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In copertina illustrazione di Beatrice Villa
Prefazione
“La Regina dei vampiri” della giovane autrice Beatrice Villa riconduce al genere “vampiresco” che, in questi ultimi tempi, vede un susseguirsi di opere letterarie e rappresentazioni filmiche che ottengono grande successo. Non è un caso che la trama del suo romanzo sia permeata da un ritmo cinematografico e, attraverso un altalenante conflitto tra il Bene e il Male, riporti la mente del lettore alla classica visione che ha reso famose le opere di questo genere.
Beatrice Villa dimostra di essere autrice già attenta agli stilemi, alla cura nel delineare i personaggi che, con le loro personalità, arricchiscono la sostanza stessa della storia, alle numerose rappresentazioni degli ambienti, a dimostrare di muoversi con estrema facilità nelle atmosfere oscure e tenebrose.
“La Regina dei vampiri” segue quindi un ritmo incalzante con susseguirsi continuo di nuove rivelazioni, di imprevedibili eventi e improvvisi colpi di scena, in un alternarsi incessante nella narrazione, tra la scia di sangue che viene lasciata dai vampiri e la difesa del Bene.
Tutto ha inizio con agghiaccianti uccisioni di alcuni ragazzi, rinvenuti completamente dissanguati, e una sola voce… “Io voglio il tuo sangue”.
Nel piano diabolico dei vampiri si nasconde un pericoloso segreto che nessuno ancora conosce: la volontà di risvegliare i Sette Vampiri e ritrovare la Regina che guiderà al dominio del mondo nonché l’estrema crudeltà nel perseguire tale scopo.
“Ogni mille anni, a mezzanotte esatta, i pianeti del sistema solare si allineano con la luna”, conferendo ai vampiri un immenso potere che permetterà di dominare il mondo grazie alla creazione di un esercito di vampiri da parte dell’essere più malvagio e crudele mai esistito, chiamato l’Eterno. Eppure neanche lui può conquistare il mondo senza l’aiuto della Regina, destinata a comandare i vampiri.
Nello stesso tempo le due amiche Sonia e Rina, che frequentano il liceo, parlano spesso di creature oscure e vampiri, anzi, la stessa Rina, da bambina, aveva incontrato un vampiro che, affondando i denti affilati nel suo polso, le aveva detto che si sarebbero rivisti a tempo dovuto. Sonia era rimasta stupefatta quando l’amica Rina le aveva raccontato tutto.
All’improvviso, entra in scena un nuovo compagno di classe di Sonia, un ragazzo misterioso con occhi verdi che sembrano nascondere un segreto: Fabrizio provoca subito una strana sensazione nella mente di Sonia, una sorta di inspiegabile attrazione “come se i loro destini fossero collegati”.
Nel frattempo, durante la notte, si susseguono terribili omicidi in varie parti dell’Europa, scatenando una sensazione di paura incombente per qualcosa di ancor più grave che potrebbe succedere.
Tra Sonia e Fabrizio nasce una complicità e una profonda amicizia che spingono Fabrizio a rivelare all’amica la verità: lui è un Mezz’Anima, metà vampiro e metà umano, a differenza dei Puri, i Senz’Anima che però hanno bisogno dell’aiuto dei Mezz’Anima che possono inserirsi tra gli esseri umani senza essere scoperti.
Saranno proprio Sonia e Fabrizio, con l’aiuto di Thomas, anche lui Mezz’Anima, a cercare di contrastare l’Eterno, venerato e temuto, il più crudele della sua razza. In una lotta contro il tempo, prima dell’allineamento dei pianeti, prima che il malvagio Eterno, dopo aver risvegliato i Sette Vampiri che provocano distruzione e morte, trovi la Regina, l’Eletta predestinata, e porti a compimento il piano per dominare il mondo.
Ecco allora che si snoda una storia elettrizzante con il sanguinoso ingaggio tra feroci esseri partoriti dal crudele Vampiro che li comanda, con la messa in campo di poteri fenomenali come la capacità di penetrare nella mente e annullare la volontà di un essere umano.
La forza narrativa di Beatrice Villa combina la visione terrificante d’una lotta spietata con soventi riflessioni sui lati oscuri, sulle lacerazioni dell’animo e sugli impulsi celati nel profondo degli esseri umani… e non solo, che devono fare i conti con i sentimenti, con la scelta tra il Bene e il Male.
