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In copertina: «Earth globe with continents maps» © Frédéric Prochasson – adobe stock
Prefazione
Bruno Longanesi ha già al suo attivo una cospicua produzione letteraria ed ora, con il suo nuovo libro “A spasso per il mondo”, desidera raccontare un determinato periodo della sua vita lavorativa che diventa una sorta di diario dei ricordi, costantemente alimentato dalla sua passione per la scrittura e, ancor più, dalla necessità vitale di lasciarsi andare, come in un lento abbandono, alla voglia di “raccontare” la sua mirabolante vita.
Il titolo del libro non è casuale perché Bruno Longanesi “a spasso per il mondo” ci è andato veramente per impegni di lavoro, intraprendendo una professione sicuramente “stimolante”, senza dubbio, piena d’imprevisti e decisamente avventurosa, come potrete leggere nei vari racconti.
Nel 1951, dopo aver frequentato la facoltà di Economia e Commercio, inizia a lavorare per la SAIP, una società privata che si occupa di perforazioni petrolifere, e Bruno Longanesi, praticamente come un pioniere in quel periodo d’oro per il petrolio, è una delle figure che hanno contribuito al successo mondiale di tale società, che, poi, prenderà il nome di SAIPEM.
Pochi anni dopo verrà costituita l’ENI che assorbirà tutte le società private nel campo delle perforazioni petrolifere e, quando nel 1958, l’ENI acquisirà il primo lavoro all’estero, la costruzione di una raffineria in Giordania, a Bruno Longanesi verrà affidato l’incarico di “Responsabile del personale italiano all’estero”, e tale impegno professionale lo porterà ad essere sempre in viaggio per i cinque continenti.
All’età di novantadue anni, ora, ricorda e annota, sul suo personale diario esistenziale, numerosi episodi di questa lunga ed interessante esperienza lavorativa in giro per il mondo con vari incarichi, riportando alla mente episodi occasionali di lavoro realmente accaduti, che hanno contrassegnato gran parte della sua vita: ecco allora dispiegarsi le molteplici vicende collegate alla professione, generate da situazioni verificatesi nel corso della sua lunga carriera.
Dalla galleria memoriale emergono avvenimenti e personaggi che sembrano estrapolati da un romanzo d’avventura: i primi voli in aereo ed un atterraggio di fortuna in mezzo al deserto del Sahara; gli aeroporti sconosciuti dell’Africa, come Kibangula e Batangata solo per citarne alcuni, nei quali è transitato; le prime trasferte in Polonia ed il difficile rapporto con il Ministero polacco; alle quali seguiranno gli incarichi in Yugoslavia, Ungheria, Cecoslovacchia e Romania, per viaggiare, poi, in Sudafrica, Kenya, Nigeria, Tanzania, Nepal, Portogallo, Norvegia, Australia, Libia e altri numerosi Paesi, attraversando le vicende storiche e le vicissitudini, venendo a contatto con le contraddizioni politiche e sociali di questi Paesi.
Le peregrinazioni continueranno, poi, in Svizzera, per costruire una raffineria, dove farà i conti con l’iniziale diffidenza che diverrà amicizia; proseguirà verso Malta e la Grecia, poi, andrà in Sardegna proprio nel momento dello sviluppo petrolifero negli anni Settanta e, infine, l’esperienza in India con il divertente episodio della sospetta “polvere bianca”, in verità semplicemente la famosa Magnesia San Pellegrino, che si concluderà con una esibizione teatrale di Bruno Longanesi degna del miglior comico con una sceneggiata che mima gli effetti del purgativo.
Durante il processo narrativo i viaggi diventano quindi continua scoperta di luoghi, persone, costumi e stili di vita assai differenti, come ad immergersi in una costante esplorazione del mondo: lui ha girovagato per decenni ed ha potuto assistere ad eventi sociali, politici ed economici che hanno interessato varie zone del mondo, ed è stato anche protagonista di storie avventurose, vicende incredibili e situazioni divertenti.
Bruno Longanesi preferisce sempre ricordare le storie che hanno un significato positivo, in molti casi le situazioni ironiche e divertenti, leggere e spensierate, ma è una sua scelta perché desidera accompagnare dolcemente in questo “personale” diario della memoria che lui porta sempre con sé, nel cuore e nell’animo: e, quando è il momento, estrae le preziose gemme memoriali dalla sua personale valigia dei ricordi.
