Hans Kelsen e la teoria generale del diritto internazionale

di

Antonio Regazzi


Antonio Regazzi - Hans Kelsen e la teoria generale del diritto internazionale
Collana "Le Querce" - I libri di Saggistica e Diaristica
14x20,5 - pp. 208 - Euro 14,00
ISBN 978-8831336734

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In copertina: Hans Kelsen nel giorno del suo 90° compleanno Autorizzazione all’uso concessa Copyright: ÖNB Vienna: FO400199 / 01


Prefazione

Il saggio di Antonio Regazzi, “Hans Kelsen e la teoria generale del diritto internazionale”, rappresenta una integrazione d’un precedente trattato nel quale era stato esaminato il pensiero di Kelsen espresso nella dottrina pura del diritto.
Hans Kelsen, nato a Praga, nel 1881, è stato un giurista e filosofo, un docente di diritto pubblico e filosofia del diritto all’Università di Vienna e, poi, docente a Colonia, Ginevra, Praga e negli Stati Uniti; ed uno studioso che ha elaborato varie teorie giuridiche e sviluppato approfondite analisi relative al diritto internazionale, alla sovranità degli Stati e ai metodi per eliminare i conflitti tra popoli e Nazioni.
Nel panorama del pensiero filosofico-giuridico Kelsen è definito il capostipite della dottrina liberal democratica del diritto su base giuspositivista, e porta con sé una “purezza” della sua dottrina e delle fasi della costruzione teorica: l’idea centrale della sua concezione rimase sempre la “dottrina pura”, perché solo separando il diritto dalla natura, dalla morale e dalla politica, si può ottenere una dottrina pura del diritto, liberata da tali commistioni.
Antonio Regazzi propone un saggio qualitativo, ben strutturato, attentamente documentato e decisamente interessante perché analizza il pensiero kelseniano attraverso le varie teorie giuridiche proposte, alimentando tale concezione filosofico-giuridica e ridandole nuova luce al cospetto dei processi di globalizzazione odierni.
L’importante trattazione dell’autore parte dalla concezione kelseniana dello Stato e dal problema del difficile affrancamento degli Stati dalla sovranità nazionale, strettamente connessa alla nascita dello Stato Moderno, e Kelsen non condivideva il concetto di sovranità inteso come “plusvalore che caratterizza la personalità dello Stato, rispetto agli altri soggetti”, infatti, fu deciso assertore della piena giuridicità dell’ordinamento internazionale e, già nel 1920, affrontando tale tematica, aveva ipotizzato che il diritto internazionale ed il diritto interno componessero un unico ordinamento nel quale il diritto internazionale assumeva maggior rilievo, anzi, deteneva un ruolo primario.
Per questo motivo Kelsen riteneva che la dissoluzione teoretica del dogma della sovranità dello Stato, nelle sue varie forme, costituisse uno dei risultati più importanti della sua “dottrina pura del diritto”, come si evince da “Lineamenti di dottrina pura del diritto”, concependo una relativizzazione del concetto di Stato.
Nella sua formulazione, in definitiva, il giurista praghese propugnò una “teoria monistica” che vedeva la preminenza del diritto internazionale sul diritto statale: tale teoria internazionalistica kelseniana si fondava sull’identificazione tra scientificità e l’ideale weberiano dell’avalutatività, applicata alla scienza giuridica.
Secondo la visione e l’approccio giuridico di Kelsen è il diritto internazionale che offre la determinazione di uno Stato come “un ordinamento giuridico efficace nelle sue grandi linee, sovrano e sottoposto direttamente al diritto internazionale, limitato nel suo ambito di validità spaziale e temporale e relativamente accentrato”.
Per quanto riguarda le forme di governo Kelsen vede nella democrazia l’unico modo per risolvere pacificamente i conflitti ed esalta il principio della maggioranza che rappresenta la massima realizzazione possibile del valore di libertà.