Beatrice Villa accompagna nella storia, intensa nella suspense, tra fremiti di terrore e ricchezza di immagini, malvagità e sentimenti puri. Costruisce la trama de “La Regina dei vampiri” con abile gioco di alchimie, muove i vari personaggi e ne esalta le peculiarità, sposta il campo d’azione dopo serrati dialoghi, ne sente il respiro, ne alimenta le atmosfere come se l’oscurità potesse improvvisamente calare sul mondo: scena dopo scena, coinvolge fino all’inevitabile epilogo che vede trionfare l’Amore.
In una miscela vertiginosa che condurrà allo scontro finale, viene esaltata la capacità di Beatrice Villa nel creare una storia pervasa da atmosfere misteriose e travolgenti.
Massimo Barile
La Regina dei vampiri
Prologo
Era una notte buia e fredda. Il cielo era nero e coperto da nubi che nascondevano luna e stelle. L’unica luce era data dal debole bagliore di qualche lampione sparso sul ciglio della strada.
La nebbia fitta ricopriva le strade ormai deserte. Un tetro silenzio avvolgeva la piccola città. Gli abitanti dormivano placidamente nelle loro case.
Era come se qualcuno avesse fermato il tempo.
All’improvviso dei deboli passi sciolsero l’incantesimo. Una ragazza camminava lentamente in mezzo a una stradina; quasi trascinandosi. Se qualcuno fosse passato in quel momento, sicuramente avrebbe pensato che fosse ubriaca: barcollava leggermente e teneva gli occhi semichiusi, alzati quel tanto che bastava per vedere davanti a sé.
Doveva avere circa sedici anni. Il viso minuto e pallido era madido di sudore.
Poco prima urla strazianti, di dolore e di aiuto avevano lacerato il silenzio, giungendo fino alla ragazza in cerca d’aiuto.
Non sapeva da dove provenissero, ma il suo istinto le aveva detto di seguirle.
Ora si era pentita di quella scelta così azzardata.
La sua mente si era svuotata all’improvviso e le sue gambe avevano iniziato a muoversi da sole. Inizialmente aveva cercato di ribellarsi ma ogni volta quella forza misteriosa le lacerava la mente. Era come se qualcuno stesse manovrando il suo corpo da lontano. E il dolore era troppo grande per lei; alla fine aveva rinunciato a opporsi. Ora la sua volontà era totalmente sottomessa. Non riusciva a pensare, a ragionare e a provare sensazioni. Era diventata un automa.
La nebbia iniziò a diradarsi e la ragazza scoprì quale sarebbe stata la sua meta. Un cimitero. Un brivido freddo le attraversò la schiena e il suo cuore iniziò a battere più forte. Purtroppo, però, non poteva fermarsi e, costretta da quella forza, aprì le sbarre d’argento ed entrò. Dopo aver fatto alcuni passi il cancello si richiuse con un cigolio somigliante al grattar delle unghie sulla lavagna. E com’era arrivata, quella forza sparì, lasciandole finalmente libera la mente.
Per qualche secondo la ragazza non si mosse. Poi si girò di scatto e cercò di riaprire il cancello. Una. Due. Tre volte. Ma le sbarre erano bloccate. Si mise le mani nei capelli e iniziò a piangere. Disperazione e paura la invasero.
Poi, prima di lasciarsi andare totalmente, si ricordò dell’uscita sul retro del cimitero, finita di costruire proprio l’altro ieri.
Quella era la sua unica salvezza, la sua unica speranza di uscire viva da quel tetro luogo.
Si asciugò le lacrime mentre un debole venticello freddo le scompigliava i capelli.
Iniziò a correre più veloce che poté, cercando di vedere oltre il buio della notte.
Lapidi e alberi la circondavano. L’angoscia aumentava ad ogni passo.
All’improvviso inciampò in qualcosa e cadde. Si rialzò a fatica. Le nubi che oscuravano la luna si dilatarono in quel momento e la giovane posò gli occhi sul corpo senza vita di un ragazzo che doveva avere all’incirca la sua stessa età.
