“Là dove iniziano le case nuove,
finisce in tristezza codesta storia,
non domandate, a lungo e invano,
chi, per paura si prese la vittoria.”
Seline ha avuto tutto dalla vita.
Mise in gioco se stessa… per un uomo e la sua terra.
FIRENZE, luglio 1992
Fra le dolci colline della campagna fiorentina sorge una splendida villa, della seconda metà dell’ottocento, circondata da alberi secolari che la rendono simile ad un diamante incastonato in un diadema di smeraldi.
Appartiene al professor Giulio Daini, un luminare della medicina, noto per le sue grandi opere umanitarie e per la profonda dedizione alla professione. La villa l’aveva ricevuta in eredità dai suoi nonni e dopo averla fatta restaurare l’aveva ribattezzata con un nome insolito, ma certamente caro al suo nuovo proprietario: Villa Seline.
La grande dimora divenne da subito la residenza della famiglia Daini.
La moglie di Giulio è una donna dalla bellezza mediterranea e dal carattere dolcissimo, il suo nome è Gabriella Serra ed entrambi vivono per aiutare la gente che soffre e per i loro tre bambini che adorano. Le grida gioiose dei loro figli distolsero Gabriella dal suo lavoro di cucito, mentre prendeva il fresco sulla veranda che dava sul giardino, e sorridendo si rivolse al marito accanto a lei.
“Che diavoletti questi figli! Ma non si stancano mai, neanche sotto questo sole?”
“Cosa vuoi farci tesoro, sono giovani!” le rispose il marito, strizzando un occhio e ridendo, sempre pronto a stuzzicarla bonariamente.
“Già, noi siamo decrepiti!” esclamò borbottando Gabriella.
“Da ciò che cresce in te, non credo! Non male per un quarantaquattrenne, no?” La prese in giro Giulio guardandola con adorazione, lei era, infatti, in attesa del loro quarto figlio.
“Dottor Daini, credo che dopo questo parto …sarò io a mettermi in pensione! Ti amo dottore, ma lo sai…” In quel momento tre monelli scatenati si catapultarono verso le loro sedie a sdraio, sudati, accaldati, sfiniti, eppure ancora in grado di essere estremamente esuberanti.
“Mamma! Papà! Abbiamo sete! C‘è ancora un po’ di aranciata?” domandò la più grande dei tre asciugandosi il viso madido di sudore con il bordo della maglietta.
“Sì, ma è meglio che prima vi riposiate un attimo all’ombra, siete troppo sudati! Gaia, tu siediti vicino a papà. Voi due bricconi qui vicino a me e state fermi!” Intimò loro con risolutezza cercando di dare una parvenza di severità alle sue parole, ma invano. I figli sapevano benissimo che in lei la dolcezza prevaricava ogni rigidità educativa.
“Papà! Lorenzo dice che la storia della zia Seline è solo una favola, ma io non gli credo!” disse Marco, il gemello dello scettico Lorenzo.
Erano due bei bambini di dieci anni, alti, scuri di capelli ed assolutamente identici.
“Hai ragione Marco, è una storia vera ed è accaduta molto tempo fa.”
Rispose con assoluta serietà Giulio. Intervenne Gaia che, con i suoi undici anni iniziava a provare curiosità per le storie della propria famiglia, voleva saperne di più.
“Papà, ti dispiacerebbe raccontarcela tutta questa volta?”
Giulio e Gabriella si guardarono simultaneamente negli occhi, lei annuì leggermente e gli diede il proprio consenso. Quella era una storia della sua famiglia e toccava a lei decidere se raccontarla nella sua interezza.
Con un sospiro, Giulio si rivolse ai suoi bambini e tornò indietro nel tempo evocando i ricordi ed i fantasmi del passato.
“Era pressappoco questo periodo, agli inizi di luglio del 1980, faceva molto caldo, proprio come oggi. Tutto ciò che vi racconterò accadde in Sardegna, nel paese dove nacque vostra madre. Il nome della donna era Seline Poquelin… ed era bellissima.”
CAGLIARI, luglio 1980
Uno scintillante DC 10, proveniente da Parigi, atterrò con un assordante rombo sulla pista dell’aeroporto di Cagliari. Sprigionava una miriade di riflessi meravigliosi, ma tanto gelidi da far pensare ai ghiacci artici. Il clima, tutt’altro che artico, era talmente torrido da far sembrare l’asfalto un’enorme massa liquefacente sotto le ruote impazzite del velivolo. Una voce gentile, un poco annoiata, annunciò in varie lingue di slacciare le cinture di sicurezza ed uscire dal portellone laterale dell’aereo. Il veloce viaggio fra le nuvole era terminato.