La rappresentazione della realtà diventa una sorta di gioco teatrale della vita che sospinge sul palcoscenico per illuminare le molteplici vicende dell’esistenza, e la sua narrazione risulta avvolgente e calorosa, sincera e luminosa.
Bruno Longanesi sa essere sempre ironico e divertente nel suo personalissimo modo di raccontare sé stesso e la vita, riuscendo a cavalcare gli stati d’animo e le situazioni più improbabili con filosofia e capacità di adattamento, fornendo prove narrative decisamente coinvolgenti, a volte appassionate e, in alcuni casi, addirittura strabilianti.
Attinge dalla memoria per ricreare il suo diario di viaggi, per preservare dall’oblio del tempo i ricordi di oltre trent’anni di attività professionale.
La sua vita può giustamente considerarsi un’avventurosa narrazione ed il suo lungo cammino è costellato da episodi pervasi di esperienze emozionanti, tra mutevoli stati d’animo e profonda attenzione ai sentimenti autentici dell’umano vivere.
Il recupero memoriale si accompagna sempre ad un senso di tenerezza e, in alcune occasioni, ad un velo di nostalgia, ma è proprio questa evidenza narrativa che illumina la visione di Bruno Longanesi: ecco allora che il racconto della sua vita si tramuta in una “favola” di un viaggiatore in giro per il mondo.
Massimo Barile
Introduzione dell’Autore
Fino ad ora ho scritto 16 libri con argomenti vari (romanzi, saggistica, racconti di montagna, di guerra, sentimentali, brillanti), ma non ho scritto una riga sulla mia vera… professione (che non è lo scrivere, semplice e dilettantistico diversivo: diciamo un hobby di pensionato).
Nella mia esistenza, ripeto, ho anche lavorato (per mangiare, perché a scrivere si… legge, ma a tavola si… mangia!).
Ho svolto la mia attività lavorativa come la maggior parte di voi ha svolto una professione.
Stavolta ho deciso: con la memoria voglio ritornare indietro e ricordare momenti della mia vita lavorativa che ritengo sia stata interessate o, per lo meno, fuori da ogni… schema, in quanto il periodo storico-economico era tale che bisognava inventare, ideare, escogitare, essere pionieri in un campo di lavoro nuovo: la nascita e la crescita dell’era del petrolio, in una esplosione rapidissima.
Era una professione… inesplorata, ignota e piena di imprevisti!
Non c’erano esperienze in materia!
“A spasso per il mondo” è il titolo che ho voluto dare al libro e non a caso.
A spasso, solitamente ci si va per divertimento, per svago, per passatempo.
Io, a “spasso per il mondo” ci sono andato per lavoro e ho già premesso che era un lavoro moderno e inconsueto e presentava in ogni momento delle incognite, era un congenito piacere affrontare l’imprevisto, una divertente sfida con me stesso, uno svago per i paesaggi nuovi che si presentavano e un passatempo (impegnativo) nella mia libertà d’azione.
Era una professione stimolante e seducente: per questo dico che non ho girato il mondo: ci sono andato a… spasso!
Iniziai a lavorare, (fresco di studi all’Università di Bologna: Economia e Commercio) presso la Società SAIP.
LA SAIP, era una Società privata di perforazioni petrolifere, di piccole dimensioni (2 “impianti” operativi).
È con orgoglio e fierezza che dico questo perché io, della SAIPEM (al momento della… nascita si chiamava SAIP), ho assistito al suo… parto, alle sue prime esperienze e, man mano, al suo continuo crescere, fino al momento del suo successivo e attuale successo mondiale!
Infatti, nel libro matricolare avevo il numero… 3 (tre) – (documentabile dagli Archivi ENI), quindi, uno dei primi partecipanti di questa memorabile impresa.
Un pioniere, insomma!
Un testimone diretto!
Carlo V, Imperatore del Romano Impero, è diventato famoso per la celebre frase o discorso (der Spruch): “Sul mio Regno non tramonta mai il sole!”
Con quella celeberrima affermazione egli intendeva, naturalmente, menzionare che nelle sue terre vi era sempre un momento del giorno in cui il sole splendeva sui suoi possedimenti.
Così la SAIPEM.
Oggi, la SAIPEM, opera, nei diversi settori, in tutti e cinque i Continenti e può, anche lei, parafrasare… l’Imperatore!
Il sole, illuminava sempre un suo Cantiere.
