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In copertina: l’autore fotografia di Maurizio Don
Prefazione
Bruno Longanesi regala il suo affettuoso ricordo per il famoso cugino Leopoldo Longanesi, conosciuto come Leo, al quale dedica le pagine di questo libro, pervase di profonda umanità e costantemente protese ad illuminare, ancor più, la figura di un intellettuale che ha contrassegnato un periodo della storia culturale in Italia.
Bruno Longanesi ha conosciuto e frequentato il cugino Leo, in una posizione privilegiata, che gli ha permesso di entrare profondamente nella sua vita privata e familiare, sovente difesa e celata da Leo Longanesi, quasi a voler custodire una dimensione della sua vita che reputava intoccabile.
L’intenzione narrativa di Bruno Longanesi è alimentata dal desiderio di far conoscere meglio l’Uomo, nei comportamenti nella sfera privata, dalla quale emerge una delle figure più eclettiche nel panorama culturale italiano del Novecento e che ha rappresentato, con la sua complessità umana, sicuramente, originale unicum letterario di scrittore-personaggio.
La vita di Leo Longanesi, dalla sua nascita, nel 1905, a Bagnacavallo, fino alla sua morte avvenuta nel 1957, viene presa in esame con “pudore” e con un certo occhio di riguardo, senza calcare la mano su alcune vicende che lo videro protagonista in un periodo tragico della vita politica italiana.
Leo Longanesi fu scrittore, giornalista, pittore, caricaturista, disegnatore pubblicitario ed editore, fondatore della casa editrice Longanesi, direttore di riviste culturali e politiche tra le quali “L’Italiano”, e i settimanali “Omnibus” e il famoso “Borghese”, oltre alla sua produzione letteraria con una quindicina di libri.
La sua posizione fu quella di un intellettuale anticonformista, uomo colto ed intelligente, capace di destreggiarsi tra le intricate insidie politico-letterarie dell’epoca seppur il suo carattere “originale”, di certo non facile, non lo aiutò nel ricevere, sul finire della vita, grandi soddisfazioni proprio dalle persone e dai presunti amici che tanto aveva aiutato in vita così generosamente.
Fu definito l’enfant terrible della società letteraria italiana, posizionato tra la feroce dissacrazione e lo spirito libertario, la professione di scetticismo e la propensione allo sberleffo: dominante fu sempre la disciplina del gusto narrativo con architetture sintattiche lineari.
Storicamente riconosciuta fu la sua attitudine ad essere “scopritore di talenti” (a lui il merito di aver valorizzato un grande artista come Giorgio Morandi) e la sua capacità di cogliere, da poche pagine e pochi tratti, le qualità letterarie ed artistiche dei personaggi che incontrava: a dimostrazione di questa sua innata “dote” si può ricordare che fu lui scopritore di Alberto Moravia, Vitaliano Brancati, Mario Pannunzio, Dino Buzzzati, Goffredo Parise, Ennio Flaiano, Elio Vittorini, solo per citarne alcuni, con particolare rilievo per il grande Indro Montanelli che fu suo grande amico e, da buon longanesiano, amava anch’egli il paradosso.
Passate attraverso il vaglio di una osservazione critica, vengono messe in luce le doti, le virtù e i vizi, di Leo Longanesi, senza false maschere, inutili menzogne e finzioni, ma offrendo serenamente l’immagine di un uomo considerato un intellettuale scomodo, caratteristica che Bruno Longanesi, giustamente, sottolinea con decisione in numerosi passaggi del suo libro.
Nella sua vita fu definito un uomo dotato di “ironico sarcasmo”, sovente “scorbutico e lunatico”, capace di lanciare frecciate velenose, maniacalmente meticoloso, fustigatore di coloro che trovava davanti alla sua scrivania se qualcosa non era come lui esigeva, ma anche molto generoso con le persone che gli erano vicine e simbolo di questa propensione è stata la profonda amicizia che offrì a Indro Montanelli, che lo definì un Mago, un Genio.
Eppure Leo Longanesi pareva far di tutto per “non essere amato” e per “mostrarsi peggiore di quello che era”, come a non voler sconfessare il personaggio pubblico che si era creato e che “gli piaceva tanto”: una sorta di “maschera” protettiva nei confronti del mondo, che volle mantenere fino alla fine dei suoi giorni.
Bruno Longanesi, superando pregiudizi e steccati ideologici, cerca di rendere fedelmente la figura complessa del cugino Leo, seppur tale impresa sia delicata e alquanto difficile da portare a termine, come confessa lo stesso Autore.