Tutti i passeggeri, o quasi, con sollievo posarono i piedi al suolo e corsero a salutare i parenti e gli amici che li attendevano all’uscita dei voli internazionali. Fra di loro c‘è chi è solo, chi non ha paura di volare e chi al suo arrivo non ha nessuno che lo attende.
Uomini illustri, grandi industriali dallo sguardo di ghiaccio, magnati del petrolio in incognito e fra loro una ragazza. Non accade spesso che una così giovane donna si senta a proprio agio in compagnia di simili personaggi nella prima classe VIP. È una donna del tutto consapevole della propria bellezza ed intelligenza, delle proprie innumerevoli capacità.
Ha occhi grandi che celano i suoi pensieri, un trucco perfetto che esalta le iridi smeraldine punteggiate da piccole pagliuzze d’oro. Un delicato ed impertinente naso leggermente all’insù, la bocca morbida, ma con un atteggiamento spesso severo, troppo severo per la sua naturale forma. Un corpo perfetto e sinuoso, una chioma di capelli rosso mogano trattenuti da una fascia di seta bianca.
Con sicurezza chiama un facchino e si fa accompagnare, affidandogli il bagaglio, alla dogana. Mostra con nonchalance il suo passaporto ed il doganiere s’incanta un attimo a fissarla, poi si riprende.
“Buongiorno, signorina… vedo che è francese!” esclama con un tono ammirato e un po’ compiaciuto nell’aver indovinato la sua provenienza prima ancora di leggerla sul passaporto.
“Oui, di Parigi…” conferma la ragazza con un sorriso appena accennato.
“Seline Poquelin… Seline… che nome originale!”
“Merçi… Grazie, posso riavere il mio passaporto per favore?”
“Ma certo! Prego… spero che il suo soggiorno in Sardegna sia molto piacevole!” Le augura il galante funzionario sorridendole, con l’aria di un uomo che ha appena perso l’opportunità di chiedere un appuntamento ad una splendida ragazza.
“È quello che mi auguro anch’io, grazie! Buona giornata a lei…” risponde con un sorriso affascinante e misterioso la bella Seline. Con passo sicuro e flessuoso si avvia verso l’uscita dell’aeroporto, seguita dal facchino con il suo bagaglio.
Seline Poquelin era molto conosciuta in Francia e meno in Italia, il suo nome era celato dietro una famosa multinazionale che prometteva moda e bellezza. Proprietaria di un’industria di cosmetici parigina, ottima ed apprezzata stilista di moda, creatrice di raffinati modelli di calzature, era una celebrità negli ambienti mondani. Le sue doti erano innumerevoli, conosceva e parlava correntemente cinque lingue straniere, durante il liceo era diventata una famosa indossatrice ma dopo appena quattro anni d’intensa attività usciva dal giro delle passerelle e concludeva la sua gloriosa carriera all’apice del successo.
Naturalmente facendo in modo di non perdere alcun contatto con l’alta società parigina e dopo alcuni mesi Seline entrava a far parte della Gold Production in veste di dirigente aziendale, infine comprando il cinquanta per cento delle azioni ne diventava socia con tutti i diritti e responsabilità. La sua era stata una carriera lampo ed ora, a soli ventisei anni, era una delle donne più ricche e famose d’Europa, nota per la sua fredda decisione e determinazione negli affari. Non perdeva mai la testa, neppure nelle situazioni difficili, ma spesso anche i calcolatori elettronici hanno un cuore sotto la loro corazza di metallo e l’amore è la sola cosa che può mandarli in tilt.
Seline aveva avuto molte relazioni sentimentali, ma erano sempre state solo storie passeggere e ad ogni fine pochi erano stati i rimpianti. Ricordava tutti con amicizia e spesso non ne ricordava nemmeno i nomi. Erano tutti uomini senza alcuna importanza. Tutto ciò accadeva prima di incontrare Davide che rappresentava per lei qualcosa di più di una semplice avventura, per Seline lui era l’amore.
Non si era mai innamorata e non pensava che potesse succedere così velocemente, per la prima volta si era resa conto che la sua luminosissima vita non la soddisfaceva più come alcuni mesi prima, sentiva la necessità di una storia seria e duratura. Un amore vero da proteggere e vivere nel tempo con infinita dolcezza e passione. Per tutta la vita.
