose leggere. Chiusero tutte le porte con i ganci di sicurezza, aspettando che smettesse quella bufera.
Il cane, anche in loro compagnia, era molto agitato; continuava ad abbaiare; voleva avvertirli che erano tutti in pericolo, forse giungevano rumori alle sue orecchie poco piacevoli, rumori che i suoi padroni non udivano.
Infatti in poco tempo sorse un tornado, che distrusse la casa, portando con sé tutti i componenti di quella famiglia, madre, padre, figlio, e l’amico cane. Quel tornado così infuriato, si aggirò su se stesso, con velocità immensa, portando molto lontano quella famigliola.
Nel percorso lasciò cadere, prima la madre, poi il padre, ed altri oggetti che appartenevano alla casa.
Erpin si trovò sulla punta del tornado; lo seguiva l’amico cane. Però il tornado, forse, non voleva fare alcun male né al bambino, né al cane; li posò su di un’isola, lasciandoli cadere adagio, adagio, poi si allontanò scomparendo poi nel nulla.
Erpin e l’amico Lilli, rimasero per qualche ora sdraiati su di un prato di fiori, storditi dal soffiar del vento. Al risveglio, si trovarono circondati da personaggi minutini, senza parole.
Il cane, spaventato di ciò che lo circondava incominciò ad abbaiare, e fece fuggire dallo spavento tutti quei piccoli esseri umani. Erpin con molta difficoltà, a poco a poco, scoprì chi fossero quei piccoli. Per prima cosa fece loro alcune domande, a gesti; poi, giorno dopo giorno, quelli divennero suoi amici.
Erpin aveva sofferto, e pianto molto per la perdita di entrambi i genitori; ma su quell’isola, trovò la serenità, con il suo inseparabile cane Lilli e quei piccoli personaggi.
Su quell’isola c’erano poche persone, molto piccole; ed Erpin diede loro un soprannome:
“Degli esseri piccoli uomini.”
Erpin, molto triste, un pomeriggio si sedette in riva alla spiaggia, osservando il mare, e disse tra di sé: “Come sono finito lontano! Qui non mi raggiungerà più nessuno! Le mie ricerche sono inutili!” In quell’attimo i suoi occhi si riempirono di lacrime accompagnate da singhiozzi; ma, sospirando profondamente, si domandò di nuovo:
“E questi piccoli esseri arrivati su questa isola! Come sarà stata difficile la vita per loro! Ora li vedo felici! Sarà anche per me se resto in loro compagnia?”
Erpin era molto preoccupato; come sarebbe stata la sua vita, nel futuro, su quell’isola?
I suoi progetti, di bambino, erano finiti in un lampo, a solo dieci anni. Da grande avrebbe voluto laurearsi in architettura e avrebbe progettato un grande disegno, una casa tutta per lui. Faceva il chierichetto; non mancava mai al suo dovere, di servire il parroco, già anziano, ogni domenica; ed era profondamente cattolico. Erpin molto spesso diventava triste e le lacrime scendevano su quel viso così dolce; al suo fianco il cane Lilli; con la sua linguetta gli asciugava le lacrime, ed abbaiando, voleva fargli capire, che non bisogna piangere; tante lacrime erano inutili; bisognava pensare al futuro, e capire le usanze di quei piccoli esseri.
Quel pomeriggio li raggiunse sulla spiaggia, uno di quei personaggi, il più anziano.
Prese la mano di Erpin, lo invitò con i suoi gesti, a seguirlo, ed altrettanto per il cane; c’era posto anche per lui. Erpin chiamò vicino a sé il cane e gli disse: “Lilli stai bravo! Questi piccoli ci vorranno bene!” Seguirono quel personaggio, che li accompagnò in una casa, non in una casa vera, di pietra, ma in una graziosa galleria; e ne seguivano altre. Erpin entrò in quella grotta; rimase meravigliato, e si domandò;
“Come avranno fatto queste piccole minutine creature, a costruire questa galleria così grande?”
