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In copertina fotografia dell’autore
Prefazione
Il libro di Alfredo Bossetti, dal titolo “Il lungomare”, decisamente interessante e coinvolgente, è costantemente pervaso da profonda umanità e mette in risalto la capacità narrativa di rendere, nel miglior modo possibile, le emozioni più vibranti ed intense che appartengono all’essere umano desideroso di vivere la sua vita in ogni istante come se anche un solo attimo fosse un nuovo dono, che viene offerto proprio quando non ci si aspettava più nulla dal destino.
Dalla vicenda narrata emerge chiaramente la consapevolezza che “la vita è come noi siamo capaci di costruirla” e spetta solo a noi aprire le porte verso gli altri: senza chiedere nulla in cambio, ma regalando il nostro amore, la nostra esperienza e la nostra saggezza, cercando una condivisione che può diventare comunione intima proprio come decide di fare il protagonista del romanzo.
Durante il cammino tutto può succedere e niente è precluso se veramente lo desideriamo e ci adoperiamo per fare in modo che succeda: le fatiche si dissolvono, le difficoltà svaniscono ed i problemi si risolvono: se, poi, si è anche un po’ sognatori ed idealisti come Nicolas viene da sé cercare di fare del bene per gli altri.
Tutto ha inizio quando Nicolas e l’amatissima moglie Annette, donna sempre allegra e con lo “spirito da ragazzina”, dopo anni di ripensamenti, finalmente decidono di trasferirsi in una località di mare, lontano dal caos cittadino, per trovare la sospirata serenità ed affrontare entrambi la stagione finale della vita, che “scivolava via sempre più velocemente” senza neanche lasciare il tempo di rendersi conto che Nicolas era malato ed i medici avevano consigliato il massimo riposo e una vita senza stress ed affaticamenti d’ogni sorta.
Fortunatamente la moglie Annette era una donna stupenda, “la donna della sua vita”, che lo conosceva in ogni più segreta emozione e pensiero: lui era un libro aperto e lei sapeva molto bene cosa fare e cosa dire per aiutarlo in ogni occasione.
Il destino riserva sempre sorprese e Nicolas, durante le sue passeggiate sul lungomare, incontra casualmente una ragazza che lavora in una sorta di chiosco e, dopo una chiacchierata con la giovane Siria, lui decide di aiutarla a studiare per il test di ammissione all’Università.
Questo inaspettato incontro cambia la vita di Nicolas, che desidera dimostrare a se stesso che è ancora un uomo in gamba e capace di grandi imprese, nonostante la malattia che lo sta indebolendo sempre più e, al contempo, l’incontro arricchisce la vita di Siria, che sarà orgogliosa del rapporto speciale che si creerà tra loro.
Seguiranno altre vicende, ma ruoteranno intorno al rapporto tra Nicolas e Siria, che, simbolicamente rappresenterà la figura di una figlia da amare e alla quale offrire saggi consigli per un futuro luminoso.
Le parole di Alfredo Bossetti sono impregnate d’umanità e di amore, dalla prima all’ultima pagina, sempre attento a spiegare le vele verso nuovi orizzonti che possono rendere la vita degna d’essere vissuta fino in fondo, fino all’ultimo respiro.
Nel mare magnum delle emozioni, che si susseguono senza sosta, Alfredo Bossetti alimenta la sua narrazione con mano amorevole e sparge, qua e là, come fossero spruzzate di zucchero a velo, meravigliosi gesti d’amore, accompagnati dall’intenzione di far capire quanto sia fondamentale impegnarsi in nuove sfide e gettare il cuore oltre gli ostacoli della vita: in fin dei conti, non arrendersi mai e continuare a vivere, amare, lottare e sognare.
Come capitava al protagonista Nicolas che, all’ora del tramonto, andava a fare una passeggiata sul lungomare, v’è la speranza che si riesca a fare la stessa esperienza: incontrare una persona che possa regalare nuova luce nella nostra vita.
Massimo Barile
Introduzione dell’autore
Questo libro è la realizzazione di un’idea, forse poco originale (le biblioteche abbondano di libri, e sicuramente nessuno ne avrebbe sentito la mancanza o avrebbe notato un vuoto da riempire) alquanto complicata (per uno che non ha mai scritto nulla se non i compiti a scuola ed in ultimo il proprio testamento) ed in sé decisamente presuntuosa.
Non sono uno scrittore nel senso più bello ed imponente che il termine racchiude e non ho l’ardire di inserirmi in quella categoria così nobile e prestigiosa che annovera fra le sue fila le leggende della letteratura mondiale come Dostoevskj, Hugo, Dumas e Rostand; geni di incommensurabile potenza espressiva nelle cui mani hanno preso vita, attraverso un sottile fiume di soluzione chimica, personaggi che hanno vissuto i propri ideali con un’energia in grado di stravolgere il mondo intorno a loro. Eroi di tempi perduti, sempre al confine fra mito e leggenda, che hanno disegnato la storia di una generazione e di un intero popolo allora, così come sono capaci ancora oggi di trascinare il lettore in un mondo fantastico, oramai irreale e irraggiungibile, ma sempre affascinante e unico.