Soli alcuni schematici dati per dare l’idea di come si è sviluppata questa iniziale modesta Società, oggi colosso mondiale: è presente in 70 Paesi del mondo e impiega circa 35.000 dipendenti di 120 nazionalità diverse.
Della sua flotta (farebbe invidia ad una Nazione!) fa parte la “SAIPEM 7.000”, la terza nave più grande del mondo!
Inoltre, fanno “capo” alla SAIPEM, circa 90 Società e Consorzi con sedi in tutto il mondo.
E non ne dovrei essere fiero e soddisfatto di aver contribuito, (modestamente s’intende) a cooperare a questo successo?
Posso ricordarlo per una volta?
Certo non sempre è stato facile, ma l’entusiasmo e lo spirito di corpo (e di… bandiera!), hanno contribuito a superare gli ostacoli.
Professionisti seri e competenti hanno operato, con il loro lavoro e la loro capacità professionale, a progettare (è il caso di dirlo!) questo colosso industriale mondiale!
Buona parte del merito, va al Presidente della SAIPEM, Dottor Enrico Gandolfi, il quale, come suo collaboratore, voglio ricordarlo con un articolo che gli dedicai al momento della Sua scomparsa.
Voglio inserirlo in questo libro in prima pagina come ringraziamento della stima concessa, della libertà d’azione conferita ed esprimere riconoscenza per i suoi preziosi suggerimenti che mi ha sempre elargito, durante la lunga permanenza alle Sue dipendenze.
Quanto tempo abbiamo dedicato per questa piccola impresa che vedevamo crescere e prosperare: stimolo e motivo per impegnarci di più.
Ma questo Colosso (pochi lo sanno) è nato nel… 1940 in un modestissimo capannone dell’estrema periferia di Rovigo (via Pegoriletto 10) che era la… primissima Sede Legale della Società.
In quel “capannone” c’erano i pezzi di due impianti perforazione, impiegati in lavori di trivellazione nel Lodigiano.
Quando fui assunto io alla SAIP, nel marzo del 1951, a Bologna (la SAIP aveva… nobilitato la sua Sede Legale a Bologna, in via Castiglione 20) fui iscritto con la matricola 3 (aveva aumentato i suoi dipendenti: in totale: 5 impiegati).
La svolta avvenne nel 1953.
Fu costituita l’E.N.I. (Ente Nazionale Idrocarburi), Società dipendente dal Ministero delle Partecipazioni Statali che assorbì tutte le Società private di perforazione e le obbligò a trasferirsi alla Sede Centrale di Milano.
I miei “vecchi Capi”, persone adulte e con famiglie a Bologna, non accettarono il trasferimento, si dimisero e lasciarono la Società.
Io mi trovai con la Società sulle… spalle.
Avevo 25 anni!
Ma i miei due Capi dimissionari, (li voglio ricordare per riconoscenza: Angeletti e Vignoli) furono due padri per me.
Prima di abbandonare il posto di lavoro vollero parlare con il Presidente della Nuova Società per garantire sulla mia persona e suggerirgli di lasciarmi fare, avrei garantito il funzionamento della Società SAIP, almeno per il periodo di assestamento e di organizzazione del grosso complesso appena costituto.
Fu un periodo veramente impegnativo: lavorai per mesi e mesi senza un giorno di riposo, dalla mattina prestissimo fino alla sera; per riprendere spesso, dopo cena, fino a mezzanotte.
La “gestione” andò abbastanza bene, tanto che assegnarono alla SAIP anche il compito del rilevamento del sottosuolo per ricerche giacimenti petroliferi, con apposite squadre sismiche.
Evidentemente le cose andavano abbastanza bene tanto che la SAIP assorbì un’altra Società del Gruppo ENI: la SNAM PROGETTI (specializzata in progetti di raffinerie, oleodotti, gasdotti, impianti industriali in genere) e divenne, come ragione sociale, la SAIPEM (aggiunse EM come “E Montaggi”).
E qui, aumentando la attività, la SAIPEM incominciò a farsi notare fra le Società del Gruppo.
Successivamente, le fu assegnato un lavoro di massima responsabilità: il trasporto del petrolio dall’Algeria all’Italia, passando dalla Tunisia, e cioè il TRASMED, un gasdotto di 2.200 chilometri, che, superando il Mar Mediterraneo in profondità (fino a 570 metri), approdava in Sicilia. Pensate solo le“saldature” effettuate una ad una, a quelle profondità, con un mini-sottomarino, azionato da un robot, progettato dai tecnici SAIPEM.
