quaderni

di

Alessandro Regazzoni


Alessandro Regazzoni - quaderni
Collana "I Gigli" - I libri di Poesia
14x20,5 - pp. 70 - Euro 8,00
ISBN 978-88-6587-1454

eBook: pp. 64 - Euro 3,99 -  ISBN 9788831339663

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In copertina e all’interno illustrazioni di Gabriella Zanforlin


Queste mie
cose d’inchiostro sono
per Alessia e Andrea
movente e mandante
di ogni mio gesto.

E per Gabriella
paziente tessitrice
di equilibri e silenzi
che sorretta da
imperscrutabili ragioni
continua ad esserci.

(nonostante me)


Stille di Ivan Filice

Il poeta osserva il mondo e lo trasforma in versi, con i quali lo racconta, lo descrive, o più semplicemente, ne prende atto.
Così in questa sua raccolta, Regazzoni ci vuole rendere partecipi di una sua particolare visione, nata nel momento stesso in cui ha preso coscienza del mondo che lo circonda. Visione che non è mai giudizio perentorio, ma sguardo disincantato, da cui colano stille di poetica.
Che possono essere lacrime di dolore per l’ennesima guerra, l’ennesima ingiustizia sociale. Ma anche di ammirazione, che diventa omaggio ispirato per i Grandi che hanno tracciato il solco artistico su cui egli cammina. Così troviamo D’Annunzio, Hemingway, Poe, e molti altri, quasi fossero amici intimi, di famiglia.
Perché essi, davvero, sono stati i compagni di viaggio di tutta la vita dell’autore di quest’opera. Grandi, ritratti in versi nella loro più pura umanità. Senza orpelli o timori reverenziali.
Questa silloge affonda le sue radici nell’adolescenza milanese di Regazzoni e trova poi compimento nella sua parentesi brianzola e nel “buen-retiro” pavese in cui ha tentato di sfuggire alla parte più caotica e tentacolare della Lombardia. Ma tutto ha inizio, e tutto sembra voler tendere al piccolo paesino trentino dove la sua famiglia, per decenni, ha trascorso le estati e dove, da anni, si è ritirato a vivere il padre. Paese che, per Regazzoni, talvolta assume le sembianze della Zacinto foscoliana, talaltra è punto di partenza storico e concreto per veri voli iperbolici del pensiero.
In queste pagine trovate componimenti (cose d’inchiostro, come le definisce l’autore) vergati con stile graffiante e metrica libera, che diventa epifania grafica dell’anelito di libertà che traspare in tutta l’opera. Libertà dalle convenzioni sociali e culturali, dalle suggestioni della società di massa e dai suoi consigli per gli acquisti.
Un viaggio nel tempo e nello spazio, in mezzo alle miserie e alle nobiltà del genere umano, dove l’uomo è homini lupus, ma anche creatura a immagine e somiglianza di una divinità superiore. Questa è un’opera che non dà risposte (perché mai la poesia dovrebbe darne?) ma che commuove o infastidisce, o semplicemente spinge a porsi delle domande.
Lo stile con cui Regazzoni ci parla è uno stile poetico originale, difficilmente inquadrabile nei paludati schemi accademici. La sua, è un’arte che nasce spontanea: esce, come si suol dire, dalla penna, appena il sentire intimo del poeta si avvicina alla realtà. Delle gocce, stille appunto, di puro sentimento che precipitano nell’acquitrino della società moderna. Una società di Grandi Fratelli e di iPod al massimo volume, per non sentire. Ma prima di arrivare a toccarne le mefitiche acque, sublimano. E assurgono a poesia.

Buona lettura


Altro che stille!

Che belle parole! Accorate e sincere, pressoché perfette per aprire un’opera prima. Quasi non sarebbe necessario aggiungere una virgola, se non per una doverosa precisazione. La testimonianza raccolta in queste righe… è viziata da un oscuro e inconfessato segreto. Su di essa infatti incombe un antico, saldo, reciproco e quanto mai parziale, rapporto di amicizia con me. Esorto quindi Tutti Voi a non prestare attenzione a queste parole che non dovranno in alcun modo influenzarVi durante la lettura.
Mi si conceda a questo punto una minuscola postilla, ingombrante quanto una nota a piè pagina e rumorosa come lo sbatter d’ali di una farfalla.
Se la poesia, agli occhi di chi si avvicina a Lei può dare di sé un’immagine tanto leggera e leggiadra, a chi la fa, spesso offre il suo lato meno aulico e romantico. L’opera che l’artigiano della parola compie per scalfire il bianco della pagina intonsa è fatta con le regole d’ingaggio ambigue, dispettose e troppo spesso disattese della Vita.
La storia che ogni autore ha da raccontare a chi gli presta scampoli d’attenzione è testimonianza di un cammino impervio, quasi sempre solitario, senza la speranza di un punto di approdo, di un arrivo.
E’ la lotta contro un tarlo che ti mastica da dentro.
E’ il sabba frenetico della vita e della morte che si corteggiano, si cercano e si sfuggono. Eternamente.
Per chiudere questa mia breve ma doverosa parentesi di ringraziamento all’amico che ha versato un poco d’inchiostro per la mia causa, e senza indugiare ulteriormente in questo preambolo vi lascio con le parole di un Illustre Ospite di queste pagine. Parole che, meglio di tutte, sintetizzano, racchiudono, chiariscono. Se mai dovesse essercene bisogno…

“…il primo studio dell’uomo che vuole essere poeta è la propria coscienza intera; egli cerca la sua anima, l’indaga, la scruta, l’impara (…) Ma si tratta di rendere l’anima mostruosa (…) Immagina un uomo che si pianti e si coltivi verruche sul viso (…) Il poeta si fa “veggente” attraverso un lungo, immenso, e ragionato sregolamento di tutti i sensi, d’amore, di sofferenza, di follia; egli esaurisce in sé tutti i veleni per non serbarne che la quintessenza (…)
Crepi pure nel suo balzo attraverso le cose inaudite e innominabili: verranno altri orribili lavoratori; cominceranno dagli orizzonti su cui l’altro si è accasciato!

