Intarsi

di

Bettina Di Bartolo


Bettina Di Bartolo - Intarsi
Collana "I Gigli" - I libri di Poesia
14x20,5 - pp. 66 - Euro 8,50
ISBN 978-88-6587-0037

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Note biografiche e prefazione di Carmelo Lanfranco

In copertina: «Intarsi» immagine realizzata da Renata Giorgilli

Foto dell’autrice a cura di Studio fotografico Negri


Prefazione

“…Fuggirò via come un aquilone che spezza il filo di Arianna e si perde nei meandri di Crono…”
È l’inizio, questo, di una delle poesie della silloge dal titolo “Intarsi” che l’autrice Bettina Di Bartolo offre al lettore.
Scorrendo i versi di questo tessuto lirico compositivo, si rimane come coinvolti dall’afflato poetico ed emozionale che sostanzia tutta la produzione artistica ma non solo! gli strumenti espressivi, le immagini poetiche, le figure retoriche – armonicamente coese con originali costrutti semantici e geniali sintagmi, dal retrogusto morfemico di sapore greco-latino – oltre che impreziosire l’impianto poetico con venature, intarsi o distintivi sentimentali rappresentano una chiave di volta per cogliere quell’infinito e quell’assoluto, di impronta romantico-decadente, verso cui, con slancio vitalisticamente energico, tende l’animo della Di Bartolo.
Alla luce di siffatte premesse il fuggire via di questo aquilone ed il suo perdersi nei meandri del tempo si configura come uno scalo obbligatorio del cammino onirico che l’autrice percorre sulle strade del mondo o su auree trascendentali ed ancora verso l’irrazionale “sfiorando icone d’irreale” come la stessa afferma nella lirica “Il poeta”.
Questa lirica consente di assistere come “per vetri trasparenti e tersi” di dantesca memoria, all’atto creativo del poeta “la cui mano scorre lesta la penna, dipinge segmenti su lembi di pensieri sbiaditi mentre sedotta dagli incantevoli scenari del Creato l’anima pronuncia idiomi di verità ed il poeta ha già ritratto nell’utopia il senso della vita”, sono versi questi che ci fanno cogliere con palmare evidenza l’interiorità della poetessa che attraverso la contemplazione evasiva, generata dal febbrile desiderio – quasi ansiogeno – di annegare le asprezze della vita, ci introducono in un paesaggio di sogno ove la natura viene parossisticamente idealizzata.
L’amore per l’infinito e la subentrante comunione cosmica si ergono così a motivo ispiratore di molte liriche che per l’autrice non si configurano soltanto come anelito senza vie di uscita dal labirinto esistenziale ma anche e, soprattutto, rappresentano un consapevole bisogno di vivere in un mondo irreale nel quale finalmente lo spirito potrà trascendere il mondo dell’esperienza quotidiana. Se la poesia, secondo l’accezione greca “poiesis” rimanda ai verbi fare, produrre, creare, la poetessa Di Bartolo focalizza a pieno titolo il culto del bello estetico per inclinazione naturale sorretta da una proteiforme fantasia oltre che da una viscerale propensione per l’oscibile. Con queste armi essa prosegue il suo viaggio nell’emisferiche plaghe dell’oltrespazio dai cui meandri a volte si ha l’impressione che tuonino voci telluriche e cosmiche che la stessa riesce a catturare con intuizionismo squisitamente poetico.
Nel gioco delle rientranze e sporgenze degli Intarsi balza fuori una società lacerata per le passate e presenti piaghe, una fuga dalla realtà per immergersi in un bagno di luce nelle onde di sideree atmosfere. Quivi compiuta l’evasione catartica, postulata dal suo animo, la poetessa decide il ritorno sul sentiero del quotidiano vivere.
Ricongiunta alle cose terrene si sente più corazzata calpestando così con piede più fermo e rassicurante l’empirica realtà con nuovi paradigmi sentimentali. Il viaggio prosegue in compagnia di nuovi stati d’animo, di una nuova linfa di fede e ragione e con nuove armi che mitigano la stura esplosiva della sfera affettiva.
E così la poetessa con le ali rinnovate intona i suoi canti d’amore scortata dall’aquilone che vola sullo sfondo di un paesaggio tra spighe di grano dorate. In questo edenico campo l’ardente e divoratrice passione viene opacizzata dalle vesti della verecondia che il rosso papavero indossa.
Finalmente le mani della poetessa avvinte a quelle della persona amata possono intrecciare nodi che come “nastri di certezza” si accompagnano alle ore che “nel lento fluire danzano su note” che, pur “assetate di passione” non si lasciano contaminare da voluttà materiali. Tutti i componimenti poetici della Di Bartolo sono connotati da fascinose immagini in cui si avverte come una ammaliante eco di antiche sinfonie, di blande vibrazioni che sortiscono effetti di alta poesia mescidati di sensuali e mistici accenti, ma liberi gli uni e gli altri da residuati terreni.
È in questa antinomia giammai sfocciante in turbolenti dissidi o maceranti conflitti interiori che si tocca il momento apoteotico della poesia.
Su questa cima del Parnaso non c’è più posto per la febbre del possesso ma solo per l’attesa, su questa cima la poetessa ama vivere il rapporto duale in un’atmosfera di incanto nell’attesa appunto, del giorno in cui i due non saranno più due ma una sola carne.
Qui il canto poetico sconfigge ogni affiorante nota di pessimismo; qui il pathos viene neutralizzato e negli anfratti di alcuni “Intarsi” penetra la luce che si dilata scatenando un estuario di speranze, di certezze e di giorni da vivere. Ecco, quindi, il senso profondo dei versi in cui l’autrice parla dei giorni che doneranno “corona e scettro per diventare”, lei, giovane poetessa, “donna del domani”. Ne consegue che le sue esperienze intimistiche, i suoi soliloqui, le sue travagliate meditazioni diventeranno domani nuovi soffi vitali e così “non vedrà più né le ispide rocce del cammino né udrà più voci umane che la sovrastano”.
Ed è proprio qui che la poetessa avverte come non mai, il fluire del suo pensiero che concede finalmente tregua agli sconvolgimenti psichici. Raggiunto questo stadio impugna lo scettro per abbandonare il ritmo altalenante di albe e tramonti, accogliendo in un amplesso di luce “quello strale che Cupido dal suo arco aveva primariamente teso” per volare insieme e poi fermarsi non più su “muti simulacri di Venere” ma per sconfinare verso “cieli infiniti di gaudio” che soltanto l’Amore sublimato dallo spirito può elargire ai preposti.