Seline voleva una conferma ai suoi sentimenti, aveva scritto e mai spedito lettere, si era convinta che l’unica soluzione fosse quella di intraprendere un lungo viaggio in quella terra che forse anche lei avrebbe potuto amare. Ora si poneva davanti un futuro con Davide, un uomo dall’aria eternamente dolce e dal cuore tenero, il suo cucciolo da amare e da difendere.
Lo aveva conosciuto a Parigi, per caso. Lui cercava la casa di un suo amico e lei lo aveva aiutato, ma l’amico aveva cambiato indirizzo.
Davide non conosceva bene il francese, i treni erano in sciopero, lui odiava gli aerei e non conosceva nessuno a Parigi. Nessuno tranne lei, in quel particolare momento. Così si era ritrovato ad accettare la sua offerta di ospitalità nel piccolo appartamento di Montmartre, che Seline divideva con una amica in quei giorni assente, ma lo aveva fatto con grande imbarazzo. E si era comportato da perfetto gentiluomo.
Seline istintivamente provò per lui tanta simpatia, poi stima e fiducia, infine scoprì di amarlo, ma non gli disse nulla.
Aveva capito che se lo avesse fatto fra di loro ci sarebbe stata solo una notte senza importanza e non era ciò che lei voleva dal loro magico incontro.
La voce del facchino la riportò alla realtà bruscamente annunciandole che il taxi era già arrivato, nel frattempo vi aveva prontamente caricato i bagagli, restando vicino all’auto in attesa della rituale mancia, che venne immancabilmente elargita.
Il taxi partì e lei si fece condurre all’Hotel Sardegna, ma si infastidì notando le lunghe ed eloquenti occhiate che il conducente le rivolgeva attraverso lo specchietto retrovisore all’interno dell’auto.
Si sentì enormemente sollevata quando la vettura si arrestò di fronte all’hotel e con freddo distacco pagò la corsa. Entrò nella hall seguita dal fattorino addetto ai bagagli, quest’ultimo non si distinse dagli altri uomini e non riuscì fare a meno di guardarla ammirato, sbalordito da tanta bellezza e freddezza. Seline lo notò appena e con calma si rivolse all’impiegato del ricevimento ospiti.
“Sono Seline Poquelin, ho prenotato una suite alcuni giorni fa per un periodo di due mesi, mi fermerò solo per questa notte e desidero che sia in ogni caso sempre a mia disposizione. Vorrei che per domattina mi fosse consegnata una vettura, una A 112 Abarth, se possibile, con il pieno di benzina naturalmente.”
“Certamente, madame Poquelin. La sua suite è al settimo piano, appartamento numero 724, posso avere l’onore di accompagnarla io stesso?” Le rispose ossequiosamente l’uomo con un sorriso che andava da un orecchio all’altro.
“La ringrazio…” acconsentì lei e si lasciò guidare attraverso l’immensa hall, uguale a tante che aveva già visto in giro per il mondo.
Giunta nella suite si rivolse di nuovo all’uomo in tono affabile “Sono certa che capirà se non scenderò a cenare nel salone, vero? Preferirei restare qui, penso che ordinerò per telefono.” Concluse regalandogli il più affascinante dei suoi sorrisi.
“Come lei desidera, madame… le auguro una buona notte!” Le rispose un po’ deluso, in fin dei conti non capitava spesso di avere una donna così misteriosa e di rara bellezza nel loro hotel.
Seline restò sola, finalmente sola. Non riusciva a pensare ad altro che all’espressione di Davide quando si sarebbero rivisti. Un dolce sorriso trasparì dalle sue labbra perfettamente truccate di costoso rossetto alla moda. Prese fra le mani il ricevitore del telefono e se lo portò all’orecchio componendo il numero del centralino.
“Sono la signora Poquelin della suite 724, vorrei ordinare la cena.”
“Attenda un attimo per favore, le passo il ristorante… Prego, ora è in linea…”
“Buonasera, potrebbe farmi consegnare un’insalata di pollo in gelatina, un pinzimonio di verdure scelte, freschissime, mi raccomando! ...E una bottiglia di acqua minerale naturale. Niente pane, né frutta e dessert, per cortesia… – disse gentilmente all’addetto del servizio in camera che le assicurò di avere solo il meglio e che tutto sarebbe stato di suo gusto – Ne sono certa…” Gli rispose con un ironico sorriso a fior di labbra e ne era veramente convinta, in fondo lei era Seline Poquelin, nessuno poteva non accondiscendere ai suoi ordini o desideri.