La sua mente si svuotò di nuovo, questa volta non per colpa di quella forza. Ebbe un conato di vomito e le morirono in gola le grida che avrebbe voluto lanciare.
Si rimise a correre senza pensare più a nulla.
Il rumore di un ramo spezzato bloccò la sua corsa. Non era sola. Probabilmente l’assassino era ancora da quelle parti! L’aveva vista! L’aveva vista mentre inciampava sul ragazzo morto! Adesso la voleva uccidere.
“No, non io! Non voglio morire, non voglio!”
Riprese a correre.
Il respiro iniziò a mancarle ma non le importava.
Doveva assolutamente raggiungere l’uscita secondaria.
Un tuono. La pioggia iniziò a scendere leggera.
Il cimitero le sembrava immenso.
Dopo quella che le parve un’ora finalmente scorse in lontananza il cancello. I deboli raggi della luna facevano brillare d’argento le sbarre. Le labbra della giovane s’incresparono in un timido sorriso.
Ma quella tenue speranza che per un attimo l’aveva pervasa non durò a lungo.
Una voce, fredda come il ghiaccio, le attraversò la testa forte come un trapano.
– Perché corri? –
Questa volta la ragazza riuscì a urlare. Non pensò più a niente, ma non si fermò.
– Non mi puoi sfuggire. –
– Chi sei? Che cosa vuoi da me? –
– Che cosa voglio? Che domanda stupida. – La voce rise divertita.
La giovane si sentì tirare la giacca e venire girata con fermezza. Trattene il fiato.
– Io, voglio il tuo sangue. –
Altre urla lacerarono la notte.
Fabrizio
– Hai sentito la notizia? –
– Quale? – Sonia guardò dubbiosa l’amica.
– Ma come? Ne parlano tutti! – Rina si fece seria. – Il custode del cimitero ha rivenuto i cadaveri di due ragazzi di sedici e diciassette anni. La polizia ha accertato che la loro morte risale alla mezzanotte di ieri. –
– Oh mio Dio, è terribile! –
Sonia trattenne il fiato.
– Sì, ma non è tutto. I corpi erano completamente dissanguati. Come… Hai presente le storie dell’orrore, i vampiri, quelle cose lì? Per me c’è sotto qualcosa di soprannaturale! – affermò con decisione la giovane.
Sonia scoppiò a ridere.
– Non c’è niente di divertente in questa storia! – ribatté offesa l’amica.
– Dai, lo so. Ma tu hai una così fervida immaginazione a volte. Per me stai esagerando. È una cosa orribile, ma non certo commessa da vampiri o zombi! –
Fino in classe Rina continuò a cercare di farle cambiare idea. Poi si salutarono e si diedero appuntamento all’intervallo. Frequentavano tutte e due il terzo anno di liceo ma in sezioni differenti.
La ragazza scosse la testa. Era da quando erano piccole che l’amica parlava di vampiri. Beh, a dire la verità anche Sonia ne era stata una patita. Ma poi si cresce…
Tutto era iniziato in una fredda notte d’inverno, la vigilia di Natale. Sonia e Rina erano due bambine di sei anni, con la passione per draghi, fate, folletti, ma anche vampiri, creature oscure amanti della notte. Rina li adorava. Affermava con convinzione che non tutti erano cattivi, che molti erano in grado di provare sentimenti, di amare… e inventava all’istante storie che parlavano di un amore proibito tra un vampiro e una ragazza o il contrario, ma anche di un gigante che per amore aveva rinunciato alla sua forza e al suo aspetto minaccioso e tutto per un essere umano!
Passavano serate intere, accomodate davanti al fuoco, a discutere di questo argomento.
Però, quella sera qualcosa cambiò. Sonia era scesa in cucina a preparare due tazze piene di cioccolata fumante e Rina era rimasta in camera. Era sdraiata sul letto, gli occhi fissi sulla neve che cadeva lenta fuori dalla finestra.
All’improvviso sentì una voce maschile, bellissima e musicale.
– Chi sei? – domandò, così piano che dubitava che lo sconosciuto sarebbe riuscito a sentirla.