In quell’occasione lo stesso personaggio lo presentò a tutti gli altri amici; qui, fecero una grande festa a quel bambino, che si trovava davanti a loro, un ragazzino diverso da loro, con un viso molto bello, le mani, il corpo, perfino la parola, che nessuno di loro aveva. Ognuno di essi aveva una malformazione; chi al mento, chi alle mani, chi in tutto il corpo, Erpin in quell’attimo di grande gioia per l’accoglienza, posò gli occhi su uno di loro; sembrava molto giovane e poi scoprì che era una ragazzina, con una malformazione al mento, forse però con un cervello di bambina vera; e avrebbe imparato a parlare, forse non perfettamente bene; ma sarebbe stata in grado di comunicare con lui. Dopo un mese che Erpin viveva su quell’isola, una notte gli venne in sogno la Madonna, con accanto sua madre e suo padre. La madonna gli parlò: “Erpin, stai tranquillo; tuo padre, e tua madre sono accanto a me! In quanto a te non ti ho voluto fino quassù; ho preferito che rimanessi su quest’isola, con questi piccoli amici, piccoli esseri, uomini, abbandonati a se stessi.
E tu li aiuterai a vivere una vita più felice, finché non sarà giunta la tua ora; allora volerai tra noi! Auguri Erpin! Un giorno sarai felice pure tu!”, Erpin si sveglio di scatto e gridò! “Mamma! Papà! non lasciatemi” ma subito si accorse che era solo un sogno… Erpin e Lilli, sempre vicini, incominciavano ad abituarsi alla vita di quei piccoli esseri.
Il cane era molto coccolato, riceveva tante carezze da quei piccoli, che non avevano mai visto un animale simile; Lilli anch’esso sempre molto gentile con loro, li salutava, abbaiando. Un giorno Erpin stava osservando le accoglienze tra il cane e quei piccoli; il cane abbaiava, molto allegro, non aggressivo; quei piccoli lo circondavano, ballando come loro abitudine, girando su se stessi.
Erpin allora entrò a far parte di quel cerchio, prendendo proprio la mano di quella che lui aveva giudicata una bambina. Imparò i lori balli, capì che erano molto belli; la sua vita doveva proseguire insieme a loro, Non sarebbe stato facile, non accettando le abitudini di quei piccoli!
Il tempo passava, tra Erpin e tutti quei piccoli esseri si era instaurato un bel rapporto; tanto amore per entrambi. Erpin un giorno, mentre era coricato sul letto, pensò: “Mi piacerebbe scoprire come si chiama quest’isola! Come saranno arrivati i primi uomini su quest’isola? Perché tutti questi piccoli esseri umani? Rimarrà per sempre un segreto?” Poi disse tra sé: “Interrogherò questi piccoli, incomincerò dal più anziano; forse dai suoi gesti, io osservando attentamente, qualcosa riuscirò a capire. Erpin stava crescendo; era oramai un giovane; la sua cultura se la faceva da sé.
Voleva insegnare a questi piccoli molte cose leggere, scrivere, disegnare, come dei veri scolaretti.
Però ripeteva molto spesso queste frasi:
“Spero che i lori cervelli siano uguali a quelli delle persone normali; e allora farò di loro dei piccoli artisti.”
Erpin si avvicinò al più anziano per chiedergli informazioni sui loro nomi; una ragazzina si chiamava “Got!” Lui la chiamò “Gotta”.
Il più anziano, “Meg,” lui lo chiamò “Meglò” e così via. Meglò invitò Erpin a seguirlo; lo accompagnò in un grotta, ossia nella sua stanza, dove conservava dei grossi bauli, con documenti e oggetti di valore. Meglò apri un baule, e fece cenno col capo ad Erpin di avvicinarsi; e di cercare ciò che gli sarebbe servito. Erpin si avvicinò, delicatamente, e rovistò in quel baule; rimase senza parole, nel vedere il contenuto. Libri scritti in italiano, tanto oro, perfino dei meravigliosi brillanti.
Erpin allungò una mano, ed afferrò alcuni libri; voleva leggere alcune informazioni su quell’isola, e, molto in fretta, sfogliò parecchi libri.
Dopo alcune ore di lettura, gli venne tra le mani, un quaderno, scritto con matita rossa.
In quel diario, qualcuno aveva voluto lasciare un messaggio, qualcosa come un testamento; chi aveva posato i primi piedi su quell’isola?
Due giovani fidanzati, naufragati, erano finiti su quell’isola, completamente disabitata.
Erano fuggiti per motivi personali.
Quella scrittura non era in condizioni buone e fu molto difficile a capirsi il contenuto.
Erpin voleva a tutti costi scoprire chi avesse scritto quel diario. Tenendo fra le mani il quaderno, si accorse che gli era caduto a terra un biglietto; lo colse con cura, decifrò, una per una le sillabe, e mentre leggeva le trascriveva; così poté leggere correttamente.

[continua]


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