In copertina e all’interno illustrazioni di Gabriella Zanforlin
Queste mie
cose d’inchiostro sono
per Alessia e Andrea
movente e mandante
di ogni mio gesto.
E per Gabriella
paziente tessitrice
di equilibri e silenzi
che sorretta da
imperscrutabili ragioni
continua ad esserci.
(nonostante me)
Stille di Ivan Filice
Il poeta osserva il mondo e lo trasforma in versi, con i quali lo racconta, lo descrive, o più semplicemente, ne prende atto.
Così in questa sua raccolta, Regazzoni ci vuole rendere partecipi di una sua particolare visione, nata nel momento stesso in cui ha preso coscienza del mondo che lo circonda. Visione che non è mai giudizio perentorio, ma sguardo disincantato, da cui colano stille di poetica.
Che possono essere lacrime di dolore per l’ennesima guerra, l’ennesima ingiustizia sociale. Ma anche di ammirazione, che diventa omaggio ispirato per i Grandi che hanno tracciato il solco artistico su cui egli cammina. Così troviamo D’Annunzio, Hemingway, Poe, e molti altri, quasi fossero amici intimi, di famiglia.
Perché essi, davvero, sono stati i compagni di viaggio di tutta la vita dell’autore di quest’opera. Grandi, ritratti in versi nella loro più pura umanità. Senza orpelli o timori reverenziali.
Questa silloge affonda le sue radici nell’adolescenza milanese di Regazzoni e trova poi compimento nella sua parentesi brianzola e nel “buen-retiro” pavese in cui ha tentato di sfuggire alla parte più caotica e tentacolare della Lombardia. Ma tutto ha inizio, e tutto sembra voler tendere al piccolo paesino trentino dove la sua famiglia, per decenni, ha trascorso le estati e dove, da anni, si è ritirato a vivere il padre. Paese che, per Regazzoni, talvolta assume le sembianze della Zacinto foscoliana, talaltra è punto di partenza storico e concreto per veri voli iperbolici del pensiero.
In queste pagine trovate componimenti (cose d’inchiostro, come le definisce l’autore) vergati con stile graffiante e metrica libera, che diventa epifania grafica dell’anelito di libertà che traspare in tutta l’opera. Libertà dalle convenzioni sociali e culturali, dalle suggestioni della società di massa e dai suoi consigli per gli acquisti.
Un viaggio nel tempo e nello spazio, in mezzo alle miserie e alle nobiltà del genere umano, dove l’uomo è homini lupus, ma anche creatura a immagine e somiglianza di una divinità superiore. Questa è un’opera che non dà risposte (perché mai la poesia dovrebbe darne?) ma che commuove o infastidisce, o semplicemente spinge a porsi delle domande.
Lo stile con cui Regazzoni ci parla è uno stile poetico originale, difficilmente inquadrabile nei paludati schemi accademici. La sua, è un’arte che nasce spontanea: esce, come si suol dire, dalla penna, appena il sentire intimo del poeta si avvicina alla realtà. Delle gocce, stille appunto, di puro sentimento che precipitano nell’acquitrino della società moderna. Una società di Grandi Fratelli e di iPod al massimo volume, per non sentire. Ma prima di arrivare a toccarne le mefitiche acque, sublimano. E assurgono a poesia.
Buona lettura
Altro che stille!
Che belle parole! Accorate e sincere, pressoché perfette per aprire un’opera prima. Quasi non sarebbe necessario aggiungere una virgola, se non per una doverosa precisazione. La testimonianza raccolta in queste righe… è viziata da un oscuro e inconfessato segreto. Su di essa infatti incombe un antico, saldo, reciproco e quanto mai parziale, rapporto di amicizia con me. Esorto quindi Tutti Voi a non prestare attenzione a queste parole che non dovranno in alcun modo influenzarVi durante la lettura.
Mi si conceda a questo punto una minuscola postilla, ingombrante quanto una nota a piè pagina e rumorosa come lo sbatter d’ali di una farfalla.
Se la poesia, agli occhi di chi si avvicina a Lei può dare di sé un’immagine tanto leggera e leggiadra, a chi la fa, spesso offre il suo lato meno aulico e romantico. L’opera che l’artigiano della parola compie per scalfire il bianco della pagina intonsa è fatta con le regole d’ingaggio ambigue, dispettose e troppo spesso disattese della Vita.
La storia che ogni autore ha da raccontare a chi gli presta scampoli d’attenzione è testimonianza di un cammino impervio, quasi sempre solitario, senza la speranza di un punto di approdo, di un arrivo.
E’ la lotta contro un tarlo che ti mastica da dentro.
E’ il sabba frenetico della vita e della morte che si corteggiano, si cercano e si sfuggono. Eternamente.
Per chiudere questa mia breve ma doverosa parentesi di ringraziamento all’amico che ha versato un poco d’inchiostro per la mia causa, e senza indugiare ulteriormente in questo preambolo vi lascio con le parole di un Illustre Ospite di queste pagine. Parole che, meglio di tutte, sintetizzano, racchiudono, chiariscono. Se mai dovesse essercene bisogno…
“…il primo studio dell’uomo che vuole essere poeta è la propria coscienza intera; egli cerca la sua anima, l’indaga, la scruta, l’impara (…) Ma si tratta di rendere l’anima mostruosa (…) Immagina un uomo che si pianti e si coltivi verruche sul viso (…) Il poeta si fa “veggente” attraverso un lungo, immenso, e ragionato sregolamento di tutti i sensi, d’amore, di sofferenza, di follia; egli esaurisce in sé tutti i veleni per non serbarne che la quintessenza (…)
Crepi pure nel suo balzo attraverso le cose inaudite e innominabili: verranno altri orribili lavoratori; cominceranno dagli orizzonti su cui l’altro si è accasciato!
Arthur Rimbaud (lettera del veggente)
Oppure ancora, altre parole dell’Illustre Disingannato Ospite, lanciate come sassi contro i servizi da the in fine porcellana dei salotti buoni del suo tempo. E forse anche del nostro.
Parole che possono darVi le coordinate da seguire per districarVi in questo pantano, nel quale Vi siete cacciati:
la poesia? Merda alla poesia…
Buona lettura.
L’autore