È importante sottolineare, come ben riportato dall’Autore, che la figura di Leo Longanesi, dopo la sua morte, è stata censurata e sovente dimenticata, in una sorta di oblio e coperta da una coltre di silenzio, che hanno avvolto un personaggio scomodo e, in verità, non allineato politicamente, non a caso ripeteva spesso: “Non ho mai voluto salire sul carro dei vincitori perché era troppo affollato e ci si stava stretti”.
Tale considerazione risulta vera solo in parte perché, senza dubbio, Leo Longanesi, durante il periodo fascista, cercò di posizionarsi politicamente (fu autore anche di un “Vademecum del perfetto fascista”, nel 1926) ed i suoi rapporti con Benito Mussolini furono comunque ambigui: fu proprio Mussolini a designarlo direttore di “Omnibus”, settimanale di attualità politica e letteraria.
Si deve prendere atto che, solo negli ultimi anni, si è avuta un’apertura nei suoi confronti ed una sorta di rivisitazione della figura e dell’opera di Leo Longanesi con numerose pubblicazioni e retrospettive.
La testimonianza diretta di Bruno Longanesi vuole essere obiettiva e rappresentare un “contributo alla ricerca della verità” con numerosi riferimenti ai suoi incontri con il cugino Leo, avvenuti negli ultimi anni della sua vita.
Ne emerge la figura di un uomo dal carattere istrionico, burbero, pungente e mordace, ironico e corrosivo, un uomo che detestava la mediocrità, la stupidità e l’imbecillità, amava i discorsi brevi e concisi, era avaro di elogi e solerte dispensatore di severe critiche: eppure, in privato, come emerge dalla testimonianza, ritroviamo una persona di indole malinconica e, a volte, triste, che amava la sedentarietà e che aveva, come unico cruccio, quello di essere “piccolo di statura”.
Parafrasando un suo famoso aforisma che recitava “L’intellettuale è un signore che fa rilegare libri che non ha mai letto” v’è da sperare che il libro di Bruno Longanesi, straordinariamente denso di notizie, frammenti di vita, riflessioni e considerazioni, venga letto e mai sia rilegato solo per far bella mostra su scaffali polverosi.
Massimo Barile
Mio cugino Leopoldo
Introduzione
Tanti e da tempo si chiedono: “Chi era Leo Longanesi?”
Tante le risposte, più o meno accettabili, dato il difficile carattere enigmatico di questo personaggio.
Dopo un periodo di oblio, un revisionismo postumo lo ha “riscoperto” e riportato a conoscenza del pubblico.
Come l’enigma è un tema affidato all’altrui capacità di interpretare o indovinare qualcosa di indecifrabile, così è successo per Leo.
Tutti lo hanno “rappresentato” secondo un punto di vista soggettivo cercando di decodificare il personaggio.
Ma è passato troppo tempo dal momento della sua morte e poche persone sono testimoni oculari delle sue parole o dei suoi atteggiamenti in vita.
La mia età, la mia parentela, la mia frequentazione, mi permettono di potere esprimere un parere personale su quest’uomo definito “genio e sregolatezza”.
Non voglio entrare nell’aspetto culturale di Leo Longanesi, ma semplicemente nel suo aspetto “umano”, nella sua vita privata.
Qui, Leo, è poco conosciuto.
Non sarò certo io a dare una risposta alla domanda di chi era Leo.
Spero solo di poter dare un modesto contributo per far conoscere certi aspetti di questo grande artista della cultura italiana.
Buona lettura!
PREMESSA
Ho fatto la conta dei miei anni: 88!
Considerando l’età, la parentela e la frequentazione, credo di essere fra le pochissime persone, se non l’unica, che oggi possa scrivere queste note, con una certa attendibilità e credibilità, su un personaggio che ho conosciuto e frequentato spesso quando era in vita, ho avuto la possibilità di entrare nella sua esistenza privata e familiare che, caparbiamente, non voleva fosse assolutamente conosciuta.
Un personaggio molto noto, ma inesplorato ai più, nei suoi risvolti intimi.
Un protagonista della vita pubblica italiana, giudicato da tanti attraverso la sua intensa attività nella platea culturale, ma recensito solo superficialmente perché non permetteva a nessuno di penetrare nella sua vera indole.
Che era quella di un uomo straordinariamente intelligente e colto, mite di natura, ma scorbutico con l’umanità intera per ripicca contro…l’umanità intera!
Faceva di tutto per non essere amato!
E direi che c’è riuscito bene!
Dirò di più: “Passò la vita a mostrarsi peggiore di quello che era!”