Arthur Rimbaud (lettera del veggente)

Oppure ancora, altre parole dell’Illustre Disingannato Ospite, lanciate come sassi contro i servizi da the in fine porcellana dei salotti buoni del suo tempo. E forse anche del nostro.
Parole che possono darVi le coordinate da seguire per districarVi in questo pantano, nel quale Vi siete cacciati:

la poesia? Merda alla poesia…

Buona lettura.

L’autore


quaderni


“Getto queste carte dietro l’òmero,
come il mio niente alla notte.”

Gabriele D’Annunzio – Il Libro Segreto


ouverture

I parte

C’è una canzone, molto vecchia e molto bella, di Zucchero, che comincia così: “niente di nuovo, tranne l’affitto per me…”
Che poi, in fondo è quello che penso anch’io quando la sera, comodamente cullato nell’intimità delle mie quattro mura, ascolto le ultime notizie.
L’unica differenza è che io ho il mio bel mutuo epocale e a tasso variabile…
Ad un certo punto della mia giovinezza mi sono accorto che il mondo non aveva più e solo i confini del “mio mondo”; la vita non indossava unicamente i panni candidi della “mia vita”.
Oltre a tutto questo, ho semplicemente scoperto esserci ben altro.
Lancia in resta, ho cominciato a cimentarmi con i primi telegiornali, i primi quotidiani, le prime modiche quantità di dolore e di sofferenza che non fossero mie e dei miei cari.
La vicenda umana e politica di Nelson Mandela, le violenze domestiche squallide e taciute, lo sbriciolamento sanguinoso della ex Jugoslavia.
E ancora. Petrolio nel mare e nel mare di petrolio uccelli e pesci morti. E ancora. Le guerre. Quelle in bianco e nero e quelle in alta definizione.
Le mille guerre giuste-sbagliate-sacre-profane.
Doloroso e ripetitivo calembour di pagine e servizi di cronaca iniziato oltre quattro lustri fa.
E ancora.
Fino ad oggi, dove un leggero senso di assuefazione ha in parte eroso lo sdegno e lo sgomento e probabilmente fino a che noi discendenti smemorati e recidivi di Caino e Abele, forse, ci renderemo conto di quanto male ci staremo ancora facendo.


Mandela
Sogno crocifisso
e pagine di cronaca.
Rughe
prigione del tempo
cucite dalla
menzogna della razza.
Guardalo
finalmente affrancato
severo monito
a ricordare la vergogna.


Milite ignoto
Giovane figlio
di un’Italia lontana
non ci sono lacrime
per te oramai
ma turisti accaldati
e discorsi ufficiali.
Ignota pedina
di un esercito scalzo
la Patria e la Gloria
hanno voluto il tuo sangue
per raccontare di un mondo
in bianco e nero.


Eden perduto
Agonia di radici
fra vermi e sterpaglie.
Non fa più fiori quel ramo
spezzato.
Cadono le foglie
in quest’autunno
di Eden perduto.
E dopo
un impietoso deserto
non più primavere
dinnanzi agli occhi
sgomenti.

…dopo l’ennesimo disastro ambientale


Per strada, per lui
Piange un bambino
aggrappato alla
sottana materna.
Piange suo padre, morto
per strada, per lui.
Piange una donna
con in braccio un bambino.
Piange il marito, morto
con in braccio un fucile.

…di là dall’adriatico… è arrivata la guerra


Jugoslavia
Primavera ha smesso i suoi panni
di incanto e di luce
per un macabro manto
di malinconici crepuscoli.

Ancora rabbia
per le strade croate.
Ancora morte.

…guerra civile… cercare se stessi
nel sangue fraterno…


Jugoslavia… ancora
Nevica.
Come lacrime d’avorio
a lenire il dolore
del piombo nel ventre.

La neve schiacciata
da piedi festanti
stanchi di cantine
e di buio
è intrisa di grida
rimaste strozzate.

…ancora?


Nei Balcani
Tombe scoperchiate
vuote.
Si odono schianti
mentre un bambino
piange.
Piange e nel buio
cerca sua madre
che non tornerà.

…potere dei media. La guerra
dal produttore al consumatore


Profugo
Sequenze di morte
dissonanze
pianto.
Non trova pace
ramingo
in terra straniera.


Bomba
Occhi sanguinanti
e mani giunte.

Fiori morti sul davanzale.

Lacrime e sputi
nella terra riarsa
tra corpi e macerie.

…tecnologia moderna per limitare
i danni collaterali


Vendemmia di sangue
(il telegiornale)
Fra contorte lamiere
di inganni e tormenti
hanno violentato
la vita.

Vendemmia di sangue.

Tra le mani
le spine di una rosa
che appassisce.

…non passa sera senza che dal telegiornale
esploda la violenza cieca di noi discendenti
sciocchi di Caino e Abele


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