Questa opera colossale, fruttò l’Oscar della tecnica in campo mondiale!
Anche il TAL (il Transalpine pipeline – 572 chilometri) fu una notevole impresa: da Trieste attraversando le Alpi, il gasdotto portava il petrolio all’Austria, alla Svizzera, alla Germania fino alla Repubblica Ceca.
La Società incominciò ad essere di notevoli dimensioni con un numero elevato di dipendenti che operarono su tutto il territorio italiano come ricerche idrocarburi (perforazioni) e raffinerie, oleodotti, gasdotti (montaggi).
Altra svolta importante: nel 1958 l’ENI acquisì il primo lavoro all’estero in forma organizzata: la grossa Raffineria di Zarqa in Giordania.
Un migliaio di operai specializzati, impiegati all’estero per alcuni anni!
Mai capitato a Società italiane!
Nessuna legislazione in merito, nessuna esperienza precedente, per una Impresa italiana.
Erano le sfide che piacevano tanto all’ENI, le avventure che affascinavano il suo primo Presidente Enrico Mattei e… nel modesto, anche a me!
Fu il lancio della SAIPEM nel settore estero.
Il caso volle che, per un esame, sostenuto qualche anno prima all’Università di Bologna, avessi preparato (molto dettagliatamente, devo ammetterlo) uno studio-comparativo sulle diverse legislazioni mondiali in materia di lavoro.
Questo studio arrivò all’ENI, a Roma, alla Sede Centrale della Società Capo-gruppo e proprio nelle mani di Mattei.
Fece testo!
Ebbi l’incarico di “Responsabile del Personale Italiano all’Estero: Personale italiano, internazionale e locale” operante all’estero (circa 10.000 dipendenti).
Questo compito mi ha portato ad essere un piccione viaggiatore, sempre in volo per tutti i cinque Continenti e i miei ricordi sono legati a quest’incarico, nuovo come campo di operatività.
Ogni giorno un problema diverso!
Altra svolta della SAIPEM: in campo petrolifero, per le ricerche terra, aveva già incominciato anche all’estero, in Iran e Iraq, in una competizione a carattere internazionale con le compagnie Inglesi e Americane.
Lavoravamo dove le altre imprese internazionali non accettavano di operare perché, dicevano, in terreni impossibili.
La SAIPEM sì: accettava la sfida.
Sulla cima dei monti Zagros (in Iran) tutti dissero che era un lavoro impossibile: ricordo che reclutai le miglior guide di Courmayeur e di Gressoney le Trinitè e questi trasportarono in cima ai “Zagros”, il materiale, le attrezzature, il personale e i rifornimenti, ma il lavoro fu concluso!
Se la cavò così bene nelle ricerche a… terra, tanto che la SAIPEM incominciò le ricerche petrolifere anche in… mare, con le navi appositamente attrezzate (hoff shore) e da lei progettate.
E per fare fronte alle richieste creò uno dei più grandi arsenali marittimi del mondo, a Peterhead in Scozia.
Oggi, la ricerca petrolifera in mare ha un nome illustre: la SAIPEM.
Per fare tutti questi lavori occorreva personale specializzato, ma il mercato italiano era saturo.
Bisognava trovare manodopera all’estero a tutti i costi!
Presi contatti con molte persone straniere chiedendo del loro personale.
Molti di loro li incoraggiammo (con prestiti) a costituire strutture sul loro Paese per addestrare, formare, specializzare personale dai diversi usi.
In Italia non potevamo assumerli, per motivi sindacali, ma costituimmo in Svizzera, a Zurigo, una società straniera (la SAIPEM Aktiengesellschaft A.G.) che provvide ad assumere migliaia e migliaia di lavoratori stranieri per i lavori SAIPEM (italiana).
Una soluzione indovinatissima che lanciò la SAIPEM nel campo delle migliori imprese realizzatrici dei vari Continenti.
Ma molto merito va anche ai Grandi Presidenti che si sono succeduti all’alta carica.
Persone che impartivano direttive di massima e che, in piena autonomia, responsabilizzavano completamente gli esecutori giudicando loro dai risultati.
Una spietata meritocrazia che ha dato i suoi risultati!
Ho voluto ricordare alcuni episodi di questa mia esperienza e ho voluto che ogni episodio venisse riportato come… intermezzo.
