La leggenda del lago

di

Bruno Longanesi


Bruno Longanesi - La leggenda del lago
Collana "I Salici" - I libri di Narrativa
15x21 - pp. 332 - Euro 15,50
ISBN 978-8831336635

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In copertina: «Breathtaking Alpine scenery, Dolomite mountains. beautiful lake Lago di Braies. northen Italy» © Freesurf – stock.adobe.com

All’interno: fotografie dell’autore


Prefazione

Bruno Longanesi propone una interessante raccolta di racconti che affrontano varie tematiche, dalla sua passione per la montagna e le gare podistiche alla narrazione che miscela realtà e leggenda, dal sommesso recupero memoriale di eventi che hanno contrassegnato la Seconda Guerra Mondiale, al ricordo di vicende esistenziali, dalla storia d’amore intensa e sofferta al racconto ironico e divertente, fino alla narrazione surreale e immaginifica.
Ecco allora che Bruno Longanesi offre una galleria di personaggi che diventano simbolo delle sue rappresentazioni e incarnano la sostanza vitale del suo desiderio di raccontare la complessità dell’esistere, che è l’energia narrativa di Bruno Longanesi, sempre rivolta ad illuminare il cammino dell’Uomo, il percorso di vita che viene profondamente vissuto e sofferto, tra ricerca della felicità e costante tensione a metabolizzare il dolore, tra concezione del tempo e riflessioni sulla condizione dell’Uomo.
È proprio il senso del tempo che delimita la nostra esistenza, il nostro arco vitale che vede i giorni scorrere inesorabili, a scandire il ritmo dell’intera raccolta, come a preservare tutto ciò che merita di essere ricordato e ad illuminare i sentimenti autentici, dall’amore che resiste oltre il tempo alla necessità vitale di saper ancora sognare e volare liberi sopra le quotidiane delusioni e tristezze.
È per questo motivo che l’Autore riporta un pensiero di Gibran sul valore da dare al proprio tempo, percepito come un incalcolabile tesoro da preservare, concezione che alimenta profonde riflessioni: “Mi considerano pazzo perché non voglio vendere i miei giorni in cambio di oro. E io li giudico pazzi perché pensano che i miei giorni abbiano un prezzo”.
Bruno Longanesi, come sovente sottolinea, desidera raccontare storie senza tempo, cercando sempre d’indagare il lato nascosto delle molteplici manifestazioni della vita ed emerge chiaramente la sua propensione a coinvolgere il lettore, come a catapultarlo nelle vicende narrate, quasi a voler far rivivere ciò che lui ha sinceramente avvertito e sentito nel cuore e nell’animo.
La sua narrativa diventa testimonianza, limpida e vibrante, di un sentimento autentico, che si fa luminoso e condiviso, offrendo sempre una speranza, uno spiraglio salvifico che possa dissolvere le oscurità e le ombre dei momenti sofferti e dolorosi: le sue narrazioni sembrano voler sfidare il tempo, oltrepassarlo per entrare in una dimensione di sospensione.
Il racconto che apre la raccolta, “La leggenda del Lago Braies”, ne è testimonianza evidente: una storia d’amore, soave e, al contempo, struggente, nella quale i due protagonisti fanno rivivere un’antica leggenda e la dolorosa invocazione diventerà luce abbagliante, capace finalmente di illuminare il sentiero dell’amore.
Durante il processo narrativo emerge chiaramente la volontà di Bruno Longanesi di offrire il suo universo emozionale e lo scrigno memoriale che custodisce nel cuore, superando il senso del tempo, frantumando le possibili verità con una testimonianza che diventa custodia memoriale, atto salvifico del senso autentico del vivere.

