Trucioli d’amore, di vita

di

Alfredo Guarino


Alfredo Guarino - Trucioli d’amore, di vita
Collana "I Gigli" - I libri di Poesia
14x20,5 - pp. 64 - Euro 8,50
ISBN 979-1259510365

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__In copertina: «Gabbiano su sassi» dipinto di Franca Scolari Papalia
__


PREFAZIONE

Nella poesia di Guarino convivono la tradizione parlata, dionisiaca, oraziana e la struttura sintattica, prosodica e radicale della lingua colta. Tale dicotomia, già evidente
nelle precedenti sillogi, in “Trucioli d’amore, di vita” viene dichiarata ab origine, come se l’Autore ci volesse dire: in me convivono due anime. E l’una non potrebbe vivere senza l’altra. Del resto nell’animo di un grande avvocato non può non coesistere e interagire, senza tentennamenti e soluzioni di continuità, questo doppio binario, alla continua ricerca di uno “scambio” che, lasciando che le rotaie si abbraccino, faccia deflagrare la poesia.
È anche evidente che attraverso la moderna musicalità dei versi sovente si raggiunge la purezza lirica, l’immagine icastica, tenera a volte, ammonitrice altre. In “Trucioli d’amore” la tramatura del linguaggio è figurativa, corporea, tattile, ma è un verso che parla all’anima, è una “dose” per drogati d’amore.
Scendiamo nel dettaglio di alcune poesie. In “A me non s’addicono” la chiusa è sorprendente, materica. Il lettore è costretto a materializzare l’immagine: “…so solo raccogliere una goccia di pioggia diradata e tenerla fra le labbra”. Potrei citare il Neruda più realista e intimista a un tempo, ma l’immagine è talmente bella che, pur se tutto è stato scritto, ha una sua unica, silvana, bellezza.
O l’apertura lirica dell’incipit de “L’incanto non di occhi soltanto”: “Due calici a tutto tondo ricolmi di vino rubicondo, terrazza che si affaccia su tramonto sognato di fuoco dorato…” mi ha riportato alla mente due versi di Ferdinando Russo: “veco ‘e mmure ‘e Paraviso cchiù de ll’oro e cchiù d’ ‘o ffuoco…”
E la metafora elegiaca e al contempo prepotentemente fisica di “Terremoto di grazia”: “Il fremito del tuo corpo terremoto di grazia, (…) il distendersi delle mani apertura di ali…”
La parola attinge l’anima stessa dei sentimenti, fissati in un attimo eterno, fra le ombre e la caducità del ricordo. La materia poetica di Guarino non è mai dolorosa o patetica, è segno assai spesso di letizia, di serena riflessione e talvolta di struggente ricordo. Nel lirismo dell’Autore troviamo sempre spiragli di vita, ansia di rinascita, mai cupo pessimismo, semmai nostalgia o “saudade”, se preferite.
Ma mi piace citare i versi dell’Autore e le suggestioni, i riferimenti alti che mi hanno suggerito per comunicare le sensazioni che io ho provato e che certamente il lettore proverà: “Cassatella di sfiziosità, limoncella zuccherosa, ciliegina sugosa…”. Questi versi non fanno pensare a “Don­n’Amalia ‘a Speranzella, quando frie paste cresciute, mena ll’oro ‘int’ ‘a tiella…” di Salvatore Di Giacomo?
“A una lucciola di sabbia” comincia con un verso che si ripete poi più volte: “Ho voglia di amare” come martellante ossessione, simile a quella che troviamo in “Questo amore” di Jacques Prévert, e che poi si conclude con un minaccioso ed esplosivo “Ho voglia di urlare”.
E in “Cappotto marrone” ritrovo il mio amato Paolo Conte, uno dei più grandi nostri poeti contemporanei, non solo per il richiamo al suo “tinello marron”, ma per il finale:“Dio degli eterni rafferma quell’attimo, non lasciarlo andare via, mai”.
“La clessidra dell’amore” nella sua pretesa di fissare l’attimo nell’eternità ci riporta all’Ars amatoria di Ovidio, ma ben presto ne “L’alba del caffè” ci ritroviamo sul balcone di Eduardo in “Questi fantasmi!” a goderci il “tostato” e il profumo del caffè.
Ma l’ansia di giustizia del penalista si riaffaccia subito in apertura di “Trucioli di vita” con “L’undecimo mancante”, per tornare a Paolo Conte ne “Il tango degli ossimori”: “coppie che entrano coppie che escono a ballare il tango degli ossimori…”
Il passare degli anni con i suoi “scaffali impolverati”, immagine meravigliosa, mi fa pensare all’Ungaretti più malinconico e conciso.
E, infine, “Creta delle mani” lascia su di noi un’impronta, una traccia indelebile. Mi perdonerete le citazioni di tanti grandi poeti, ma la mente vola dove vuole e io “devo” seguire le volute del pensiero.
Da attore ho sempre pensato che le poesie si “dicono”, non si recitano. Si rischia di duplicare l’effetto della composizione alterandone l’ispirazione. Chi ascolta poesia vuole sentire l’autore, non l’attore. Una sola volta, in un pomeriggio dorato, leggendo “Salpare da Capri”, che conclude la raccolta “Chicchi di poesia” di Guarino ho “interpretato” l’autore. Ma in quel caso era necessario, l’onomatopea, degna del miglior Palazzeschi, mi obbligava a farlo. Mi auguro di poter “dire” tante altre sue poesie. E auguro ad Alfredo che la sua vena, il suo stato di grazia, non si esauriscano mai.