Nella sua elaborazione affermò che l’intero ordinamento giuridico assume validità in quanto si fonda su una norma suprema, il principio costituente ed originario, la “Grundnorm”, l’unica norma fondamentale che autorizza tutte le altre norme dell’ordinamento ed è il fondamento dello stesso diritto statale: l’ordinamento giuridico internazionale viene considerato un sistema di norme vincolanti che regolano il comportamento reciproco fra gli Stati e gli individui che li rappresentano.
Per quanto riguarda la natura giuridica, la funzione e la sfera di validità del diritto internazionale, la visione di Kelsen, in prima istanza, ritiene il diritto internazionale come un ordinamento coercitivo di norme extra statali e sovra statali, sottolineando i due assunti dell’impianto teorico filosofico internazionalistico kelseniano: la funzione prescrittiva del diritto ed il carattere coercitivo del diritto internazionale.
In seconda istanza, rimanendo fedele alla teoria a gradi del diritto (Stufenbautheorie) e alla sua “tesi monistica”, Kelsen considera l’esistenza di un ordine gerarchico e ritiene che l’ordinamento giuridico superiore è quello internazionale generale che, attraverso la primaria regola pacta sunt servanda, indica la norma che impone agli Stati di rispettare i trattati conclusi: infatti, in “Teoria generale del Diritto e dello Stato”, Kelsen decreta il primato del sistema giuridico internazionale su quello statale e, a seguire, nella costruzione kelseniana, “la teoria monistica considera il diritto statale ed il diritto internazionale come un sistema di norme, come una unità”.
Come attentamente delineato da Antonio Regazzi, nella sua elaborazione dottrinale il giurista austriaco auspicava un ordinamento giuridico accentrato diviso in due fasi: la prima prevedeva una vasta unione di Stati, la seconda, che rappresentava il punto d’arrivo, ipotizzava la nascita di uno Stato Federale Mondiale, favorito dalla unione sociale, culturale e giuridica.
Nella sua elaborazione teorica, rifacendosi ad un ideale di kantiana “pace perpetua”, Kelsen aveva tracciato una strategia giuridico-istituzionale, forse utopica, tesa a garantire una pace stabile e universale fra le Nazioni, da attuarsi attraverso l’unione di tutti i Paesi, al fine di formare un’unica Nazione a livello mondiale; in definitiva, l’antica idea della civitas maxima, riproposta in chiave moderna. Ma per l’affermazione della civitas maxima era necessario rimuovere il dogma della sovranità e creare un governo mondiale retto da norme emanate da un unico organo legislativo: praticamente “un’evoluzione universalistica” del diritto internazionale come “organizzazione dell’umanità e tutt’uno con l’idea etica suprema”.
Nel processo d’indagine della dottrina kelseniana si evince che sia il riconosciuto primato del diritto internazionale, come la critica al dogma della sovranità degli Stati e l’idea della civitas maxima, inevitabilmente convergono verso l’ideale kelseniano di pacifismo.
Nell’ambito della teoria generale di Kelsen la visione analitica di Antonio Regazzi si sposta sul problema della pace internazionale, della giustizia e della sicurezza collettiva, nonché sull’uso della forza nelle relazioni internazionali e sulla funzione delle sanzioni nel diritto internazionale e sul concetto legale della guerra.
Una delle funzioni dell’ordinamento giuridico è garantire la sicurezza collettiva, proteggere gli individui dall’uso arbitrario della forza da parte di altri soggetti, per assicurarne il bene primario della pace: da qui la necessità di un “pacifismo giuridico attivo”, di una giurisdizione internazionale obbligatoria, unitaria ed accentrata, da cui promana la necessità di un ordinamento internazionale coercitivo e, nella dogmatica kelseniana, di un ordinamento giuridico che sia un sistema di organizzazione della forza, seppur regolata.
Nella teoria internazionalistica kelseniana la guerra diviene strumento coercitivo-sanzionatorio all’interno dell’ordinamento internazionale e, seguendo la dottrina del “bellum justum”, è consentita solo come reazione-sanzione alla violazione del diritto internazionale: ma, per Kelsen, la pace è un valore primario e la sua teoria del “pacifismo giuridico” si fonda sui capisaldi del primato del diritto internazionale, della critica del dogma della sovranità, della idea di “civitas maxima” per giungere alla pacificazione fra tutti i popoli.
