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Alyssa - La tigre dell’oceano
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In copertina: «The pirate with a sword standing on ruins of boat and looking at golden treasures at sunset, digital art style, illustration painting» @ grandfailure – stock.adobe.com
Pubblicazione realizzata con il contributo de Il Club degli autori quale opera finalista nel concorso letterario «J. Prévert» 2021
PREFAZIONE
Grazie a mio figlio Diego ho potuto esternare la mia umile vena poetica, alla veneranda età di oltre quarantacinque anni. In quinta elementare nella sua classe le maestre hanno cercato di incentivare la ripresa di questa nobile arte, non più tanto apprezzata nella formazione degli alunni di oggi. Lui si è distinto per alcuni versi che evidenziano la sua sensibilità, la sua profondità di pensiero, il suo modo di concepire l’esistenza. Qualche anno dopo ha scritto una poesia dal titolo “I miei Ricordi”, ispirandomi qualcosa di analogo, “È Tempo di Ricordi”. È così uscito di getto un intero libro: “Sensazioni d’Infinito.”
Continuando a dialogare in seguito, nel corso degli anni, ci siamo ritrovati a decidere di scrivere insieme questo romanzo, scoprendo che nell’immaginare possibili eventi, divagando con la fantasia al di fuori della realtà quotidiana, si possono esternare sentimenti, punti di vista personali sulla complicata esistenza materiale, evidenziando l’eterna lotta tra il bene e il male, il conflitto individuale tra anima e corpo. Sarà forse perché è la sola realtà che conosciamo, sarà forse che un mondo migliore dovremo imparare a meritarcelo attraverso un lungo percorso spirituale, cercando di migliorare noi stessi tra una vita e l’altra. Non ci illudiamo che si possa raggiungere la perfezione, ma possiamo tendere verso la perfezione, attraverso dubbi e sofferenze inevitabili per crescere, avendo forse, sottolineando “forse”, a disposizione tempo e spazio infiniti.
È molto bello vivere questo affiatamento tra padre e figlio, fantasticare insieme scoprendo emozioni nascoste spesso nell’intimità dell’anima.
Antonio Zannino
INTRODUZIONE
“Alyssa la tigre dell’oceano” è il primo volume di una trilogia, nella prima parte si narra di una ragazza guerriera, Alyssa, venuta al mondo a sua insaputa per aiutare un ragazzo a sconfiggere un demone, dal quale, per seguire un desiderio di vendetta, ha accettato una forza sovrumana. Incapace di controllarla, in seguito è diventato suo schiavo, continuando a usare quel potere malvagio nelle notti di luna piena, travolgendo qualsiasi essere umano, amico o nemico. I due una volta conosciuti si innamorano, diventando un pericolo per la strega malvagia, la quale cercherà di ostacolare il loro cammino verso la pace tanto bramata. Per sconfiggerla dovranno impadronirsi di un magico veliero capace di attraversare il tempo, rendendosi conto che sarà necessario affrontarla dove tutto ha avuto inizio. Sarà determinante l’aiuto di una maga, rintanatasi fuori dai conflitti umani su un’isola abitata da selvaggi decisi col suo aiuto a tenere lontano, per quanto possibile, qualsiasi contatto col mondo esterno. Non sarà facile convincerla, ma senza di lei e altri amici incontrati lungo il difficile cammino, sarebbe un’impresa impossibile.
Riusciranno a dare una svolta, a partire da una decisione funesta presa secoli prima, a cambiare il corso degli eventi di vite future, evitando disastrosi susseguirsi di penose disavventure? Luoghi e personaggi scaturiscono da una fantasia al di fuori di questa realtà, quindi dove l’immaginazione divaga, con nomi estrapolati da questa che conosciamo, con la vaga sensazione che potrebbero essere, almeno in parte, accaduti in qualche sperduto angolo di qualche Universo.
Alyssa - La tigre dell’oceano
I
La zattera ormai ridotta a qualche pezzo di legno galleggiante, tenuto insieme da una corda intrecciata, Alyssa era riuscita ad annodarli a fatica. Una calma apparente davvero strana, dopo la burrasca che aveva imperversato per quasi due giorni. La ragazza giaceva esausta, sdraiata alla meglio, con le mani dietro la testa, il viso rivolto verso il sole. Una fascia azzurra teneva i lunghi capelli biondi, lisci, altrimenti ribelli, specie in combattimento. Un telo intrecciato di canne sottili legato a due bastoni la proteggeva dalla luce accecante di quell’ora infuocata. Pantaloni aderenti di colore blu notte, rinfoderati dentro un paio di stivali neri alti fino alla tibia e una camicetta grigia; qualche graffio l’aveva lacerata all’altezza della spalla, si vedevano ancora lievi tracce di sangue di cui si era intrisa. Due orecchini di argento decorati ai lobi delle orecchie, una lunga treccia legata con un nastro azzurro pendeva dal lato destro del capo. Usava una blusa come cuscino, anche essa di colore blu. Alla sua destra una lunga spada con l’elsa color graffite, assicurata abitualmente dietro la schiena, alla cinta una più corta, leggermente ricurva, accanto una borraccia inesorabilmente quasi vuota, una pistola da tempo scarica e un coltello.
Le pareva di sentire il fragore dell’ultima battaglia, aveva perso la nave e i compagni, ma era riuscita a sfuggire alla cattura di quell’oscuro nemico, Rubio, un giovane pirata che chiamavano “Lupo nero”. Di media statura, fisico asciutto, muscolatura scattante, lunghi capelli castani di solito legati con una mezza coda. Una bandana di colore rosso copriva la sua fronte, all’orecchio destro luccicava un orecchino a forma di dente di squalo, abiti scuri. Una larga cintura trasversale sosteneva un grosso spadone con una testa di lupo all’estremità del manico, riusciva a brandirla con estrema velocità. Insieme ad un’ascia sistemata al fianco destro spesso mozzava teste o infliggeva tremende ferite agli avversari. Una grossa pistola assicurata al basso ventre completava il suo armamento. Il suo aspetto, data anche la sua fama, incuteva timore ai suoi nemici e rispetto ai suoi subordinati. Correva voce che fosse prigioniero di una maledizione grazie alla quale soggiogava il suo equipaggio. Ogni notte di luna piena si trasformava in uomo lupo, una bestia feroce e gigantesca, seminava terrore e distruzione intorno a sé. Si faceva dunque rinchiudere nella sua cabina blindata a dovere per non rischiare di sfogare il suo odio represso per gli esseri umani sulla ciurma. Parte dell’istinto bestiale rimaneva latente anche in condizioni normali, per quanto si sforzasse di tenerlo sotto controllo. Nessuno dei suoi osava mai contraddirlo, data la fama di essere feroce e sovrannaturale. Anche lui in cerca della “Tigre dell’oceano”, la leggendaria nave blu. Sapeva che Alyssa era in possesso dell’unica mappa esistente per trovare il luogo in cui era nascosta.
Una leggenda narrava che il veliero fosse stato imprigionato da una potente e crudele strega, la Regina dei mari, la stessa che aveva ridotto Rubio in quelle condizioni.
La ragazza, ingaggiata dal capitano Ronald Balton, un vecchio corsaro inglese, veleggiava proprio in direzione di quel punto segnato su quel papiro sgualcito. Alyssa era cresciuta nella foresta, adottata da un capo villaggio in Malesia, non aveva mai conosciuto la sua vera famiglia, fu trovata, smarrita chissà come, in una tana di tigri con cui era vissuta fino all’età di nove o dieci anni. Nessuno conosceva le sue vere origini, nemmeno lei. Al villaggio la chiamavano “Colei che parla con la Tigre”, credevano fosse un’inviata degli dei. Viveva felice con quella gente, si recava spesso a trovare i grandi felini, per riconoscenza, in fondo le avevano insegnato a cavarsela nella foresta.
Un triste giorno il villaggio fu attaccato da un’orda di scalmanati, decimarono quella pacifica tribù pur di trovarla e sopprimerla, il padre adottivo riuscì a salvarla e le rivelò il segreto della mappa e del leggendario veliero.
“Vai nella tana delle tigri, – gli era stato detto in sogno. – C’è qualcosa che appartiene alla bambina che hai trovato”. All’interno un’imponente tigre bianca, con due grandi occhi azzurri così gli parlò:
“Prendi quel cofanetto, dentro c’è qualcosa che un giorno servirà a lei”.
“Trovai questa mappa, a te è affidato il compito di riportare la “Tigre dell’oceano” sui mari, non deve cadere in mani sbagliate”. Le sussurrò il vecchio prima di morire, una pallottola lo aveva colpito alla schiena mentre fuggivano. Alyssa aprì l’involucro che la custodiva, la osservò attentamente quella e altre volte fino a memorizzarla. Non sapeva neppure da dove cominciare.
“Come farò? Avrò bisogno di una nave, un equipaggio”. Si chiedeva la giovane sapendo che era un compito troppo arduo per una ragazzina.
“Non preoccuparti figlia, lungo il cammino troverai la strada giusta, dovrai stare sempre attenta, ci saranno molti ostacoli, l’energia della tigre ti sarà di aiuto. Ricorda figliola, ricordalo sempre… l’energia della tigre…” Quelle furono le sue ultime parole prima di spegnersi e lasciarla di nuovo sola. La ragazza versò qualche lacrima sul corpo esanime del padre adottivo, poi a malincuore si allontanò da quei luoghi che l’avevano vista crescere.
Qualche anno dopo si imbarcò come clandestina proprio sulla nave del corsaro Balton. Chiunque l’avrebbe data in pasto all’equipaggio, lui, da vero gentiluomo inglese si limitò ad imprigionarla, più che altro per proteggerla dalla ciurma, con l’intenzione poi di scaricarla al primo scalo. Strada facendo furono aggrediti da altri pirati. Alyssa riuscì a liberarsi durante la battaglia, un branco di assalitori fece saltare la serratura con un colpo di pistola, credendola una facile preda.
“Ehi, guardate che bel bocconcino”.
“Perbacco, ci sarà da divertirsi ragazzi!” Commentavano i bruti spavaldi, con frasi oscene. Lei non si scompose, rimase nella posizione di meditazione, come era suo solito in quei casi. Appena le furono addosso scattò come un felino, quei masnadieri fecero ben presto i conti con la sua straordinaria abilità. Il primo le si avvicinò afferrandole il viso con una mano, si ritrovò le dita spezzate con una leva micidiale. L’azione fu talmente veloce che l’avversario non ebbe neppure il tempo di opporsi con la forza. L’uomo si teneva la mano dolorante, un calcio all’addome lo fece piegare al punto da prendersi una ginocchiata, cadde a terra col naso sanguinante.
“Brutta strega, ora ti sistemeremo. Addosso ragazzi!” Sbraitò uno del gruppo sguainando un coltellaccio e lanciandosi per primo all’attacco. Il fendente diretto alla gola fu evitato arretrando a ridosso della parete. L’uomo roteò su se stesso per tentare ancora, nella fase di ritorno la ragazza gli fermò il gomito con una parata, ruotò dietro la sua schiena, lo afferrò per la testa proiettandolo a terra, si udì uno scricchiolio. L’energumeno cadde rovinosamente a terra con l’osso del collo spezzato facendo inciampare i compagni, i quali le si stavano avventando a loro volta minacciosi. In quello scompiglio Alyssa riuscì ad impadronirsi di una spada. Furono sufficienti poche schermate per aver ragione di quelli rimasti, caddero uno dopo l’altro stupiti di avere a che fare con una furia simile. Eliminato quel piccolo gruppo di malcapitati salì sul ponte a dare man forte. Ronald Balton restò allibito dal suo modo di combattere, grazie a lei le sorti dello scontro cambiarono esito. Si trovavano infatti in seria difficoltà, il capitano stesso, senza il suo intervento, dato che era accerchiato, difficilmente se la sarebbe cavata. Fu così che Balton la ingaggiò. Successivamente sentito il racconto della ragazza le volle credere.
“Faremo scalo al porto più vicino per le provviste dopodiché ci guiderai in quel luogo. Strano che non sia segnato su nessuna altra carta, del resto se fosse semplice qualcuno l’avrebbe già trovata”. Così le aveva promesso dopo un’occhiata a quella mappa.
Purtroppo in breve si era sparsa la voce, i suoi uomini nelle bettole incontravano vecchi amici. Per molti si trattava della solita leggenda, per altri l’avidità e la sete di potere erano troppo allettanti; si misero così sulle loro tracce bande di corsari e perfino di soldati di varie nazioni, guidati da ammiragli in cerca di fama e prestigio. Anche il famigerato Lupo nero, l’unico che la cercava per un motivo ben diverso, decise di affrontare con quel veliero invincibile la Regina dei mari. Con la sua sconfitta si sarebbe liberato della maledizione che lo perseguitava.
Quel giorno la nave di Ronald Balton scivolava silenziosa su un mare placido, intorno vi era una cappa di umidità, un sole cocente seminascosto dietro a dense nubi sporadiche, faceva capolino ogni tanto. L’equipaggio, intento alle mansioni quotidiane, sognava fama e ricchezza, a bordo non si parlava d’altro, quella straordinaria avventura veniva vissuta con grande entusiasmo, qualcuno faceva progetti per il futuro. Avevano una gran voglia di godersi la vita e magari raccontare ai figli e ai nipotini storie incredibili, con l’orgoglio di averne fatto parte. Fu Alyssa ad avvistare per prima l’imbarcazione sinistra del terribile pirata, tutti rabbrividirono nel vedere quel veliero maledetto con le vele nere. In cima sventolava tra l’altro l’inconfondibile bandiera che raffigurava un grosso lupo in atteggiamento di assalto, con le fauci spalancate. Sul ponte si diffuse lo scompiglio generale, avevano riconosciuto il tremendo avversario. Si diedero da fare per organizzare una strenua difesa, cercarono disperatamente di manovrare in modo da colpire la fiancata nemica, sperando di affondarla con delle bordate. Lupo nero, non certo un novellino, capì le loro intenzioni, invece di dare il fianco, puntò dritto con la prua intenzionato a speronarli e lanciare i suoi uomini all’arrembaggio. Balton, non potendo evitare la collisione, cercò di limitare i danni e ordinò la virata.
“Tutta a tribordo! Non diamogli il fianco, o ci faranno a pezzi!” Sbraitò agitato. Troppo tardi, l’impatto fu imminente. Tre plotoni si posizionarono per una scarica di fucileria, pronti ad accogliere la prima ondata, Alyssa avrebbe voluto farne parte.