E anche qui, non c’è che dire: c’è riuscito benissimo!
LEOPOLDO
All’anagrafe è stato registrato come Leopoldo, ma l’hanno sempre chiamato Leo.
Di nome Leo e di cognome Longanesi.
La persona della quale sto parlando era mio cugino, Leo Longanesi, che molti conoscono come giornalista, scrittore, aforista, pittore, caricaturista, grafico, pubblicitario, regista, scopritore di “talenti”, editore fondatore della Casa Editrice omonima, dell’Italiano, di Omnibus, del Borghese e, in genere, l’inventore del giornalismo italiano moderno.
Sintetizzare la figura di Leo in un’unica definizione risulta impossibile.
Sicuramente fu una delle più geniali, eclettiche e irriverenti figure del panorama culturale italiano del Novecento, un intellettuale difficilmente incasellabile in una categoria precisa.
A me piace il concetto riassuntivo che gli è stato riconosciuto: Imprenditore di cultura.
E piaceva anche a lui questa definizione che gli calzava a pennello.
“Mi soddisfa coltivare e produrre cultura – diceva seriamente – ma non per venderla perché la cultura non si vende, ma per regalarla agli altri!”
Ma non disdegnava, quando parlava della sua professione, esprimersi con un: “sono un longanesiano!”
L’ho sentito anch’io pronunciare quell’espressione e lo faceva non con la boria o la tronfia ostentazione d’importanza e di superiorità di un presuntuoso, ma con la semplicità di chi vuole esprimere un concetto in modo comprensibile.
Per lui la sua poliedrica attività, era un’attività professionale collocabile fra quelle intellettive, ma con un marchio di fabbrica che si identificava con il suo cognome!
Ma non lo diceva con borioso sussiego, ma con la semplice orgogliosità dell’artigiano che produce in proprio un “prodotto” brevettato.
Leo Longanesi ha scritto e ha inventato molto, ma la sua produzione è più di qualità che di quantità con un’impronta intellettuale anticonformista.
Ora però, non è nel contenuto della sua attività letteraria e artistica che voglio trattare.
Molti agiografi, con specifica competenza, hanno svolto questo compito.
Esiste una vasta letteratura a proposito.
Voglio parlare di Leo come l’ho conosciuto io, come uomo, come individuo normale, nei suoi sentimenti più personali, negli aspetti privati, nei risvolti più riservati, oserei dire più intimi: nella sfera dove non voleva si conoscesse e dove è sconosciuto ai più.
Tenterò di dare delle pennellate del suo comportamento “privato”, spesso in antitesi con quello ostentato in “pubblico”.
Sì, perché sotto questo profilo, ci sono due Longanesi completamente diversi!
Del privato si conosce pochissimo.
Lui, orgogliosamente, l’occultava.
Diceva: “Cosa può interessare al pubblico di come mi comporto quando faccio la doccia o mi rado la barba?”
Non esponeva a nessuno le sue abitudini private.
Una difesa della sua privacy?
Per essere lasciato in pace?
Non credo assolutamente!
Era un uomo che aveva contatti con tante persone, rude e brillante, ma di natura non era assolutamente un carattere socievole.
È mia intima convinzione che quella ostinata e scontrosa selvatichezza fosse pura ritrosaggine nei confronti dei rapporti umani e sociali e, soprattutto, perché non voleva sconfessare il personaggio pubblico da lui creato e che gli piaceva tanto.
Ecco, voglio sforzarmi di presentarlo come l’ho potuto osservare io, dal mio punto di vista privato e, quindi, privilegiato perché senza la presenza di osservatori estranei.
L’OBLIO
Nel corso dei decenni dopo la sua morte, la storiografia culturale lo ha censurato, lo ha volutamente dimenticato, archiviato in un imperdonabile oblio, stigmatizzando con estrema severità, il suo comportamento giudicato non allineato e conforme ai criteri di pensiero di un intellettualismo politicizzato.
Con distacco, la società culturale del ’900 lo ha vergognosamente ignorato.
Uso questo aggettivo perché è il più usato in questa specie di risarcimento morale postumo.
Una coltre di silenzio si era abbattuta su di lui.
Tipico destino dei personaggi scomodi e che non vogliono allinearsi.
Ripeteva frequentemente: “Non ho mai voluto salire sul “carro dei vincitori” perché era troppo affollato e ci si stava stretti!”
Non voglio indagare le motivazioni di questo silenzio, e se le giustificazioni addotte siano più o meno condivisibili sotto un aspetto etico.
Non sono, comunque, da approvare sotto l’aspetto culturale.