Nell’ultimo capitolo del saggio viene presa in esame l’amministrazione internazionale, la Corte e i Tribunali internazionali: Kelsen, infatti, auspicò sempre un’evoluzione naturale del diritto internazionale verso un potere giudiziario internazionale con l’istituzione di una Corte Internazionale Permanente centralizzata per l’applicazione del diritto, e di un Tribunale internazionale che potesse limitare la sovranità degli Stati che dovevano accettare le loro decisioni.
Il progetto kelseniano prevedeva quindi una giuridicizzazione delle relazioni internazionali contrastandone la politicizzazione.
La dottrina kelseniana ha avuto due grandi meriti ed Antonio Regazzi li individua nella capacità di evidenziare le contraddizioni presenti nelle “costruzioni dogmatiche preesistenti”, ma soprattutto nella sua funzione di consolidare l’idea che “gli interessi particolari degli Stati, non devono prevalere sui precetti sovranazionali”.
Nella teoria generale kelseniana vi sono due assunti che condizionano la definizione della sua filosofia internazionalistica: il primo è il rifiuto del dualismo fra diritto interno/statale e diritto internazionale, e la conseguente scelta monistica, che impone necessariamente che uno dei due sistemi debba prevalere sull’altro, individuato nel primato del diritto internazionale; il secondo è la concezione dell’esistenza di un’unica norma primaria, la “Grundnorm”, condizione necessaria di diritto e fondamento dello stesso diritto statale.
Come sottolinea Antonio Regazzi non v’è dubbio che Hans Kelsen sia stato un “attento osservatore” del periodo storico in cui si è trovato ad elaborare le sue teorie, nonché sia stato un precursore nell’interpretare ed analizzare alcuni problemi relativi al sistema del diritto internazionale che vari decenni dopo avrebbero caratterizzato il processo di globalizzazione, con la conseguente crisi degli Stati nazionali e della loro sovranità.
Antonio Regazzi pone in risalto anche “l’eccessivo ottimismo” della concezione del “pacifismo giuridico” kelseniano che crede possibile abolire la guerra limitandosi all’impiego dei soli strumenti giuridico-istituzionali, che riconducono ad un ideale etico-politico, come sottolineato dalla critica e dall’autore, ideale “probabilmente utopico”, ma capace di illuminare la complessa elaborazione della teoria generale kelseniana del diritto internazionale, sicuramente pervasa di fascinazione e portatrice di una “purezza” della scienza giuridica in ambito internazionale, seppur, al contempo, si può riscontrare una sorta di “fragilità” dell’internazionalismo kelseniano, come decreta Antonio Regazzi nelle parole conclusive del suo saggio.
V’è da sottolineare infine che il pensiero kelseniano risulta estremamente attuale e la teoria delle fonti ebbe una forte influenza sulla previsione della Corte internazionale.
Nel saggio di Antonio Regazzi prende corpo il complesso processo di studio ed interpretazione che rappresenta un’ampia e precisa analisi del pensiero kelseniano, passando al vaglio critico le varie teorie ed argomentazioni, attenendosi ad una indagine attenta e scrupolosa, prendendo in esame capillarmente le varie problematiche che si susseguono nell’evoluzione teorica kelseniana e cercando di offrire un’immagine fedele della figura e del pensiero giuridico filosofico di Kelsen.
Lo studio approfondito dell’autore conduce ad ampie analisi e considerazioni sulle problematiche e sulle relazioni internazionali, ancora oggi dibattute e causa di forti dissidi tra gli Stati sovrani, e logicamente sono numerose le considerazioni sulla concezione della giustizia in ambito internazionale e le relative problematiche giuridiche del diritto internazionale; allo stesso tempo, sono varie e profonde le riflessioni sulle importanti tematiche relative alla pace tra i popoli e alla “sicurezza collettiva” che si generano nella lettura di questo saggio.