“No! – Sentenziò Balton risoluto. – Cerca di salvare la mappa, se dovessimo soccombere troverai qualche altro avventuriero disposto ad aiutarti. Quando tutto sarà perduto ti getterai in acqua fingendo di essere morta, vedrai, la fortuna ti aiuterà, come ti è stato detto, altrimenti non saresti qui ora”. Aggiunse il vecchio malinconico. Di lì a poco la prua di Lupo nero si incastrò verso la parte anteriore della nave facendole imbarcare acqua, l’impatto fu violento, molti perirono. Alyssa si apprestava a seguire il consiglio del vecchio capitano, il suo istinto combattivo la indusse a restare almeno per un po’. Lupo nero ebbe l’accortezza di mandare allo sbaraglio inizialmente pochi uomini, sacrificandoli, per far scaricare i fucili avversari. Infatti, presi dal panico, appena videro quel pugno di scalmanati spararono all’impazzata, affrettandosi a ricaricare il più presto possibile. L’ondata successiva fu micidiale, simili a un’orda di lupi inferociti piombarono addosso all’equipaggio di Balton prima che questo fosse pronto a ricevere una nuova scarica. Presi dallo scompiglio gli inglesi si dispersero, cercarono di reagire, chi usando il fucile come clava, chi con la sciabola sguainata, chi si affrettò a ricaricare l’artiglieria. Il ponte della nave si trasformò ben presto in un inferno, gli uomini di Lupo nero erano troppi e agguerriti. Rubio restò sulla sua nave ad osservare i pirati guidati da Clark Stenton, il suo secondo, fedele amico, un avventuriero nato in Cornovaglia, una terra che amava moltissimo, cosa che non gli impediva di girare mezzo mondo per placare la sua sete d’avventura. Di corporatura agile, capelli legati con una coda ordinata, dall’aspetto sempre calmo, non perdeva mai il controllo di sé. Prima di ogni battaglia accendeva spesso un sigaro, lo spegneva quando era il momento di gettarsi all’attacco tenendolo tra i denti, per riaccenderlo puntualmente alla fine. Dopo aver scaricato le pistole freddando due avversari, sguainò la spada seguito da un buon numero di uomini. Penetrarono nel mezzo di quei disperati facendo una strage, pronti a dirigersi poi sul ponte dove persisteva ancora una certa resistenza. Il capitano Balton cercava di tenere insieme quel pugno di bravi combattenti, difendendosi a sua volta come un vecchio leone.
Alyssa, fino a quel momento rimasta in disparte, osservando Lupo nero dritto e fiero sul ponte di comando, fu coinvolta nella mischia. Distolto lo sguardo tenuto fisso per un bel po’ su quegli occhi di ghiaccio, cercò di infondere coraggio ai sopravvissuti.
“Restiamo uniti, non lasciamoci intimorire!” Urlò mettendosi alla testa di un gruppo che stava per disperdersi. Ne freddò uno con un colpo di pistola, gettò poi l’arma sulla fronte di uno sprovveduto che le si stava avventando addosso. Un altro stava per colpirla con un’ascia, prontamente evitò il colpo fatale che sfondò così una parete di legno. Nel frattempo aveva sguainato la spada e lo squarciò con un fendente al basso ventre. Questi si guardò stupito la ferita, poi cadde a terra con gli occhi sbarrati. Con quell’azione fece riprendere fiducia ai suoi compagni, compatti si diressero urlando verso gli avversari, i quali arretrarono attoniti. Un folto gruppo, ripresosi dallo stupore, si avventò contro di lei deciso ad eliminarla. Alyssa con un salto felino afferrò una gomena, come faceva spesso con le liane nella foresta. Giocando con le sue sorelle tigri volava sopra le loro teste, lasciandole con un palmo di naso, come ora. Piombò in mezzo a quel gruppo disorientandolo nuovamente. Rubio, rimasto fino ad allora a osservare la scena, decise di intervenire, fece cenno a Clark di deviare alcuni uomini a poppa per circondarli. Ben presto decimarono chiunque li ostacolava, convergendo verso il centro, nel frattempo entrò in azione, circondato dai suoi fedelissimi. Prima scaricò due pistole, poi sguainò il grosso spadone. La sua mano sinistra impugnava l’ascia, le maneggiava con estrema destrezza. Sotto quei terribili colpi cadevano in molti, avanzava mozzando teste e mutilando arti, veloce e implacabile. I rimanenti impressionati da tale ferocia si persero nuovamente d’animo, arretravano smarriti. Inoltre, spaventati com’erano, vedendosi attaccati anche alle spalle, non riuscirono a restare compatti. Il capitano Ronald, dopo aver abbattuto un paio di avversari, affrontò Rubio, riuscì a tenergli testa per poco tempo: fu infilzato e decapitato. Alyssa, poco distante, inorridì, fu pervasa da una rabbia accecante; si era affezionata a quel vecchio corsaro dai modi gentili, vederlo uccidere in quel modo scatenò in lei un rancore incontrollabile. Cercò di farsi largo dirigendosi verso lo spietato Lupo nero, avanzando a fatica, poiché aveva i suoi uomini tutti addosso. Lui restava dritto ad aspettarla tenendo strette le armi.
“Non uccidetela, la voglio viva, è lei che ha la mappa!” Ordinò Rubio mentre la ragazza si dirigeva decisa ad affrontarlo. Sembrava inarrestabile, Lupo nero restava ad attenderla affascinato dal suo coraggio, non vedeva l’ora di incrociare le sue lame con un’avversaria degna di rispetto. Senonché uno dei suoi, esasperato, sparò un colpo di pistola ferendola alla spalla. In quel momento si stava difendendo sul parapetto della nave, sentì il bruciore, perse l’equilibrio e cadde in mare. Intanto i loro sguardi si erano incrociati questa volta con una strana sensazione. Lui in quell’attimo vide in lei la vaga figura di una tigre, gli parve addirittura di udire il suo ruggito. Rimase deluso, avrebbe voluto affrontarla, nonostante quella rapida visione gli avesse provocato un attimo di smarrimento. Da allora quello sguardo fugace ritornò spesso ad impadronirsi della sua mente, lasciandogli un profondo senso di inquietudine.
L’imbarcazione intanto stava bruciando, la battaglia volgeva al termine. Con quella manovra a tenaglia, circondati da ogni parte, privi del comandante e con Alyssa caduta in mare, i pochi rimasti non ebbero scampo. Rubio non era abituato a fare prigionieri, furono trucidati tutti senza pietà. Ora scrutava attentamente tra i flutti, sentiva sfumare il suo sogno di liberarsi dalla maledizione. Le onde intrise di sangue, cadaveri e rottami del veliero da poco inabissato, creavano un vortice e una colonna di denso vapore. Il fuoco aveva raggiunto i barili di polvere nella stiva provocando un’esplosione. Di Alyssa nessuna traccia.
“Calate una scialuppa, cercatela, dovete trovarla a tutti i costi!” ruggiva adirato. L’ordine fu eseguito freneticamente, il nostromo con alcuni rematori si faceva largo in quel piccolo cimitero galleggiante. Solo qualche disperato annaspava chiedendo aiuto, chi poteva si aggrappava a qualsiasi cosa gli capitasse a tiro, se si trattava di un nemico veniva inesorabilmente finito a colpi di fucile.
Sopraggiunse una furiosa tempesta, sparpagliò i relitti ancora più a largo. In quell’oceano immenso e spumeggiante Alyssa era sparita completamente dalla vista. Rubio dovette preoccuparsi, dopo quell’amara vittoria di combattere ora contro un vero e proprio uragano, a stento riuscirono ad uscirne fuori dopo una lunga ed estenuante lotta.
Alyssa, aggrappata fino ad allora al timone, si era allontanata poco prima di quelle disperate manovre, quando nessuno faceva più caso a lei. Aggrappatasi poi ad un armadio galleggiante, con molta fortuna e altrettanta fatica, riuscì a cavarsela.
Rubio rimase furioso invece per il mancato obbiettivo, non accettava l’idea che la mappa, l’unica sua speranza di dare una svolta alla sua vita da incubo, fosse finita in fondo al mare. Forse non accettava neppure l’idea che quella scattante, temeraria, fanciulla bionda, come gli era stata descritta, fosse scomparsa negli abissi. Radunò l’equipaggio sul ponte.
“L’avevo in pugno, chi è stato a spararle?” Ruggì passandoli in rassegna con uno sguardo che non prometteva nulla di buono. Seguì un silenzio che durò per qualche minuto, tutti trattenevano il fiato, colti da un brivido al suo passaggio. Sapevano che il loro capitano in questi casi non ammetteva errori. Timidamente il colpevole si decise a giustificarsi.
“Ho cercato solo di ferirla signore, quella furia… impossibile fermarla”. Lui gli si avvicinò, lo guardò fisso negli occhi.
“Bravo, complimenti, hai deciso di sparare proprio al momento giusto, facendola cadere in mare”. Ringhiò sarcastico con una manata sulla guancia. Gli sparò a bruciapelo, restarono tutti allibiti, nessuno ebbe il coraggio di aprire bocca.
“Gettatelo in mare e ricordatevi che gli ordini sono ordini. Ognuno ai propri posti ora”. Freneticamente gli uomini si precipitarono ad eseguire il comando, sollecitati anche dal nostromo. Clark scosse la testa, si accese un sigaro, non approvava certi metodi, ma sapeva che in quei momenti era inutile contraddirlo. Stanco per la battaglia e sfiduciato per l’esito, si appoggiò al parapetto osservando le nubi scure dell’uragano ormai lontane, da cui filtravano i luminosi raggi del sole. Le boccate di fumo si disperdevano in quell’aria limpida, emanando un inconfondibile odore di buon tabacco.
Poco dopo Rubio si avviò verso la poppa costernato, Clark, vedendolo abbattuto, decise di seguirlo col mozzicone ancora acceso; cercò di tirargli su il morale, osservavano la spumeggiante scia della nave.
“Peccato, con la Tigre dell’oceano potevamo diventare invincibili”. Arguì Clark per rompere il ghiaccio vedendo che il suo capitano non aveva nessuna voglia di parlare, continuava a fissare l’orizzonte con lo sguardo perso nel vuoto.
“Non mi importa di diventare invincibile, lo sarei comunque. – Grugnì stringendo i pugni. – Io voglio solo porre fine a questa condanna. – Poi allargò le braccia sfiduciato. – Tanto ormai è tutto inutile, la mappa è persa per sempre e per sempre è affondata la mia speranza”.
“Diceva un vecchio saggio: quando tutto ti sembra perduto accade sempre qualcosa, non ti abbattere mai figliolo. – Cercò di consolarlo Clark. – Devo dire che aveva proprio ragione, cavoli se aveva ragione! – E aggiunse dopo qualche tirata nervosa, per poi soffiare su una densa nuvoletta di fumo disperdendola. – Abbiamo avuto molte perdite grazie a quella furia, non ho mai visto una donna combattere in quel modo, stava venendo dritta verso di te, chissà come sarebbe andata a finire? L’invincibile Lupo nero contro l’amazzone dei sette mari!” Sorrise, cambiando discorso nel tentativo di cavargli qualcosa di positivo dalla bocca. Dopo un breve silenzio Rubio si decise a rispondere.
“Hai ragione, sento che è ancora viva, un tipo del genere non muore facilmente, la sfida è ancora aperta mio buon Clark, anch’io ne sono convinto”. Sospirò incoraggiato da quelle parole.
“Così mi piaci! – Ribatté offrendogli la mano che lui strinse in segno di amicizia. – Quella non è tipo da arrendersi per così poco. Non tutto è perduto amico mio, non tutto è perduto”. Continuava Clark spiaccicando nervosamente il mozzicone sul legno della nave per poi lanciarlo lontano a galleggiare su quella scia lasciata nell’acqua.
Lupo nero ripensava allo sguardo profondo di quella ragazza, l’aveva folgorato, oramai si insidiava nei suoi pensieri con prepotenza. Quella guerriera aveva acceso una fiamma nel suo cuore di ghiaccio. “Se è viva non può essere lontana, la ritroverò”. Pensava dirigendosi a passo deciso verso la sua cabina. Clark non osò seguirlo un’altra volta, appoggiò i gomiti sul parapetto continuando ad osservare quel mozzicone che si ostinava a galleggiare tra quella spuma biancastra. Accese un altro sigaro, qualche minuto a riflettere, uno sguardo su quell’immensa distesa azzurra fino all’orizzonte e si ritirò a sua volta nei suoi alloggi, il tramonto era ormai prossimo.
Rubio, sdraiato sulla branda con lo sguardo rivolto verso l’alto, avrebbe voluto prendere sonno; non riusciva, la notte seguente sarebbe stata di luna piena, lo aspettavano incubi per lui interminabili, tutto si confondeva tra sogno e realtà. Clark lo rinchiudeva nella cella blindata ogni sera per preservare l’incolumità dell’equipaggio. Calata l’oscurità un ululato impressionante squarciava ogni volta il silenzio che regnava in quel mare placido. Pur essendo abituati, i suoi uomini ogni volta raggelavano, la sensazione comune era di viaggiare con la morte a bordo.
Approdata su quel piccolo atollo Alyssa, davvero sfinita, avvertì un forte bruciore alla spalla. Esausta si abbandonò sulla sabbia sottile, riprese un po’ le forze e cercò di capire dov’era finita. L’acqua di mare aveva disinfettato la ferita, evitandole di infettarsi. Fortunatamente era stata colpita da un solo colpo di striscio. Tuttavia aveva bisogno di erbe, che ben conosceva, per una completa guarigione. Dopo essersi medicata a dovere, si costruì un riparo di fortuna col legname che trovò in giro e le foglie di palma.
Passato un mese, o forse più, non era apparso nessuno dei suoi compagni. Ogni tanto andava su un’altura, cercando di scorgere qualche imbarcazione di passaggio. Dopo un’altra terribile tempesta, a cui era sopravvissuta rifugiandosi in una grotta, decise di affrontare nuovamente l’oceano. Vedendo aumentare sensibilmente il livello del mare, pensò ad uno di quegli sputi di terra che emergono dal nulla, per poi inabissarsi di nuovo, seguendo i capricci della natura. Si guardò intorno, l’uragano aveva sparpagliato alcuni tronchi spezzati, capì che poteva sfruttarli per costruire una zattera, mise allineati quelli grosso modo della stessa misura. Come legarli? Camminando lungo la spiaggia notò in lontananza un grosso tronco di palma filamentoso, doveva essere stato parecchio in mare per ridursi in quel modo. Provò ad intrecciare quelle fibre legandole insieme con molta pazienza in diversi punti, ne vennero fuori delle robuste corde. Fece poi una vela con delle canne legate insieme, le assicurò all’albero centrale. Una volta terminata la costruzione della zattera, restò ad osservarla con qualche dubbio, prevalse alla fine la decisione di tentare la navigazione.
“Che Dio me la mandi buona!” Sospirò guardando il cielo. Qualche nuvola di passaggio correva spinta dal vento ad alta quota, uno sguardo al mare, in quel momento invitante, calmo come un lago, restò un po’ in attesa alquanto incerta, alla fine si avventurò. Sperava di incontrare qualche nave di passaggio, oppure la terraferma. Amici o nemici non importava, in quel momento la vita era rimasta la sola cosa per cui lottare. La corrente la spinse ben presto lontano, dandole un senso di smarrimento e vuoto assoluto man mano che quel piccolo atollo diventava sempre più un puntino, fino a scomparire del tutto alla sua vista. Sperduta in quel deserto azzurro, le sembrava che il tempo non scorresse più, non le restava altro che affidarsi a quei tronchi di legno. In quella solitudine anche lei ripensava agli occhi penetranti di Lupo nero, avvilita per quel sentimento che serpeggiava insidioso anche nella sua mente.
“Uno spietato assassino, una volgare belva assetata di sangue e potere, non riuscirà a impadronirsi della Tigre dell’oceano. Credendomi morta, tutti quelli come lui si dovranno rassegnare. Eppure… c’era tanta malinconia in quello sguardo, per un attimo ho avuto l’impressione… sì, pareva volesse chiedere aiuto… Cosa può essere a tormentarlo in quel modo? Al diavolo, spero di non incontrarlo mai più”.
In balia del mare da molto tempo, gli ultimi cinque giorni senza un filo di vento, la zattera alla deriva spinta solo dalla corrente, si alzò in piedi spazientita per scrutare meglio l’orizzonte, nessun segno di vita. Aveva quasi esaurito le scorte di acqua e di cibo, sotto quel sole accecante la tentazione di bere era forte.