Massimo Barile


INTRODUZIONE DELL’AUTORE

Scrivere un’introduzione ad un libro, specie quando il libro lo hai scritto tu, sembra una cosa facile e invece non lo è.
Non puoi fare elogi sperticati all’Autore per ovvi motivi di decenza; non puoi scriverne male perché sarebbe un autolesionismo che non troverebbe comprensione neanche fra i lettori più imbranati.
Allora, è facile o difficile?
Che ci vuole a scrivere una introduzione? È facilissimo (come scrivere un libro).
E allora dove stanno tutte queste difficoltà?
Farlo leggere, perdio! Credetemi: è faticosissimo far leggere il libro!
L’unica cosa che si può fare è invitare gentilmente chi legge queste note, a leggere l’intero libro, poi fare un disperato tentativo: una… novena! (dicono che è efficace!)
Io la “novena” sarei disposto a farla, ma so che, anche per i Santi, è difficile fare leggere un libro in un mondo dove la fanno da padroni la televisione, gli smartphone, i cellulari e i cervelli sono stati venduti alle home di Facebook, le chat di WhatsApp e le storie di Instagram…
E allora bisogna stuzzicare il lettore e ricorrere alla… pubblicità, nella speranza che qualcuno… abbocchi e legga!
Diceva Bacone (“divoratore” di libri): “Alcuni libri devono essere assaggiati, altri trangugiati e alcuni, rari, masticati e digeriti”.
Esagerato! Non voglio arrivare a questo, dai! Ci sono cibi migliori.
Basterebbe leggerli e non divorarli!
Cicerone (altro grande!) invitava a… comperarli: “Una casa senza libri è come una stanza senza finestre”.
E voi che avete le finestre, le lasciate chiuse?
Su! Apriamo le finestre ai… libri!
Vogliamo provarci?
Incominciamo col dire che leggere fa bene a tutti: bambini, giovani, adulti, anziani e vecchi (e, paradossalmente, secondo studi recentissimi, anche alle donne incinta: sarà!).
Dove si può leggere un libro?
Si può leggere ovunque: a casa; in ufficio (con le dovute cautele); sdraiati comodamente a letto; accoccolati in poltrona con vicino una buona tazza di tè (caffè, birra, alcolici, a piacere); in bagno (sì… anche in bagno!); in spiaggia sotto l’ombrellone; oppure in una pineta appoggiati ad un tronco di un albero (che romantico!); in treno; in autobus; in aereo; nelle sale d’aspetto.
Ovunque, ripeto!
Ma quant’è bello e divertente leggere un libro?
Il libro è capace di stimolare tutti nostri sensi perché, con un po’ di fantasia, ci porta lontano, in ambienti strani, in situazioni fuori dalla normalità, in condizioni di spirito diverse da quelle quotidiane (e ce n’è bisogno!).
Come si fa a scegliere un libro?
Può capitare (di rado) di averlo comperato in una libreria; o che ti sia stato prestato; o che ti sia stato regalato dall’Autore (vuoi mettere? C’è anche la dedica personale!); oppure acquistato perché piace lo stile di chi scrive; perché ha una tematica particolare o, solamente, perché, in quel momento, il libro fa trand (però dopo devi farlo sapere in giro che l’hai letto. altrimenti a cosa è valso?).
Molti scelgono in base alla copertina: anche il titolo può essere un buon stimolo per invitare all’acquisto.
La copertina, dal titolo furbo, che cattura l’attenzione del pubblico, può essere un fenomeno pubblicitario delle Case Editrici (su quel libro hanno investito molto!) e allora ci sei cascato!
In questo caso, la lettura è come il viaggio di chi non può prendere il treno!

“Bello leggere la mattina presto quando ancora tutto si deve mettere in moto.
C’è silenzio e il cielo che si chiarisce sempre più e si aprono le finestre, l’aria fresca ti accarezza mentre sfogli un’altra pagina del libro” scrive il poeta.
C’è tanto fascino liristico in tutto questo ma, siate sinceri, avete mai letto una pagina in quelle condizioni idilliache?
Mai?
Lo immaginavo!

Ci sono libri che leggi tutto d’un fiato anche se sono mattoni (forse per quello: vuoi arrivare presto alla fine); quelli che iniziamo a leggere d’impeto oggi e che finiamo (se lo finiamo!) dopo un mese e li riponiamo in un posto sicuro, dove siamo certi che… non vengono più trovati.
A proposito: dove si tengono libri?
Generalmente sulla mensola di una libreria, magari ordinati per dimensione, per autore. in ordine alfabetico o alla rinfusa.
Questo è il biglietto da visita del classico lettore intellettuale, tutto ordine e precisione.
Diventano così parte integrale del mobilio (vanno spolverati, regolarmente!).
Molti libri sono appoggiati, stancamente e svogliatamente, su un tavolo: sono il simbolo del lettore frenetico e divoratore.
Ma è la prova che è uno che… legge!
Oppure sono riposti sul comodino.
Bella è l’immagine del libro sul comodino: uno, due o più, l’uno sull’altro.
Sono lì a portata di mano, durante una notte insonne; loro sono lì a tua disposizione, sempre.
Ma possono dormire tranquilli: se sono arrivati sul comodino, nessuno li sveglia più!
Molti libri vanno a finire in cantina o nel solaio: il loro cimitero!
Nessuno li ricorda più!
Attenzione però: i libri non ti abbandonano mai.
Tu sicuramente li snobbi e, di tanto in tanto, li tradisci anche; loro, invece, non ti voltano mai le spalle: nel più completo silenzio e con immensa umiltà, loro ti aspettano lì dove li hai abbandonati.