Massimo Barile


Hans Kelsen e la teoria generale del diritto internazionale


Introduzione

Questo libro va a integrare un mio precedente lavoro1 nel quale non era stato sufficientemente enucleato il pensiero kelseniano in relazione al diritto internazionale.

Questo era un argomento estremamente importante per il nostro giurista e filosofo, basti ricordare che la sua produzione bibliografia più consistente, è dedicata proprio allo studio di tale diritto, al problema della sovranità e ai possibili metodi per eliminare i conflitti armati tra i popoli. Purtroppo molti studiosi, per una serie di motivi che andremo a esaminare, hanno ritenuto quest’aspetto marginale rispetto, alla più conosciuta dottrina pura del diritto.

Il problema maggiore che egli indicò nell’ambito del diritto internazionale, oltre alla corretta interpretazione della guerra, è rappresentato dal difficile affrancamento degli Stati dalla sovranità nazionale, la quale è strettamente connessa alla nascita dello Stato moderno. Quest’ultima può essere considerata una risposta al definitivo declino della Res-publica Christiana medioevale, dove l’autorità di Dio era esercitata attraverso la verità rilevata al Papa, mentre all’imperatore competeva far rispettare tale primaria autorità, attraverso la regia potestas; in quell’epoca la legge era sentita come veritas, non come l’espressione di una volontà, ossia potestas.

Il concetto di sovranità, inteso come un plusvalore che caratterizza la personalità dello Stato rispetto a tutti gli altri soggetti, ciò al fine di evitare una diuturna situazione di guerra civile, per una serie di motivi, non era condiviso da Kelsen, da sempre contrario ad ogni ipostatizzazione.
Egli fu un deciso assertore della piena giuridicità dell’ordinamento internazionale e ciò è particolarmente chiaro laddove polemizzò con coloro che scrivono di diritto internazionale, i quali, pur non osando negare il carattere giuridico e quindi vincolante di questo ordinamento sociale, sostengono che dello stesso sia più appropriato occuparsene in una prospettiva non giuridica; la principale preoccupazione di costoro, è quella di giustificare la possibilità di non applicare il diritto internazionale vigente nel caso in cui dovesse risultare in contrasto con gli interessi del proprio Paese. A tal riguardo, Kelsen, nell’incipit della prefazione al volume sul diritto delle Nazioni Unite, in termini netti e perentori, puntualizzò che egli voleva offrire «a juristic – not a political – approach to the problems of the United Nations. It deals with the law of the Organisation, not with its actual or desired role in the international play of powers2».

Il giurista praghese affrontò per la prima volta la tematica del diritto internazionale in un saggio pubblicato nel 1920 dal titolo Das Problem der Souveränität und die Theorie des Völkerrechts3; in esso ipotizzò che tale diritto e quello interno compongono un unico ordinamento nel quale, il primo assume decisamente un maggior rilievo rispetto al secondo. Ciò che conduce ad unità l’intero sistema è che entrambi hanno per oggetto l’umanità.

Nella Reine Rechtslehre, Kelsen tentò ripetutamente di far assurgere il diritto nelle sue varie forme, a rango di scienza, depurandolo da ogni ideologia precostituita poiché «la scienza come conoscenza ha sempre la tendenza immanente a rivelare il proprio oggetto4», invece «ogni ideologia politica ha le sue radici nella volizione, non nella conoscenza; […] essa sorge da certi interessi o, piuttosto, da interessi diversi da quelli della verita5».

Nell’ambito della formulazione di una solida teoria afferente il diritto internazionale, il giurista praghese incontrò tuttavia maggiori difficoltà rispetto al percorso intrapreso nella Dottrina Pura del Diritto e, per certi aspetti, ne tradì lo spirito. Difatti, la teoria monistica kelseniana afferente siffatto diritto e la sua preminenza su quello statale rispecchia più un desiderio politico che un pensiero scientifico. Lo stesso giurista, più tardi, se ne rese conto ed affermò che «l’unità del diritto internazionale e del diritto interno è un postulato epistemologico6», piuttosto che giuridico in senso stretto.

Questa costruzione dogmatica è stata qualificata da taluni studiosi come antistorica, poiché non tiene in considerazione un elemento determinante, ossia che prima sono sorti gli Stati e, solo successivamente, si è reso necessario disciplinare il rapporto tra di essi7.

La teoria internazionalistica kelseniana, nel suo complesso, si fonda sull’identificazione tra scientificità e avalutatività, applicata alla scienza giuridica8. Si tratta di un sistema auto-referenziale e auto-fondato, che basta da solo a dare unità e coerenza ad esso. Bisogna ammettere che, probabilmente, egli riponeva in tale prospettiva una fiducia forse eccessiva.

Infine, un particolare e sincero ringraziamento a Cristina Regazzi per l’impegno profuso nello studio, creazione e realizzazione del layout della prima di copertina.