“Quanto dovrò stare ancora su questa distesa infinita?” Si chiedeva affranta asciugandosi il sudore e inumidendosi le labbra screpolate dall’arsura. Quella desolazione cominciava a riempirla di angoscia, pur essendo abituata alla solitudine. Stava nuovamente per accasciarsi sfiduciata, quando vide apparire la schiena di una enorme balena a poca distanza. Un lieve sorriso illuminò il suo volto, seguì con lo sguardo il suo ondeggiare e gli spruzzi che emetteva ad ogni emersione. La sua enorme coda batteva violentemente sull’acqua, facendo oscillare quell’insignificante ammasso di tronchi. Sembrava volesse di proposito farsi notare da lei, condannata a restare sulla superficie. L’animale parve percepire il suo desiderio di compagnia, le si avvicinò ancora di più osservandola col suo grande occhio. La ragazza alzò allora timidamente la mano emozionata, in segno di saluto. Fecero un lungo tratto insieme, guardandosi entrambe con estrema curiosità. Poi il gigante si inabissò; quando scomparve tutto intorno ritornò come prima, Alyssa fu pervasa da un grande senso di vuoto. Fissò lo sguardo tristemente nel punto in cui era rimasto qualche cerchio d’onda dapprima spumeggiante, poi sempre più lieve fino ad appiattirsi del tutto. Di nuovo sola si sdraiò cercando di appisolarsi.
Il suo pensiero seguiva ora quella maestosa creatura nel profondo blu, giù fino all’ignoto, immaginando l’enorme varietà di forme di vita. Vagava tra valli incantevoli e monti sommersi, talvolta insieme a banchi di pesci, alcuni dai riflessi argentati, altri con colori sgargianti, tra rossi coralli e alghe ondeggianti. Timide creature facevano capolino da grotte senza luce, quasi a voler dare un’occhiata fuori dal loro ambiente, rintanandosi al primo segno di pericolo. Pensare che sotto di lei, in quella massa d’acqua cristallina vi era tutto questo, le dava un po’ di conforto. Continuava quindi a fantasticare su quel mondo magico. Gli abissi proseguivano fino all’oscurità estrema, che lei, senza sapere come, si trovava a seguire al di là dell’immaginazione. A quel punto venne colta da un brivido, sentiva la presenza di qualcosa, tale da indurla a tornare il più presto possibile in superficie. Riusciva a salire a stento, i suoi movimenti pesanti. Dal buio di quelle profondità le pareva di intravedere la massa di un enorme animale, apparentemente simile a quella balena. Non era lei. Di lì a poco le si parò davanti una mostruosa creatura, con un’enorme bocca dalla forma allungata, munita di lunghi denti aguzzi. Si muoveva con quattro pinne laterali a grande velocità, sguardo minaccioso, occhi freddi, inespressivi. Alla vista di quel mostro marino non le restava che annaspare verso la superficie, pur sapendo di non avere scampo. Sulla terraferma avrebbe combattuto qualsiasi avversario come una tigre, ma in acqua si sentiva smarrita, inerme. Morire senza potersi difendere la faceva sentire ancora peggio; si vedeva ormai tra le fauci di quel mostro, quando si svegliò di soprassalto.
“Ah, un incubo, per fortuna… solo un sogno”. Constatò con la fronte sudata. Si alzò, il sole ormai al tramonto. Si passò la mano davanti alla bocca sempre più arsa per la sete. Prese decisa la borraccia di pelle, la svuotò con avidità, la gettò in mare con gesto isterico. Si sedette, restò a guardare il cielo fino all’imbrunire. Poi si sdraiò con le mani dietro la nuca compiacendosi nel vederlo riempirsi di stelle. Prese il contenitore dentro il quale era arrotolata la mappa, la tirò fuori per tentare di memorizzarla, osservandola al chiar di luna, la mente affollata da mille pensieri.
“Tutto sembra finire… Senza nave, senza equipaggio… Non so neppure se sopravviverò. Ho promesso a mio padre che avrei trovato il veliero leggendario, che lo avrei vendicato. La Regina dei mari… Lei lo sa, si sente minacciata, vuole eliminarmi”. Non riusciva a prendere sonno, continuava a fissare il cielo stellato, rischiava di perdere la ragione. “Quel giovane pirata… non può essere l’avidità che lo spinge a cercare di impadronirsi della mappa, quale ignoto destino lo avrà messo sulla mia strada?” pensava.
“Rabbia e tristezza si sono impadroniti del suo cuore. Sono certa che lo incontrerò ancora. Non so bene perché, ma lo incontrerò ancora. Forse… no no, tutto sta per finire…” Alyssa si addormentò a notte fonda con l’immagine di quel ragazzo davanti a sé. All’alba fu svegliata dallo stridio di un gruppo di gabbiani che sorvolavano la superficie del blu, avvicinandosi alla zattera. La loro presenza indicava che si stava avvicinando alla terraferma. Con entusiasmo riprese le forze, il suo cuore si riempì di speranza. Infatti poco dopo in lontananza iniziò a scorgere i primi rilievi montuosi, tirò un sospiro di sollievo, era salva, non tutto era perduto. Si alzò in piedi, annodò la blusa alle spade allacciandosele dietro le spalle. Avrebbe potuto arrivare a terra senza difficoltà manovrando un rudimentale timone. Sfortunatamente la zattera si dilaniava sempre di più, la costa ancora distante. Si sforzava di tenere ancora insieme quei pezzi di legno, inutilmente. Fu costretta a rinunciare e a gettarsi in acqua, doveva raggiungere la riva a nuoto. La costa sembrava più vicina di quello che era in realtà, nuotava il più velocemente possibile sfruttando tutta la forza che le era rimasta. Pareva che l’oceano la volesse tenere a sé, lei immaginava di parlargli:
“Se mi lasci arrivare a terra troverò un equipaggio, porterò a termine il mio compito. Aiutami vecchio amico azzurro, lo so che sei dalla mia parte”. Sembrava davvero che l’avesse ascoltata, una serie di onde improvvise, mosse da folate di vento, la spinsero velocemente verso riva. La costa frastagliata, alcune rocce emergevano dalla superficie, con forme strane, talvolta minacciose. L’acqua, sbattendo spumeggiante su di esse, confondeva l’orientamento, rischiò più volte di sbatterci contro. Con molta fortuna riuscì comunque ad evitarle; si aggrappò ad un provvidenziale scoglio. Troppo scivoloso, la risacca tendeva a spingerla indietro, dovette tenersi con forza. Si diede poi uno slancio con le braccia e uscì finalmente fuori dall’acqua vorticosa. Si accasciò su quell’impervia scogliera per riprendere fiato, si alzò dopo qualche minuto ancora ansimante. Si voltò verso il mare, al largo affiorava di tanto in tanto qualche tronco, poté valutare la tappa che aveva appena terminato.
“Un bel tratto accidenti, ma ce l’ho fatta!” Pensò soddisfatta ad alta voce. Controllò di non avere perso nulla. Le spade ancora annodate con la giubba alle spalle, la mappa al sicuro nel suo involucro. Un sospiro di sollievo. Stremata, l’aspettava una difficoltosa arrampicata; davanti a sé una ripida parete rocciosa. In condizioni normali non le sarebbe stato difficile scalarla, ma in quel momento era sfinita. Si fece coraggio, si infilò gli stivali e cominciò a salire. A metà percorso si sentì mancare le forze, rischiò di perdere più volte l’equilibrio. Con tutta l’energia rimasta in corpo riuscì a raggiungere faticosamente la cima. Il sole era rovente, si sdraiò per riprendere fiato e asciugarsi. Sentirsi sulla terraferma dopo tutto quel tempo le dava una bella sensazione. Si guardò intorno, una vasta zona arida battuta dal vento, qualche pino marittimo risaltava in mezzo ad arbusti spinosi e piccoli massi. In fondo una fitta vegetazione. Un ultimo sguardo al mare, un altro sospiro di sollievo e si mise in cammino verso la boscaglia. Dopo qualche passo indossò la giubba ancora umida per ripararsi da un forte vento. Assicurò le spade alla larga cinta trasversale e andò in cerca di cibo, aveva una fame da lupi.
Era approdata su un’isola abitata da una colonia spagnola. Doveva essere prudente, poiché a causa di alcuni atti di pirateria qualcuno poteva riconoscerla, e rischiava di essere arrestata. Davanti a sé vi era una radura di piante aromatiche, piccoli arbusti, cespugli spinosi e qualche rosso papavero.
Trovò ben presto una sorgente d’acqua fresca per dissetarsi. Lo fece con avidità. In quell’acqua limpida che scorreva veloce tra erba alta e fiori di svariati colori, immerse più volte anche il viso, cotto dalla salsedine e dal sole. Cercò intanto di rifocillarsi con bacche e frutti selvatici, che abbondavano nei dintorni. Non le bastava a saziare quella fame arretrata, doveva per forza cacciare della selvaggina. Non avendo armi da fuoco andò in cerca di rami flessibili per costruirsi un arco. Del resto non le conveniva farsi notare. Fece poi una quindicina di frecce rudimentali, acuminate a dovere, pronta a iniziare la battuta di caccia. Seguì le tracce di un grosso cinghiale, riuscì ad avvistarlo, fu tentata di abbatterlo. Esitò con l’arco puntato verso la bestia ignara del pericolo. Pensò che per lei sarebbe stata una preda troppo grande. Guardò il cielo, puntò l’arco verso un tordo.
“Troppo piccolo. – Cominciò a sbuffare. – Possibile che in questa dannata foresta non ci sia qualcosa alla mia portata?” Si inoltrò nella macchia, camminò per un lungo tratto fino ad imbattersi in un coniglio selvatico. Si avvicinò il più possibile cercando di restare sotto vento, con passo felpato, silenziosa come una tigre. Con estrema cautela si acquattò dietro un cespuglio, prese accuratamente la mira, l’animale non ebbe scampo, la freccia lo centrò in pieno; prima di raccoglierlo si inginocchiò rammaricata.
“Scusami tanto amico, l’ho fatto per necessità”. Pensò rivolgendo poi lo sguardo al cielo. Finalmente una tregua, guardò la posizione del sole, mancava ancora qualche ora al tramonto. Raccolti dei rami secchi e qualche pezzo di legno accese un fuocherello, non vedeva l’ora di calmare i morsi della fame. Si accingeva a girare la sua preda allo spiedo, pregustando un’ottima cena; il profumo infatti inebriava l’aria, specie grazie alle erbe aromatiche trovate nei dintorni, con le quali accuratamente seguiva la cottura. Aveva l’acquolina in bocca quando le parve di sentire singhiozzare: “Un attimo di pazienza amico, arrivo subito”. Così si rivolse sottovoce a quel prelibato coniglio ormai cotto, allontanandolo dal fuoco. Perlustrando i dintorni non le fu difficile scorgere una bella ragazza acquattata tra i cespugli. Sembrava impaurita. Alyssa si rese conto che quella fanciulla era inseguita da qualcuno. Non le si avvicinò subito, voleva capire chi e quanti fossero a molestarla. Restò dunque ad osservare la scena nascosta tra la vegetazione, pronta eventualmente ad intervenire. Notò che indossava degli abiti eleganti e costosi, sia pure sgualciti. Aveva dei lunghi capelli neri legati a mezza coda con un fermaglio di valore. Era ornata con una collana di perle e orecchini d’oro.
“Una damerina. Con tutta quella roba che indossa potrei ricavarci un bel gruzzoletto. Quasi quasi… – Rimuginava tra sé. – Ma cosa vado a pensare? Mi è antipatica, ma è solo una ragazzina in pericolo”. Di lì a poco infatti sbucò un energumeno che la immobilizzò.
“Venite fuori ragazzi, l’ho presa!” Esultò ridendo in modo sguaiato. Alyssa fu colta da un sentimento di tenerezza nel vederla così indifesa. Quando i malviventi furono tutti riuniti capì che aveva di fronte non più di una decina di avversari. Solo che altri giravano nei dintorni, e ben presto avrebbero raggiunto il gruppo. La ragazza intanto urlava e si dimenava tirando calci inutilmente.
“Questa gallinella ci frutterà un bel guadagno, il governatore non lascerà sua figlia in balia di un branco di taglia gole”. Sogghignò uno di loro.
“Già, Francisco sarà soddisfatto”. Aggiunse un altro. Non riuscivano a calmare la giovane, il più grosso cominciò a tirarle delle sberle. Quando fu a terra le puntò la pistola alla tempia minaccioso.
“Ti conviene collaborare o perderò la pazienza”. Ruggì. A quel punto una freccia in fronte lo lasciò incredulo, si accasciò con gli occhi sbarrati. Gli altri impugnarono le armi guardandosi intorno impauriti, cercando di capire con chi avevano a che fare. Un altro paio di frecce raggiunsero inesorabilmente alla schiena due di loro mentre fuggivano in cerca di un riparo. La ragazza restò attonita, impietrita alla vista del sangue, non era abituata a scene così raccapriccianti. Il gruppo, nello scompiglio cominciò a sparare nella macchia a casaccio. Quei colpi attirarono altri compagni nelle vicinanze. Alyssa non restò certo ad aspettare quella carica micidiale, il piombo schizzava da ogni parte scheggiando cortecce d’albero e spezzando rami, una nuvola di fumo rarefatta si sollevò lasciando nell’aria un odore acre di polvere da sparo. La ragazza stava già sgattaiolando per avvicinarsi e prenderli alle spalle, si erano sparpagliati. Strisciando silenziosa piombò all’improvviso dietro la schiena di uno nascosto vicino a una grossa pianta, pronto a sparare. Lei lo sgozzò con un coltello prima che potesse emettere un grido. Notò un altro a poca distanza, l’aveva individuata, lo inchiodò rapidamente scagliando una freccia. Prima di cadere l’uomo fece partire un colpo che andò a vuoto, attirando l’attenzione in quel punto, tutti si concentrarono verso di lei. Arrivati sul luogo trovarono solo i corpi dei due già abbattuti.
“Maledizione! – Imprecò uno di loro. – Dobbiamo capire quanti sono, cerchiamo di mantenere la calma, restiamo uniti”. Propose spaventato.
“Io dico che saranno almeno una quindicina, siamo circondati, meglio darsela a gambe”. Aggiunse un suo compagno atterrito da quel nemico invisibile.
Nel frattempo Alyssa si diresse verso la fanciulla tremante di paura, un bandito era rimasto a controllare che non fuggisse. La guerriera, sguainate le spade, scattante e veloce come un felino, dopo qualche schermata lo abbatté con un fendente al ventre. Si parò poi davanti a Manola, così si chiamava. Scioccata da quel trambusto si guardava attorno senza sapere se conveniva fuggire e soprattutto da che parte. Sopraggiunsero gli altri, corsero minacciosi verso le ragazze erano ancora un folto gruppo.
“Accidenti, ho sottovalutato il numero, altro che una decina”. Pensò Alyssa. Si concentrò, si mise in guardia contro un grosso albero pronta ad affrontarli. In quel momento fortunatamente sopraggiunse un plotone di soldati incaricati di scortare la nobile fino a palazzo che furono attirati dagli spari. I malviventi sopravvissuti dovettero darsi alla fuga, le guardie corsero dietro i banditi, Manola si ricompose, si presentò alla sua salvatrice e la ringraziò.
“Ti sarò sempre grata per quello che hai fatto. Qual è il tuo nome?”
“Alyssa”. Rispose lei.
“Alyssa… e poi?” Insistette, desiderando presentarla alla sua famiglia con molta ingenuità. Non ebbe il tempo, quella specie di furia sparì all’improvviso come fosse ingoiata dalla foresta, così com’era apparsa, solo qualche ramo ondeggiava lentamente indicando il suo passaggio. La giovane rimase sorpresa, delusa, avrebbe voluto conoscerla meglio. A quel punto notò qualcosa in mezzo all’erba. La mappa, l’aveva persa nel tafferuglio. La raccolse, la tirò fuori dal contenitore, la srotolò. Si rese conto che doveva trattarsi di un documento di vitale importanza. Non capiva gli strani segni che raffigurava, la nascose frettolosamente sotto le vesti. Guardò verso la foresta.
