Punto e virgola

di

Alice Cislaghi


Alice Cislaghi  - Punto e virgola
Collana "Le Schegge d'Oro" - I libri dei Premi - Poesia
14x20,5 - pp. 44 - Euro 8,50
ISBN 978-88-6587-9979

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In copertina: illustrazione dell’autrice


Pubblicazione realizzata con il contributo de Il Club degli autori per il conseguimento del 1° posto nel concorso letterario «Il giro d’Italia delle poesie in cornice» 2017


Prefazione

Nella silloge di poesie, “Punto e virgola”, Alice Cislaghi offre una rappresentazione del suo mondo lirico, sempre proteso ad indagare la realtà, attenta ad ogni sua manifestazione, fino ad indagarne anche la più labile percezione.
Si avverte la consapevolezza che il percorso d’ogni essere umano deve fare i conti con il caos e le contraddizioni del vivere, contrastare i dissidi e sanare le lacerazioni che, inevitabilmente, costellano il cammino: e lei, come minuziosa “ricamatrice”, cerca di recuperare ciò che merita di essere preservato dalle insidie del tempo, dalle dispersioni della memoria, dalle ombre della malinconia, per cercare di superare le “immobilità” ed il travaglio delle esperienze esistenziali.
Nel processo lirico emerge il desiderio di ritrovare uno spiraglio luminoso tra i “segni” e le tracce che si susseguono davanti agli occhi che scrutano la vita, indagano il mondo, oltre il “muro” dell’indifferenza e dell’isolamento, costantemente estrapolati dalle abitudini: ecco allora che si evidenzia quel continuo anelare “ad altra vita”, ad una nuova dimensione superiore che oltrepassi la linea di confine del quotidiano esistere.
La sua visione allora si espande, protesa a ricercare il senso autentico dell’esistere, dopo aver combattuto contro il tempo e la solitudine.
Lei si sente “nuda terra”, si immagina aggrappata come “vite” all’amore che esalta, che accompagna e protegge, che arde nel cuore e nutre gli occhi: sostanza invisibile che diventa nutrimentum, fino al lento abbandono che si fa “fragile” lasciarsi cullare di una donna che porta nel cuore una dirompente passione, perennemente tesa ad una fusione d’amore, che diventa un liquefarsi nell’altro.
Sul palcoscenico della vita tutto viene pervaso di tale sentimento d’amore, tra respiri e sguardi, pensieri e parole, vertigine immane ed estasi.
Alice Cislaghi osserva la realtà scrutandola nel profondo, per estrarre ciò che ritiene vero, senza false maschere né infingimenti, ma cercando sempre di illuminare la sostanza autentica dell’umano vivere: la sua poesia è penetrante, fulminea, a volte, capace di insinuarsi come lama nella carne, altre volte, nella sua brevità, riesce a fissare, con pochi versi, le intenzioni liriche, sempre profondamente sentite.
La sua visione poetica risulta dolce e malinconica, complicata e semplice, allo stesso tempo capace di severa critica della realtà come di suscitare l’animo con ricercate e delicate immagini: la sua capacità di muoversi tra i mutamenti della vita ed affrontare le metamorfosi dell’esistenza la conduce ad offrire se stessa, con sincerità e animo limpido.
La sua Parola si alimenta di tale sostanza lirica e si propaga, si dilata dentro l’animo di una donna che pone a caposaldo della sua visione la comprensione, la comunione dei sensi, l’appagamento di un cuore che vive in un altro cuore, per saziare le richieste di un amore “sincero”: le emozioni “affrancate all’usura del tempo” conducono alla necessità vitale di “saper amare davvero”, senza inganni, svelando se stessi.
Nel susseguirsi delle liriche della sua silloge emerge prepotente, infine, la consapevolezza della poetessa che svela la sua visione quando scrive: “Il poeta è pieno delle cicatrici dei propri versi”, come scrivesse con il suo sangue la “danza amorosa” che si svolge nel cuore.
Dal giacimento memoriale i “ricordi danno forza”, diventano strumento per “ridisegnare itinerari” nel continuo dispiegarsi della vita, fino a raggiungere un’oasi mentale che sia “scrigno” della propria vita.

Massimo Barile


Punto e virgola


Anche l’usignolo piange
ma al mondo sembra canto.
Dedicato a me.