L’aver oscurato Leo Longanesi, per tanti anni, è stata una grave provocazione all’evoluzione culturale del secolo scorso, un attentato alla libertà di pensiero.
Solo da pochi anni, un revisionismo più obiettivo, lo ha proposto al grande pubblico.
Un risarcimento culturale e morale che ritengo doveroso.
Molti, a seguito di questa verifica, lo hanno rilanciato all’attenzione di un pubblico più numeroso, ma sempre culturalmente selezionato, scrivendo paginate su Leo Longanesi.
Anche gli intellettuali della generazione successiva hanno scoperto il “personaggio”.
Mi è capitato, in questi giorni, di leggere un commento su Leo Longanesi, riportato da Roberto Gervaso, il brillante giornalista, scrittore e aforista.
Alla domanda rivoltagli da un intervistatore: “Che giornalisti servirebbero oggi?” Ha risposto testualmente: “Leo Longanesi innanzitutto. Mi spiace per Montanelli, che è stato il mio maestro, ma il più grande giornalista del ’900 è stato Longanesi. Montanelli lo diceva: senza Longanesi non sarei mai diventato Montanelli. Indro era un talento straordinario, ma Longanesi è stato il genio del giornalismo italiano”.
Questo “commento” attuale è particolarmente significativo: dopo alcune generazioni, il carisma letterario di Leo è ancora intatto ed apprezzato da persone che vivono in un contesto letterario più congeniale ai nostri tempi.
Come capita di sovente in questi casi, si è voluto ovviare a questo errore agendo in maniera completamente opposta: scrivendo fiumi di parole, come se la quantità di notizie potesse sanare l’affronto subito.
E nello scrivere molto si sono dette tante cose sul suo conto: molte vere e molte false o romanzate.
La mia testimonianza, diretta e personale con il personaggio, vorrebbe rappresentare un piccolo contributo alla ricerca della verità.
Ho vissuto con imparzialità quest’oscuramento e, per questo, cercherò di sforzarmi d’essere obiettivo senza farmi influenzare dalla parentela o dall’amicizia.
CHI ERA LEO LONGANESI?
Chi era veramente Leo Longanesi?
Dopo più di mezzo secolo dalla sua morte, ancora molti se lo chiedono.
Anche durante la sua pur breve esistenza nessuno ha saputo dare una risposta.
Molti agiografi e non, postumi, hanno cercato di presentarlo al pubblico sotto diversi aspetti, ma molti hanno peccato di soggettività e di imprecisione.
Ritengo per un motivo semplice e banale: anche quando era in vita nessuno lo aveva compreso bene perché non lo aveva potuto giudicare da vicino dato il suo carattere istrionico.
Si erano trattenuti a distanza di sicurezza a causa del suo proverbiale carattere?
È molto probabile.
Avvicinare Leo, per studiare e afferrare da vicino gli aspetti del suo burbero carattere, non era facile, direi… pericoloso.
Paradossalmente, ci voleva il temerario coraggio del domatore quando entra nella gabbia dei leoni.
Leo, era sempre pronto ad avventarsi sul malcapitato temerario per azzannarlo e divorarlo.
Ognuno ha voluto cogliere un aspetto diverso di Longanesi, ma nessuno, o pochi, secondo me, sono riusciti a inquadrarlo nella sua esatta personalità.
Com’era suo desiderio, d’altronde!
Arriverei a dire che nemmeno Leo si è mai conosciuto.
Se vogliamo sintetizzare la sua figura artistica, trovo giusta una definizione che gli è stata attribuita e che può sembrare in antitesi: “era un conservatore, un anticipatore, un rivoluzionario”.
In effetti i tre sostantivi sono in opposizione fra loro, in un contrasto insanabile.
Ma, paradossalmente, sono ammissibili nella sua geniale attività.
Leo, ne sono pienamente convinto, l’avrebbe accettata (ma poi… l’avrebbe, sicuramente, contestata!).
Era fatto così: questo posso confermarlo con sicurezza.
La proposizione paradossale, formulata in apparente contraddizione con la logica comune, lo affascinava, con lo scopo di sorprendere il pubblico.
E riusciva, spesso, ad apparire convincente!
“Eppure è sempre vero anche il contrario” affermava con convinzione.
Dunque, non sarò certo io a rispondere esaurientemente alla domanda: “chi era Leo”, ma cercherò di proporlo come l’ho visto io, da vicino, nella veste di familiare, nella sua intimità, trascurando una indagine approfondita sul suo aspetto culturale e professionale.
Un Leo visto… dentro la gabbia del leone!
[continua]
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