Carmelo Lanfranco


Intarsi

Sulla fredda battigia
piego candide vele
– approda la barca –
il timone ha pronosticato ripa sicura…
l’orizzonte regala ormai
ombre di pensieri alla sera –
col flutto che si rinnova nella brezza
i miei istanti ho già istoriato…

artista di un incognito viaggio


Mistero

Navigo in balia di onde perenni
fra enigmi ed arcani
che spossano la ragione –
Esisto o dipingo un miraggio?
Vivo la luce, le tenebre, le ombre

la pioggia, il fango
l’inedia, la sete
il mutar delle stagioni,
il risveglio dei minuti
che rinnovano il mio derma –

Sono un corpo gitano
fra gli echi del mondo…
la vita mi renderà
un’anima smussata

ma non intarsio la parola fine
su pergamene sapienti

Cadrò in un sonno confortante
eterno come mistero e

rinato da sprazzi di luce


Guizzi di sole oggi
ricamano sul freddo selciato
la trina reminiscente
Cadenzano i battiti
lo spartito della vita ed
io seduta sul trono del destino
scandisco sinfonie
con lo scettro dell’essere

Son prole di un nuovo giorno!


Inquietudine

Vorrei fermare l’istante perduto
e con la mano sfiorare il mondo

potrei scalare in un giorno solo
vette d’ansia che sposano sogni

ma naufraga in un’ora sola
rinasco dalle caste ceneri

e plasmo il limo
per alitarvi la mia sorte

La ragione instancabile
cerca un alibi audace

– trapianta nella mia isola
gemme esotiche d’inquietudine –


Nella notte

Cala il sipario della sera e
disegna profili sul palcoscenico

ormai assonnato

appoggio i pensieri sul cuscino della realtà
indosso la maschera onirica e
recito instabile la mia farsa – silenziosa cammino
su trame sbiadite e
ritrovo la mia solitudo…

nella notte


Lettera ad un amico emigrato

Ed un giorno partisti su una nave
che ti portò in luoghi impensati

una valigia piena di rimpianti
e il cuore ricolmo di pensieri

Compagno di viaggio il tuo paese
ove forgiasti la fanciullezza

componesti sul pentagramma
l’ultima sinfonia di tristezza

che ti cantò per tutto il tempo
il vagabondare di città in città

ma il vento alleato abbandonò
il tuo spirito temerario
su spiagge ignorate

Il faro tracciò la carta da viaggio
affinché tu fossi scialuppa
nell’oceano dei miei giorni

Ora racimola perle preziose
sulla sabbia ambrata dei ricordi e

costruisci castelli di gioia
che la marea mai cancelli

Percorro viali segnati dall’essere
nel cammino ritrovo la tua fisima
che si specchia sul mio volto…
anche i tuoi passi domani svaniranno
prigionieri dell’incessante buio…


Autunno

Sullo specchio di cobalto
siede un fruscio di foglie morte e
da una trina di riflessi
il tempo anacoreta
filtra ore senza fine

da frali istanti di giorni appassiti
sorge un esile pianto e
sul filo d’attesa
la mano errante
scolpisce toni d’azzurro astratto

Alla frontiera di carta
veglia il nudo ricordo e
sulla scia d’autunno
espira una nuova chimera


Al tramonto del tuo giorno
accarezzi corolle di attimi
col palmo dell’anima

una falce di luna sfuma
passi viandanti nella notte e

Tu assapori la quiete di una cima
che ti culla fra le sue braccia


Sulla riva

Sorrisi intagliati
da ombre siderali
solcano trincee
su specchi di sabbia e

con mano sapiente
una falce di luna
miete fili elusivi
in regni solinghi

Note di cetra
intridono la bruma
sull’arena sonora
di afoni flutti

L’iter tracciato oggi
sulla riva dei sogni
approda nel mare
saturo d’inchiostro…

domani sarà terraferma
additata al capitano in viaggio


Sfiorano le nostre mani
sartie d’anima nell’euforia del tempo

un’orchestra di emozioni
sta già intonando la melodia dei sensi

Chini sui nostri pensieri
simuliamo placate danze apparenti

assenti nell’essenza

interpretiamo il valzer di questo inverno


Notte in concerto

Arride sospeso nel tempo
lo spettro di un vuoto infinito e
sul proscenio di sedie vuote
tramonta un sipario
di ricordi stanchi

Orchestre tacite di parole
intonano sinfonie di silenzio e
sullo sfondo della notte deserta
recitano sogni sbiaditi
da vaghe realtà

Sulla platea di echi
il sonno, leggero zefiro
sussurra drammi ignoti
tappezzati d’eteree ombre –

effimero è il concerto
all’applauso dell’alba


Riflesso

Si specchia il tuo profilo
tra le cromie dell’anima

interpreto estasiata
i tuoi occhi distanti che
accendono la sera –

domani serberò l’essenza e
nel rimembrarti volerò sui tuoi passi
per esaltare la rinascita


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