Fasto e degrado

Irroro d’acqua i miei terreni
e come sempreverde cresce
la pianta dell’angoscia,
e mi improvviso contadina.

Cucio la mia pelle
dalle tue lacerazioni,
piaghe di presenza
e mi ritrovo ricamatrice.

Cerco folle per zittire il silenzio
corro per disfarmi delle immobilità
prego per espiare il mio tormento.

Amo ciò che è in degrado
perché annientato,
dal fasto è passato.


Cammini

Cammini
nelle strade
e nel caos della modernità,
ed ecco, come nella vita
a spigolo tra due case
apparire un’edicola
a ridarti il senso della sacralità.
Prosegui
su strade
combattendo il tempo
e ti imbatti in una casupola
isolata nel campo
che ti ricorda la solitudine
che rumore fa.
Sosti
per riprendere aria
e scorgi
nel vetusto muro
che da una crepa
sorge un papavero
e ti ricorda che
tutti i segni che ti servono,
magari nell’ombra
isolati dalla folla
dimenticati dall’abitudine,
sono intorno a te
dove occhi e gambe
incedono.


Oleandro

Io, nuda terra,
seme ti piantai
accanto
a statua greca
accadde
Ananke di nome
fatalità di fatto.
Oleandro crescesti
in me, per anni.
Incurante anelo
il tuo ritorno,
come moglie di marinaio
attende l’orizzonte
su sperone assolato,
e diventa cieca e si fa mattina,
altro giorno, altra vita.


Di vite in vita

Di vite in vita
da mosto in vino,
donami seme
compimi in fiore,
ginepro selvatico
istmo d’amore.


Trincea

Corpo in prima linea
cuore in trincea,
sei la mia guerra
un colpo di stato.
Indici plebisciti in me
incidi bassorilievi
del mio cammino.
Incedo
tra mazzi di cipressi
procedo anelandoti.
Tu sei pendio
io vite aggrappata
alle tue pendenze.
Esplodi la tua granata
in questo campo incolto
riversa lasciami.
Non cresce seme
tra due alberi vicini
che si fanno ombra.


Ritorni

Prima vera
fioritura,
rito
di ritorno,
funzione e finzione
di natura,
culto
sfiorato.


Tocco d’amore

Ci siamo amati stasera,
le mani simulacro
dei nostri corpi.
Sole di agosto,
ho asciugato i tuoi mari,
goccia dopo goccia
sei evaporato in me.
Con l’indice mi hai accarezzato,
anulare e medio mi hanno spogliata,
col calore del palmo mi hai amata.
La mia anima in quello sfiorarsi,
la mia libido in quell’appartenersi,
sottopelle hai danzato.
Quando il sole incrocia il mare
il colore si compie,
la bellezza si celebra,
l’amore si fa,
la vita si esalta.


Normalità

Dove sei.
Cosa pensi.
Quando arrivi.
Lo strofinio degli occhi
la calda carezza
quel soffio di Zefiro,
è il mio pensiero
il mio sintonizzarmi a te.
Amore mio
amore mio bello
amore mio mai.
Io ti proteggo
ed io mi anniento,
io ti accompagno
ed io mi perdo,
io ti vizio
ed io mi avveleno,
di bramosia
che si fa inchiostro
di un inferno di sola mano
di un paradiso condiviso.


Quando non ci sei

Quando non ci sei,
come un profeta
aspetto, le tue parole
le bramo, accolgo, dilanio
fino a farne parte.
Non dirmi che sono importante
lo capisco
non dirmi che mi pensi
lo sento
non dirmi che mi ami
siamo l’amore.
Bellezza rara
felicità fulminea.
Sei la carezza serale
lo stimolo universale
il diniego e l’infrazione
la purezza e il peccato.
Quando non ci sei
rivaluto la luna
per sentirmi meno sola
per il suo fascino rievocativo
per l’irresistibile malinconia.
Arriva in punta di piedi
illumina con educazione,
alone di note classiche.
Contraddittorio è volere
la tua partenza,
in essa vibro di te,
mancanza che mi consuma
pervade
d’amore.


Amanti

Abili metà
meta e alibi
fatuo contorno
di non ritorno.

[continua]


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