“Sono certa che verrai a cercarmi, ci rivedremo ancora”. Pensò affascinata. L’eco degli spari e la voce del capitano Miguel che le correva incontro premuroso, la riportarono alla realtà, . Un uomo sulla quarantina, robusto, media statura, capelli brizzolati legati dietro la nuca con un fiocco blu, di aspetto fiero e ordinato, sciabola scintillante al fianco.
“Tutto bene signorina? Siete per caso ferita?” Chiese con la sua solita gentilezza.
“Tutto bene, grazie”. Rispose lei.
“Siete sempre così imprudente. Dovreste stare più attenta, gli angeli custodi non arrivano sempre in tempo”. La riprese con le sue buone maniere.
“Sì, avete ragione, mi dispiace, cercherò di stare più attenta, mi sono allontanata troppo”. Si scusò la giovane arrossendo. L’ufficiale le offrì il braccio e l’aiutò a salire sul suo cavallo.
“Scortate la signorina a palazzo, tenete gli occhi aperti, noi intanto rastrelleremo la zona per verificare che non ci sia qualcun altro in agguato, vi seguiremo a distanza”. Ordinò al sottufficiale.
“Sissignore!” Rispose solerte il sergente Martinez. Un bravo soldato, ligio al dovere, anche lui in apprensione per la sorte di Manola. Quest’ultima strada facendo pensava ancora ad Alyssa, affascinata dal suo spirito libero. Con quella pettinatura ribelle e quel modo di combattere, nessuno era riuscito a fermarla. Solo due di quei banditi fecero perdere le tracce riuscendo a fuggire, tre vennero catturati dai soldati, gli altri caddero sul campo di battaglia rifiutando di arrendersi. Erano al soldo di un vecchio brigante di nome Francisco, scampato diverse volte alla forca. Folta capigliatura grigia, barba incolta, due occhi vispi sempre attenti, aveva l’abitudine di scrutare a fondo le persone come fosse in grado di leggere nell’anima. I due sopravvissuti arrivati al rifugio lo misero al corrente dell’accaduto.
Vivevano arroccati in un nascondiglio a ridosso di una scogliera, non era semplice arrivarci, occorreva risalire un ripido sentiero sdrucciolevole in fila indiana, inoltre vigilavano molte sentinelle nei dintorni. In quella grotta carsica, con l’ingresso a picco sul mare, si erano creati una vera roccaforte.
“Siete partiti più di una ventina e tornate solo in due?” Chiese sorpreso Cosè, il figlio di Francisco. Un ragazzone alto, robusto, lunghi capelli chiari sciolti sulle spalle, aspetto rude da bonaccione, prendeva la vita per un gioco divertente. Al suo fianco l’inseparabile Carmelita, bellissima ragazza mora, occhi neri come il carbone, sicuramente di origine gitane.
“Siamo stati attaccati da qualcuno, non sappiamo quanti erano, abbiamo visto solo una ragazza coi capelli biondi, spariva e ricompariva come uno spettro tra gli alberi”. Blaterarono mortificati i due uomini.
“Chi poteva essere?” Pensò ad alta voce Cosè.
“Chiunque sia non è di queste parti, dobbiamo trovarla e capire perché ci ha attaccati”. Intervenne secco Francisco.
“Non fosse stato per l’arrivo dei soldati le cose sarebbero andate diversamente, l’avevamo in pugno, eravamo ancora in molti”.
“Da come l’avete descritta è stato un bene per voi. – Ribatté il vecchio severamente. – Ora ritiratevi a leccarvi le ferite e meditate sull’accaduto, la prossima volta comportatevi da uomini”. Poi ordinò di setacciare i dintorni e possibilmente catturarla viva, senza farle del male. Quella vecchia volpe aveva uno strano presentimento, la descrizione di Alyssa lo lasciò perplesso. Si ritirò nella sua stanza, uno di quei cunicoli sotterranei con un’apertura nella roccia, a riflettere. Osservava spesso, come ora, con una certa punta di invidia, i gabbiani volteggiare liberi in quel cielo terso. Giocavano gioiosi col vento, si divertivano a lasciarsi trasportare verso l’alto dalla corrente per poi lasciarsi andare veloci in picchiata proseguendo sul pelo dell’acqua increspata. I loro versi striduli si confondevano col fragore delle onde del mare che si infrangevano con violenza sulla scogliera.
Intanto Manola veniva rimproverata rigorosamente dal padre, don Fernando, un tipo severo ma di animo buono. Corporatura tonda, baffoni neri sovrastavano un pizzetto brizzolato che ogni tanto lisciava abitualmente con la mano, una parrucca sul capo con un codino di velluto azzurro.
“Devi smetterla di allontanarti troppo dalla scorta. Per fortuna ti hanno ritrovata, se non fosse stato per i miei bravi soldati…” Rimbrottava gesticolando nervosamente.
“Veramente devo la vita ad un’altra persona”. Precisò la figlia timidamente.
“Ah sì? E dov’è finito questo tuo salvatore? Lo vorrei ringraziare personalmente e magari ricompensarlo”.
“Non ci crederete ma… si tratta di una ragazza, mi ha detto di chiamarsi Alyssa, poi è scomparsa nella foresta come un fantasma”.
A quel punto intervenne il colonnello don Pedro, un uomo oltre la quarantina, un tipo ambizioso che bramava la mano di Manola, non certo per amore, il suo scopo era di prendere il posto di don Fernando, in tal modo avrebbe aumentato il prestigio sociale e si sarebbe arricchito ancora di più.
“E vorreste farci credere che una ragazza da sola abbia tenuto testa a una ventina di uomini?” L’apostrofò portando alla bocca un acino d’uva, accatastata dentro un cesto sul tavolo, accanto ad altre prelibatezze. Il governatore ne approfittò per fare onore a un paio di bocconcini dolci preparati con cura dalla servitù.
“Avreste dovuto vederla, si batteva come una tigre, nessuno di loro riusciva a reagire ai suoi attacchi, piombava addosso all’improvviso. Non ho potuto neanche ringraziarla, appena arrivati i soldati si è dileguata nella foresta, come vi ho già detto. – Specificò Manola infastidendolo col suo entusiasmo. A quelle parole i due uomini rimasero perplessi, si guardarono attoniti rimanendo senza parole. – Vorrei diventare come lei, come posso fare per imparare?” Continuò ingenuamente la ragazza. Il padre deglutì, si asciugò i baffi con un fazzoletto. Don Pedro fece una smorfia di disapprovazione.
“Non farti venire strane idee figliola, ora vai in camera tua, coraggio”. Esortò gesticolando amorevolmente con le mani. Lei, senza aggiungere altro, fece il consueto inchino e si ritirò.
“Inutile insistere con chi non vuole ammettere che una donna possa arrivare a tanto”. Pensò stizzita voltando le spalle per dirigersi nella sua stanza.
Rimasti soli i due si consultarono sul da farsi sconcertati: “Signore, se questa storia è vera dobbiamo trovare questa Alyssa”. Consigliò il colonnello preoccupato, temendo più che altro che la sua fidanzata, già di natura ribelle, potesse emulare un simile comportamento. Cercava già di immaginare i modi di fare di quella misteriosa guerriera che riteneva più adatti ai selvaggi del luogo piuttosto che a una ragazza d’alto rango.
“Sono pienamente d’accordo. Ha salvato mia figlia, certo, ma una che fugge senza attendere una sicura ricompensa, o perlomeno un ringraziamento… deve avere la coscienza sporca. Potrebbe far parte di una banda di briganti, o, peggio, di pirati. Se bazzicano da queste parti sarà necessario aumentare il livello di guardia, dobbiamo proteggere la popolazione, perbacco”. Confermò il governatore prelevando un altro di quei dolcetti, e invitando con un gesto il suo interlocutore a fare altrettanto. Lui lo assecondò.
“Già, forse non voleva neppure salvarla, se la contendeva con una banda rivale, non c’è altra spiegazione. Farò perlustrare tutta l’isola e la scoverò, così potremo conoscere le sue vere intenzioni. In quanto ai briganti che infestano la zona attendo con ansia vostre istruzioni, spero che vi deciderete a concedermi carta bianca per qualche decisivo intervento”. Concluse l’ufficiale avviandosi dunque verso l’uscita.
“Un momento colonnello! – Lo trattenne il nobile senza distogliersi dai bocconcini, data la sua proverbiale golosità. – Ricordatevi in ogni caso che ha pur sempre salvato mia figlia”. Lo apostrofò con sguardo severo conoscendo i suoi metodi. Un largo sorriso ipocrita che sapeva di intesa, un profondo inchino e don Pedro si congedò. Chiusa la porta si allontanò con un’alzata di spalle.
Il sole stava tramontando, Alyssa lo osservava mentre si immergeva all’orizzonte, uno spettacolo suggestivo che non voleva quasi mai perdersi. Ignara che di lì a poco avrebbe avuto mezza isola alle calcagna, si apprestava a ritirarsi in santa pace per cuocersi un grosso pesce. Purtroppo al coniglio ci aveva pensato sicuramente qualche volpe di passaggio. Con tanta pazienza e una rudimentale lancia uncinata sulla punta era riuscita ad arpionare tra gli scogli un prelibato scorfano.
“Mi dispiace per te amico, ma la cena che mi sono procurata è sparita”. Mormorò incamminandosi dunque di buon passo verso la foresta in cerca di un riparo, per non essere sorpresa dal buio allo scoperto. Trovata ben presto un’ampia caverna, accese un fuoco per cuocere la sua nuova preda e riscaldarsi dall’umidità della notte. Finalmente, dopo aver allestito un giaciglio di fortuna con paglia e foglie secche trovate nei paraggi, poté riposare, con le spade accanto, sempre pronta a tutto. Non riusciva a prendere sonno, osservava la brace, il fuoco divorava gli ultimi pezzi di legno scoppiettando, spossata dalle ultime fatiche non aveva neppure la forza di alimentarlo ancora. Solo ora sentiva un bruciore alla spalla sinistra, si toccò con la mano, niente di grave, una lieve ferita durante l’ultima colluttazione.
“Brutta giornata anche oggi. Che imprudente quella ragazzina. – Rimuginava facendo il punto sugli ultimi avvenimenti. – E accidenti a me che non riesco mai a farmi gli affari miei. Mi serve un equipaggio, una nave… devo trovare la Tigre dell’oceano”. Con questi pensieri cadde, senza accorgersene, in un sonno profondo. Si ritrovò in una fitta foresta, con alberi giganteschi, talmente imponenti da oscurare il cielo; vagava sperduta in mezzo a quella selva. Udì un fruscio e inquietanti rantoli, nella penombra apparvero due occhi gialli. Sguainò l’arma pronta a difendersi. All’improvviso balzò dall’oscurità una grossa lucertola, si reggeva su due possenti zampe posteriori. Alta come un uomo, una lunga coda sottile, arti anteriori muniti di artigli affilati, muso allungato con denti aguzzi. Alla vista di quella creatura inizialmente fu presa dal panico. Cercò subito di ricomporsi, scrutava irrequieta tra la vegetazione, sentiva che quel mostro non era solo. Infatti qualche istante dopo altri suoi compagni uscirono allo scoperto. Cercò di colpire il primo con un fendente. Non perdeva sangue, si dissolveva e si ricomponeva lentamente. Ne colpì altri ottenendo lo stesso effetto.
“Ma… che diavolo…” Rimbrottò sorpresa. Le si avventarono addosso immobilizzandola a terra. Cercava inutilmente di svincolarsi, quei mostri le impedivano i movimenti, i rantoli e una bava vischiosa la infastidivano, provocandole ansia e ribrezzo. In lontananza scorse una giovane donna con un lungo vestito color nebbia, lunghi capelli neri, sguardo di ghiaccio, avanzava verso di lei lentamente. Fu colta da un brivido lungo la schiena, raccolse tutte le forze, si alzò in piedi decisa, brandì la sua arma. Le uscì un ruggito simile a quello di una tigre. Riuscì a scrollarsi di dosso quei mostriciattoli menando terribili fendenti; questi si dissolsero definitivamente uno dopo l’altro. L’inquietante figura davanti a quella reazione si fermò, intimorita da quell’energia ritrovata. Si udirono a quel punto gli ululati dei lupi, Rubio intervenne tra le due impugnando tra le mani una pesante spada. A quel punto Alyssa si risvegliò di soprassalto, tutta sudata.
“Accidenti, un altro incubo”. Sussurrò a bassa voce ansimando. Si alzò, uscì fuori dalla caverna, guardò il cielo. Brillava una luna quasi piena, sentiva in lontananza l’ululato dei lupi come nel sogno, il suo primo pensiero fu per quel giovane pirata. Colta da un brivido di freddo si strinse nelle spalle e tornò al suo giaciglio. Ne approfittò per attizzare il fuoco, data la brace ancora calda. Mentre cercava di riaddormentarsi si chiedeva perché Rubio si era intromesso in quello strano sogno. Quel terribile pirata nel suo incubo… aveva forse un significato?
Lupo nero intanto, sulla nave, era agitato, non gli andava giù l’idea di aver perso quell’opportunità, senza quella mappa impossibile trovare la Tigre dell’oceano e la voleva a tutti i costi. Era sicuro che Alyssa fosse sopravvissuta, il suo intuito infallibile non lo aveva mai tradito. Da più di un mese seguiva ostinato le sue tracce, facendola cercare negli isolotti e nei numerosi atolli sparsi nei dintorni del luogo della battaglia. Ovunque si raccontava di una ragazza guerriera in cerca di una nave blu.
“Quella non è una donna comune, io l’ho vista, si batte come dieci uomini, un’abile spadaccina”.
“Già. Cerca quella misteriosa nave, è nascosta in un luogo inaccessibile. Enorme, armata di cannoni a lunga gittata, una potenza di fuoco micidiale, si dice pure che è inaffondabile”.
“Una nave capace di tener testa a una flotta intera”. Questi i commenti nelle bettole tra un bicchiere e l’altro. Tutti sognavano di essere ingaggiati da qualcuno in grado di impossessarsi della mappa e avventurarsi alla sua ricerca. Gli uomini di Lupo nero erano scettici, la ritenevano morta, così come una leggenda, sul nascere. Tuttavia si davano un gran da fare obbedendo ai suoi ordini, senza però alcun risultato.
“Ci dobbiamo rassegnare, la mappa è in fondo al mare e nessuno troverà mai quel veliero, ammesso che esista. Resteremo comunque tra i più forti”. Lo confortava Clark.
“La mappa non è in fondo al mare, ne sono sicuro, quella furia è viva e non è solo una questione di superiorità, lo sai bene. Tu sai con chi abbiamo a che fare, ho compiuto la mia vendetta, ma la maledizione continua a perseguitarmi. Mi serve quella nave per sconfiggere la regina dei mari. – Insisteva caparbio. – Chiederò aiuto a Morea, forse è l’unica a poter fare qualcosa”. Aggiunse dopo una lunga riflessione.
“Ma certo! Non ci avevo pensato. Quella specie di strega si è rintanata in un luogo sinistro, lontano dalle rotte comuni, non sarà facile avvicinarla”.