E quando si legge, allora?
Di solito quando siamo liberi dai mille impegni, cioè praticamente mai!
Allora perché si scrivono?
Bella domanda!
Chiedete il perché agli autori.
Vi risponderanno che il libro è un viaggio; l’immaginazione che vi porta per mano nel mondo dell’irreale, per farvi sognare e può riaccendere in voi sopiti desideri, eccetera… eccetera…
Balle!
Credete che l’autore speri di spodestare Dante o Manzoni? (tranquilli, vati!).
Spesso, certi libri, già dopo tre righe mostrano il… radiatore che fuma!
Purtroppo, i libri hanno tanti nemici: il fuoco, l’umidità, il tempo e il… proprio contenuto!
Ecco: è quest’ultimo che ti frega!

Ma parliamo seriamente.
Leggere è emozione, leggere è vita, leggere è sognare, leggere è riflettere, leggere è curiosità, leggere è sapere.
Quindi non smettete di leggere: leggete la pagina, giratela e continuate la lettura!
Certo, un libro deve attrarre la nostra attenzione perché deve raccontare storie senza luogo e tempo che immergono il lettore nell’avvenimento e permettano a lui di vivere in prima persona qualcosa che non fa parte del suo vissuto, sia esso un dramma privato o di sentimento collettivo.
Perché i libri devono parlare a noi e, soprattutto, devono insegnarci a parlare.
Leggere è un ottimo modo per imparare parole nuove: inserirle nel modo giusto all’interno della frase; prendere confidenza con la sintassi e con la scrittura in genere; insegna a parlare meglio; esprimersi più scorrevolmente e disinvoltamente.
Leggere non è meno creativo di scrivere: se lo scrittore (o scrittrice) è madre di un libro, il lettore è il padre!
Un libro senza lettori, è una cosa morta, inerte.
Che squallore!
I libri si rispettano usandoli, non lasciandoli soli!
Se poi un libro ti fa sorridere, beh! vale più di quanto costa!

Beh! Ora anche questo libro è scritto (il 13° dovrebbe essere di buon auspicio!) e anche l’introduzione è fatta!
Invidio Alessandro Manzoni che sperava di avere, almeno, venticinque lettori!
Beato lui!
Ma non compiangetemi: il mio scopo è raggiunto ugualmente.
Scrivo per hobby, per occupare il tempo libero_ da libero pensionato.
Se qualcuno mi legge, gliene sono grato; di quelli che mi… snobbano non mi interessa: anzi li avviso che sto preparando un altro libro perché mi fa piacere scrivere!

Ma a tutti, proprio a tutti, lettori e non, voglio augurare loro tanta felicità e inviare tutta la mia simpatia per avermi impegnato a ricordare il passato che è poi la mia esistenza, la mia vita, che (credetemi), mi è cara!
Perciò auguro loro: buona lettura!


La leggenda del lago


LA “LEGGENDA” DEL LAGO (BRAIES)

“Che cos’è la sofferenza?
Io non sono sicuro di che cosa sia,
ma so che la sofferenza è il nome che diamo
all’origine di tutti i sospiri, le urla, i gemiti,
piccoli o grandi, rozzi e multiformi, che
ci affliggono.
È una parola che definisce il nostro sguardo
ancor più di ciò che stiamo contemplando.”

(Jonathan Safran Foer)