Alla persona che mi ha amato,
sopportato e supportato per tutta la vita.
A Emanuela


CAPITOLO PRIMO

LO STATO


STATO E DIRITTO

Innanzi tutto, per Kelsen, è il diritto internazionale che determina cosa è uno Stato; questi è «un ordinamento giuridico efficace nelle sue grandi linee, sovrano o sottoposto direttamente al diritto internazionale, limitato nel suo ambito di validità spaziale e temporale e relativamente accentrato9».

Il concetto di Stato, nella sua definizione più ampia, comprende l’intera società stanziata su un determinato territorio e organizzata politicamente. In termini strettamente giuridici, lo Stato è più semplicemente una persona giuridica, una corporazione.

«Sono popolo dello Stato gli individui il cui comportamento è regolato dall’ordinamento giuridico statale. Come è limitata la sfera territoriale di validità dell’ordinamento giuridico statale, così lo è pure la sfera personale. Un individuo appartiene al popolo di un dato Stato se è compreso nella sfera personale di validità del suo ordinamento giuridico10».

Il popolo non è un’entità etnografica, ma rappresenta tutti i soggetti obbligati a sottostare alle norme di un ordinamento giuridico positivo; il territorio non è un semplice spazio tridimensionale, un’espressione di tipo geografica, ma l’ambito di validità topografica della norma giuridica, ossia lo spazio entro cui è permessa l’esecuzione degli atti dello Stato e, in particolare, dei suoi atti coercitivi. Quest’ultimo, sotto un aspetto meramente giuridico non ha la stessa valenza che può avere dal punto di vista della scienza naturale. Kelsen, al fine di evidenziare la relatività del concetto d’imperio statale rapportato al territorio, propose come esempio l’occupazione da parte di uno Stato di una porzione di territorio appartenente ad altro Paese; in questo caso, entrambi gli Stati avrebbero un ordinamento giuridico efficace all’interno di una medesima superficie terrestre, ma non è possibile avere due ordinamenti giuridici contemporaneamente validi che operano nello stesso ambito territoriale.

Anche in questo caso, il territorio non è altro che un elemento del contenuto normativo di un ordinamento giuridico; difatti, le norme giuridiche regolano i comportamenti umani e questi possono realizzarsi solo nel tempo e nello spazio. Inoltre, esso «non è una condizione necessaria ma solo una condizione regolare di validità dell’ordinamento statale11», un elemento mutevole, storicamente condizionato e di natura contenutistica, poco specifico per definire il concetto di Stato, tanto che quest’ultimo si può riferire anche ad un popolo nomade.

Lo Stato è inoltre definito una società o organizzazione politica12, ossia un ordinamento giuridico coercitivo, poiché esso monopolizza e regola l’uso della forza.

Per quanto concerne le forme di governo, Kelsen distingue fra democrazia e autocrazia. La democrazia è un modo per risolvere pacificamente i conflitti, tant’è che il parlamento è ritenuto come una camera di compensazione dei conflitti sociali perché in esso si tenta una mediazione tra quelle che sono le opposte tesi attraverso la tecnica della dialettica. Il principio di maggioranza e il compromesso tra interessi che ne deriva, producono l’effetto di prevenire potenziali conflitti. Nella democrazia la volontà della maggior parte degli individui è realizzata e ciò può concretizzarsi solo attraverso un sistema parlamentare rappresentativo. Kelsen rifiuta il principio di unanimità nelle decisioni ed esalta invece quello di maggioranza che rappresenta la massima realizzazione possibile del valore di libertà. La volontà collettiva non è altro che il risultato della reciproca influenza tra maggioranza e minoranza. La democrazia deve garantire innanzi tutto la certezza del diritto che è preminente rispetto a quello soggettivo di giustizia.

Democrazia e autocrazia sono anche ritenuti diversi modi di produzione del diritto, ossia l’espressione del potere popolare, nel primo caso, e quello del sovrano, nel secondo.

Lo Stato moderno rappresenta un ordinamento giuridico coercitivo, dotato di un altissimo grado di accentramento13, in quanto caratterizzato da una stabile organizzazione e composto da organi che operano secondo le regole della divisione del lavoro, ciò al fine di produrre e applicare le norme di cui è costituito14; in questo modo esso acquista maggiore efficacia ed incisività.