“Rappresenta la nostra unica speranza, dobbiamo provarci”. Ordinò dunque la rotta per l’isola degli avvoltoi. Morea lo aveva aiutato in molte occasioni, lei stessa gli aveva rivelato che l’unico modo per sconfiggere la Regina dei mari era impadronirsi della Tigre dell’oceano. L’equipaggio era spaventato all’idea di raggiungere quel luogo sinistro, quella donna aveva una brutta fama, molti avventuratisi su quell’isola non erano più tornati. Giovane, di bell’aspetto, capelli rosso fuoco e stupendi occhi azzurri come il mare, viveva isolata dal mondo protetta da una temibile tribù di selvaggi che, secondo una leggenda, si nutrivano del sangue dei loro nemici. Dotata di oscuri poteri, invaghita di Lupo nero, aveva condiviso con lui anni spensierati e traumatici di adolescenza. Rubio sperava che fosse in grado di indicargli la via per trovare Alyssa. Navigarono dunque per molto tempo in mari sconosciuti, dopo uno scalo per rifornirsi di acqua e viveri. Morea in quel luogo insidioso intuiva qualcosa di insolito ed era pronta ad attenderli. Ormai prossimi all’arrivo, l’isola apparve all’orizzonte coperta di nubi, l’equipaggio a quella vista iniziò a rabbrividire. Il ticchettio di una leggera pioggia, inumidiva il ponte e quei rudi uomini pur avvezzi alle intemperie; insieme allo scricchiolio del legno rompeva quel silenzio di tomba. Qualcuno commentava sottovoce: “Spero di non essere tra quelli che scenderanno a terra”.
“Puoi dirlo forte, quello è un luogo maledetto”.
“Non siamo ancora arrivati e non vedo l’ora di riprendere il largo”.
“Preferirei affrontare una flotta intera”. Quel mormorio cessò allorché Lupo nero passò in rassegna l’equipaggio per scegliere gli uomini che riteneva più coraggiosi. La nave intanto scivolava lentamente in quel mare increspato, avvicinandosi inesorabilmente alla meta. Nubi minacciose in un cielo cupo rendevano ancora più inquietante l’atmosfera tetra. Arrivati a destinazione Rubio fece ancorare il veliero al largo, ordinò a Clark di restare a bordo e approdò con un paio di scialuppe. Sulla scogliera frastagliata biancheggiavano ossa di incauti che vi si erano avventurati in passato e che contribuivano a far rabbrividire di più quel pugno di temerari. Si poteva accedere all’isola risalendo un fiume sotterraneo. Nell’ultimo tratto dovevano ancorare la barca, immergersi e percorrerlo in apnea. Un bel pezzo a nuoto, presero fiato e sbucarono in un lago all’aperto, adagiato in un’ampia vallata ricca di vegetazione, dopo una faticosa immersione. Si incamminarono poi lungo un impervio sentiero verso la cima di un’altura, dirigendosi verso quella che ritenevano essere la dimora della strega. Si trattava di una grotta con l’ingresso seminascosto da cespugli e piante rampicanti. Sulla cima spiccava inconfondibile una roccia con la vaga forma di testa di cobra. La piccola colonna avanzava in fila indiana, Rubio al centro protetto da avanguardia e retroguardia. Erano uomini avvezzi al combattimento, sopravvissuti a molte battaglie. In quel luogo dimenticato da Dio la paura prevalente era costituita dai poteri di Morea. Lungo il cammino infatti incontravano raccapriccianti figure di uomini pietrificati; alcuni trasformati in mezze bestie: chi con busto di cinghiale, teste di cervo, pelle squamata come rettili e quant’altro. Altri si aggiravano irrequieti in forma permanente o quasi, con la vana speranza di riprendere un giorno il loro aspetto originario. Gli indigeni non disdegnavano di cacciarli come veri animali, spesso cucinandoli vivi.
“Procediamo con cautela, quest’isola è piena di insidie, ogni tanto guardatevi le spalle. Non toccate frutti selvatici di nessun genere, per quanto possano essere invitanti”. Si raccomandò Rubio dopo un breve tratto, conoscendo bene la magia della sua amica. Lo assaliva un brutto presentimento, stava andando tutto troppo liscio. Scrutava dietro ogni cespuglio, dietro ogni masso, ogni pianta. Richiamò la sua attenzione l’ultimo della fila.
“Capitano, capitano, sono spariti Lucio e Alvarez.” Urlò l’uomo spaventato, il forte vento disperdeva quasi la voce.
“Li abbiamo alle costole, non perdete la calma. – Osservò più attentamente la zona. – Voi tre, guardateci le spalle, voi altri, proteggete il fianco, voi sei con me, arrampichiamoci su per questa scarpata, dall’alto controlleremo la situazione”. Diede queste disposizioni per avere modo di attendere un altro agguato e stringere un cerchio intorno agli aggressori. Infatti, giunti in una posizione strategica non gli fu difficile scorgerli nascosti tra la vegetazione spinosa e fitti cespugli, pronti a colpire con micidiali archi muniti di frecce avvelenate. Rubio al momento opportuno si precipitò all’attacco. Non sembravano in molti, una scarica di fucileria per giunta li dimezzò. Corsero dunque come forsennati a sciabola sguainata sui pochi rimasti. Uditi gli spari gli ultimi tre della fila si precipitarono in aiuto, come aveva ordinato il capitano. Tuttavia sarebbe bastato anche solo Lupo nero. Infatti saltò addosso a un indigeno che stava per colpire uno dei suoi uomini, lo afferrò per il collo, lo gettò a terra e lo infilzò ripetutamente con un pugnale. Un altro gli si stava avventando addosso brandendo una mazza di pietra. Sguainò rapidamente la spada colpendolo violentemente all’addome con un fendente. Ne sopraggiunsero urlando altri tre. Uno fu freddato con un colpo di pistola alla fronte; quando gli altri furono vicini uno venne decapitato, l’altro mutilato della mano che impugnava la rudimentale arma primitiva, velocemente infilzato allo sterno da parte a parte. Con un calcio la vittima fu gettata a terra per poter estrarre la spada. Contemporaneamente notò l’ombra di un aggressore proiettata dietro di sé, una veloce piroetta e lo decapitò di netto, la testa rotolò giù per la scarpata vicino ad altri selvaggi. Sbucati allora fuori dal loro nascondiglio preferirono darsi alla fuga. Rubio si guardò intorno. I suoi avevano decimato i rimanenti avversari, da quella parte pareva non ci fosse più pericolo.
“Come mai così pochi?” Si chiese uno sospettoso.
“Giusta osservazione. Non credo che sia finita ragazzi, il peggio ci aspetterà sicuramente più avanti, volevano che arrivassimo meno numerosi possibile”. Li avvisò sicuro di non sbagliare. Non sapendo tuttavia in quale punto il gruppo di indigeni più numeroso li avrebbe attaccati fece avanzare un piccolo drappello seguendolo col resto degli uomini a distanza. Per un lungo tratto non subirono più agguati. Lupo nero restava all’erta, avanzava con estrema cautela. Non mancava molto per arrivare a destinazione, che si udirono degli spari più avanti. Si affrettarono a raggiungere l’avanguardia. Ci fu un sanguinoso scontro dall’esito imprevedibile. Loro avevano armi da fuoco e sciabole, gli indigeni, di gran lunga superiori di numero, sbucavano da ogni parte. I pirati si battevano come leoni lasciando sul campo molti nemici. Terribili colpi di sciabola li decimavano, le rocce intorno si tingevano di rosso. A turno caricavano l’artiglieria per tenerli distanti il più possibile. Uno di loro, dietro ordine di Rubio, era riuscito a schierarli ordinatamente in doppia fila, nonostante il panico iniziale. Riuscirono in tal modo, senza disperdersi, a rallentare l’attacco, ma gli indigeni continuavano a comparire come nuvole di insetti. Ben presto i pirati si ritrovarono questa volta allo sbaraglio. Lupo nero, fino ad allora protetto da un gruppetto di uomini, si ritrovò allo scoperto. Fu pervaso da una rabbia incontrollabile, non si aspettava una simile accoglienza, voleva solo raggiungere ad ogni costo la dimora della sua amica d’infanzia. Si fece largo come una furia mozzando teste e mutilando arti, la belva che albergava in lui in quei casi gli dava la ferocia necessaria. Gli avversari si impressionarono dunque a tal punto da non osare sfidarlo. Creatosi il vuoto intorno ora era lui ad inseguirli senza dargli tregua. Chi gli capitava a tiro non aveva scampo. Combattendo in quel modo alquanto insolito fu riconosciuto dal loro capo. Bastò un suo gesto e un grido per fermare la battaglia, in un attimo tutto si tranquillizzò. L’indigeno andò incontro a Rubio col braccio destro alzato in segno di pace. Una lancia ornata di penne di uccello dai colori sgargianti fu piantata a breve distanza, aveva per copricapo una testa d’avvoltoio.
“Lupo nero, sei il benvenuto”. Lo rassicurò con sguardo di ammirazione.
“Adesso me lo dici?” Pensò a denti stretti sudato, ansimante e con addosso il sangue dei suoi aggressori.
“Puoi accompagnarmi dalla padrona dell’isola? Ho bisogno della sua magia”. Chiese freddamente cercando di calmarsi.
“Ora che ti ho riconosciuto non ti sarà fatto alcun male”. Rispose invitandolo a seguirlo. I pirati tirarono un sospiro di sollievo. Chissà come sarebbe andata a finire? Si chiedevano da ambo le parti scambiandosi ora sorrisi, taluni sarcastici.
Arrivato sulla soglia della spelonca Rubio entrò da solo. Il primo atrio molto ampio, un raggio di luce filtrava da un buco nella roccia a picco sul mare. Si affacciò, riuscì a vedere la sua nave ormeggiata in attesa del suo ritorno. A bordo sembrava tutto tranquillo, distingueva gli uomini indaffarati, compresa la sagoma inconfondibile di Clark, sul ponte, col sigaro appena acceso in bocca. Una voce languida alle sue spalle lo fece sussultare.
“Sicuro di quello che vedi?” Si voltò lentamente, il fascino di quella donna era irresistibile. Un abito nero le cadeva addosso come un velo su una statua perfetta, fino oltre le ginocchia, attillato in alcuni punti metteva in evidenza le forme aggraziate. Si avvicinò a piedi scalzi con passo sinuoso senza distogliere lo sguardo penetrante dal suo, rimasto incantato da tale rara bellezza; da molto tempo non la vedeva. Arrivata a pochi passi si fermò sorridendo, chiaramente felice di ritrovarsi di fronte il suo miglior amico.
“Non sempre quello che vediamo corrisponde a realtà”. A quelle parole corrugò la fronte e aggrottò le ciglia. Si voltò preoccupato verso il mare, e vide che era tutto come prima.
“Che vuoi dire con questo?” Chiese con aria smarrita. Lei si avvicinò ancora, gli prese dolcemente la ruvida mano tra le sue. “Tranquillo, non userei mai i miei poteri per farti del male, ma solo per aiutarti. Per questo sei qui, vero?” Lo rassicurò con aria maliziosa. Fu allora che Rubio non resistette al desiderio di baciarla.
“Sì, è vero, ho bisogno del tuo aiuto. – Sussurrò poi cercando di riprendere padronanza di sé. – Riesci a leggere nel pensiero”. Aggiunse poi stringendola ancora tra le braccia. Le apparve per un attimo come un bambino in cerca di protezione.
“Ne parleremo dopo, ora seguimi”. Lo prese per mano, ben sapendo che la prima cosa di cui aveva bisogno era un po’ di tenerezza, dopo tante angosce e peripezie. Si inoltrarono ancora più all’interno della grotta attraversando lunghi e tortuosi corridoi erosi dall’acqua, rischiarati in alcuni tratti dalla tenue luce di fiaccole accese. L’umidità penetrava nelle ossa, regnava un forte odore di muschio. Pendevano stalattiti dal soffitto, rigagnoli scorrevano ai lati tra le rocce bianche per il calcare. Raggiunsero una specie di alcova dove passarono qualche ora isolati da ogni cosa, come se tutto fosse estraneo al di sopra di quella montagna ricoperta di lussureggiante vegetazione. La stanza piena di fiori esotici di ogni varietà che emanavano una dolce fragranza capace di inebriare la mente e l’anima. Un forte contrasto tra la frescura esterna e il rilassante calore, immersi nell’intimità in un’atmosfera da sogno.
“Perché non ti fermi qui con me? Non sei ancora stanco di una vita randagia, piena di imprevisti, mostruosità di ogni genere? Di correre per i mari a seminare morte e terrore…” Gli sussurrava Morea vedendolo con lo sguardo perso nel vuoto, verso il soffitto costellato di eleganti colori, decorato da stelle marine, conchiglie, coralli e oggetti che rievocavano i fondali marini.
“Forse un giorno mi fermerò, ma non ora. Sai bene che sono perseguitato da quella maledizione, finché non ucciderò la Regina dei mari sarò condannato a trasformarmi in quel mostro. Perfino tu potresti correre dei rischi tenendomi qui con te. – Rispose uscendo da quel torpore, ricominciando ad accarezzarla. – Tu intanto cerca sempre di mantenerti bella come sei, puoi usare la magia anche per questo no?” Aggiunse con un sorriso languido.
“Se è per questo potrei usarla per non lasciarti più andare via, ma preferirei che fosse una tua scelta. Prima o poi dovrai pur stancarti di vagare come un’anima errante, ferita… Forse… quando sarai di nuovo padrone del tuo destino. Hai ragione, per ora sei uno strumento di morte manovrato da quell’energia oscura, sulla quale anch’io non ho alcun potere. Ricordi? Ti avevo avvertito di non fidarti quella volta”. Rammentò lei con rammarico, rivangando tristemente un tempo che sembrava ormai troppo lontano.
“Già, avrei dovuto ascoltarti. Maledetto odio, maledetto rancore, sentimenti che annebbiano la mente, ti cambiano nel profondo in maniera inesorabilmente irreversibile”.
“Calmati ora, è inutile recriminare e… basta coi cattivi pensieri. Dimmi adesso, a che ti servono i miei poteri?” Lo tranquillizzò la donna alzandosi e rivestendosi. Anche lui si alzò, iniziando a spiegarle il perché della sua visita. Lei notò le numerose cicatrici che solcavano il suo corpo, gli si avvicinò ancora abbracciandolo dolcemente.
“Capisci? Devo trovare quella mappa, impadronirmi della nave blu prima che lo faccia qualcun altro per scopi ben diversi. Ci ero quasi vicino, accidenti”.
“Dunque colei che è destinata a impadronirsi di quell’invincibile veliero si è fatta viva. Lo sapevo! – Commentò pensierosa oscurandosi in viso. – Sicuro che è solo la mappa che ti interessa? Attento, io so leggere nel cuore e nella mente, lo sai”. Lo incalzò poi con sguardo languido. Gli fece moine con occhi maliziosi cercando di capire i suoi sentimenti più nascosti, assalita da una insidiosa gelosia. Aveva infatti notato una insolita euforia nel resoconto mentre parlava di Alyssa.
“Cosa ti salta in mente? – Rispose adirato, con un certo imbarazzo, non sfuggì agli occhi attenti della donna. – Ha osato sfidarmi! – Sbuffò infuriandosi seriamente. – Tutti di fronte a me fuggono come conigli. Lei no! Veniva verso di me decisa a battersi. Quando la mappa sarà nelle mie mani la ucciderò”. Ruggì ancora furibondo. “Non doveva andare in quel modo”, continuava a ripetere a se stesso.