La sofferenza è quel tipo di dolore che provi ogni volta che, a vario titolo, sono coinvolte le emozioni e i sentimenti in senso negativo.
La parola stessa, deriva dalla radice latina sub (sotto) e ferre (portare), ed indica il sopportare, il tollerare, il resistere a qualcosa di penoso, che fa soffrire, ma che, nello stesso tempo, incita a sperare nel futuro.
La sofferenza e il dolore sono, contrariamente al comune penare, le cose più importanti dell’Universo.
Sono più importanti della sopravvivenza, più grandi dell’amore, maggiori anche rispetto alle bellezze.
Perché, senza dolore, non ci può essere, contrapposto, nessun piacere.
Senza tristezza e sofferenza, non ci può essere felicità.
Senza brutture non ci può essere bellezza.
E senza queste tre cose, la vita è senza scopo e senza speranza.
La speranza non deve mai venir meno, mai!
Quando il mondo dice: “Rinuncia!”, la speranza sussurra: “Prova ancora una volta!”
Di solito, dopo le nubi, splende di nuovo il sole.
Che la vostra nube particolare, sia rattristata dal dolore o dall’ansietà è comprensibile; ma le nubi sono passeggere e il sole della felicità verrà di nuovo su di voi, ma è necessario sapere prendere al meglio le soluzioni quando i tempi sono particolarmente duri.
Aspettare nella sofferenza è doloroso, dimenticare è doloroso, però si deve reagire: non sapere quale decisione prendere è la peggiore delle sofferenze.
Le anime più forti sono sempre quelle temprate dalla sofferenza.
I caratteri più solidi sono cosparsi di cicatrici!
Questi concetti valgono anche per quel sentimento particolare che dedichiamo con nome di amore?
Anche nel campo sentimentale, la sofferenza è in alternativa alla felicità.
Spesso, la passione amorosa, toglie la lucidità dei ragionamenti e rende la persona più debole e indifesa di fronte alle situazioni che si presentano.
Come ci istruisce, Sigmund Freud: “Non siamo mai così indifesi verso la sofferenza, come nel momento in cui amiamo!”
Spesso amore e sofferenza sono sentimenti che… vanno a braccetto!
Ci sono amori che non ti deluderanno mai, perché non ti hanno promesso nulla, ma ti daranno tutto!
Altri, che sembravano sicuri, ti possono deludere.
Perché si può donare senza amare, ma non si può amare senza donare!
Il vero amore, spesso, può fare male.
Il vero amore deve sempre far soffrire: può far male amare qualcuno non riamato; certo è doloroso doverlo lasciare nell’oblio.
Solo allora si capisce l’amore sincero!
“Amore è breve, dimenticare è lungo” sono versi di Pablo Neruda.
Victor Hugo, invece, ci insegna: “L’amore è saper dire ‘ti amo’ senza parlare!”
Non dimentichiamoci, però, le parole di Charles Dickens, il poeta della sofferenza:
“Il dolore della separazione è nulla in confronto alla gioia di incontrarci di nuovo
E, spesso, la gioia di incontrarsi di nuovo è il risultato del provaci ancora una volta!
Amore e tristezza: ecco il binomio che, spesso, domina la nostra vita.

L’essere umano cerca soluzioni per sopperire a certe situazioni negative e ha inventato la leggenda.
Ma cos’è la leggenda?
La leggenda racconta una cosa e la storia un’altra.
Il pensiero di Jean Cocteau è molto esplicito: “La storia è il vero che si deforma, la leggenda è il falso che si incarna”.
Ma cos’è la storia, dopo tutto?
La storia sono i fatti che finiscono col diventare leggenda; la leggenda sono bugie che finiscono col diventare storia.
Il tempo frantuma e poi disperde la verità e quel che rimane diventa leggenda e mito.
Ma, di tanto in tanto, ci illudiamo che qualcosa appartenga ad entrambe.
Dobbiamo diffidare dalle leggende?
Se dimentichiamo le nostre leggende, temo che dovremo chiudere una porta importante della nostra immaginazione.
In ogni leggenda c’è sempre un pizzico di verità!
E, diciamo le cose come stanno: ogni tanto, scopriamo che l’Umanità vuole essere ingannata: la leggenda ci inganna con molta discrezione!

Il racconto che segue, vuole essere la testimonianza che se un sentimento è veramente condiviso e sincero, può confidare nella speranza e sfidare gli ostacoli che possono presentarsi nel tempo e credere anche alle leggende.

L’albergo, posto vicino al lago, era stato ristrutturato ma aveva mantenuto le stesse caratteristiche estetiche di prima della guerra e anche il nome, Pragser Wildsee (Hotel Lago di Braies), era rimasto invariato.
Sembrava che il tempo si fosse fermato.
Gino si diresse, lentamente, verso la reception.
All’ingresso notò subito i segni del cambiamento rispetto all’anno precedente: il ripristino degli storici lampadari del 1880 e la pavimentazione originale.
Si rivolse all’incaricato della reception: “È possibile avere la stanza numero ventisei?” chiese all’imperturbabile portiere.
“La ventisei? Vediamo… vediamo un po’… oggi è il 21 giugno… vediamo… vediamo… sì… è libera… per quanto intende prenotarla?”
“Per questo fine settimana… fino a lunedì… credo” rispose con incertezza Gino.
L’addetto al ricevimento guardò il cliente con fare professionale e lo trovò subito strano: di solito i frequentatori di quell’albergo erano villeggianti che volevano passare un periodo ben determinato di vacanze e avevano chiaro il periodo di permanenza.
“Va bene… io le riservo la stanza fino a lunedì… se poi volesse prolungare la permanenza mi avvisi il più presto possibile”.
Gino annuì.
Un ragazzo accompagnò l’ospite fino al secondo piano, aprì la stanza, andò sveltamente a dischiudere le persiane e si soffermò a guardare all’esterno come per un invito ad ammirare il panorama: il lago era ben visibile in tutta la sua estensione.
Solo quando Gino allungò una piccola banconota, come “mancia”, il giovane salutò in fretta e sparì dalla stanza.