“La cena le verrà servita fra un’ora circa, le auguro una buona serata.” Rispose gentilmente l’uomo. Seline posò la cornetta del telefono e si accese una sigaretta, la prima da quando era arrivata.
Non fumava per abitudine, ma nella borsetta teneva sempre un pacchetto delle sue sigarette preferite, una marca pregiata che non si trovava nelle comuni tabaccherie, si chiamavano Mélange e le fumava anche il suo socio.
Quando si trovava all’estero acquistava sigarette leggere e cercava di non esagerare, ma in quel preciso momento si sentiva particolarmente ansiosa ed aspirò quasi con voluttà il fumo della sigaretta. Pur sapendo di comportarsi puerilmente, come un adolescente, le faceva piacere scoprire quel lato particolarmente sensibile del suo carattere.
Erano anni che non si sentiva così emozionata, così viva e piena di aspettative.
Per ingannare il tempo si mise ad ispezionare la suite che era spaziosa ed arredata in modo raffinato, il bagno era enorme e con ogni genere di comodità, vi era perfino un lettino per abbronzarsi con i raggi UVA. Una vera rarità che non tutti gli hotel avevano.
Sistemò il suo beauty case sul ripiano accanto ai lavandini di marmo nero e si accese un’altra sigaretta, tornò in salotto e s’immerse nella lettura di un libro che si era portata dalla Francia.
Qualcuno bussò alla porta con discrezione, era il cameriere con il carrello della cena e lo fece entrare, gli disse di lasciare tutto in mezzo alla stanza e lo congedò con una congrua mancia.
Osservò con un senso di nausea le pietanze disposte con cura e piluccò le verdure ed il pollo, non aveva appetito. Con disgusto pensò che era stato veramente inutile farsi portare la cena, tanto non l’avrebbe consumata.
Il cameriere tornò due ore più tardi per ritirare il carrello e rimase sorpreso nel vedere il cibo intatto. Secondo lui una ragazza così giovane avrebbe dovuto nutrirsi di più.
Seline sospirò di sollievo dopo che fu uscito, finalmente poteva struccarsi con calma e curare puntigliosamente il viso ed il corpo come faceva ogni mattina e ogni sera.
Guardandosi allo specchio notò vari segni di stanchezza e pensò che alcune efficaci creme, nonché l’irrinunciabile bagno, l’avrebbero aiutata a farli sparire. Si appuntò i capelli alla nuca, si struccò, s’immerse nell’immensa vasca di marmo nero, cercando di rilassarsi il più possibile e dopo una mezz’ora ne uscì con il medesimo stato d’animo di prima.
Passeggiò per la stanza avvolta in un grandissimo telo da bagno bianco, come in attesa di qualcosa che non arrivava, poi si distese sul letto e spense la luce. Al buio la stanza le pareva ancora più grande e solitaria, e ne ebbe paura.
Istintivamente si coprì con il lenzuolo di seta grigia e subito si sentì un po’ più protetta.
Le tornarono in mente le antiche paure di bambina, quando tutte le ombre della sua stanza le stavano intorno e la prendevano in giro. Lei non piangeva, cercava di farsi coraggio, ma loro erano tante e le ripetevano che lei era sola, era una brutta bambina sola e che, se non fosse diventata brava, sarebbe rimasta per sempre brutta e sola. Ma lei resisteva, diceva loro che non aveva paura e che avrebbe vinto le loro voci senza dover rimanere sola.
Odiava la solitudine e voleva avere sempre accanto a sé qualcuno, amici, conoscenti, adulatori o ammiratori, non le importava il motivo per cui essi la cercavano, tutti erano preferibili alla solitudine.
Solo in alcuni momenti accettava di restare sola, quando si chiudeva in se stessa alla ricerca di riflessive meditazioni ed alcuni ricordi felici le permettevano di vivere pacificamente con il suo IO più profondo.
Chiuse gli occhi sfinita, si addormentò di colpo, le ombre tornarono e la presero in giro come un tempo.
Il viso di Davide si fece spazio fra loro, la guardava fisso senza dire una parola, poi le sue labbra assunsero una piega amara, le sorrisero ironicamente ed infine si dischiusero in una risata sguaiata e maligna. Si svegliò con le lacrime agli occhi, madida di sudore e spaventata.