Proprio per questo, chiedo scusa a coloro i quali per curiosità o spirito critico si accingono a leggere il presente libro: il rispetto del vostro tempo e la consapevolezza di non potervi garantire una lettura esente da sbadigli, mi potrebbero bastare a non intraprendere neppure questo percorso…ma penso, voglio credere e sono convinto di avere qualcosa da poter raccontare, da poter gridare al mondo. E quand’anche il libro dovesse risuonare come una musica difficile da ascoltare perché suonata da un pessimo musicista, sappiate che colui che la esegue resterà pur sempre un artista, magari solo nel suo piccolo mondo, nella sua mente, nella sua misera vita; ma nessuno potrà mai togliere a costui la speranza che un giorno, nonostante tutti gli insuccessi e le delusioni, qualcuno potrà raccontare di aver incontrato, magari solamente di passaggio, uno spirito originale e speciale: un uomo che ha voluto vivere, che non ha mai smesso di credere nella bellezza di un ideale, e che forse morirà per inseguirlo.
Ed ora, a me il vostro tempo, a voi la mia storia. Buona lettura.
Il lungomare
CAPITOLO 1
Era una bellissima mattina di primavera, una di quelle mattine in cui l’aria fresca inebria i pensieri e ti colpisce sul viso con la forza di una carezza: la carezza di una mano amica, che ti solleva lo spirito nei momenti di sconforto e ti aiuta a ritrovare quella serenità che pensavi di aver perduto.
Una brezza marina che dall’isola davanti al promontorio trasporta con delicata armonia i lontani aromi di agrumi e fiori di campo delicatamente mescolati, come solo l’abilità di uno chef o la mano misteriosa della natura sanno fare; e l’odore del caffè appena fatto e ancora ribollente nella macchinetta di acciaio inox stancamente appollaiata sul fornello della cucina, ricordano al mondo che una nuova alba sta aprendo gli occhi sulla nostra misera esistenza e ci saluta.
Il sole non era ancora spuntato anche se il suo astro luminoso colorava già l’orizzonte con le mille sfumature del giorno nascente che si sposavano con l’azzurro di un mare calmissimo, come da qualche giorno non capitava di ammirare.
Il tutto in una cornice di silenzio sconvolgente per coloro abituati al frastuono della vita frenetica di città, ma così famigliare per quegli animi introversi e riflessivi che non vedono l’ora di tuffarsi in quel mondo fantastico creato a propria immagine dalla loro fantasia proprio per potersi ritrovare, riscoprire e riflettere sui mille misteri che sconvolgono quotidianamente la loro vita e riempiono, semmai ce ne fosse bisogno e senza che nessuno ne abbia mai fatto richiesta, ogni ora, ogni minuto, ogni attimo di una vita alla quale spesso non sentono di appartenere.
Malinconia di un viaggiatore mancato, di un sognatore cresciuto vivendo la propria fantasia come un personaggio passivo, come in una vita parallela, all’interno di quei meravigliosi romanzi che lo hanno accompagnato nell’adolescenza; combattendo al fianco di Cyrano per sconfiggere quei cento giganti del male che popolano i nostri tempi, e sognando con lui di quell’amore per la sua Rossana; invidiando a morte la vena poetica che gli ispirava così soavi parole che liberandosi nell’aria, nascoste fra i cespugli, raccontavano di un amore impossibile ma immenso, incredibile; un amore capace di trasfigurare quel gigante buono, quel combattente valoroso ed invincibile, al punto da privarsi anche del proprio viso, della propria esistenza, pur di riuscire a vivere anche solo un attimo di gloria al fianco della ragione della sua vita.
Da giorni il tempo grigio, triste e malinconico non aveva abbandonato quella striscia di terra che si affaccia sul litorale di ponente al punto che Nicolas si stava domandando se avesse fatto la scelta giusta.
Dopo anni di ripensamenti aveva deciso, insieme all’inseparabile moglie Annette, di trasferirsi in quella località in riva al mare, isolata dal caos della metropoli, a oltre 600 km dal paese in cui era nato e vissuto per quasi sessant’anni, nella speranza di trovare un po’ di serenità per affrontare gli ultimi anni di una vita che gli stava scappando da sotto le dita, come la sabbia di una clessidra che ti si rompe in mano proprio quando la stai maneggiando con cura.