“D’accordo, d’accordo. Ora calmati, vieni con me”. Esortò, naturalmente non convinta di quell’odio così decantato. Lo tirò per il braccio, la seguì senza battere ciglio. A dire il vero nemmeno lui credeva in quello che aveva appena detto. Lo condusse questa volta in una lugubre stanza piena di ragnatele e serpenti, strisciavano ovunque, qualcuno anche molto velenoso. Attorcigliata sotto un grosso tavolo di quercia, non certo ben lavorato, con parti di corteccia attaccate alle gambe e ai bordi molto spessi, un enorme anaconda si risvegliò pigramente da un profondo letargo. Scostò soltanto la grossa testa annusando l’aria con la lingua biforcuta per sentire il nuovo arrivato, accovacciandola quasi subito. Rubio, per nulla impressionato dalla presenza di quei rettili, avendo piena fiducia nella sua casuale amante, si sentiva perfettamente a suo agio. In quel luogo l’abile fattucchiera era solita eseguire riti magici di ogni sorta. La ragazza prese una grossa vedova nera, incurante della sua pericolosità. Questa iniziò a tessere velocemente una tela sul tavolo tra le pietre calcaree che lei aveva disposto accuratamente in un modo ben preciso. Rappresentavano le isole della zona interessata. Finita la ragnatela l’aracnide fece il percorso eseguito da Alyssa a partire dal momento della battaglia. La donna ordinò a Rubio di avvicinarsi e tenderle la mano, l’afferrò per il polso, un deciso profondo taglio sul palmo, fece dunque colare alcune gocce di sangue in una ciotola piena di acqua salata, dopo di che prese per la testa un grosso cobra. Gli fece sputare il veleno in quella disgustosa mistura, posandola poi sotto la ragnatela, al margine, facendo attenzione a non provocare la minima vibrazione , o peggio una rottura della tela stessa.
“Ecco vedo qualcosa. Seguendo il ragno vedo la strada che ha fatto quella ragazza. Si sta dirigendo verso un atollo. Si è fermata”.
“Dunque è ancora viva!” Esclamò Rubio fremente, alimentato da nuova speranza.
“Taci, lascia che il ragno completi la sua ricerca. – Rimbrottò Morea chiudendo gli occhi. Dopo la breve interruzione cercò di riconcentrarsi. – Continua amico, tessi la tela complicata della vita, indica il suo cammino, voglio sapere dove la condurrà il suo destino. – Continuò rivolgendosi all’animaletto fermatosi temporaneamente. – Ecco ora si sta muovendo, è stata in mare per molto tempo. Strano, qualche ombra la segue minacciosa, non riesco a capire chi è. Ora si è fermata. In questo momento si trova nel lato ovest di quest’isola. Vedo… vedo una tigre… braccata da ogni parte”. Osservando la miniatura, Rubio dedusse che doveva trattarsi dell’isola dove risiedeva la fortezza del governatore don Fernando. Aveva ottenuto dunque l’informazione che desiderava e la conferma delle sue intenzioni.
“Alyssa è ancora viva, avrò la mappa”. Nel frattempo Clark sulla nave restava nervosamente in attesa del suo ritorno. Osservava il cielo, lo preoccupava una nube minacciosa che il vento spingeva velocemente verso di loro, anche altri uomini l’avevano notata. Sopraffatto da una certa inquietudine si era acceso il solito sigaro.
“Guardate, cosa è quella nube? Sembra… un uragano in arrivo”. Fece notare il nostromo.
“Strano, così all’improvviso, fino a poco fa era sereno”. Commentavano sgomenti gli uomini, tutti con lo sguardo fisso in quella direzione. Man mano che si avvicinava, la nube, oscurava il cielo, si trasformava in un vortice, all’interno del quale prendeva forma una vaga figura femminile con due occhi di fuoco. Pareva volesse fulminarli con quei due carboni accesi; passò oltre con un alito che sapeva di morte. Il veliero cominciò ad oscillare paurosamente, una serie di onde si abbatterono sullo scafo e un vento fortissimo costrinse l’equipaggio a cercare un appiglio per non essere spazzati via. Il vortice prese la direzione della dimora di Morea, lungo la strada seminò il panico tra i villaggi degli indigeni. Intere capanne venivano spazzate via come fuscelli, i bambini spaventati correvano piangendo tra le braccia delle madri. Nella grotta i serpenti per primi la sentirono arrivare, il grosso anaconda si attorcigliò delicatamente attorno alla sua padrona sovrapponendo la sua enorme testa su quella della donna. Spalancò la bocca verso l’ingresso della stanza in atteggiamento aggressivo, al punto che Rubio, preoccupato per la sua giovane amica, era pronto ad intervenire sguainando la spada.
“Fermo! – Ordinò la maga. – Lui non è mio nemico, sta succedendo qualcosa, si avvicina qualche oscura entità, siamo in pericolo, lascia che sia l’energia del serpente a proteggermi. Loro vedono quello che noi non vediamo, sentono quello che noi non sentiamo”. Sentenziò allarmata chiudendo gli occhi in atteggiamento di concentrazione. Di lì a poco quella figura evanescente piombò nel bel mezzo della sala. Fu subito circondata da tutti i rettili presenti, saggiavano l’aria con la loro lingua biforcuta, ergendosi minacciosi contro quella sagoma che cercava di imporsi, sempre meno evanescente, in tal modo le impedivano di avanzare verso i due amanti. Una forte corrente nella stanza fece sbattere svariati oggetti contro i muri. Rubio sguainò la spada fissando quegli occhi di fuoco, assalito da brividi, non di paura. Furiosa per sentire i suoi poteri così soffocati lanciò un avvertimento dileguandosi poi attraverso la fessura di una parete.
“Credete che sia finita qui? Illusi, ci rivedremo ancora”. Rantolò minacciosa con voce rauca. Quando ogni cosa ritornò al suo posto Rubio rimase attonito, Morea spossata, non aveva mai affrontato un’energia così spaventosa.
“Se non fosse stato per i miei animaletti non so come sarebbe andata a finire”. Lo scosse da quel torpore.
“Cos’era, cosa voleva da noi?” Chiese l’uomo.
“Credo che ti ci dovrai abituare e dovrai stare molto attento, se ti congiungerai a quella Alyssa scatenerai l’ira della Regina dei mari”. Lo avvertì cercando di riprendersi, sconvolta da quell’evento.
“Non preoccuparti di questo, andrò sull’isola, recupererò la mappa e la ucciderò”. Blaterò Rubio, poco convinto agli occhi scrutatori di Morea. Si avvicinò malinconica, un lungo bacio, un caloroso abbraccio, si apprestò a congedarsi.
“Avrei voluto restare ancora, lo sai. – Specificò prima di voltarle le spalle per allontanarsi definitivamente con un cenno di saluto. – Ogni volta che sono con te vorrei che il tempo si fermasse”. La sua tristezza non lo lasciava indifferente.
“Lo so, lo so. – Sorrise lei compiaciuta. – Nessuno meglio di me riesce a leggere nella tua anima, vai incontro al tuo destino, io posso aspettare. Stai attento! Stai sempre attento! Ricorda, quando avrai bisogno di me sai dove trovarmi”.
A nulla servivano i suoi poteri quando era lontano da lei, avrebbe voluto aiutarlo. Raggiunto il veliero trovò Clark ad attenderlo sul ponte impaziente, che lo vide arrivare con la metà degli uomini coi quali era partito.
“Dove sei stato tutto questo tempo? È passato quasi un mese, l’equipaggio cominciava ad agitarsi”. Brontolò accendendo nervosamente un sigaro.
“Che dici? È passata soltanto una notte”. Rubio confuso ripensò dunque alle prime parole della maga. “Non sempre quello che vediamo corrisponde a realtà…” Clark scosse il capo vedendolo con lo sguardo perso verso l’isola, si stava ricoprendo di nubi.
“Ho capito, sicuramente è tutta opera di quella benedetta strega. Ho fatto bene a non intervenire comunque, so che ha un debole per te. Stiamo aspettando i tuoi ordini”. Aggiunse poi cercando di distoglierlo dai suoi ricordi.
“In rotta verso l’isola di don Fernando. Alyssa è ancora viva, avevi ragione. La raderemo al suolo, setacceremo ogni angolo e la troveremo”. Il suo tono deciso non ammetteva repliche, allertò il suo fedele secondo e i presenti, si guardarono attoniti.
“Sei impazzito forse? – Replicò stizzito Clark. – Su quell’isola c’è una fortezza inespugnabile, è una follia attaccare con una flotta, figuriamoci con una sola nave”. Non gli diede neppure ascolto.
“Attaccheremo di notte, protetti dall’oscurità sarà tutto più facile, non avranno neppure il tempo di rispondere al fuoco”. Il suo tono impetuoso convinse tutti a rinunciare a controbattere, sarebbe stato inutile. Lupo nero del resto aveva bisogno di quella mappa, ad ogni costo. Morea dall’alto della scogliera osservava tristemente il veliero allontanarsi.
“Vai, segui il tuo destino, è legato a quella ragazza che cerchi. Anche tu, come me, susciti fascino e paura tra gli uomini, io qui ho trovato la pace che cercavo, spero che la troverai anche tu un giorno”. Allargò poi le braccia, un forte vento si alzò come per magia, soffocando le voci dei marinai, dando l’impressione di un suo ordine, gonfiando le vele a dismisura. Rubio si voltò verso di lei, alzò il braccio in segno di saluto. Il veliero solcava veloce le onde verso la nuova destinazione, ben presto sparì lontano dalla sua vista.
Alyssa intanto si era resa conto di aver perso la mappa, tornò sul luogo della battaglia, cercò freneticamente nei dintorni senza alcun risultato.
“Potrebbe averla trovata qualcuno dei soldati, o uno dei briganti. Se l’avesse trovata quella fanciulla impaurita sarebbe il male minore, devo saperlo ad ogni costo”. Non poteva certo tuttavia presentarsi a palazzo e dire al governatore: “Scusate, avete per caso un rotolo con dentro una mappa? Sarebbe per me la migliore delle ricompense”. No di certo, doveva escogitare un piano. Tornò costernata al suo rifugio per riordinare le idee.
Manola dal canto suo, dopo l’incontro con Alyssa, aveva una gran voglia di fuggire dalla noiosa vita di corte, un desiderio covato da tempo, specie da quando era costretta a subire la corte serrata del braccio destro del padre, il perfido don Pedro. Per giunta sentiva il dovere di incontrarla per restituirle quello che aveva perso. Sperava di accattivarsi la sua amicizia e di dare una svolta a una vita sempre più soffocante.
Quel giorno passeggiava tristemente in giardino con la sorella più piccola, Angelica, una bimba vivace e intelligente, di appena otto anni. Occhi nocciola, sguardo innocente, boccoli dorati le cadevano sulle spalle ornando un viso reso ancor più grazioso da una pettinatura semplice e sbarazzina, l’unica della famiglia a comprendere il suo disagio e a darle conforto, regalandole momenti spensierati in cui si abbandonavano a giochi della tenera età, dandole l’illusione di aver ancora tempo per crescere.
Sopraggiunse il colonnello: “Splendida giornata per una passeggiata, vero signorine? Posso unirmi a voi?” Chiese con gentilezza forzata. Manola non sopportava la sua invadenza, notava una certa ipocrisia dietro quelle maniere sdolcinate. Sapeva che non gli importava nulla di lei, era interessato solo alla posizione che avrebbe consolidato sposandola, mirava ad ottenere un peso politico nell’ambiente della corona una volta tornato in patria.
“Una passeggiata si fa sempre volentieri, certo, solo in buona compagnia”. Rispose in modo sarcastico. In quel momento sopraggiunse il padre: “Suvvia, ti sembra questo il modo di rispondere al tuo futuro sposo?” La riprese sorridendo.
“Non preoccupatevi eccellenza, mi piacciono le donne ribelli, saprò ben io come domarla”. Ribatté don Pedro a denti stretti.
“Oh ne sono certo, io ci ho messo un po’ con la mia, ma alla fine ci sono riuscito. O almeno credo, con le donne non ci si capisce mai niente. – Affermò in modo burbero tentando di dissipare una certa tensione. – Ora vi lascio alle vostre piccole scaramucce. Angelica vieni con papà, ero diretto alle stalle, ho da farti vedere un bel puledrino”. La bimba lo seguì entusiasta.
“Perché non gradite la mia compagnia? In fondo ho una buona posizione, sono un ottimo ufficiale apprezzato da tutti, cos’altro può desiderare una bella ragazza come voi per la propria felicità?” Così cercava goffamente di aprire una breccia nel suo cuore.
“Io credo che siate più temuto che rispettato e questo non è un bene. L’autorità va dosata con un minimo di comprensione, specie in famiglia”. Lo apostrofò Manola. Lui preferì cambiare discorso.
“Vi siete trovata in un bel guaio ieri, se non fosse stato per i miei soldati…”
“Credo di averlo già detto, sarebbero arrivati troppo tardi. – Lo interruppe bruscamente. – Devo piuttosto ringraziare quella misteriosa guerriera. Mi piacerebbe conoscerla, avreste dovuto vedere, si batteva come una tigre”.
“Frenate il vostro entusiasmo, quando sarà nelle nostre mani capiremo le sue vere intenzioni. Sicuramente non si tratta di una damigella di alto rango come voi, credo piuttosto che, avvezza com’è alle armi, provenga dalla plebaglia. Una donna di buoni costumi non si abbasserebbe a svolgere mansioni che non le competono, la guerra è cosa da uomini”. Affermò con arroganza. Continuando a discutere arrivarono alla scuderia. La piccola Angelica, già sul dorso di un cavallino, una splendida puledrina bianca regalatale in occasione del suo compleanno, non stava nella pelle.
“Guarda Manola, siamo diventati amici, si chiama Lady, vieni a conoscerla anche tu”. Lei si avvicinò per accarezzarla, gioiva nel vedere la sua sorellina così felice. La madre Nora colse l’occasione della festa organizzata per la piccola per invitare don Pedro, ne avrebbero approfittato per annunciare il loro fidanzamento.
Alyssa raggiunse il centro abitato, di solito nelle bettole si potevano avere utili informazioni. Infatti ad un tavolo vicino sentì parlare di una festa a palazzo.
“Sarebbe un’ottima occasione, sicuramente ci sarà anche Manola”. Pensò mentre mangiava un piatto di fagioli con avidità. Finito il pranzo entrarono alcuni soldati armati. Lei intuì il pericolo, cercò di non farsi notare. Si alzò in piedi e si nascose dietro ad una colonna di pietra sotto un’arcata. Udì parlare il sergente con l’oste.
“Avete per caso visto una ragazza giovane, bionda, armata di spada, con una fascia azzurra sulla fronte?” Domandò il militare guardandosi intorno.
“No, onestamente no. – Rispose l’uomo. – Ma se dovesse capitare da queste parti ve lo farò sapere”. Ammiccò poi. L’oste in realtà aveva notato che al loro arrivo Alyssa aveva cercato di nascondersi.
“Molto bene, conto sulla vostra collaborazione”. Arguì il sergente con l’intenzione tuttavia di ispezionare il locale. Fortunatamente iniziò dal lato opposto, in tal modo il locandiere ebbe il tempo di avvisare la forestiera e nasconderla nello scantinato, dove teneva delle botti di vino.
“Seguitemi, fidatevi di me, non avete scelta”. Le consigliò sottovoce notando la sua diffidenza. Effettivamente, con l’uscita gremita di soldati armati, non poteva permettersi di pensarci troppo, l’avrebbero scoperta, tanto valeva rimandare l’inevitabile scontro. Il militare controllò bene tutta la sala. Notò poi il sottoscala che portava allo scantinato, chiamò due dei suoi uomini.
“Qua sotto, seguitemi, andiamo a controllare”. Ordinò. L’oste si precipitò preoccupato verso di loro con una candela accesa cercando di manifestare la sua preoccupazione.