Rimasto solo, Gino, si sdraiò sul letto con le dita incrociate dietro la nuca, come era sua abitudine quando voleva concentrare il pensiero e, con un’abile sistemazione del cuscino, riuscì ad avere la visione del lago sottostante.
Ma non era venuto per ammirare il panorama, quello lo conosceva benissimo.
No! Era venuto per un motivo ben più importante: il suo era un pellegrinaggio nel luogo dei suoi ricordi più belli e, nello stesso tempo, più malinconici della sua vita!
Come negli anni precedenti aveva ancora viva la speranza, ma le antecedenti delusioni avevano intaccato la sua fiducia e il suo innegabile ottimismo.
Era arrivato in quel periodo di fine giugno, non per caso, ma per mantenere fede ad una promessa: l’incontro con Esther proprio nel luogo e nel giorno della loro casuale conoscenza.

Esther!
In una specie di apatico torpore, seguendo le evoluzioni delle spire del fumo della sua sigaretta, sempre sdraiato sul letto, cercò di ritornare indietro nel tempo, per inquadrare nella memoria il momento della loro conoscenza, in quel lontano 22 giugno del 2013, e cioè sei anni prima, proprio all’indomani.
Sei anni, ma i ricordi erano ancora nitidi, chiari, ben impressi nella sua mente.
Fu un incontro inatteso nel sentiero che, dall’albergo, portava al percorso lungo il fianco del lago, passando vicino alla piccola chiesetta.
Era mattina presto.
Lui camminava svogliatamente senza un programma preciso, guardando le cime circostanti che ben conosceva.
I suoi pensieri erano pervasi da una certa preoccupazione per la crisi che incominciava a farsi sentire nel suo settore di lavoro, iniziata pochi anni prima.
Notò, seduta su una panchina, una giovane che respirava faticosamente, tenendosi un fazzoletto vicino alla bocca.
Intuì che non si sentiva bene e si avvicinò.
“Posso essere utile… posso fare qualcosa per lei?” chiese premurosamente Gino.
La ragazza parve sorpresa perché non aveva notato l’avvicinarsi di quello sconosciuto.
“No… grazie – rispose lei un po’ imbarazzata – non è nulla… mi capita quando mi affatico un po’… forse l’altezza… ma mi passa subito”.
“Siamo a quasi millecinquecento metri – precisò Gino – è un’altezza che può procurarle qualche disturbo?”
“Di solito no. Ma soffro di una forma ansiosa… di una specie di tensione nervosa che mi provoca questi fenomeni ma, grazie a Dio, sono passeggeri”.
Gino si sedette vicino alla donna, non prima di averle chiesto se disturbava.
“Il mio nome è Gino… posso chiederle il suo?” proferì il giovane dopo averle offerto la mano in segno di amicizia.
“Esther” rispose la ragazza.
“Un bel nome… un nome strano, inusuale, ma decisamente bello”.
”Bello non so… inusuale forse” replicò la ragazza.
“Scusi la domanda indiscreta, ma è di origine ebraica?” chiese Gino.
“Sì… il mio nome mi tradisce”.
“Esther… Esther, la “regina persiana”, moglie del Re Serse… se non erro” precisò l’uomo.
“Sì… esatto… è un nome abbastanza comune nella mia religione – volle precisare l’interessata – ed è collegata anche al mondo astrale: è legata al pianeta Venere, la stella più luminosa in cielo”.
Gino annuì.
Ci fu un attimo di imbarazzo per entrambi perché non riu-scivano a trovare un argomento di circostanza per poter tenere viva la conversazione.
Fu Gino a rompere quell’imbarazzante silenzio:
“Conosce questa zona?” chiese, pur rendendosi conto della banalità della domanda.
“No! Ma mi piace… è molto suggestivo il paesaggio… il lago è splendido!”