Non te ne accorgi, non ne capisci il motivo e neppure riesci a trovare risposte sensate: il vetro di finissimo spessore si frantuma mentre tu sei convinto di averci messo la massima attenzione e delicatezza nel riporre quel piccolo oggetto sul ripiano del mobile, senti un leggero pizzico sulla mano destra ma niente di grave, tanto sottile è il materiale che forma l’involucro dall’interno del quale ora ne esce una finissima polvere rosa che ti attraversa la mano, passa fra le rughe e nelle pieghe della pelle: cerchi di trattenerla, di non farla scappare sul pavimento perché sai bene che non potrai più riaverla.
E in quel momento ti accorgi, o meglio, ne prendi ancora maggiore coscienza, che quello che non riesci a trattenere non è solamente polvere di marmo, ma è la parte migliore di te che se ne sta andando perduta, quella a cui ti attacchi con le unghie e con i denti pur di non abbandonarla, come un ospite tanto atteso che non vorresti se ne andasse da casa tua subito dopo cena e ti inventi mille stratagemmi, mille cose da mostrare pur sapendo che lui li conosce già benissimo; sai che non gli importa nulla di quello che mostrerai, ma tu continui perché è l’unico modo per procrastinare il momento dei saluti; perché sai che nonostante le frasi di rito e di circostanza, non lo rivedrai più, mentre ti rimangono milioni di cose da raccontargli ancora, di battute su cui ridere ancora insieme, di ricordi che spolverano fotografie dei tempi che furono.
Poi però non ce la fai più, l’ora è ormai tarda e comprendi che non puoi trattenere oltre il tuo compagno di viaggio, e con la morte nel cuore lo saluti, lo abbracci, ti prometti di andarlo a trovare, mentendo così sia a lui che a te stesso e maledicendoti per questo.
Nicolas sapeva che nonostante tutti gli sforzi che avrebbe fatto, non sarebbe riuscito a trattenere la sostanza fredda che riempiva le ampolle della sua clepsamia, e guardandosi amaramente le mani tremanti, maledicendo la sorte avversa che lo aveva portato fin lì, rivolse ad Annette uno sguardo profondo, carico di disperazione e insicurezza che lei conosceva benissimo.
“Non ti preoccupare, tanto era vecchia e prima o poi si sarebbe rotta comunque; anzi, mi meraviglio che sia durata così tanto in questa casa, anche dopo il trasloco. Domani andiamo a farci un giro nel paesino qui vicino, dove abbiamo visto quel negozietto grazioso che vende tutta chincaglieria che piace a te e ne troveremo sicuramente un’altra da mettere sul mobile.”
“Sai benissimo che non è per la clepsamia che sono così…”
“Per cosa?” lo interruppe Annette, che non conosceva il significato di quel termine.
“Clepsamia, clessidra a sabbia, come fai a non saperlo?” si divertiva a prenderla in giro.
“Non sono stupida, ma tu usa parole normali… clepso, clepsia,… va beh, quello che è. Dire clessidra ti dà fastidio?”
“No, ma bisogna scoprire sempre parole nuove. La lingua italiana è così bella che ne conosciamo solamente una piccolissima parte.”
“Beh, io mi accontento e non sento certo il bisogno di parlare cifrato per farmi capire…”
Questo tipo di discussione simpatica era da sempre un punto che contraddistingueva il rapporto fra i due.
Un rapporto che durava ormai da trent’anni: trent’anni di avventura insieme che non avevano certo brillato per fortuna e allegria (se si esclude la nascita della loro unica figlia Martina) ma che nonostante le tribolazioni e le disavventure non erano riusciti neppure per un attimo a scalfire un rapporto di reciproca intesa e complicità che li rendeva forti, sempre pronti a rialzarsi.
Al punto che anche all’interno della ristretta cerchia di amici erano considerati la coppia per eccellenza, quella con cui era sempre piacevole trascorrere una serata di mezza estate: la benevola e reciproca sopportazione li aveva aiutati a stringere un’unione che i più scettici ritenevano impossibile, irrazionale, che non sarebbe potuta durare a lungo.
Annette era la classica ragazza di città. Amante della comodità che derivava dall’aver provato cosa volesse dire il termine «privazione», dall’aver avuto come compagni i morsi della fame quando i suoi genitori avevano investito tutti i risparmi e si erano indebitati per potersi comprare una casa nei sobborghi della metropoli, si era ripromessa di evitare per il resto della vita spese folli e colpi di testa che potessero anche solo lontanamente ricordarle il rischio di rivivere quei giorni lontani.
Non aveva vizi, non fumava, amava lo shopping come tutte le donne della sua età ma con la consapevolezza di sapersi fermare al momento giusto e non eccedere mai, anche solo per un attimo.
Concreta, sempre attenta alle sfumature che coinvolgevano l’oggetto del contendere, dotata di uno spirito pratico e di un acume al di sopra della media, era stata più volte l’artefice delle decisioni principali della famiglia.