Eppure…
– Mi fai entrare? –
– Sei un vampiro? –
– Sì. –
Rina sorrise. Si alzò e corse ad aprire la finestra. Un soffio di aria gelida la schiaffeggiò, ma lei non ci badò, troppo presa nella ricerca del vampiro.
Niente. Forse se l’era immaginato.
Chiuse la finestra e quando si girò, rimase a bocca aperta. Lui era lì, in tutto il suo splendore, proprio dentro la sua camera! Era la creatura più bella che Rina avesse mai visto. I suoi lunghi capelli neri come il colore della notte più buia, priva di stelle e dei raggi argentati della luna, ricadevano delicati sulle spalle; la pelle pallida come la neve risaltava quegli splendidi occhi dal colore del ghiaccio. Era alto e indossava solo dei calzoni neri e una maglietta bianca, nonostante il freddo tagliente.
– Ciao – gli disse Rina mentre di nuovo un sorriso spuntava dalle sue labbra.
Il vampiro le restituì il sorriso.
– Ciao a te, piccolina. –
Che voce suadente che aveva!
– Cosa vuoi? –
– Devo solo fare una piccola cosa, un incarico che mi è stato affidato. Non aver paura, non sentirai niente. –
Rina non aveva paura, non di lui, non di quel bel vampiro che le stava ora così vicino da poter sfiorare quella pelle così morbida e fredda.
– Non ho paura di te. Puoi fare tutto quello che vuoi. –
Il vampiro sorrise ancora e, dopo aver preso il polso di Rina, vi appoggiò i denti, affilati come rasoi.
La bambina sentì il rumore della pelle che si apriva ma, in effetti, non provò dolore, solo una leggera sensazione di freddo.
– Diventerò una vampira? – gli chiese quando si staccò.
Il vampiro scosse la testa.
– Non ancora. Tutto a suo tempo. –
Fece per andarsene, ma Rina lo trattenne.
– Aspetta! Ti rivedrò un giorno? – chiese ansiosa.
Il vampiro annuì.
– Un giorno. Come ti ho detto tutto a suo tempo – ripeté. – A proposito, non devi rivelare a nessuno di questo nostro incontro, capito? –
– Capito. –
Il vampiro si girò, uscì dalla finestra e si volatilizzò tra la neve.
La bambina guardò fuori, per cercare di vederlo un’ultima volta, ma era già scomparso.
In quel momento entrò Sonia, con due grandi tazze blu, piene fino all’orlo di cioccolata calda.
Rina decise che alla sua migliore amica non poteva tenere nascosto quel suo incontro.
Le raccontò tutto. Sonia rimase stupefatta, ma da quella sera si divertirono un mondo, affacciate a quella finestra, a ricercare quel vampiro. Invano. I loro genitori le credevano un po’ matte, ma in fondo erano due bambine e a volte davano loro corda.
Col tempo Sonia dimenticò le sue fantasie d’infanzia, ma Rina no. Quell’incontro le aveva lasciato un segno indelebile sul polso. Due righe, simili a due serpenti che si mangiavano la coda. Una cicatrice che, da quel momento in poi, disse che se l’era procurata bruciandosi con il ferro da stiro.
Rina però non dimenticò mai quel vampiro e ancora oggi, a diciassette anni, crede all’esistenza di quelle creature che popolano i miti celtici e le storie dell’orrore.
Sonia entrò in classe e si accomodò al suo posto aspettando l’arrivo del professore. La prima ora aveva matematica. Non le era mai piaciuta quella materia.
Arrivò il professore seguito da un ragazzo. Era molto bello e gli occhi di tutte le ragazze, all’istante, puntarono su di lui. Aveva i capelli neri, lisci, di lunghezza media e di quel colore era anche vestito. Ma gli occhi erano di un verde brillante e sembravano nascondere chissà quale segreto. Sonia, che aveva un certo talento nello scrutare nell’animo delle persone, lo capì subito, ma non ci badò.
– Ragazzi, vi presento Ferloni Fabrizio. Si è appena trasferito da una nuova città e spero che voi lo accogliate in maniera adeguata. Prego Ferloni, accomodati in quel banco vuoto. –
Il professore indicò proprio il banco, in fondo all’aula, vicino a quello di Sonia. Le sue compagne si girarono verso di lei con uno sguardo di gelosia che sembrava voler dire: stai attenta a quel che fai.