“Io penso si possa affermare che è il più bel lago delle Dolomiti, circondato com’è dalle pareti rocciose della Croda del Becco e dalle altre cime che lo circondano da tre lati ed è anche il più profondo – precisò l’uomo e aggiunse: – attira molte persone per il colore blu intenso delle sue acque limpide e per lo scenario naturale in cui è immerso”.
Esther ascoltò la spiegazione e poi:
“Visto che conosce il lago può spiegarmi questi strani nomi? Ad esempio, il nome Braies, la Croda del Becco… destano curiosità…”
Gino sorrise compiaciuto:
“Come guida non credo di essere molto efficiente, ma se la mia cliente non è troppo esigente, posso provare ad esporre quel poco che so… dunque… cominciamo con il nome Braies. Il toponimo del lago deriva direttamente dalla zona ed è stato utilizzato recentemente, mi pare dal 1940. Ma è molto conosciuto dai “tedeschi” che lo chiamano Pragser Wildsee. È strano quel “Wild” (selvaggio), ma è da ricollegarsi con l’alpinismo dell’800: in quell’epoca, la zona era poco conosciuta e quindi… selvaggia”.
Esther fece un applauso, ingenuo ma spontaneo.
“Ed ora la mia guida, se vuole un nuovo applauso, mi spieghi quello strano nome: Croda del Becco”.
Gino sembrò divertito da queste domande: “Sempre più difficile rispondere! Ma vediamo di accontentare la cliente nel modo migliore, dandole ampie spiegazioni. “Croda del Becco”… beh! Esistono diverse versioni: prima spiegazione… diciamo quella dell’etnia di lingua italiana: si chiama così perché, sembra, che nelle pendici del monte sia sempre prosperata, e prosperi, una nutrita comunità di “stambecchi”, della famiglia dei “caproni”, cioè dei… becchi, il maschio della capra. Molto più semplice ed elementare, la spiegazione dei “germanici”: il monte lo chiamano “Seekofel” (picco sul lago) e mi pare una logica interpretazione. Ma più suggestive le interpretazioni dei Ladini, l’etnia che ora risiede sul posto. Ho detto “interpretazioni”, perché i Ladini hanno, addirittura, due versioni sul nome dato al monte.
La prima: lo chiamano Sass dla Porta perché avrebbe origini mitologiche: deriverebbe dalla saga del Regno dei Fanes, antico reame ladino. Ogni anno, in una notte di luna piena, i superstiti del popolo Fanes, escono da un enorme buco naturale (cioè la Porta) scavato nella roccia e percorrono in barca il giro del lago, guidati dalla loro Regina.
La seconda versione del monte: Cu de ra Badessa, troverebbe origine da un fatto storico. Verso la metà del secolo XV (1471), la più celebre Badessa del castello di Sonnenburg, (oggi Castel Badia), Venessa von Stuben, tentò di annettere il territorio, ma dovette desistere per la resistenza dei locali. E così, i Ladini vincitori, presero a chiamare il monte, presso il quale si erano svolte le battaglie, con questo sdegnoso e volgare epiteto che vorrebbe paragonare la forma arrotondata (vista da Cortina) del monte alla… rotondità del fondo schiena della prosperosa e odiata religiosa. Ecco tutto… spero di aver accontentato la cliente!”
Esther applaudì per la seconda volta, sempre più convinta delle spiegazioni.
“Ma lei, Gino, è una meravigliosa guida!”
“No! Lo sono solo quando i clienti sono interessanti…”
“E io lo sono?” chiese maliziosamente la donna.
“Sì! In modo particolare!” rispose seriamente Gino.
“E allora, mi parli ancora di questo stupendo lago…” espresse come desiderio Esther.
Gino sorrise: non aveva mai ricevuto tanti complimenti!