“Fate attenzione sergente, è molto buio, rischiate di inciampare, lasciate che vi faccia strada”. Suggerì educatamente. Il soldato annuì col capo e gli diede la precedenza. Alyssa udìti i loro passi, si sentì per un attimo in trappola, tradita da quell’uomo. Si guardò intorno, non vi era via di uscita. Sentendolo parlare ad alta voce si convinse ben presto che cercava invece di aiutarla. Si nascose frettolosamente dietro ad una grossa botte, nel punto più buio della cantina. Un acre odore di vino quasi soffocava pervadendo la stanza priva di finestre.
“Avete fatto bene a scendere qui, vi farò assaggiare del nettare prelibato, di solito lo offro solo a ospiti di riguardo”. Parlottava il locandiere, camminando a tentoni più lentamente possibile, per dare ad Alyssa il tempo di nascondersi. Il sergente sicuro della sua buona fede, certo di non trovare sorprese, accettò di buon grado il suo invito. Uno dei soldati esplorava intanto la grande sala, si era fermato proprio davanti ad una botte rotta, mancavano un paio di fasce di legno, scrutava l’interno buio. Alyssa nascosta dietro, fortunatamente non dentro, si ritraeva alla vista a seconda delle circostanze. Il soldato non accennava ad andarsene, stava correndo un grosso rischio. Cercò di trattenere il respiro, portò la mano alla spada che teneva dietro la schiena.
“E tu non vieni a fare un brindisi?” Lo chiamò il sergente togliendola fortunatamente d’impiccio. Stava infatti per aggirare la grossa botte, quasi certo di aver sentito un fruscìo. Pensando si potesse trattare di qualche topo, si avvicinò ai due compagni. Alyssa si rilassò sollevata. Finita la bevuta il militare diede delle pacche sulle spalle al locandiere riempiendolo di complimenti.
“Ottimo vino, sul serio. Che resti tra noi, sapete che non si può bere in servizio”. Quando tutti i soldati si allontanarono, anche quelli sulla porta di ingresso, Alyssa uscì allo scoperto, si avvicinò al locandiere.
“Non mi scorderò di questo tuo gesto”. Lo ringraziò.
“Non mi devi ringraziare, non sopporto i soldati, la repressione in quest’isola comincia a stancare un po’ tutti”. Rispose l’oste soddisfatto per lo scampato pericolo.
“Bene, posso sapere il tuo nome?” Domandò la ragazza con gratitudine.
“Pablito, per servirti. Sai, ho una figlia pressapoco della tua età, alquanto ribelle, spesso non riesco a tenerla a freno. E tu? Qual è il tuo nome?” Chiese di rimando guardandola con ammirazione.
“Alyssa”. Rispose lei con una stretta di mano. La giovane si congedò e uscì guardinga dalla locanda. Ora sapeva di essere braccata, doveva approfittare della festa, non poteva perdere quella occasione. In paese molti la osservavano ostentando un certo interesse, si sentiva più sicura nella foresta. Cercò di allontanarsi dal centro abitato facendosi notare il meno possibile. Prima di inoltrarsi nella macchia un luccichio tra gli alberi la mise in allarme. Tornò sui suoi passi, la strada sbarrata da un plotone. Come se nulla fosse cambiò direzione. Le si avvicinarono sei uomini a cavallo, la circondarono. Nel frattempo convergevano verso di lei tutti gli altri.
“Salute! La signorina Alyssa immagino. Il governatore vorrebbe ringraziarvi per avere salvato la vita di sua figlia. Siete disposta a seguirci con le buone, o dobbiamo usare le maniere forti?” La minacciò l’ufficiale con eleganza forzata.
“Perché non dite al governatore di venire lui in persona e disarmato? Non sopporto di sentirmi prigioniera e non sopporto chi mi punta le armi addosso”. Rimbrottò sguainando entrambe le spade decisa a tutto.
“Pronti al fuoco allora! – Ordinò l’ufficiale. – Te la sei voluta”. Aggiunse minaccioso. Si sentiva perduta, quando udì degli spari. Vide cadere quasi tutti gli uomini da cavallo. Veloce come un fulmine lanciò il coltello ad uno di quelli rimasti colpendolo in pieno petto. Evitò il colpo di pistola del tenente con una capriola. Questi sfoderò la sciabola e spronò il cavallo verso di lei. Alyssa restò ferma ad aspettarlo, deviò il suo fendente dandogli un colpo mortale alla schiena. L’animale continuò la sua corsa fino a quando l’uomo cadde a terra come un fantoccio. Ora si guardava intorno cercando di capire chi voleva aiutarla. I soldati a piedi intanto correvano verso di lei. Quando furono vicini, un’altra scarica ne lasciò a terra un bel numero. A quel punto saltarono dagli alberi e sbucarono da ogni parte gli uomini di Francisco, armati di sciabole e coltellacci ne decimarono ancora molti. Anche lei si diede da fare, raccolse un fucile, si gettò a terra e fece fuoco. Restò in attesa insieme ai nuovi alleati tenendosi pronta per il corpo a corpo. Si alzò in piedi al momento opportuno. L’impatto fu tremendo, da ambo le parti ci furono molte perdite. Quel gruppo di soldati fu comunque sopraffatto. Uno stava per sparare ad Alyssa a poca distanza, lei lanciò la spada più corta e lo colpì in pieno al plesso solare trafiggendolo da parte a parte. A quel punto il resto dei soldati decise di ritirarsi. Alyssa non si sentiva tuttavia ancora al sicuro, non conosceva le intenzioni di quella gente. Recuperata la sua arma, anziché rinfoderarla la tenne in mano restando in guardia. Si avvicinò per primo Cosè gettando la sciabola e con le mani avanti.
“Calma ragazza, calma! Ho visto come combatti, preferisco averti come amica. Me lo avevano detto che ti battevi come una tigre, stentavo a crederci”. A quelle parole la guerriera rinfoderò le spade e si calmò.
“Chi devo ringraziare per l’aiuto?” Domandò con tono sarcastico. Sapeva che aveva fatto fuori alcuni di loro, aveva già notato lo sguardo severo del tipo che aveva incrociato dopo aver difeso Manola, quindi doveva trattarsi della stessa banda. Sopraggiunse allora Francisco, il capo di quella accozzaglia di disperati. Il vecchio la fissò a lungo negli occhi.
“Tu hai attaccato i miei uomini, credo di aver capito il perché. Se vuoi seguirmi avrei delle proposte da farti”. Consigliò gentilmente.
“Ho forse scelta?” Ribatté lei perplessa.
“Con me sì, coi soldati non credo, a quanto vedo ti stanno dando la caccia”. Aggiunse voltandole le spalle, ostentando indifferenza. Fece poi un cenno e gli altri lo seguirono. Alyssa diede un’occhiata a tutti quei corpi stesi a terra, dopo una breve riflessione lo seguì a sua volta. Intanto uno degli ufficiali si recò a rapporto da don Pedro.
“Così vi siete lasciati sopraffare da un branco di sbandati!” Lo rimproverò il colonnello furioso.
“Sono sbucati all’improvviso, non ci hanno dato il tempo di organizzarci, per non subire altre perdite ho preferito ritirarmi”. Si giustificò il subalterno.
“Maledetti briganti, più ne impicchiamo più ne vengono fuori”. Bofonchiò don Pedro a denti stretti.
“Forse se riuscissimo ad eliminare i motivi…” Intervenne saggiamente il capitano Miguel.
“L’unico motivo è che sono delle canaglie, prima o poi li stermineremo tutti”. Lo interruppe il colonnello con arroganza. L’ufficiale non provò neppure a controbattere ben sapendo che era inutile. Manola al corrente di quanto era accaduto temeva per Alyssa. Desiderava tanto aiutarla, ma non sapeva come, sentiva un peso nel cuore e non aveva nessuno con cui confidarsi, non si era mai sentita così sola. Inoltre la spaventava l’idea che durante la festa avrebbero dichiarato pubblicamente la data delle nozze con quell’abominevole colonnello, oltretutto di parecchi anni più vecchio di lei. L’unica che forse poteva capirla era sua madre Nora, con la quale provò a sfogare le sue angosce.
“Madre non sopporto l’idea di sprecare la mia vita con quell’uomo, non c’è una via di uscita?” Chiese la ragazza in un impeto di disperazione.
“Figlia mia, io ci sono già passata prima di te, anche tuo padre ha quindici anni più di me, col tempo ho imparato ad apprezzarlo, anch’io ero disperata”. Rispose la donna sperando di darle conforto.
“Mio padre non è come lui, ha molte virtù, ti ha sempre rispettata. Don Pedro è arrogante, presuntuoso…” La madre non la lasciò finire.
“In ogni persona c’è qualcosa di buono, vedrai conoscerai il suo lato positivo e non ti sembrerà poi così mostruoso. In fin dei conti è solo molto ambizioso, ma questo può essere anche un bene, se un giorno prenderà il posto di tuo padre ti sentirai più sicura con lui. Credimi, è l’uomo giusto per darti i figli che un giorno saranno la luce dei tuoi occhi, come lo siete tu e tua sorella per noi. Inoltre non mi sembra che ci siano altri corteggiatori dello stesso rango in vista”.
“Per forza! – Ribatté Manola mentre una lacrima solcava il suo viso. – Hanno tutti paura di lui”. Si sfogò. La madre non sapeva più cosa dire, si limitò ad abbracciarla, lasciandola sfogare in un pianto sommesso. Avrebbe voluto aiutarla, ma non poteva cambiare le cose, quelle erano le usanze.
Nel covo di Francisco intanto Alyssa ascoltava le proposte del vecchio brigante.
“Sai, avrei bisogno di una come te, per tutti questi anni ho vissuto di espedienti, nascosto in questa foresta. Ora vorrei mirare più in alto, magari conquistare l’isola, amministrarla con giustizia. La gente non ne può più di questi soprusi, non aspetta altro che una buona guida. Inutile inviare proteste e petizioni al re di Spagna, troppo lontano e troppo occupato da mille altre incombenze, siamo abbandonati da tutti”. La ragazza ascoltava attentamente.
“Perché ti rivolgi proprio a me? In fondo mi conosci appena, vedo che hai molti uomini, sono solo una giovane donna che fugge da tutto e da tutti”. Fece notare Alyssa nascondendo un certo interesse.
“Vedi… tu hai qualcosa di speciale, sono convinto che insieme potremo fare grandi cose, il mio intuito non sbaglia mai”. Ribatté con sguardo penetrante.
“Per questo non hai vendicato la morte dei tuoi uomini?”
“Dovrei farlo forse? Hai solo obbedito al tuo istinto naturale, hai difeso una ragazza in pericolo. Conoscendo i veri motivi forse non ti saresti intromessa. O forse sì, non sei il tipo da accettare certi metodi. Del resto si sa, la morte a quelli come noi cammina sempre accanto, chi sceglie questa strada lo deve accettare”. Sentenziò il vecchio. A quel punto Alyssa ritenne opportuno raccontare di come era approdata in quel luogo, della Tigre dell’oceano, della mappa e di come l’aveva perduta.
“Quindi se non l’avete ritrovata voi, sperando che non sia nelle mani dei soldati, potrebbe averla la figlia del governatore. – Concluse Alyssa riflettendo ad alta voce. – Propongo di riunire le forze per ritrovarla. – Continuò. – Voi avrete la ragazza per chiedere il riscatto, io la mappa, dopo di che me ne andrò per sempre”. Concluse lasciandolo alquanto deluso.
“E così una volta che ti avremo aiutata intenderesti lasciarci. Che ne diresti invece se ci avventurassimo insieme alla ricerca di quella nave invincibile? Ti serviranno molti uomini ed io come vedi…” Alyssa accolse la sua proposta soffocando un certo entusiasmo, era quello che voleva sentirsi dire.
“Sarebbe fantastico ma… non crediate che sia una passeggiata, sta arrivando da queste parti qualcun altro che cerca la stessa cosa, mai sentito parlare di Lupo nero?” A quelle parole molti rabbrividirono, il vecchio invece restò impassibile.
“Perché, esiste veramente? Dalle nostre parti dicono che è solo una leggenda”. Annuì dopo una breve riflessione lisciandosi la barba brizzolata.
“Già, una leggenda in grado di farvi pentire di essere al mondo se cercate di ostacolarlo. Anche lui mi sta cercando e sento che è vicino”. Aggiunse Alyssa.
“Ora preoccupiamoci di recuperare la mappa, io avrei un piano”. Intervenne Cosè abituato a sdrammatizzare.
“Giusto figliolo, bravo, coraggio, ti ascoltiamo”. Con insolita euforia espose la sua temeraria idea
Quel giorno una coppia di nobili con una piccola scorta, diretta a palazzo, si trovò la strada sbarrata da un grosso tronco.
“Che succede? Perché vi siete fermati?” Chiese don Rodrigo Rurales, così si chiamava, tirando la testa fuori dal finestrino della carrozza. Urlando come dannati i briganti si gettarono addosso al convoglio, sparando e lottando con spade e coltelli, riuscirono a sopraffarli in breve tempo. Il nobile cercò di difendere eroicamente la sua dama, ingaggiò un duello contro Cosè. Lo mise inizialmente in difficoltà, alla fine fu disarmato, il ragazzo lo immobilizzò con la spada alla gola.
“Uccidete me, ma lasciate vivere mia moglie”. Lo implorò.
“Non temete, ci servite vivi”. Lo tranquillizzò il brigante.
“Avete dunque in mente di chiedere un riscatto?” Domandò il nobile con una smorfia di disgusto.
“Potrebbe essere un’idea, prima ci servono alcune informazioni. – Arguì Cosè. – Per ora legateli, portiamoli al covo”. Ordinò rivolgendosi ai suoi uomini. Furono incappucciati in modo che non ricordassero la strada. Arrivati a destinazione chiesero tutto quello che poteva essere utile a mettere in atto il loro piano.
Cosè e la sua Carmelita, altrettanto spericolata, sempre pronta a seguire il suo uomo anche in caso di pericolo, si presentarono alla festa. Si sentivano entrambi impacciati, avendo la stessa corporatura e una vaga somiglianza coi loro prigionieri risultavano i più indicati. Riuscirono in tal modo a mischiarsi tra quella folta schiera di invitati senza dare nell’occhio, con lo scopo di convincere in qualche modo Manola ad uscire sull’ampio terrazzo. Alyssa dall’esterno, con una quindicina di uomini, tutti vestiti di nero come ombre nella notte, aveva il compito di intervenire se qualcosa fosse andato storto.
Quella sera Manola era molto elegante, indossava un abito azzurro ampio e vistoso, un’aggraziata acconciatura evidenziava la sua rara bellezza. Quando fece la sua comparsa sulla gradinata, tutti gli sguardi, alcuni di invidia, altri di ammirazione, si posarono su di loro. Teneva infatti per mano la piccola Angelica, anche lei con un grazioso vestito rosa, sembravano due personaggi fiabeschi.
“Che belle fatine!” Le ricevette il padre stimolando i presenti a un applauso scrosciante. Si sedettero accanto ad un gruppo di nobili in attesa che si desse il via alle danze. Intanto molti nella grande sala gustavano deliziosi bocconcini immersi nei soliti pettegolezzi, in un fastidioso brusio. In quelle occasioni Manola si annoiava a morte, avrebbe preferito lasciarsi andare, esternare la sua vera spontanea natura. Non poteva nemmeno bere il buon vino che la servitù, con la solita obbligata cordialità, offriva insinuandosi tra gli invitati, quelle erano le regole imposte dai genitori. Costretta a fare buon viso fingeva di divertirsi. Ad un cenno di don Fernando una piccola orchestra diede inizio a una gradevole musica. Manola si lasciò dunque trasportare da quelle piacevoli note in mondi immaginari, lontani.