Sulla pelle nuda il lenzuolo aderiva al corpo rivelando le sue dolci e sinuose curve di donna. Si rese conto d’aver sognato ed intanto il sole stava nascendo sul mare.
Guardò fuori dalla finestra, tutte le ansie, angosce e lacrime scomparvero alla vista di quello spettacolo meraviglioso che metteva addosso una gran voglia di vivere. Scese dal letto ed entrò nel bagno, aprì il rubinetto della doccia e subito un fresco getto d’acqua la investì. Era proprio quello che le ci voleva con tutto quel caldo, si disse compiaciuta e poi iniziò a cantare allegramente un vecchio motivo francese, dopo circa mezz’ora era pronta ad ordinare un’abbondante colazione ugualmente francese. Croissant alla fragola, uova alla coque, pane croccante, latte fresco, una gigantesca spremuta d’arancia e tanto profumato caffé caldo. Aveva deciso di mandare al diavolo, per la prima volta, la ferrea dieta che si era imposta per dieci anni consecutivi.
Consumò lentamente la colazione gustando tutto con un piacere che non ricordava di aver mai provato e dopo aver terminato si preparò con cura prima di riapparire in pubblico.
Scese nella hall per ritirare le chiavi dell’automobile a noleggio e quando il portiere aprì la porta a vetri dell’uscita notò che i suoi bagagli erano già stati caricati sulla vettura.
A lei non restò altro da fare che partire e correre da Davide.
Fuori dalla città non vide che campi bruciati dal sole e dai pastori, non c’era anima viva, neanche i contadini erano chini sulle loro terre riarse ed a lei parve un paesaggio molto triste, poteva solo ammirare il coraggio dei supplicanti ulivi in totale balìa della furia del vento impietoso e senza tregua.
Divenne improvvisamente malinconica, ma subito la malinconia passò lasciando spazio ad altri pensieri. Si rese conto d’avere un inizio d’emicrania e capì che se avesse proseguito avrebbe certamente perso il controllo della vettura. Accostò immediatamente al ciglio della strada per riprendersi un attimo. Era dovuto sicuramente al caldo estivo che a lei, non essendoci abituata, pareva tremendo e sfibrante. Si deterse la fronte con un fazzoletto, rimpiangendo di non aver chiesto un’auto con l’aria condizionata, e poi ripartì a gran velocità. Prima arrivava al paese di Davide e prima si sarebbe riposata, pensò fra sé, ma alla vista di una solitaria stazione di servizio non seppe resistere alla tentazione di fermarsi a bere qualcosa di fresco.
Scese dalla vettura, che aveva parcheggiato all’ombra, e si avviò verso l’entrata del bar, tutto intorno era deserto e solo lo snervante frinire delle cicale sotto il sole rivelava la presenza di esseri viventi. Scostò prudentemente la leggera tenda davanti alla porta ed entrò nel locale vuoto tranne che per un bancone ed alcuni tavolini con le sedie.
Guardò l’ora, un gesto abituale quando era nervosa ed ansiosa. Nessuno era vicino al bancone, probabilmente visto che era già ora di pranzo il padrone stava mangiando, pensò.
Un uomo apparve dal retro, era piuttosto anziano dall’aria bonaria e gentile.
“Oh, buongiorno signorina, non mi ero accorto che fosse entrato qualcuno… di solito sono pochi quelli che si fermano qui. È da molto che aspetta?”
“No, solo da qualche minuto… Ero entrata per bere qualcosa e poi mi sono accorta che è già ora di pranzo. Questo locale è anche una trattoria?”
“Non direi, è solo una stazione di servizio, un dopolavoro per i minatori, ma da qualche mese la miniera è chiusa ed allora tengo aperto solo per i pochi turisti di passaggio. Che cosa desidera bere?” Le spiegò l’uomo con pacata semplicità.
“Un’Anisette, ma per favore può aggiungervi dell’amarena e dell’acqua ghiacciata?” Gli domandò Seline con un sorriso titubante per l’insolita richiesta. Lui la guardò sorpreso.
“Era proprio quello che intendevo fare, lei se ne intende! – disse con grande ed evidente ammirazione – Immagino che lei sia francese, vero?” Le domandò sorridendo.
“Non pensavo che si notasse così tanto…” gli rispose scherzosamente Seline con una buffa smorfia che fece ridere entrambi.