“A proposito di leggende: conosce la leggenda di questo lago?” chiese la… guida.
“No! Ha una leggenda?”
“Certo! Come ogni lago che si rispetti! Questo lago poi ne ha tante e tutte suggestive.
Esther sembrò interessata anche a questa narrazione.
“Me ne racconti una” chiese divertita.
“Beh… la più nota è questa: la valle del lago era abitata da una popolazione di selvaggi a guardia di un tesoro custodito nelle montagne circostanti. Per questo popolo, l’oro e i diamanti erano molto preziosi. Quando un nemico compariva nella valle, gli veniva fatto il dono di un oggetto fatto con questi materiali per tenerselo amico. Per difendere il loro tesoro i selvaggi decisero di nascondere l’oro e i brillanti nelle sorgenti d’acqua del lago. L’acqua che entrava nel lago, filtrava attraverso questi diamanti, colorando il lago del colore dello smeraldo, la bella tonalità d’acqua che possiamo ammirare ora”.
Esther, con ingenuità infantile, applaudi: “Bella questa leggenda!” commentò.
Gino sorrise compiaciuto e volle completare la sua narrazione: “Quello che ho appena accennato è, diciamo, la leggenda più nota ma, come dicevo prima, ce ne sono tante di leggende. Una, in modo particolare, a me piace ricordare… una leggenda, poco nota, legata alla storia di questo lago ed è una leggenda molto romantica… ha dell’incredibile, come tutte le leggende, una favola direi, ma io preferisco considerarla come una vera storia accaduta e che si ripete nel tempo…”.
Esther sembrò entusiasta: “Gino… posso chiamarla così? Me la racconta?”
Gino annui: “Con piacere! Vede questa meraviglia della Natura? – e accennò al lago – Questo specchio d’acqua è, come le ho già detto, uno dei più bei laghi delle Dolomiti e si è formato tanti e tanti millenni fa per l’occlusione della valle, operata da un imponente sbarramento franoso. Col passar del tempo, l’“uomo” ha voluto trasformarlo, per la sua utilità, e ha deciso di prosciugarlo per costruire un invaso idroelettrico, togliendogli le sue caratteristiche primitive.
Il prosciugamento, provvisorio, mise in luce i resti, ben conservati, di una antica foresta, molto ma molto precedente al lago, recante i segni di una civiltà umana che aveva abitato quella foresta pietrificata in età remotissima, in età postglaciale…”.
“Ma questa è storia! – osservò Esther con una punta di ironica impazienza – e la leggenda? Voglio conoscere la leggenda… mi ha detto che è tanto romantica!”
“La leggenda? La narrazione tradizionale è legata a questo “passato” e, ripeto, è molto romantica – proseguì Gino – È una storia che ha dell’incredibile… dell’irreale” concluse con una specie di sospiro per rendere più avvincenti le sue parole.
La giovane sembrò colpita da questa precisazione e, con aria interessata, fece capire al suo interlocutore che avrebbe gradito qualcosa di più preciso al riguardo.
“Beh! Si dice che dalle profondità delle acque salga un lamento… sì… un gemito sommesso, che poi tende a tramutarsi in singhiozzo. È una specie di pianto convulso emesso da un essere umano triste, angosciato e infelice… ma non viene percepito da tutti… solo da alcune persone particolarmente sensibili a questi richiami” precisò Gino.
E qui fece una pausa studiata, ad effetto, quasi ad invitare la inevitabile domanda.
“E chi sono queste persone che hanno… diciamo così… il privilegio di poter ascoltare questi particolari richiami?” chiese con evidente curiosità Esther.
“Chi sono? Sono coloro che soffrono le pene dell’amore… sì… gli innamorati che hanno visto spezzato il loro sogno d’amore. La leggenda vuole che quei misteriosi richiami altro non siano che dolorose invocazioni di una persona che ha perso il proprio “caro” in modo drammatico. Pochi abitanti della zona conoscono questa leggenda e la attribuiscono alle supplichevoli implorazioni delle donne degli antichi abitanti di quella foresta sommersa… sì… sono convinti che quei gemiti, quegli accorati lamenti, siano di persone che invocano il ritorno dei loro amori perduti”.
Esther aveva ascoltato in silenzio quella narrazione con molta partecipazione.
Volle esternare la sua soddisfazione: “Gino… continui… è bella questa storia!”
Gino riprese:
“Recentemente la leggenda è stata, come dire? È stata aggiornata: sembra che si possano udire anche le invocazioni di “amori” più recenti… di persone che, nel presente, vivono una situazione di sofferenza amorosa e che questo contrastato sentimento si traduca nella disperata voce della persona che vuole farsi sentire, invocando il ritorno del perduto amore! E, sempre secondo la leggenda, queste grida angosciate, struggenti, possono essere udite da chi è invocato, ma solo e unicamente da quella persona!” concluse Gino.
La donna, che aveva seguito tutta la narrazione con evidente interesse, esclamò:
“Davvero? Ma è bellissima questa leggenda! È meravigliosa! E lei… lei lo ha mai percepito questo lamento?”
“Io? Io no!” E, dopo un attimo di riflessione, concluse tristemente: “No! Non l’ho mai udito… il motivo? Forse perché nessuno può invocarmi!”