Queste peculiarità distinguono l’ordinamento giuridico statale moderno, non solo da quello primitivo, ma anche dal diritto internazionale generale, in quanto le norme di tali ordinamenti erano e sono prodotte dalla consuetudine15 e non da un apposito organo legislativo. È nella natura coercitiva dell’ordinamento giuridico, voler per principio regolare tutti i rapporti e, di conseguenza, i comportamenti umani. A secondo che il suo campo d’intervento sia più o meno ampio, si avrà un limite maggiore o minore della libertà personale degli individui.

Detto confine è stabilito in modo diverso dai vari sistemi politici di riferimento: si avrà maggiore libertà in una società strutturata sul modello liberal-democratico e minore in quella socialista-autocratica.

Un’eventuale tesi di matrice giusnaturalistica, tendente ad individuare dei limiti nella natura stessa dello Stato o dell’individuo, fu da Kelsen decisamente respinta in quanto non vi è nulla che può impedire ad un «ordinamento giuridico statale di regolare qualsiasi materia in qualsiasi campo della vita sociale, di restringere in qualsiasi misura la libertà dell’individuo16». In ogni caso, pur avendo la possibilità di limitare o ampliare la sfera di libertà degli individui, vi saranno sempre taluni ambiti che lo Stato non potrà mai regolamentare, come ad esempio quello della libertà interna di pensiero.

Il vero potere dello Stato è radicato proprio nell’efficacia che riesce a dimostrare attraverso il suo ordinamento giuridico.

Secondo Kelsen «lo Stato è la comunità creata da un ordinamento giuridico nazionale, contrapposto a quello internazionale. Lo Stato come persona giuridica è una personificazione di questa comunità o dell’ordinamento giuridico statale che costituisce detta comunita17»; questo lo distingue anche da altre unioni di individui, coesi tra loro al solo fine di tutelare i propri interessi.

È bene rimarcare il fatto che il nostro giurista fu sempre contrario a qualsiasi personificazione, tant’è che rispetto ad un’asserita volontà espressa dallo Stato affermò che «dichiarare che la volontà dello Stato è una realtà psicologica o sociologica significa ipostatizzare un’astrazione in una entità reale, cioè attribuire un carattere sostanziale o personale ad un rapporto normativo fra individui18». L’ordinamento giuridico complessivo definito Stato, non è altro che «l’unità personificata di un ordinamento il cui contenuto (proprio alla sua essenza) è il comportamento di esseri umani19»; il concetto di Stato è il prodotto della teologia politica. Un esempio potrà chiarire meglio questo concetto: quando si dice che lo Stato punisce i criminali, in realtà sono sempre degli individui che, applicando delle norme precostituite, pongono in essere quegli atti che rendono possibile, sul piano fattuale, tale risultato.

Kelsen ribadì l’utilità, entro certi limiti, di questa figura anche se richiamò l’attenzione sul fatto che si deve tener presente che il destinatario ultimo di una norma giuridica, o di un obbligo, è sempre ed esclusivamente un essere umano o, più esattamente, il suo comportamento; si tratta di un concetto molto caro al giurista praghese il quale lo riprenderà in più occasioni.

Inoltre, la presunta «persona dello Stato», in ultima analisi, pone più problemi di quelli che dovrebbe risolvere. Kelsen non affermò che poteva essere utile al giurista un simile espediente al fine di teorizzare l’unità del sistema, ma che da tutto ciò potevano scaturire errori nel momento in cui si considerava tale ipostatizzazione come un’entità autonoma rispetto all’ordinamento giuridico.

In relazione al concetto sociologico di Stato, il giurista praghese affermò che detta scienza pone la sua attenzione solo sull’unità derivante dalla coesione fra gli individui all’interno di una collettività o su una stretta interdipendenza fra gli stessi, finalizzata al raggiungimento di un fine condiviso. Bisogna tuttavia precisare che l’idea di un interesse comune cela, il più delle volte, un conflitto tra i vari gruppi d’interesse presenti nella stessa comunità e serve a definire un compromesso fra le aspettative dei gruppi più importanti.

La sola teoria sociologica che aderisce maggiormente alla realtà sociale è quella che vede nello Stato una struttura complessa, nella quale vi sono soggetti ai quali è attribuito il potere d’imperio – ossia di comando – ed altri che debbono ubbidire; i primi esercitano il proprio potere legittimati dall’ordinamento giuridico, la cui validità è presupposta da tutti i consociati mentre, i secondi, ubbidiscono in quanto riconoscono ai primi siffatta autorità. Questo è anche ciò che differenzia lo Stato da una banda di criminali.