Geppy Gleijeses


Trucioli d’amore, di vita


TRUCIOLI D’AMORE


SINO ALL’ALZAR DEI SOLI, AL CALAR DELLE LUNE

Non chiedo tua prigionia,
i tuoi piedi corrano sulle spiagge,
la tua mente apra le pagine del sapere

non voglio sapere, non voglio investigare
il tuo operare,
il tuo incontrare,
il tuo vagare

non prendo tua libertà

non voglio sapere, non voglio investigare
quanto lungo è lavorare
quanto traffico è penare
quanto tempo è aspettare

ti chiedo imprigionata senza prigionia,
da un bacio sincero,
almeno uno al dì,
da un bacio che sia vero

sino all’alzar dei soli
e al calar delle lune


A ME NON S’ADDICONO

A me non s’addicono
parole d’amore

gocce di pioggia diradata
ti segnano

senso di umido
sapore di rugiada

al giaciglio di foglie
s’addice la rosa

saltare sull’albero
è senza colpa, lo so
e tuffarmi nel fiume
e rotolarmi
nell’erba

a me non s’addicono
gesti d’amore,
so solo raccogliere
una goccia di pioggia diradata
e tenerla fra le labbra


L’INCANTO NON DI OCCHI SOLTANTO

Due calici a tutto tondo
ricolmi
di vino rubicondo,
terrazza che s’affaccia
su tramonto sognato
di fuoco dorato,
a rimirar
monte di verde adornato,
a inseguir
luccichio di luna su onde
rimbalzato

sentor
di vino e pelle bianca,
a sfiorar incanto
non di occhi soltanto,
battito d’ali andato
e calice svuotato

ciascun in stanza sua

a non più guardar
tramonto sognato
di fuoco dorato,
monte di verde


TERREMOTO DI GRAZIA

Il fremito del tuo corpo
terremoto di grazia,

il tremore del respiro
ritmo di ottoni,

che s’inerpicano
che s’inabissano,

il distendersi delle mani
apertura delle ali,

il rinchiudersi delle mani
pugni di gioia,

il sospiro del finale
chiusura di acuto,

e quella tua parola
a non far la notte sola


TRUCIOLI DI VITA



L’UNDECIMO MANCANTE

a quella fiera atroce
che di colui che la nutriva
pasto fece assai veloce

alla donna che nel letto
dell’uomo suo prese
l’amico prediletto

all’allievo così destro
che il lavoro tolse
all’amato suo maestro

all’uomo assai regale
che a donna sua regalò
dolore assai letale

all’ospite bene accolto
che poi se ne discese con quel
che di nascosto avea raccolto

a quel soccorso e aiutato
dal quale si restò
alfine derubato

al compagno preferito
che poi si discoprì
esser quel che avea tradito

la pelle di costoro
non è pepita d’oro

l’undecimo difetta
al Gran Legislatore

il rintocco gli mancò
della gratitudine
al dettar le ore


AL PIOPPO SOLITARIO

Al pioppo che solo fra le rocce
infreddolito riceve docce
e resiste
al battito dei venti
più insolenti,
all’abbraccio dei marosi
più peccaminosi

le tempeste
gli fan le braccia deste,
coi suoi rami
trattiene gli uragani

spavaldo
non teme il mar ribaldo,
pacioso
attende del bimbo il ton giocoso

solitario nella lotta, nella vita
a dir che mai è finita


TUFFARSI NELL’INFINITO

Tuffarsi
nell’infinito,
dove ogni limite
è un’ipotesi
scavalcata

Inebriarsi
di polline
e nettare,
afferrare
a piene mani
la manna
che discende
nell’animo

Drogarsi
di aromi
e sensazioni,
di cose
che vengono
da lontano
e parlano
dentro

Dissotterrare
la profondità
dei gesti

degli sguardi
degli umori

Intrecci
acerbi
di frutti maturi

Gazzelle
e gabbiani
fuggono liberi,
a dirti
l’epos antico
e rinascente
della vita

Solitaria
ricerca
incantata,
disincantato
ritrovato
rassicurante
teporoso
senso d’umano

Leggiadria
in densi silenzi
cromatici

[continua]


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