Per quale motivo, chiederete.
Innanzitutto, cos’è un intermezzo?
È un breve spettacolo di carattere leggero o vario rappresentato in un contesto teatrale e che serve a riempire, fra un atto e l’altro, ciò che si vuole rappresentare nell’opera.
In altre parole, più povere, sono fatti occasionali di lavoro accaduti e inseriti come riempitivo (fatti occasionali) della nostra rappresentazione personale che è poi la nostra… esistenza.
La nostra vita è fatta di tanti intermezzi (belli o brutti).
Ho voluto, fra i tanti, scegliere quelli quelli meno… dolorosi e, purtroppo, per seguire la traccia di questi ricordi, ho dovuto inserire alcuni racconti già pubblicati nei miei precedenti libri!
Chiedo scusa (e ringrazio quei pochi) che li hanno già letti, mentre per gli altri… beh! Saltateli a… piedi pari!
Che vi devo dire di più?
Buona lettura!
A spasso per il mondo
INTERMEZZO NEPALESE
Non so quanto sia giusto, nella scienza gerontologica,
affermare che gli esseri umani, ad una certa età,
ricordano il passato, ma dimenticano, con altrettanta
naturalezza, il presente.
(Madeleine L’Engle)
Sigmund Freud, fondatore della psicanalisi, afferma che “Niente di ciò che abbiamo posseduto nella mente una volta, può andare perduto”.
Se lo dice lui…
Magari riuscissi a dimenticare le cose tristi con la stessa facilità con cui dimentico in giro gli… ombrelli!
Io ho sempre creduto che la memoria sia il diario che ciascuno porta con sé.
Mi direte: “Anche i computer hanno la memoria”.
Vero! Ma l’uomo si differenzia dai computer: questi ultimi, non hanno ricordi del loro precedente programma!
Io, invece, ho parecchi ricordi dei miei trent’anni vissuti per l’attività professionale nei cinque continenti, li ricordo benissimo (ma… stento a rammentare quello che ho mangiato ieri come pranzo! Non credo che ciò deponga a mio favore, vero Freud?)
A 92 anni (e passa!), però, può essere una parziale giustificazione.
Nell’autunno delle stagioni, sono le foglie a morire.
Nell’autunno della vita è la nostra memoria che… cade!
Ciò che più mi preoccupa, però, è… l’inverno della memoria.
Napoleone Bonaparte aveva le idee chiare a proposito: “Una testa senza memoria è come una piazzaforte senza una guarnigione”.
La mia lunga esistenza può essere considerata una favola, una narrazione antologica, tanto è costellata di episodi spesso ricchi di emozioni, di stati d’animo, di esperienze che hanno messo a dura prova le corde dei sentimenti.
Questi ricordi mi accompagnano con nostalgia, ma con tenerezza, perché l’oblio è una seconda morte che le anime grandi temono più della prima”.
Gli anni della vita sembrano lunghi e lontani, ma in realtà non sono che gli avvenimenti apparentemente dispersi nel tempo; sono, in effetti, vicini e collegati da quel misterioso e robustissimo filo che è la memoria degli uomini.
“C’era una volta…” così iniziavano le favole che tutti ascoltavamo dalle nostre nonne.
Eh sì! La mia favola di viaggiatore è iniziata proprio… una volta (più di… tredici lustri fa!) ed è durata per diversi decenni.
Le fiabe di una volta, avevano un altro incipit: “In un Paese lontano…”.
Sì! Spesso erano “paesi lontani”, se consideriamo che i mezzi di comunicazione veloci (aerei) non avevano lo sviluppo e la tecnologia dei nostri tempi.
Ci volevano giorni per arrivare a destinazione a causa degli scali tecnici intermedi.
Come ricorderete, le favole della nonna, avevano sempre un lieto fine.
Terminavano con un: “e vissero felici e contenti!”
Beh! Devo ammettere che, alla fine (pensionamento) sono stato soddisfatto della mia lunga favola realmente vissuta e mi considero “felice e contento”, dei risultati.
Mi è andata sempre bene!
E permettetemi di lasciarmi trascinare dai ricordi…
Il mezzo di comunicazione più usato per raggiungere le località operative era, anche allora, l’aereo perché il più veloce.