– Piacere – disse allungandole la mano. – Il mio nome lo sai già, ma io non conosco ancora il tuo. –
– Sonia – gli disse rudemente rifiutando la mano. Le sue compagne erano proprio delle sciocche.
– Silenzio in fondo – urlò il professore.
Fabrizio ritirò la mano e si girò ad ascoltare il prof. Lo stesso fece lei.
***
– Mi sembra un tipo affascinante – concluse Rina dopo che Sonia le ebbe descritto il nuovo arrivato. – Beata te. Da noi certi ragazzi non vengono mai, anche perché siamo tutte femmine. –
Le lezioni erano terminate e si stavano dirigendo a casa.
– Ti assicuro che non c’è niente di interessante in lui. E poi vestendo tutto di nero sembra volere celare chissà quale segreto e la sua voce è così profonda, quasi… –
– E poi sono io quella paranoica – Rina interruppe l’amica con un tono allusivo e tutte e due scoppiarono a ridere.
– Hai ragione! –
– Certo! –
– Va beh. Ci vediamo domani. –
– Ok. –
Le ragazze si salutarono e Sonia entrò in casa. Sua madre stava guardando il telegiornale.
– Ciao mamma. – La salutò la figlia.
– Ciao Sonia. Hai sentito la disgrazia? –
– I due ragazzi uccisi al cimitero? – Chiese Sonia sedendosi. La madre iniziò a riscaldare la pasta.
– Sì. È terribile. Conoscevo i genitori del diciassettenne, sono miei colleghi all’università. –
La madre di Sonia, laureata in astrofisica, insegnava all’università di Milano. Oggi era il suo giorno libero.
– Rina dice che i corpi erano dissanguati. – Mormorò piano Sonia. Sua madre era già abbastanza sconvolta senza che lei aggravasse la situazione con i suoi commenti.
– Sì, lo so. Ed è questo che rende ancora più terribile l’omicidio. –
Servì il pranzo alla ragazza, poi continuò.
– Ma non è il primo caso. Vanno avanti dall’inizio del mese, un omicidio quasi ogni notte. Ma è la prima volta che vengono ritrovati due cadaveri nel medesimo luogo. –
Sonia rabbrividì.
– Che cosa? Da una settimana vengono uccisi ragazzi della mia età e nessuno lo sapeva? –
– L’hanno appena detto. La polizia non ne vedeva la necessità, visto che avvenivano in posti diversi. Ma non si sa ancora niente a dire la verità. – Anna Nuti pose così fine al discorso.
Finito di pranzare Sonia andò in camera sua per studiare, anche se ci riuscì ben poco.
Dopo mezz’ora ci rinunciò e uscì.
Di giorno Como sembrava molto tranquilla. Beh, affollata, ma tranquilla. Gli omicidi però erano stati commessi di notte. Una delle cosa che non capiva era come mai non c’era nessun testimone. Com’era possibile?
Qualcuno le posò una mano sulla spalla interrompendo i suoi pensieri. Sonia si mise a urlare.
– Hey, calmati, sono io! – Fabrizio sorrideva divertito.
Sonia smise di urlare e abbassò gli occhi imbarazzata. Ma si riprese e iniziò a rimbeccarlo.
– Calmarmi?! Ma se mi sei piombato dietro così silenziosamente che, per quel che ne sapevo, potevi anche essere un ladro o un assassino! –
Il ragazzo la guardò sorpreso per qualche secondo poi scoppiò in una sonora risata.
Il viso di Sonia si tinse di rosso, un bel rosso imbarazzo.
– Che fai, adesso ti metti pure a ridere di me!? – gli sbottò la domanda in faccia con un po’ meno vigore.
– Non siamo partiti con il piede giusto, eh? –
“No” pensò Sonia. “E mo dove vuole arrivare sto qua?”
– Sei arrabbiata per la performance della tue compagne di classe? –
“Che gran spirito di osservazione” Sonia chinò il capo. E alla fine si arrese.
– Va bene, uno a zero per te. Ma in fondo non è stata colpa tua… Oh, e va bene, ti chiedo scusa. – Quanto era difficile per una ragazza così orgogliosa pronunciare quelle parole. E Fabrizio lo capì.