“Quella guerriera… come avrà vissuto per diventare così coraggiosa? Libera come il vento, certo, non prigioniera in un palazzo come questo, tra gente ipocrita, che controlla ogni tuo gesto, dà peso ad ogni parola che dici, osservata come una bestia rara. Chissà, forse un giorno potrò anch’io diventare come lei, dovrei solo trovare il coraggio di dire basta!” Così fantasticava con una grande voglia di fuggire. Le coppie nella sala danzavano con movimenti eleganti scambiandosi sorrisi e inchini. Cosè non era in grado di partecipare al ballo. Carmelita invece più disinvolta accettò l’invito di un cavaliere, suscitandogli una tale gelosia che lo stimolò a bere più del dovuto. Dopo un paio di giri, in modo scaltro, lei si avvicinò alla piccola Angelica, cercando, come altri, di accattivarsi la sua simpatia, con lo scopo però, non di attirare l’attenzione del buon governatore o del perfido colonnello, di riflesso. Tutt’altro, se fosse riuscita ad attirarla fuori sapeva che la sorella maggiore l’avrebbe seguita. Cosè si agitò ancora di più, prese a scolare tutti i bicchieri che gli capitavano a tiro, non importava cosa ci fosse dentro. Cominciò ad andare su di giri, impacciato cercava di evitare chiunque tentasse di avvicinarsi per una piacevole conversazione, rischiava altrimenti di dire spropositi e farsi scoprire. Decise di sedersi seminascosto in disparte. Carmelita si intromise con successo nel gruppo intorno a Manola, salutò con un inchino sedendosi vicino alla piccola.
“Così siamo arrivate a otto anni. – Ammiccò per rompere il ghiaccio. – Sai, quando li avevo io mi dicevano che sulla luna viveva una fata che ogni tanto compariva ai bambini della Terra. Se li vedeva tristi mandava una carrozza con dei cavalli alati a prenderli, per passare una notte nel suo mondo magico. Da lì si potevano toccare le stelle con le mani, vedere cose meravigliose, e tornavano a casa più felici. Tu… sei felice, vero?” Chiese poi intuendo che lo smarrimento di Manola pareva riflettersi anche su di lei. Riuscita a rapire la sua immaginazione, ascoltatala estasiata, aveva ora una gran voglia di conoscere quella fatina.
“Un po’… non abbastanza. – Rispose dunque. – Andiamo fuori? Vieni Manola, andiamo a vedere la luna”. Non se lo fece ripetere, Carmelita aveva raggiunto il suo scopo.
“Se lor signori mi danno licenza…” Si rivolse ai presenti con un inchino forzato. Ottenuto il loro consenso si avviò all’aperto, ben felice di abbandonare quei noiosi pettegolezzi. L’aria sottile della sera e il gradevole profumo di fiori nel giardino adiacente le infondevano un senso piacevole di quiete, calmandole l’ansia che la pervadeva in mezzo alla confusione. Fuori, nell’ampio terrazzo vi erano solo poche persone intente a parlare, in ordine sparso. Carmelita aspettava una buona occasione per sussurrarle all’orecchio se poteva restituire quella mappa. Angelica osservava la luna quasi piena sperando di vedere la fatina, non tanto per se stessa, effettivamente sentiva il profondo disagio della sorella, fantasticava di chiederle se poteva fare qualcosa per aiutarla. Carmelita riuscì finalmente ad isolare Manola.
“Tu hai qualcosa che appartiene ad Alyssa”. Bisbigliò frettolosamente. La ragazza a quel nome sussultò: “Allora la conosci, puoi dirmi dov’è?” Chiese fremente.
“Parla piano, potrebbero sentirci. Lei ha bisogno della mappa ad ogni costo, anche perché chi la tiene è in grave pericolo”. Chiarì sempre con voce sommessa.
“Io… vorrei consegnarla a lei di persona, dille di venire domani pomeriggio nel cortile della chiesa di San Josè, ci vado spesso con la mia sorellina, cercherò di distrarre la scorta”. Intimò Manola. Carmelita rifletté un istante, capì che non poteva pretendere la sua fiducia: “D’accordo, spero che si possa fidare di te, mi sembri una ragazza intelligente”. Nel frattempo la piccola Angelica guardava la luna un po’ delusa non vedendo apparire nessuna fata. Carmelita ottenuto quel che voleva stava per andarsene, quel gioco era pericoloso, meglio porne fine al più presto. Vedendo però la piccola imbronciata tornò sui suoi passi, si inginocchiò davanti a lei, le sfiorò il viso con una carezza: “Non temere piccola, ti apparirà in sogno, la luna non è piena, forse la fata starà dormendo, tu pensala intensamente”. Detto questo la baciò sulla fronte e tornò dal suo Cosé, il quale non vedeva l’ora di filare dritto al suo covo.
“È fatta, possiamo andare”. Lo sgomitò la compagna.
“Era ora accidenti! Sbrighiamoci ad uscire da questa tana di serpi, non ne posso più”. Sospirò ben felice di porre termine a quella mascherata, con quegli abiti, per giunta stretti e tra quella gente si sentiva troppo impacciato.
Don Pedro li osservava da tempo perplesso. Aveva chiesto in giro, nessuno conosceva personalmente quei due. Ora che li vedeva allontanarsi e dopo aver notato che la ragazza si era intrattenuta con Manola, si insospettì ancora di più. Si alzò dal suo tavolo scusandosi con il governatore e i presenti.
“Chiedo licenza a lor signori”. Proferì educatamente.
“Che succede?” Domandò don Fernando vedendolo alquanto agitato.
“Nulla di grave, torno subito”. Rispose sbrigativo. Un inchino e seguì i due briganti a passo svelto. Carmelita e Cosé si apprestavano a lasciare il palazzo alla chetichella, convinti che tutto fosse andato liscio.
“Ve ne andate così presto? La festa è solo all’inizio”. Quella frase li raggelò cogliendoli alla sprovvista. Cercarono di fare buon viso voltandosi lentamente.
“Qui finisce male”. Si irrigidì subito Cosé, per altro un po’ brillo.
“Oh, perdonateci, mia moglie ha un terribile mal di testa. Quando è così devo portarla a casa di corsa, non c’è verso di… sapete come sono le donne…” Farfugliò poi abbozzando un largo sorriso. Fu la prima scusa che gli venne in mente.
“Allora fate bene, in questi casi un bel riposo e tutto passa. – Ammiccò il colonnello. – Solo che… sapete, io di solito ho buona memoria ma… non ricordo di avervi mai conosciuti, vogliamo presentarci?” Chiese cortesemente mentre i due, accennato impacciati un inchino, si stavano già voltando per andarsene.
“Don Rodrigo Morales de la Fuentes. Questa è mia moglie, Olga.” Bofonchiò Cosè. Ai suoi modi non certo raffinati, don Pedro sorrise sarcastico.
“Olga Morales, figlia del mio carissimo amico, il conte Alvaro Bonito y Castyllas de Amaranto. Si dà il caso che io conosca molto bene quei due nobili, direi che non gli assomigliate per niente. Ora se non vi dispiace dovreste dirmi il vero motivo che vi ha condotto qui e dove sono i miei amici”. Dichiarò facendo nel contempo cenno ad alcuni soldati di guardia. Carmelita rimase rigida come uno stoccafisso, a questo punto i due si sentivano come due topi in trappola. Cosè si grattò la testa, fissò il militare negli occhi, si rese conto che non serviva aggirare l’ostacolo con altre scuse, il suo cervello ronzava come un nido d’api impazzite per cercarne qualcuna, inutilmente. All’improvviso sferrò deciso un pugno su quel viso odioso, don Pedro cadde a terra stordito. Si riprese quasi subito, le guardie si precipitarono in suo aiuto.
“Prendete quei due, sbrigatevi idioti! Voi, chiamate i rinforzi!” Urlò furioso mentre tamponava con un fazzoletto il sangue che gli usciva copioso dal naso. I due intanto correvano a perdifiato verso i cancelli di uscita, un pugno di soldati si misero davanti per ostacolarli.
“Fermi dove siete, arrendetevi!” Intimarono puntando i fucili. Per tutta risposta, Cosè e Carmelita spararono contemporaneamente con le pistole che avevano nel frattempo impugnato. Alcuni si accasciarono a terra, mentre dietro di loro ne sopraggiungevano altri. I fuggitivi dovettero cercare un riparo, ormai in trappola, arrivavano soldati da tutte le parti. Ben presto circondati non avevano scampo.
“Che facciamo? Sarà meglio arrendersi”. Propose Carmelita.
“Non mi piace come idea, ma…” A quel punto un’esplosione aprì il cancello e atterrò un gruppo di guardie che si erano appostate per impedire la fuga. Alyssa uditi gli spari era accorsa in loro aiuto, irruppero un gruppo di agili ombre nel vasto cortile cogliendo i soldati di sorpresa. Si ripresero ben presto intimoriti da don Pedro.
“Prendete posizione, sono solo quattro gatti!” Ordinò.
“Prima fila, fuoco! Caricate! Seconda fila fuoco!” Dopo quelle scariche qualcuno dei briganti restò sul campo, la maggior parte riuscì a mettersi al riparo o si era salvata gettandosi a terra. Prontamente fecero fuoco a loro volta abbattendo un buon numero di avversari. Cosè e Carmelita intanto riuscirono a riunirsi al gruppo. Alyssa restò con soli cinque uomini a coprire la ritirata, spararono sui soldati che cercavano di lanciarsi all’inseguimento. Ben presto si ritrovarono a dovere affrontare un duro corpo a corpo, si gettarono nella mischia urlando a spada sguainata, scaricate le pistole si fecero strada menando terribili fendenti. I nemici erano troppi, dopo un’estenuante difesa caddero uno dopo l’altro sotto i colpi delle baionette e delle sciabole dei soldati.
Alyssa, rimasta sola, invece di arrendersi combatteva con più foga. Imprendibile correva a zig zag tra le statue e le piante di quell’immenso giardino. Saltò su un carro in sosta accanto al muro di cinta, con un balzo contava al momento opportuno di saltare fuori da quell’inferno. Non le lasciavano purtroppo il tempo, sembravano un branco di cani rabbiosi. Lei si difendeva tirando calci a quelli che cercavano di afferrarla, l’ordine era di prenderla viva, riuscì finalmente a saltare. Purtroppo don Pedro, intuendo quella mossa, aveva predisposto molti uomini per un accerchiamento, con i fucili puntati e le spalle al muro, gettò la spada costretta ad arrendersi.
“Bene bene, finalmente facciamo la vostra conoscenza. – L’apostrofò con gentilezza forzata. – Strano, prima salvate la vita alla figlia del governatore e ora fate questa irruzione con gli stessi briganti. Avete molte cose da spiegarci, ho dei metodi molto persuasivi. Portatela via!” Ordinò l’ufficiale soddisfatto dopo averla guardata con disprezzo dalla testa ai piedi.
“Voi non avete idea del pericolo che correte tenendomi nelle vostre prigioni”. Lo avvertì lei per nulla intimorita dalle sue minacce. Mentre la conducevano nei sotterranei Manola incrociò il suo sguardo, in quel momento non poteva fare nulla. L’aveva salvata, ma ora con quell’attacco si era messa in un brutto guaio. Lei sapeva che il suo scopo era riprendersi quello che le apparteneva. Non capiva del resto il perché si era riunita ai suoi stessi rapitori. Immaginò tra l’altro che quella mappa potesse condurla a un tesoro o comunque a qualcosa di importante.
Francisco pensò subito ad elaborare un piano per farla evadere, cosa non facile. Si era affezionato a quella ragazza, soprattutto ora che aveva dimostrato grande coraggio rischiando la sua vita per quella del gruppo.
Il governatore era confuso, la figlia continuava a ripetere di tenere conto che le aveva salvato la vita, chiedeva clemenza. Alyssa fu condotta nei sotterranei, rinchiusa in una cella divisa da una grata centrale. Appena le guardie si furono allontanate, rimasta al buio, si sdraiò a terra su un mucchio di paglia.
“Di nuovo sola, non so se è meglio qui o in mezzo al mare. Certo che in questi ultimi tempi il destino mi perseguita in modo particolare, mancherebbe solo che Rubio arrivasse ora che non posso difendermi, né fuggire. Sono certa che prima o poi verrà a cercarmi, sento che è vicino”. Assorta in questi pensieri, man mano che la vista si abituava all’oscurità, le parve di scorgere una sagoma enorme nella cella adiacente, sembrava quella di un orso.
“Adesso anche le traveggole?” Pensò ad alta voce. Si stropicciò gli occhi cercando di vedere meglio. Quella figura ancora lì, silenziosa, la osservava a sua volta. Un colpo di tosse le fece capire che c’era effettivamente qualcuno. Incuriosita si avvicinò alla grata, quell’ombra si alzò in piedi, si trattava di un gigantesco negro. Non aveva mai incontrato una persona così imponente, alto due metri o poco più, con una muscolatura davvero possente.
“Mi chiamo Tom, signorina. Uno sventurato… come voi”. Si presentò l’uomo. Nonostante la sua mole Alyssa fu colta da compassione nel vederlo incatenato come un animale.
“Per quale motivo sei qui?” Gli domandò lei.
“Da queste parti uno schiavo che si ribella non è ben visto. – Rispose con tono pacato. Sorridendo metteva in mostra denti bianchi come l’avorio. – Piuttosto signorina, una bella ragazza come voi… non capisco come potreste essere pericolosa al punto da tenervi rinchiusa nelle peggiori segrete”. Lei chinò il capo, non rispose. Presto quel gigante si sarebbe reso conto che anche un’innocua fanciulla poteva essere pericolosa quanto lui. L’uomo giaceva in quella cella da oltre un anno.
“Da quanto tempo ti trovi qui dentro?” Gli domandò.
“Qui il tempo pare si sia fermato. Forse un anno, forse due. Non ricordo più che effetto fa la luce del sole, il colore del cielo, il susseguirsi delle stagioni, ognuna con i suoi colori suggestivi. Si sono dimenticati di me, almeno si decidessero ad uccidermi”. Sospirò Tom con grande malinconia.
“Forse il giorno della tua libertà è vicino, su col morale, tieniti pronto”. Cercò di consolarlo la ragazza.
“Le tue parole sembrano uscire dal cuore, mi infondono coraggio, sembrano dette con grande certezza. Per questo ci voglio credere, fosse anche la morte stessa a portarmi la libertà”. Alyssa stanca della lunga giornata e di quella dura lotta, si sdraiò sul giaciglio di paglia e si addormentò quasi subito. Anche quel gigante si accovacciò. In quel momento si sentì rinascere, il suo cuore pieno di speranza, sentiva che il suo destino si sarebbe unito a quello della guerriera, l’avrebbe servita fino alla morte. Si addormentò a sua volta sognando la sua terra, da dove era stato brutalmente portato via, e la sua famiglia che aveva subito la stessa sorte per chissà quale altro luogo. Tutta la tribù si era dissolta in un solo triste giorno.
Una potente mareggiata si abbatteva furiosa sulla scogliera, un cielo coperto di nubi iniziò a scaricare una pioggia torrenziale, tuoni e fulmini disturbavano il sonno dell’isola addormentata.
Nel frattempo la nave di Lupo nero si avvicinava, tra poche notti ci sarebbe stata la luna piena. Passata quella settimana fatale il terribile pirata si accingeva a radere al suolo ogni cosa pur di trovare Alyssa, la Tigre.
[continua]
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