Ma era un mezzo di comunicazione recente: se trascuriamo il primo volo in assoluto per civili, ancora sperimentale, (un aereo AEG J. II) nel 1910, e i voli Parigi-Londra e Berlino-Lipsia-Weimar di alcuni decenni dopo, dobbiamo portarci ai primi anni del 1950 per i primi voli civili intercontinentali per la tratta Londra-New York.
L’aereo (così in passato si chiamava romanticamente; oggi, viene identificato come aeromobile: troppo asettico!) incominciava a dimostrarsi come il mezzo professionale più idoneo per allargare i contatti commerciali ed industriali fra i vari Continenti.
L’Alitalia di oggi era, allora, la LAI (Linee Aeree Italiane).
Non c’erano ancora i “Jumbo” e i “Concorde” (a turbo), ma solcavano i cieli scassate carrette ad elica, residuati bellici, ma dal nome roboante: i “Viscont”, ultimo grido della tecnica aviatoria.
In effetti, quegli aerei, opportunamente ristrutturati, altro non erano che le “fortezze volanti” americane, usate per i “bombardamenti a tappeto” sulle città nella Seconda Guerra Mondiale.
Io incominciai a… volare a quell’epoca…
Volare, allora, aveva il suo fascino, la sua attrattiva, la sua particolare seduzione perché allora si… volava sul serio, in balia degli elementi atmosferici e meteorologici, con una strumentazione di bordo poco sofisticata.
Sentivi il rumore delle eliche che generavano il flusso elicoidale atto a sostenere l’aereo e farlo avanzare.
E, attraverso il finestrino, vedevi le pale ruotare velocissime, disposte in modo di spingere l’aria all’indietro per fare avanzare il velivolo, ad una certa velocità, che non poteva superare la velocità del suono (muro del suono pari a 1.220 chilometri all’ora).
La velocità di crociera era di circa 700 chilometri all’ora.
Era una velocità… folle per i tempi e quasi la sentivi del tremore delle strutture.
Provai meno emozione nel viaggio inaugurale (senza scali) Buenos Aires-Parigi (poco più di 11.000 chilometri).
Un viaggio piatto, lungo e monotono, senza emozioni!
Adesso, volare, è come essere seduti su una poltroncina del Frecciarossa.
Il reattore ha tolto molto fascino al volare.
Le pale dell’elica avevano una… seduzione, un potere di esaltante attrazione come i rotori degli elicotteri.
Infatti, solo in elicottero, oggi, hai l’impressione di… volare!
(Per me ha un ricordo particolare: sorvolai, in elicottero, l’unica parte di struttura rimasta fuori acqua della piattaforma off shore Paguro, incendiatasi e affondata al largo della “costa adriatica” il 28 settembre 1965 e nell’incidente morirono tre dipendenti ENI).
Un volo drammatico!
Spesso, certi “vuoti d’aria”, per centinaia di metri, improvvisi e inaspettati, ti squinternavano lo stomaco e ti procuravano scariche di “adrenalina” che facevano saltare il cuore in gola, facilitavano il formarsi di una patina di sudorino freddo sulla fronte e alteravano il sistema digestivo determinando complicazioni facilmente immaginabili.
Ti aggrappavi al sedile e aspettavi… che cosa?
Non lo sapevi!
Attimi lunghissimi di suspense in cui predominava il sentimento di incertezza e ansietà, batticuore e… paura.
Sì! Insomma, chiamiamola con un vocabolo più attinente: avevi… fifa!
Credo che Alfred Hitchcock, il maestro indiscusso del thriller, abbia studiato le facce dei protagonisti di un volo difficoltoso di allora, per esprimere il volto dei suoi protagonisti.
Quando poi sentivi il “motore” che incominciava, di nuovo, a mordere l’aria e l’aereo risalire di quota stabilizzandosi, tiravi un sospiro di sollievo che serviva solo ad acuire il desiderio del momento in cui avresti messo piede a terra.
Certo, una volta raggiunta la destinazione ti sentivi soddisfatto, orgoglioso di te stesso.
Scendevi la scaletta come un impavido avventuriero; sì… avevi la sensazione di provare l’emozione di Cristoforo Colombo quando assaporò il piacere di mettere i piedi a terra e la baciò!
Era veramente emozionante volare allora e, qualche volta, anche inquietante ed ansioso per la sicurezza, precaria rispetto ad oggi (mai allarmante, però!).
Insomma, con l’aiuto di un po’ fantasia, ti sentivi dotato di… ali e provavi la sensazione di fendere l’aria e vagabondare, a tuo piacere, fra le nubi… il cielo la terra.