Per il sociologo che interpreta i comportamenti umani, esso rappresenta un complesso di azioni orientate verso un determinato ordinamento normativo; proprio in relazione a questo suo fine ultimo «non vi è alcun concetto sociologico dello Stato al di fuori del concetto giuridico. […]. Le proprietà che essi ascrivono allo Stato sono concepibili soltanto come proprietà di un ordinamento normativo o di una comunità costituita da un simile ordinamento20».

Anche la teoria che individua nello Stato un organismo naturale era ritenuta assurda da Kelsen e ad essa riconosceva solo un’importanza politica. «Il vero scopo della teoria organica, scopo di cui molti dei suoi sostenitori non sembrano consapevoli, non è affatto quello di spiegare scientificamente il fenomeno dello Stato, ma di assicurare il valore dell’istituto dello Stato come tale, o di qualche Stato in particolare; di confermare l’autorità degli organi dello Stato e di accrescere la obbedienza dei cittadini21». Se Stato ed individuo fossero fatti naturali, non potrebbe sorgere fra loro un conflitto, ma dato che ciò non è affatto vero, si crea fra i medesimi un antagonismo, un contrasto fra l’essere e il dover essere.

Lo Stato non è un’entità che può essere percepita dai sensi, «non è un corpo visibile e tangibile22», per cui non è esatto definirlo come un gruppo di persone, esso è semplicemente la somma di ogni singolo elemento che lo compone che manifesta la sua presenza nella realtà attraverso azioni di singoli individui, considerate azioni dello Stato, secondo il noto criterio di imputazione. «L’imputazione allo Stato di un’azione umana è possibile solo a condizione che questa azione sia determinata in maniera specifica da un ordinamento normativo23»; solo in questo caso ciò che opera un determinato soggetto diviene l’azione dello Stato, non solo in ordine agli atti meramente esecutivi, ma anche a quelli legislativi, attraverso i quali lo stesso ordinamento viene creato. Coloro che creano materialmente il diritto e agiscono per conto dello Stato, individualmente o collegialmente, sono essi stessi vincolati a norme giuridiche nei rapporti con gli altri cittadini; anzi, solo nel momento in cui questi agiscono conformemente alle norme regolanti la loro funzione possono essere considerati legittimati ad operare come organi dello Stato24.

L’individuo che commette un illecito non adempiendo ai doveri del proprio ufficio, come previsti dall’ordinamento, «non agisce come organo dello Stato e nell’esercizio della sua pubblica funzione. Egli agisce soltanto in connessione con la sua pubblica funzione di organo dello Stato. Soltanto se l’atto illecito da lui compiuto è connesso con la sua funzione di organo dello Stato, lo Stato può esser obbligato a riparare l’illecito25».

Come anticipato, lo Stato, secondo il criterio della ipostatizzazione – quale uomo o superuomo – è ritenuto anch’esso sottoposto al diritto; in tal guisa il rapporto fra diritto e Stato è simile a quello fra diritto e individuo.

Tutto ciò evidenzia una dicotomia tra diritto e Stato che Kelsen riteneva del tutto insostenibile e fuorviante; infatti, secondo tale impostazione, lo Stato sarebbe da ricondursi alla categoria della società – ossia una pluralità di soggetti – mentre il diritto alla categoria delle norme, cioè a un ordinamento giuridico. «Lo Stato quale comunità giuridica non è qualcosa di diverso dal suo ordinamento giuridico, come la corporazione non è distinta dal suo ordinamento costitutivo […]. La comunità […] non è altro che l’ordinamento normativo che regola il comportamento reciproco degli individui26».

Il nostro giurista affrontò anche la questione atta a stabilire se lo Stato sia o meno da considerarsi soggetto all’ordinamento che egli stesso ha creato, ossia il cosiddetto problema dell’auto-obbligazione, molto sentito dalla giurisprudenza germanica27.

[continua]


NOTE

1 Diritto e Potere, Milano, Gruppo Edicom, 2016.

2 H. Kelsen, The Law of the United Nations: A Critical Analysis of Its Fundamental, Preface on interpretation, New Jersey, The Lawbook Exchange Ltd., 2011, 1950.