“Lei è la Francia in persona ed io, che ho passato la mia giovinezza nel suo paese, non stento a riconoscerla.” Le rivelò con semplicità.
“Ha davvero lavorato in Francia? Dove, se non sono indiscreta?” S’incuriosì lei.
“Se ha tempo l’invito a pranzo. Io e mia moglie siamo soli e ci farebbe piacere poter ricordare con lei i momenti più belli della nostra vita. Io lavoravo al Le Fouquet’s ed ero le Premier Barman. Il capo barman, direbbero da queste parti, ma per me fu grande onore lavorare per quel prestigioso locale!” Disse l’uomo con evidente orgoglio.
“Le Fouquet’s… sur les Champs Elysées! È un locale magnifico… benissimo, accetto il suo invito!” Acconsentì prontamente Seline.
Il pranzo fu semplice e gustoso, passò un bellissimo pomeriggio in compagnia dei due deliziosi ospiti, era felice di poter ricordare con loro la Francia del passato in un periodo in cui lei era ancora solo una bambina. Al momento del congedo li abbracciò riconoscente per la generosa accoglienza.
“Vi ringrazio, siete stati fin troppo gentili e premurosi con me. Ho trovato un po’ di casa mia nella vostra ed è stato fantastico! Arrivederci, e… grazie di tutto!” Li salutò sorridendo con genuino calore.
“Arrivederci, Seline… le auguriamo delle belle vacanze nella nostra magnifica terra e torni a trovarci!” Le disse il padrone della stazione di servizio.
Seline salì sulla sua auto e riprese il viaggio, aveva saputo dalla coppia che non mancava molto ormai per arrivare al paese di Davide.
Venti minuti dopo, la sua principale preoccupazione fu quella di trovare un alloggio dove vivere nei prossimi due mesi che si era prefissata per la sua prima vera vacanza in dieci anni di lavoro.
Entrò nel primo negozio di tabacchi che vide e comprando le sigarette domandò se, nei dintorni, c’era qualche casa da affittare per il periodo estivo. Le risposero che forse avrebbe trovato un alloggio presso un’anziana coppia del posto. Seline vi si recò immediatamente e giunta davanti ad una grande casa la fissò un po’ perplessa, ma visto che l’indirizzo dato corrispondeva perfettamente pensò che doveva essere proprio quella.
Bussò pesantemente al portone di ferro e non ottenne risposta, poi si accorse del campanello accanto ad un grosso anello di ferro battuto e lo suonò. Dopo alcuni minuti una donna venne ad aprire. Seline non si aspettava di vedere un’anziana donna, gracile e minuta, aprire il pesante portone con l’agilità di una ragazzina e ciò la colpì molto. Immediatamente si riprese e con gentilezza e cordialità si rivolse alla donna che aveva davanti in attesa.
“Buongiorno signora, al negozio di tabacchi mi hanno detto che lei affitta alloggi per tutto il periodo estivo… volevo chiederle se è ancora valida l’offerta per luglio ed agosto…” Esordì cautamente la ragazza.
“Sì, signorina… ma non sono alloggi, noi affittiamo solo camere ai turisti. Non so se lei si adatterà a vivere qui con noi, vede… nel paese vicino c‘è un albergo molto più comodo e forse…” Spiegò la donna, ma Seline la interruppe.
“Signora, non si preoccupi per me, sono sicura che ciò che lei mi offrirà andrà benissimo per tutta l’estate… se me lo concederà, la ringrazio fin da ora.” Le rispose con risolutezza lei.
“Va bene… se vuole entrare in casa potremo parlare con più calma, senza dare spazio alla curiosità della gente.” Concluse la donna con fare sbrigativo e diffidente.
Seline non diede peso alle sue parole, ma non appena si voltò indietro per controllare se aveva parcheggiato bene la sua auto, si accorse che alcune donne la stavano fissando con insistenza e notevole interesse. Sentendosi osservata provò un gran senso di fastidio, ma reagendo d’istinto accolse la sfida e scusandosi con la donna le disse che andava a parcheggiare meglio l’auto.
Senza alcuna fretta si avviò verso la vettura sotto lo sguardo scandalizzato delle donne e quello incuriosito degli uomini, lasciando intravedere il profondo spacco della sua gonna mentre vi saliva. Alla vista delle bellissime gambe la folla femminile si disperse con un brusio vociante d’invidia, gli uomini cercarono di far passare inosservati i loro sguardi, facendo quasi ridere dal divertimento Seline che era abituata a quel genere di reazioni.