Ricordo un atterraggio… strizzante in pieno deserto del Sahara (Al Borma, confine fra Algeria e Tunisia) per una piccola avaria e la successiva partenza.
Prima di risalire sul piccolo aereo da turismo mi accorsi che, da una duna di sabbia, spuntava un cavo di ferro.
Tirai il filo e dalla sabbia emerse un tirante spezzato (nell’atterraggio forzato) del velivolo.
Feci subito presente la cosa al pilota (un francese) il quale mi disse, sorridendo: “Tranquillo! Era un pezzo in più dell’aereo!”
“Già! L’avevano messo per… bellezza?” mi venne di chiedergli.
Anche stavolta si fece una risata.
Mi tranquillizzai solo dopo l’atterraggio a Tunisi (evidentemente aveva ragione il pilota!).
Fu… emozionante (!) anche un’altra volta, quando un fulmine scaricò il suo potenziale elettrico sulle pale dell’elica.
Un lampo accecante (e relativo botto) e l’elica si rese inutilizzabile.
Ma l’aereo ne aveva quattro di eliche e tutto andò bene: arrivammo a destinazione con tre, con l’aereo un po’… sbilenco!
Questo per dirvi il… grado di sicurezza.
Però… però si arrivava!
Non dimenticherò mai le scene di panico del volo Roma-Milano di quel sabato sera…
Non posso scordarle!
Il volo si era svolto regolarmente fino all’arrivo sulla città di Genova (l’itinerario è parallelo alla costa Tirrenica).
Su questa città la rotta, svolta bruscamente verso l’interno con direzione Milano.
Fu un attimo: l’aereo entrò in una bufera, un vero e proprio ciclone, che investì l’aereo e lo trasformò in una… foglia strappata ad un albero e investita dal vento.
Sbattuto da tutte le parti sembrava impazzito!
Immaginatevi le scene a bordo!
Valigie sradicate dai loro ripiani, suppellettili lungo la corsia dell’aereo, urla disumane fra i passeggeri, pianti, invocazione a tutti i Santi ma, soprattutto, impegnato in questo bailamme, era lo… stomaco.
Rigurgiti, conati, con relativi grugniti per trattenere il vomito.
Il Comandante dell’aereo a rassicurare: “Calmi… calmi è una semplice turbolenza”.
Chiamala semplice turbolenza!
Il culmine del panico si ebbe quando qualcuno ebbe la… felice idea di esternare quello che tutti temevamo: “Stiamo precipitando!”
Hai voglia tu a fare l’indifferente, il veterano, fingere coraggio!
Victor Hugo non ha dubbi a proposito: “Non imitare nulla o nessuno. Un leone che copia un leone diventa una scimmia!”
Il putiferio fu completo, come completa fu la paura!
Diventammo tutte… scimmie impazzite!
Arrivammo a Linate, allertati al massimo grado: noi passeggeri fummo accompagnati con tante ambulanzde ai vari posti di soccorso.
Ricordo benissimo che il lunedì mattina dovevo rientrare a Roma: alla vista dell’aereo sulla pista, mi assalì un’improvvisa cefalea, vertigini e nausea.
Ecco perché dopo certi voli, (giuro) l’avrei fatto anch’io il rito del “bacio della terra ferma” come Cristoforo Colombo.
Ma si veniva ricompensati…
Come dimenticare aeroporti, nel cuore dell’Africa nera, tuttora sconosciuti, come Chibwe, N’Dola, Luanshya, Kawambwa Kibangula, Batangata o Coquilkalville?
Chi li conosce?
Non sono certamente luoghi di villeggiatura, inseriti come sono nel cuore della savana africana, e non credo appariranno mai nei depliant turistici o nelle stampe pubblicitarie e, tanto meno, sulle cartine geografiche.
Erano (e lo sono tuttora) località sconosciute agli europei, luoghi incontaminati dal progresso, in lussureggianti foreste del Centro Africa, in savane vergini, abitate da gente primitiva ma, tutto sommato, non violenta: diciamo solo sorpresa da questi… intrusi, scesi dal cielo!
Là si era… nascosto il petrolio e là bisognava estrarlo.
Comunque, vi assicuro, che era più emozionante che atterrare a… Parigi o New York!
Certo non atterravano grossi aerei, ma solo piccoli Piper privati con un massimo di quattro o cinque persone.