Si sentiva giovane Annette, ed il suo spirito da ragazzina emergeva sempre all’interno di qualsiasi compagnia o gruppo occasionale in cui si trovava.
Sempre allegra e spensierata, non faceva mai trasparire di fronte agli altri i problemi che la tormentavano e che solamente lei e Nicolas conoscevano.
Lui spesso si impegnava a far emergere i problemi davanti agli amici, ma non con lo spirito di colui che vuole girare il dito nella piaga (e questa era l’opinione di molti dei conoscenti che assistevano alle discussioni di questo genere) ma perché l’amava al di sopra di tutto e di tutti; era convinto (e con ragione) che l’apparente spensieratezza era in realtà una potente arma che Annette usava per non affrontare i suoi limiti, le sue paure, e nella quale preferiva rintanarsi come i bambini che si costruiscono un mondo immaginario e fatato nel quale scappare dalle molestie e dalle interferenze degli adulti.
Ma Nicolas sapeva che tenersi tutto dentro non le sarebbe servito a nulla. Anzi, peggiorava uno stato d’animo che non si confaceva al bellissimo sorriso che illuminava quel piccolo e dolce visino che lui amava tanto.
Per quello si sforzava, anche a costo di sembrare antipatico e insensibile, di costringerla a parlarne con gli amici, a sfogare le sue frustrazioni, a liberarsi di quei pesi che non ti uccidono subito, ma lentamente ti consumano e non ti fanno vivere.
Lei lo sapeva, lo capiva, ed in cuor suo ringraziava la sfrontatezza di parlare davanti ad estranei dei loro problemi.
All’inizio timorosa, ma alla fine della serata contenta di aver avuto l’occasione per buttare fuori quello che le opprimeva il cuore.
Nicolas, al contrario, era uno spirito sognatore.
Viveva spesso in un mondo irreale, idealizzando tutto e tutti e arrabbiandosi ogni qualvolta la realtà non combaciava con i suoi principi di onestà, lealtà e rettitudine. Annette ripeteva spesso che la sua vita era attaccata ad una nuvoletta indipendente dalla realtà e lo invitava spesso a scendere con i piedi per terra.
“Non puoi pretendere che tutti ragionino allo stesso modo e che quello che secondo te è giusto potrebbe non esserlo per gli altri.” Oppure: “Scendi dalla tua nuvoletta e guarda la realtà.”
Ma lui continuava a comportarsi come sempre, ignorando i consigli e proseguendo sulla strada maestra come un Caterpillar. Cresciuto con la mano rigida del padre che gli aveva tramandato i sani principi di lealtà e onestà, non sopportava le ingiustizie, anche minime.
Si innervosiva facilmente non appena vedeva qualcosa che non doveva essere. Bastava una banale discussione al volante con un qualunque automobilista della domenica (come chiamava tutti quelli talmente imbranati al volante che sembrava usassero l’auto solamente nei giorni di festa dopo una settimana da pendolari sui tram, sui filobus o sui treni) o una notizia di malasanità ascoltata alla radio o peggio ancora una violenza perpetrata sulle giovani donne. In quei momenti sognava di avere il potere di adottare pene esemplari per i malcapitati protagonisti di cotanta ingiustizia, dimenticandosi spesso che le sue origini cristiane lo avrebbero dovuto spingere verso il perdono e verso la seconda possibilità da offrire ad un’anima smarrita che ha perso il lume della ragione. Era consapevole che quei momenti nuocevano pesantemente alla sua già precaria salute, ma era più forte della sua volontà e non riusciva a trattenersi. A volte aveva pensato persino di recarsi da uno psicologo per farsi aiutare a controllare i suoi impulsi, ma poi si auto-convinceva che ce l’avrebbe fatta anche da solo, che era ancora abbastanza forte per potersi migliorare, che poteva aspettare a fare la conoscenza del dottore della psiche. Era diventato molto bravo a fingere con se stesso, lo sapeva, ma faceva finta di essere sincero. E come i tossici (nel senso più ampio del termine, intendendo coloro che hanno una forte dipendenza verso qualcosa) trovava sempre mille scuse per giustificarsi agli occhi del mondo, semmai qualcuno gli avesse chiesto spiegazioni.
Annette lo sapeva, ma lo adorava al punto da fargli credere che era riuscito ogni volta a essere più furbo di lei.
Erano da poco passate le 6.00, e di solito Nicolas era sempre l’ultimo ad alzarsi dal letto. Pigro come un orso che si sveglia dopo un lungo periodo di letargo, amava ciondolarsi qualche minuto nel letto prima di indossare le pantofole a prepararsi a vivere il nuovo giorno.
Quella mattina però, stranamente, Annette non si era ancora svegliata.
[continua]
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