Parcheggiò la vettura in una strada vicina e tornò dall’anziana donna che la ricevette in un grazioso portico completamente arredato con oggetti folcloristici sardi. Nel salone, dove la fece accomodare, i mobili erano tutti in stile rigorosamente tradizionale ed antico.
Si sedettero su di un comodo sofà e finalmente la donna le rivolse alcune domande che parevano doverose, ma che si rivelarono solo un po’ invadenti.
“Signorina, prima di assegnarle la stanza vorrei rivolgerle delle domande…”
“Penso che sia nel suo diritto, signora.” Rispose con cordialità Seline, ma i lineamenti della donna non parvero addolcirsi.
“Bene, allora non le farò perdere tempo… come si chiama e da dove viene?” Attaccò seccamente la donna andando dritta al punto.
“Mi chiamo Seline Poquelin e vengo dalla Francia. Da Parigi, più precisamente.” Disse orgogliosamente la ragazza sullo stesso tono.
“Francese… Potrei conoscere il motivo per cui è qui?” Volle sapere la donna senza curarsi di apparire invadente.
“Signora, mi pare di averle già detto il motivo. Sono qui in vacanza e spero di essere stata chiara a sufficienza!” Rispose indignata Seline e subito la donna perse un po’ della sua durezza iniziale. Forse aveva cercato d’intimorirla, pensò la ragazza.
“Mi scusi signorina, io…io non intendevo essere indiscreta, ma non capisco perché una bella ragazza come lei sia venuta in un paese come questo e voglia vivere proprio qui. Il tutto quando a pochi chilometri c‘è un grande albergo con tutte le comodità.” Concluse con un atteggiamento più pacato, ma ancora molto curioso.
“Per lo stesso motivo per il quale gli altri turisti vengono da lei, e poi…”
“No, signorina… – la interruppe la donna con decisione – La gente che viene qui di solito non è straniera. Sono emigranti, persone nate qui, che amano questa terra e le sue tradizioni, che non ha molti soldi da spendere… gente che non è come lei!” Esclamò con enfasi la donna.
“Ah! È solo per questo? Perché non le sembra che sia povera o in difficoltà finanziarie e straniera?” S’indignò la ragazza accigliandosi, intanto il suo cervello lavorava sul come fare a convincerla ad affittarle la stanza. Visto come la pensava quella donna dubitava di poter trovare altrove ciò che cercava.
“Vede signorina, il suo modo di vestire, parlare e muoversi sono diversi dalle donne di qui, lo si vede benissimo. Ha notato la gente, là fuori, come la osservava?”
“Va bene, signora… ho capito, ma veramente non potrei avere la stanza per due mesi? La prego… sono in vacanza, la mia prima vera vacanza in dieci anni di duro lavoro!” Insistette la ragazza facendo dubitare alla donna le sue prime impressioni.
“D’accordo, ma sono sicura che non resterà a lungo in questo posto, pochi ci resistono…”
“Bene, se vuole possiamo metterci d’accordo per il prezzo…” Azzardò Seline decisa ad ottenere ciò che voleva.
“No, no… – negò la donna scuotendo la testa e con un’espressione quasi spaventata – la prego solo di venire questa sera, quando ci sarà anche mio marito. È lui che si occupa di queste cose, io non le posso assicurare la stanza perché è lui che deve decidere!”
Seline la guardò incredula, al colmo dello sconcerto, le aveva fatto il terzo grado e la paternale solo per soddisfare la sua curiosità.
Irritata, si alzò in piedi pronta ad andarsene, ma la donna la fermò ed aggiunse con tono cospiratore: “Gli dirò solo che lei è venuta, ma fra di noi questa chiacchierata non è mai avvenuta, intesi? Lui è il padrone di questa casa, quindi spetta a lui decidere se affittarne o no le camere… lei non riesce a comprendermi, vero? Non importa, forse un giorno capirà...”
Seline non disse nulla, continuò a fissarla, incerta sulla risposta da darle. Per la prima volta la volitiva ed intraprendente manager più ricca di Francia non sapeva cosa rispondere ad una semplice ed anziana casalinga. Non le restava altro che salutarla ed attendere che giungesse la sera per parlare con il padrone di quella casa. “Allora arrivederci a più tardi…”
“A questa sera, verso le dieci… e non sia in ritardo, mio marito non tollera i ritardi!”