Le piste d’arrivo erano fazzoletti di terreno strappati alla giungla; prati incastonati nella foresta con l’erba alta della savana tagliata di fresco per quello specifico atterraggio, oppure brucata direttamente dagli animali selvaggi che abitavano stabilmente nella boscaglia.
Era un inserirsi, un penetrare, un immergersi nella Natura selvaggia!
Erano le immagini, riprodotte al reale, che la fervida fantasia di un ragazzino (che leggeva, con passione, libri avventurosi di viaggi), riproduceva, nella mente, nella sua ingenua, appassionante e entusiasta creatività.
Una volta a terra, una scena idilliaca si presentava agli occhi dell’arrivato: gli animali selvatici della savana (non i pericolosi, naturalmente) pascolavano tranquillamente ai bordi della pista e guardavano, indifferenti, questi “esseri” che erano scesi dall’alto!
Le attrezzature… aeroportuali consistevano in una capanna (in legno), una “manica a vento” e un’insegna con il nome della località che contraddistingueva l’aeroporto stesso.
C’era anche il… personale dell’aeroporto: il capo-scalo (generalmente un “americano”, che gestiva un piccolo bar, prevedeva le partenze (non c’era tabellone con gli orari) e il suo aiutante (magazziniere e facchino), un nero conoscitore del posto e delle condizioni climatiche (era colui che dettava le… previsioni meteorologiche).
I rischi, alla partenza, non erano le situazioni atmosferiche: erano le condizioni personali del capo-scalo perché spesso abusava dei prodotti alcolici del suo bar!
Mi chiedo come il… petrolio sia andato a scovarle queste località o sia andato a nascondersi in queste sperdute zone.
Semplicemente perché il petrolio, come fonte energetica, è… eccentrico e bizzarro: si trova sempre nelle zone più impervie e l’ENI (L’Ente di Stato dal quale dipendevo) doveva costruire, in quei territori, pipe-line, gasdotti, oleodotti o raffinerie o, addirittura, in altre zone perforare in mare (la Natura è curiosa e… impertinente: mai trovato petrolio nei centri di città importanti).
Oppure l’itinerario prevedeva uno scalo in un “aeroporto” vicino ad uno dei grandi laghi africani (laghi: Vittoria, Tanganica, Alberto, Malawi) o nelle vicinanze delle grandi montagne come il “Ruwenzori”, il “Kilimanjiaro” o il “Kenia”.
Erano emozioni mozzafiato, visioni originali e incomparabili!
Come panorama, si intende, perché ad atterrare a Kampala o Entebbe (in Uganda), Lusaka (Rodesia) o Luebo (Congo) ti potevano capitare avventure fuori… programma!
Questo succedeva, in particolari momenti di rivoluzioni (frequenti!) che creavano disordini nel Paese e portavano alla ribalta alcuni ras locali prepotenti che ti facevano scendere dall’aereo, sequestravano il passaporto, ti sottoponevano a certe sgarberie (furto sigarette, orologio), prima di allinearti di fronte un plotone armato.
Alcuni di questi militari, per intimorirti, mimavano scariche di mitra, non certo rassicuranti.
Dovevi assorbirti la requisitoria di colpevolezza (eri… europeo, grave reato!), ascoltare la sentenza (sempre capitale perché… spia al servizio dell’Occidente), infine dovevi gradire la benevolenza del “capataz”, che ti permetteva di contrattare la cifra del riscatto, pagare (in dollari) per ritornare in possesso del passaporto e continuare il viaggio (con pacche amichevoli sulle spalle!).
Era ormai abituale il rito che non ti impressionavi più di tanto, ma ti infastidiva perché ti faceva perdere tempo e perché dovevi ascoltare le reprimende solo perché avevi la pelle… bianca!
Ma non sempre erano sceneggiate! In “Biafra” (regione del Congo), nel 1969, assassinarono (è il verbo giusto!) dieci miei colleghi di lavoro e ne fecero prigionieri quattordici, torturandoli!
Ci volle un mese per salvare questi ultimi prigionieri, con l’intervento dell’Ambasciata, della Croce Rossa Internazionale e della Sante Sede.
A Kindu (sempre Congo) trucidarono tredici aviatori italiani in missione di pace (portavano viveri alla popolazione stremata).
In certi Paesi non si poteva stare mai completamente tranquilli.
Fin da allora ho conosciuto la parola razzista, ma era il colore della mia pelle in discussione!
[continua]
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