Quando la ragazza accennò ad alzarsi, Gino chiese:
“Dov’è alloggiata signorina Esther?”
“All’Hotel Braies”.
“Stavo per dire: ‘che bella coincidenza’, ma è l’unico nella zona! Comunque, è una buona occasione per scortarla e portarla sana e salva in albergo – e dopo una breve pausa: – Come si sente ora?”
“Bene… grazie!”

Il giorno dopo si incontrarono di nuovo sul “sentiero”.
Un altro incontro casuale? No!
Gino aveva preventivato quella passeggiata con una sola speranza: quella di incontrare nuovamente la ragazza del giorno prima.
La vide seduta sulla solita panchina, con un abito semplice ma estremamente elegante e che si adattava alla sua esile figura.
Già! Nel primo incontro non aveva notato alcuni particolari fisici di quella strana e interessante giovane.
Nonostante fosse seduta, stavolta, notò le armoniose forme del suo corpo; lo colpì la pettinatura sbarazzina, il colore dei suoi capelli biondi e, come le fu vicino, rimase ammirato da quegli occhi chiari, con sfumature verde-grigio, color giada, luminosi, profondi, meravigliosi… e anche il nasino così ben cesellato sul suo viso!
Si salutarono con molta cordialità e Gino chiese il permesso per sedere al suo fianco.
“Il posto era prenotato per lei” rispose Esther con un sorriso simpatico e accattivante.
Il giovane si sedette, ma apparve subito imbarazzato.
Il discorso del giorno prima sembrava non fosse facile da riprendere, non sapeva come trovare un argomento per… rompere il ghiaccio.
Incominciò con una domanda banale:
“Ha dormito bene stanotte? Ci sono stati degli arrivi e delle partenze in albergo… è stata una notte movimentata anche perché qualche cliente è rientrato molto tardi… Era una comitiva rumorosa… non è stata disturbata?”
“Io no! – rispose Esther – quando mi addormento anche se l’albergo crolla, ben difficilmente me ne accorgo… mi piace dormire… sono una dormigliona”.
“Ma anche mattiniera! È già sulla passeggiata a quest’ora…”
“Sì! Mi piace questo sentiero a fianco del lago” precisò la giovane.
“A proposito… sa come lo chiamano questo tratto di percorso che fiancheggia il lago?” chiese Gino e, visto che Esther non rispondeva, precisò: “lo chiamano il sentiero dell’amore… sì… è conosciuto come il “sentiero dell’amore”.
La ragazza rimase sorpresa da questa rivelazione, ma si riprese subito:
“Ma qui è tutto romantico, allegorico, misterioso… una bella passeggiata, ma a quest’ora e in questa stagione è poco frequentata… evidentemente l’incantesimo della leggenda non funziona alla mattina presto” replicò ridendo la donna.
“Già… forse ci vuole una predisposizione per essere predestinati” ribatté Gino.
“E perché lo chiamano ‘sentiero dell’amore?’ – insistette Esther – è romantica come definizione, la passeggiata è molto suggestiva… ha una leggenda anche la passeggiata?”
“No! Non credo! Io penso che il nome le sia stato attribuito per i lamenti, per i richiami amorosi della leggenda e anche perché…” e qui Gino sospese il suo discorso.
Esther ebbe una reazione immediata:
“E anche perché? Continui il suo discorso… continui, la prego…”.
“Si dice che l’incontro fra due persone su questo sentiero non sia mai casuale… è sempre un avvenimento predisposto dal destino… credenze popolari, naturalmente, legate ad antiche tradizioni, anche se…”
L’uomo fece una nuova pausa, che provocò una nuova reazione:
“Anche se… perché non finisce mai le frasi? Lei mi incuriosisce con le sue parole e poi non continua il discorso fino in fondo”.
“Beh! Intendevo dire che mi piacerebbe che non fosse solo una credenza popolare, una superstizione, una tradizione del popolino” concluse Gino.
La ragazza restò sorpresa da quelle parole espresse delicatamente e a fior di labbra, ma si riprese subito:
“Mi piace… mi piace tanto questa allegorica leggenda… questa idealizzazione dell’amore… questa romantica interpretazione dei sentimenti… ma… ma forse lei mi giudica sciocca, ingenua per tutto questo, vero?”
“No! Affatto Esther! Anzi le dico che io non la giudico una donna sciocca… una donna banale… lei non sarà mai una donna banale… mi creda!”

[continua]

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