3 H. Kelsen, Il problema della sovranità e la teoria del diritto internazionale (tit. or. Das Problem der Souveränität und die Theorie des Vöolkerreechts. Beitrag zur einer Reinen Rechtslere, Mohr, Tübingen, 1920), trad. it. A. Carrino, Giuffrè Editore, 1989.

4 H. Kelsen, Teoria generale del diritto e dello Stato (tit. or. General Theory of law and State, Cambridge-Massachusetts, Harvard University Press, 1945), Milano, Edizioni di Comunità, 1952, p. XI.

5 Ibidem, pp. XII.

6 H. Kelsen, Principles of international law, Clark, The Lawbook Exchange Ltd, 2012, p. 424 ss.

7 C. Schmitt, Teologia politica. Quattro capitoli sulla dottrina della sovranità, trad. it. in Le categorie del «politico», a.c.d. Miglio e Schiera, Bologna, 1972, p. 46.

8 H. Kelsen Diritto e pace nelle relazioni internazionali (tit. or. Law and Peace in Internationale Relations. The Oliver Wendell Holmes lectures, 1940-1941, Harvard University, Massachusetes, 1942), trad. a.c.d. L. Ciaurro, Torino, G. Giappichelli Editore, 2009, p. 22.

9 H. Kelsen, La dottrina pura del diritto (tit. or. Reine Rechtslehre, Wien, F. Deuticke Verlag, 1960), saggio introduttivo e traduzione di M.G. Losano, Torino, Einaudi, 1966, p. 322.

10 H. Kelsen, Teoria generale del diritto e dello Stato, op. cit., p. 238.

11 Regolare perché, come abbiamo visto, l’ordinamento giuridico non si applica esclusivamente ed in modo integrale su tutto il territorio ove è stanziato un determinato popolo, ma ciò può avvenire anche oltre tali confini o trovare una limitata applicazione anche all’interno dei confini stessi.

12 Ibidem, p. 194. Cfr. La dottrina pura del diritto, op. cit., p. 318.

13 Kelsen, La dottrina pura del diritto, op. cit., p. 50.

14 Ibidem, p. 318.

15 Da taluni autori le consuetudini sono definite come tradizioni ancestrali.

16 Kelsen, Teoria generale del diritto e dello Stato, op. cit., p. 247.

17 Ibidem, p. 185. Cfr. La dottrina pura del diritto, op. cit., p. 325.

18 Kelsen, Teoria generale del diritto e dello Stato, op. cit., p. 189.

19 J.G. Fichte, Grundlage des Naturrechts nach Prinzipien der Wissenschaftslehre, Sämtl. Werke, Bd. 3, 1895, nel quale l’autore afferma che lo Stato è un concetto astratto mentre, solo i cittadini sono persone reali. Cfr. E. Hölder, Natürliche und juristische Personen, Duncker & Humblot, 1905, nel quale si precisa che le relazioni giuridiche di una comunità si esprimono sempre attraverso rapporti interpersonali tra soggetti che sono deputati al loro disbrigo.

20 Kelsen, Teoria generale del diritto e dello Stato, op. cit., p. 193.

21 Ibidem, p. 190. Kelsen cita Otto Gierke, quale insigne esponente della teoria organica che in Das Wesen der menschlichen Verbände (Leipzig, 1902, p. 34), affermò: «se il popolo fosse soltanto la somma dei suoi membri e lo Stato soltanto una istituzione per il benessere dei cittadini, nati o nascituri, allora l’individuo potrebbe, è vero, esser costretto a dare la sua energia e la sua vita per lo Stato. Ma non potrebbe avere alcun obbligo morale di farlo. Impallidirebbe quindi la gloria di un elevato ideale etico […] perché l’individuo dovrebbe sacrificare se stesso per il benessere di altri che sono a lui uguali?».

22 Kelsen, Teoria generale del diritto e dello Stato, op. cit., p. 196.

23 Id.

24 Kelsen, La dottrina pura del diritto, op. cit., pp. 325 e 337 ss.

25 Kelsen, Teoria generale del diritto e dello Stato, op. cit., p. 205.

26 Ibidem, p. 186.

27 Kelsen, La dottrina pura del diritto, op. cit., pp. 344-345.


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