– Va che non dovevi chiedermi scusa perché non mi hai fatto niente. – la rassicurò, ancora con quel sorrisetto stampato in faccia. Sonia si domandò se era ironico, ma non glielo fece notare, per non causare un’onda anomala quando le acque, ora, erano così tranquille.
– Mi accompagneresti a fare un giro della città? Sai, non sono ancora capace di distinguere una via dall’altra. Temo di potermi perdere. – azzardò per convincerla ad accettare.
Sonia accennò un sorriso. – Sai, di certo puoi fare di tutto a Como, ma non potrai mai perderti. Tutte le strade portano dalla stessa parte. –
– Questo vuol dire che mi lascerai vagare per un tempo che potrebbe rivelarsi infinito, in queste strade che, a tuo parere, portano tutte dalla stessa parte? – e fece una faccia simile a quella di un bambino che ha perduto il suo giocattolo preferito.
“Dovrebbe fare l’attore” pensò, ma accettò di buon grado. Aveva bisogno di sgranchirsi le gambe.
Gli fece visitare il centro di Como e un bel po’ di posti in periferia. Ripresero la strada che portava a casa di Sonia quando il sole stava tramontando e il viso di Fabrizio s’incupì.
Sonia se ne accorse e gli domandò cosa c’era che non andava.
Il ragazzo scosse la testa.
– Non dovresti andare in giro di sera. –
Sonia spalancò gli occhi.
– A parte il fatto che non accetto prediche da uno che, a dirla tutta, non conosco neppure, ti ricordo che sono stata fuori fino a quest’ora per te, visto che avevi paura di perderti. – Lo rimbeccò.
Fabrizio la guardò stupito, ma poi annuì.
– Colpa mia, hai ragione. – Non c’era sarcasmo nella sua voce, solo risentimento.
Sonia si pentì di essere stata così brusca.
– Perché non devo andare in giro di sera? –
Fabrizio non rispose. Sembrava immerso nei suoi pensieri. La ragazza decise di lasciar perdere.
“Ma che cosa mi prende? Non dovrei neanche parlare con questa ragazza. Eppure c’è qualcosa in lei che mi attira. È come se i nostri destini fossero, in qualche modo, collegati.” Fabrizio scosse subito la testa. “Ma che cosa vado a pensare! Accompagnala a casa e poi sparisci.”
Erano le sei quando raggiunsero la casa di Sonia.
– Carina. – Disse Fabrizio alludendo all’abitazione.
– Dici? –
Beh, non era né piccola, né grande. Era normale. Due piani, tetto marrone e muri bianchi. Sonia non l’avrebbe mai definita carina.
Salì i tre scalini e aprì la porta.
– Ci vediamo domani, ok? –
Fabrizio annuì e se ne andò. Sonia lo guardò allontanarsi, fino a confondersi con il buio della sera. In cielo non c’era neanche una stella e l’unico lampione ancora funzionante, non illuminava per niente.
Sonia accennò un sorriso ed entrò. Sua madre la aspettava alzata.
– Ti sembra forse l’ora di tornare? Non potevi almeno avvisare? –
– Scusa, hai ragione. – Disse Sonia sdraiandosi sul divano in salotto.
Anna non si arrese così facilmente.
– Dove sei stata? – domandò infatti, non perdendo il tono di rimprovero.
– Ho accompagnato un mio nuovo compagno di classe a fare un giro della città. Il tempo è volato. – Rispose Sonia con un’espressione innocente dipinta in viso.
Anna sospirò. Era inutile arrabbiarsi.
– Ti sei divertita? –
Sonia ripensò al pomeriggio appena trascorso a fare da cicerone a Fabrizio, a girare per negozi e a mangiare una pizza lungo la strada.
Accennò un sorriso che sua madre interpretò come un sì.
– Ti conviene andare a letto. Domani hai scuola. –
Sonia annuì, salì le scale ed entrò in camera. Si mise il pigiama e si sdraiò sotto le coperte.
Alla fine non aveva studiato, ma non le importava. In fondo, in italiano l’aveva già interrogata e non aveva voglia di aprire nessun libro.
Abbracciò il suo gatto Dj, chissà come finito nel suo letto, e si addormentò all’istante.
[continua]
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