La donna l’accompagnò al portone e lei si ritrovò in strada.
Non sapendo che fare decise di passeggiare un po’ lungo le vie del paese, mancavano ancora quattro ore alle dieci, ma era decisa a stabilirsi in quel posto in ogni caso e quindi voleva iniziare ad ambientarsi. Il sole stava diventando una grossa arancia nel cielo, diede uno sguardo al suo ultra piatto orologio d’oro e vide che erano quasi le sette, aveva camminato per appena tre quarti d’ora e già si sentiva a pezzi. Giunta nella piazza principale si sedette su di una panchina all’ombra ed osservò con attenzione tutto ciò che un giorno avrebbe ricordato.
La lunga via che attraversava il paese, la piazza sempre affollata di donne, vecchi e bambini, il bar frequentato da giovani, stranamente sempre là, l’immenso cielo azzurro punteggiato da piccole e gioiose rondini nere. Una rondine… sì, in quel momento si sentiva proprio come una rondine al colmo della felicità, ma la felicità dura sempre molto poco, pensò amaramente Seline. Ritornò al negozio di tabacchi, comprò alcune cartoline per amici e conoscenti nonché i francobolli. Le piaceva scrivere agli amici, ma a chi poteva scrivere? Erano pochissime le persone che potevano contare sulla sua amicizia, o forse era vero il contrario, sapeva benissimo di essere invidiata per il suo stile di vita, a volte odiata dai suoi rivali in affari, nessuno conosceva la vera Seline. Non riuscendo a trovare un posto dove scrivere decise che era meglio sedersi in un bar ed intanto bere qualcosa. Si accomodò ad un tavolino e vi posò sopra le cartoline con la penna stilografica. Alcuni minuti dopo il cameriere arrivò, la scrutò con sfrontatezza da capo a piedi con un’espressione eloquente negli occhi.
“Se vuole ordinare, io sono sempre a sua disposizione… completamente… per qualsiasi suo desiderio!” Terminò con impudente sfacciataggine. Seline lo congelò con lo sguardo.
“Un Pernod, grazie. – ordinò gelidamente imperturbabile – E non ho bisogno d’altro!” Concluse continuando a scrivere il retro delle cartoline senza degnarlo di un’ulteriore occhiata. Il cameriere, offeso, non rispose e tornò poco dopo con l’ordinazione.
Terminò di scrivere e ripose tutto nella borsa, sollevò lo sguardo e vide che il bar, fino a poco prima quasi deserto, era adesso affollato di uomini. Uomini che guardavano proprio lei.
Improvvisamente si sentì imbarazzata ed ebbe l’impulso di alzarsi di scatto, ma si controllò e lo fece con molta calma. Mentre lasciava i soldi sul tavolino udì la voce di una donna poco lontana dire ad un’amica: “Guardala, è la straniera! È appena arrivata e già si mette in mostra!!” La donna voltò la faccia passando davanti al bar, come se non tollerasse quella vista, e si rivoltò solo dopo che ne fu ben lontana.
Pareva che il bar fosse un luogo di Satana per le donne, sacrilego e pericoloso per le loro anime e che solo gli uomini potessero frequentarlo. Indifferente ai vaneggiamenti di quella donna si allontanò dal bar e si rifugiò in una pizzeria, ma anche lì si accorse che nonostante la cordialità erano tutti molto diffidenti e lei non riusciva a darsene una spiegazione.
Consumò il suo pasto con l’acuta consapevolezza di essere bersagliata da sguardi e bisbigli, non appena riuscì ad ingoiare ciò che aveva nel piatto pagò il conto ed uscì dal locale fingendo di non aver notato il loro insolito comportamento.
Erano quasi le dieci, finalmente poteva andare a casa della donna e sperare di ottenere la stanza, era terribilmente stanca e non aveva voglia di fare altri quindici chilometri per trovare un posto in cui dormire.
Le strade erano affollate di persone giovani e non giovani che passeggiavano e giunta davanti al portone suonò il campanello cercando di tenere sotto controllo l’ansia che provava.
La donna non tardò ad aprire e naturalmente, come si aspettava, il suo sguardo non rivelava nulla così come la sua voce.
“Buonasera, venga dentro, mio marito la riceverà subito. Prego, si accomodi…”
Il padrone di casa fece il suo ingresso nel vasto salone che aveva già visto. Era un uomo di statura imponente, dal peso notevole, dai capelli quasi bianchi e gli occhi neri come la pece.